..................ontologia del sublime si è in presenza dell'arkè o priorità o singolarità di una tesi sul sublime , sorgente dalle lezioni kantiane del prof. s. gi. Si delinea una gestell o struttura o impianto dell'opera sul sentiero di una analitica dell'esserci o dasein-analytik assentemente presente in kant, per interpretare l'analitica della bellezza e l'analitica del sublime. Si approderà infine ad una ontologia del sublime o sublyme quale bellezza-sublime plotiniana o sublime-bellezza heideggeriana già compresenti nella prima ermeneutica del sublime longiniana o burkeiana. Si offrirà preliminarmente una panoramica delle contemplanze del sublime nella classicità quale sublime della mathesis o pitagorico o platonico eventuato già da anassimandro sia nell'apeiron sia nell'archè, quale sublime dei quanta infiniti o del senza-fine e del senza-limiti: presente nell'analitica kantiana quale sublime matematico o gegenstand sublime, ovvero quale entità sublime in trascendenza, presente solo nell'immaginazione della purezza sublime quale eccelsa e nobile magnanimità o magnitudine kolossale , sempre al dilà del sensibile e del percepibile quasi fosse l'alterezza proustiana. L'apeiron dei quanta però non è mai irreversibile: c'è sempre un senza fine infinitesimo o una abissalità senza fondale ove si autoeventui il sublime quale klinamen o ab-scissa dell'archè o dell'evento o della singolarità o ereignis. A quella visione quantica si aggiunse nel corso del tempo una dinamica del sublime interpretata dal pensiero della dynamis aristotelica, quale coercizione kategorica del panta-rei eraklitiano: qui la purezza è katarsi e la sua fenomenologia suscita quel sentimento o quella tensione o quella intermittenza che tanta fortuna avrà nel pensierò di Burke e di Kant, tanto da eventuare il fenomeno del sublime o il noumeno del sublime, ovvero il sublime fenomenico e il sublime noumenico. Ma nessuno si è ancora chiesto del perchè esista una musa della bellezza e non ci sia una musa del sublime. Forse il pensiero di Plotino ci viene in soccorso per delineare nel mito di Kalypso la disvelatezza del mito del sublime, quale bellezza in estasy instabile, fluttuante, in contrastanza delirante assentemente presente o che si sveli solo nell'infinito o nel senza-fine o nell'abisso del senza-entità dell'etere o che aleggi sempre entousiasta , nell'eventuarsi sempre ab-scissa dell'essere-sublyme in mitica alterezza quale bellezza-sublime o sublime-bellezza. Le interpretazioni dell'estetica kantiana presenti nelle lezioni e nella poetica narrativa givoniana quell'eventuarsi dell'abissalità gettano nel pensiero della mondità. Quel che seguirà è intriso di quella pregnanza e salienza. Il sublime dilata il cuore e mantiene l'attenzione immobile e tesa. È stancante. Il bello scioglie l'anima : già negli anni sessanta precritici kant percepisce una differenza fenomenica o una incongruenza spaziale nell'estetica , presente nell'epigenesi longiniana del sublime ma non ancora una differenza noumenica nella bellezza o nel sublime. Qui il sentimento sublime consiste in una vibrazione o alternazione rapida dei sentimenti o alterità o alterezza dell'esserci. Il dinamicamente sublime è simile alla potenza osservata in natura irresistibile e terribile, ma se si è al sicuro, si rimane disinteressati e perciò non c'è più un oggetto o gegenstand che incuta la paura. Dio è terribile ma l'uomo retto non ha paura. Anzi solo il dio del sublime ci può salvare o solo il sublime salverà il mondo. Quella è la differenza: il sublime è il coraggio etico dell'anima e consente di scoprire un'abilità di resistere e comprendere ma solo perchè c'è l'alterezza dell'esserci. Kant pensa alla natura sublime perché eleva, innalza l'immaginazione all'esposizione eccelsa, là ove la mente può essere l'unica facoltà capace di comprendere o sentire la sublimità, anche al di sopra della stessa natura, quale sublimità appartenente alla libertà estetica dell'alterezza. Tale libertà è al di fuori dell'ordine naturale, ed è il centro della teoria etica di Kant: interagenza intima tra il sublime o il dinamicamente sublime e la sua teoria etica. C'è un fattore empirico per il sublime: la mente deve essere ricettiva alle idee razionali, ma può accadere solamente in una cultura che già capisce l'etica come una funzione della libertà o, più generalmente, negli esseri animati c'è già una dimensione che trascenda la natura. Il sublime è possibile solo per chi possieda tale cultura etica . Quindi, il sublime è sussunto in contingenza empirica. Kant pensa: siamo giustificati nel richiedere ad ognuno le condizioni trascendentali per la cultura etica ? Così per il sublime, perché queste condizioni sono , come nell'analitica della bellezza , le stesse sia per il pensiero teoretico sia per il pratico in generale. La sublimità, la sublime etica kantiana, il dinamicamente sublime è sempre in relatività o in reciprocità kategorica o in interagenza con la libertà. E' la problematica kantiana della differenza kategorica tra il matematico e il dinamicamente sublime, o della differenza analitica tra la bellezza e il sublime: entrambi presuppongono un giudizio di riflessione: quindi l'inclinazione o il klinamen di ben-essere e sensibilità, come quella del piacevole; il ben-essere è pensato ed esperito nella purezza della vivenza o dell'immaginazione: entrambi i giudizi annunciano la realizzazione del requisito dell'analitica e non soltanto la sensibilità del desiderio; l'analitica della bellezza della natura interessa infatti la forma dell'ente, che esiste che c'è, che si dà quale esserci o dasein-analytik ; il sublime invece si trova di fronte un gegenstand, sempre non-ente o ente infinito o entità abissale senza-fine, senza fondo, un ni-ente, un nulla o un essere che ci viene in-contro quale ente informale, l'infinità, o completezza kategorica della monade o dell'arkè o della singolarità infinitesima nel suo subliminare ed infinitamente irreversibile nell'apeiron, nell'essere sempre senza fine e senza un fine o un telos: è in interagenza la piacevolezza del ben-essere con la qualità, o la quantità kolossale e magnanima e perciò alta e nobile quale eccellenza dell'etica o quale alterezza. Nell'analitica della bellezza c'è la seducenza quale attrazione fenomenologica, senza la presenza di un'immaginazione; la sensibilità del sublime invece è presente immediatamente quale compresenza di immaginazione pensante o immediatamente come emozione dell'immaginazione dell' esserci o del non ente, niente, nulla o sacra superentità divina, incongruente e incompatibile con le attrazioni e con la seducenza, anzi prossima al timore e all'angoscia; la mente lì è costretta non soltanto alla presenza stabile dall'ente, ma è spinta anche fuori , tanto da non afferrare o percepire la completezza kategorica dell'arkè quale singolarità e dell'apeiron e, per-ciò , impossibilitata nel contenere il ben-essere o un desiderio solo positivo , ed allora si evidenzia anche il senso, contrastante, di ammirazione o tensione o attenzione, quale desideranza anche negativa o non desideranza o dispiacere o timore o tremore o paura ed angoscia. La differenza più importante e più interna tuttavia , sempre fenomenica o kategorica , è quella dell'analitica del sublime o della bellezza dell'esserci o dasein-analytik : qui il sublime Kant lo pensa quale sensibilità che si esprime nella sensibilità estetica che non desidera essere ridotta e la corrispondenza con un'idea che non si può sacrificare nell'apparenza. Quindi, comunque rigorosamente richiede un'espressione etica, l'occhio richiede la bellezza come se ci fosse insistenza dello stesso oggetto, l'etica richiede un'armonia completa fra il principio e l'inclinazione, perché tutta la tensione o l'attenzione si impegna, giacchè si sente che l'eticità non sia ancora in completezza, la virtù non ancora perfezionata. La auto-padronanza che è espressa nella dignità . Trovare il sublime nella bellezza è la bellezza filosofica. Quale analisi di Aristotele della tragedia nella Poetica, specificamente la sua identificazione delle salienze o pregnanze della tragedia; come nell'esperienza di paura e compassione conducenti ad una catarsi delle emozioni. Aristotele appare poco chiaro circa quel che accada nella catarsi. Kant pensa un possibile chiarimento. C'è bellezza e c'è la bellezza-sublime o plotiniana: rappresentano due poli in un continuo: un polo è la bellezza che è associata con un senso della leggerezza ed ordine equilibrato. Ha una qualità debolmente decorativa . Nell'altro estremo c'è la forma molto più ob-scura di bellezza-sublime che si associa con la profondità e la verità. Questa seconda bellezza è il sublime. La differenza tra questi due estremi, o meglio la differenza tra due spazi topologici che si incontrano come in un nastro di Mobius, svela l' analitica della bellezza dell'esserci: se un fiore, un tramonto, un poema, un dipinto, o un brano musicale: qualsiasi cosa che possieda bellezza del primo genere può essere visto anche come bellezza del secondo genere, se l'attenzione dell'osservatore è diretta e adeguata alla fenomenologia ermeneutica. Il differenziale nel continuo è costituito dalla consapevolezza dell'analitica fenomenologica del sublime nella bellezza o della bellezza nel sublime. La fenomenologia ermeneutica della bellezza è ontologicamente connesso con la profondità e la verità, l'abisso e la svelatezza, non è una forma di bellezza che si adegui nelle categorie di Kant della bellezza ed il sublime. L'analitica di quei sublimi eventua una concezione più complessa della bellezza che Kant stesso mai teorizzò . L'analitica del l'estetica del sublime emerge così come una più complessa ermeneutica della bellezza, quale bellezza filosofica o trascendenza della bellezza o sublime bellezza. Quella re-interpretanza dell'analisi di Kant della bellezza connessa con alcuni dei commenti di Aristotele sulla tragedia possono delineare l'emergere di un nuovo paradigma givoniano. Nell'Analitica del Giudizio Kant distingue il sublime dalla bellezza sempre fenomenica: è bella , kategoria della comprensione che organizza il sensibile molteplice nelle strutture usabili del mondo , la forma intenzionale. Nel caso della bellezza, identifichiamo lo stesso modello in un oggetto, riconosciamo ed apprezziamo un principio di organizzazione, è probabile che si dica anche, di pensiero, nell'oggetto ma l'oggetto stesso non ha utilità. Qualcosa è bella, come opposto ad utile, precisamente perché ha certe caratteristiche che possiamo identificare con utilità, ma l'oggetto stesso è inutile. È a causa di quello che la posizione riguardo al bel oggetto è disinteressata severamente, mentre il suo aspetto dà piacere. Un fiore è bello perché possiamo riconoscere la sua organizzazione, la sua simmetria i suoi colori come caratteristiche utili in una cosa , ma la cosa stessa è essenzialmente inutile , e così si pensa la bellezza senza scopo. Il sublime, in contrasto, secondo Kant è un principio di disturbo. È il fenomeno della comprensione che incontra qualche entità che non può organizzare o contenere. Non può determinare un principio di organizzazione che delimiti la cosa, perché non può determinare limiti alla entità quale ob-getto sublime. Non può determinare limiti alla cosa perché la cosa, quale gegenstand, sfida i poteri di presenza dell'immaginazione. È sempre oltre i poteri dell'immaginazione per presentarsi in forma assennata alla comprensione, ed è sempre oltre i poteri della comprensione per avere senso solo al di fuori quale niente, non-ente, il nulla abissale. Ambedue le facoltà di comprensione sembrano non riuscire nel confronto col sublime. Il sublime, perciò rappresenta disorganizzazione. Quella disorganizzazione non è solo una disorganizzazione arbitraria esterna, ma un gegenstand che suggerisce una disorganizzazione interna, sistematica, perché è dalla inabilità di organizzare quella cosa che il senso di disorganizzazione sorge, minaccia la concezione di come organizzare le cose del sublime. È qualche entità che spaventa. Kant identifica la bellezza con una qualità, mentre il sublime si identifica con una quantità, ma quella quantità è illimitata, i quanta sono infiniti e abissalmente infinitesimi. Dove la bellezza calma, il sublime disgrega, dis-turba, è, Kant pensa, però pre-adattabile al giudizio e così costituisce in se stesso un ob-getto della soddisfazione: ma il sublime è anche il contrario: sembra violare il giudizio, essere dis-adatto alla facoltà di presenza. Kant pensa il sublime quale violenza all'immaginazione. Il piacere del sublime è un piacere negativo. È un piacere indiretto che non viene dal sublime stesso, ma dal sollievo che si sente quando si comprende che quel dis-turbo esterno non minaccia più il nostro equilibrio o ordine interno realmente; quando riconosciamo nel pericolo e nella paura, nel timore e nel terrore del tragico un senso alternativo, identificabile nella ragione o razionalità o kategorica ermeneutica indipendenti e quindi salvifiche da tutte le minacce mondane, da tutte le possibili tragedie, da tutte le angosce . Il sentimento della inadeguatezza per aggiungere ad un'idea che è una legge il confronto con l'impensabile nei richiami sublimi , inadeguatezza e coercizione per far si che ci si possa adeguare all'idea della legge morale: il sublime costringe l'esserci alla ricerca di un scopo alternativo da quello che è suscettibile di pericoli per la salvezza del mondo, vale a dire essere nell'etica. Il piacere che si prova dal riconoscimento della nostra sicurezza essenziale riguardo alla cosa minacciosa. Kant pensa il piacere del sublime come qualche genere della gioia, piacere che sorge dalla cessazione di un disagio , quale varietà o stato della gioia. Kant analizza il sublime quasi fosse una utopia distopia: dobbiamo cercare una terra esterna per il bello di natura, ma la cerchiamo soltanto per il sublime e nell' atteggiamento di pensiero che presenta la sublimità nella rappresentazione di natura, la bellezza ci disvela gli spazi esterni, il sublime è un movimento, una isteresi eristika interna, un'esperienza estetica della vivenza, quale erlebniz sublime. Kant sussume il sublime alla bellezza, perché l'esperienza della bellezza è espansiva, di natura, il sublime si disvela quale cuspide nell' interno, un fenomeno inerentemente meno interessante: l'esperienza del sublime conduce internamente e seduce ad una particolare forma di riflessione, con la quale è connessa il più puro progetto filosofico di conoscenza di sé. Per Kant né l'arte né la natura, nel positivo, senso intenzionale, sono sublimi, né generi di cose, da fiori a tramonti poemi a melodie, possano essere sentimento del sublime. Kant pensa il sublime d'importanza secondaria come un'esperienza estetica, per essere coniugato con la bellezza. C'è comunque, una relazione tra la bellezza ed il sublime quel che Kant non pensa ma comunque disvela nella sua analisi dei due concetti estetici della sua fenomenologia. Se la descrizione di Kant della bellezza è, che è senza scopo, si può stabilire un collegamento interagente tra la bellezza ed il sublime. La caratteristica distinta della bellezza, per Kant è la qualità . Ma l'intenzionalità della bellezza è senza scopo. Se la qualità della bellezza è interiore, l'essenza della bellezza deve essere senza scopo. La bellezza divide, si dà differeziale dalla mondità e dalla mondanità, ma quello che distingue la bellezza è la sua qualità senza uno scopo, quello che conferisce alla bellezza la sua essenza, sebbene quella sia necessaria, è l'esserci , l'essere nel tempo, l'essere nel mondo ma come un gegestand senza uno scopo. Se una cosa è senza un scopo realmente, poi è veramente indeterminata . Un oggetto della bellezza , avrà la qualità , ma la riflessione lo mostrerà per essere realmente senza telos, quale bellezza in negativo: piacevole e nel contempo dispiacevole: sublime-bellezza o bellezza-sublime, quasi ci fosse il chiasma plotiniano: dal sublime alla bellezza, è un confronto che la mente non può organizzare o contenere o avere senso . La mente, l' immaginazione estende, ma non può determinare i confini. La sua propria integrità è minacciata, si è minacciati, l'esserci è in pericolo, ma dove c'è il pericolo lì c'è la salvezza. Sarà un sentimento di chiusura, molto vero ma invisibile e pericoloso. Quando la mente funziona contro questo pericolo, indietreggia, quando la ragione è impegnata, il sentimento è sollievo, cessazione della minaccia. Il sentimento successivo è il sentimento della gioia. È l'esperienza del sublime nella bellezza:in grazia della bellezza senza e con il sublime. Essere entusiasmati dalla luce e dal colore, l'armonia e le proporzioni in un dipinto , sperimentare il suo ordine è una buona esperienza, l'erlebniz della bellezza-sublime plotiniana quale sublime dell'entousiasmo e della deliranza . Alcuni pittori e poeti, suscitano l'esperienza del sublime dal di fuori dell'esperienza della bellezza: si può sperimentare il sublime, specialmente nelle forme in natura, nella contemplanza di cascate potenti e pietre sporgenti o cuspidi elevate. È quando l'esperienza estetica è un modello di riflessione che inizi con un senso di ordine e l'armonia, ma diviene qualche genere di ricerca per un contesto significativo di ordine e armonia che la contemplazione delle bellezza si dà, si getta verso un'esperienza del sublime. La ricerca svela una ricerca per sé, per il proprio luogo, per l'esserci. Quella diviene una ricerca filosofica o di ermeneutica fenomenologica nell'esperienza del sublime; soltanto dopo quella interpretanza che l'esperienza estetica si svela in filosofica. È una ermeneutica filosofica perché la fine è più semplicemente delizia, qualche cosa come la verità, la verità dell'esserci ed il mondo o la mondità o la Xhorà quale luogo topologico nell'universo: la bellezza-sublime seduce l'esserci, il dasein e conduce verso una ricerca infinita e abissale . Il confronto col sublime nella bellezza o nel chiasma della bellezza-sublime è dirompente, ma liberante. Quello che disgrega, decostruisce è il compiacimento delle disposizioni, ma ci libera, libera l'esserci verso una sensibilità nuova della vivenza, erlebniz della sublime-bellezza, eccelsa libertà quale entousiasmante nobiltà o alterezza: aspetti di paura e gioia, di disgregazione e liberazione , di terrore ed entusiasmo, di angoscia e delirio classiche del misticismo sacro e mitico che possano essere costituenti dell'analisi di Kant del bello ed il sublime e connessi con le nozioni di Aristotele di paura e compassione in tragedia, e della fine della tragedia come catarsi, quale unico telos della bellezza sublime: c'è solo una referenza passeggera alla catarsi Poetica di Aristotele? Appare in un passaggio sulla tragedia. Una tragedia, è un'imitazione di un'azione che sia terribile ma anche, con una magnitudine, completa in se stessa; con accessori piacevoli, con incidenti che risvegliano la pietà e timore con cui portare a termine la catarsi di quelle emozioni: definizione della natura della tragedia di Aristotele che ha molti collegamenti con la bellezza filosofica, dall'analisi di Kant della purezza del sublime e della bellezza. Aristotele specifica come il protagonista della tragedia né deve essere troppo buono né troppo cattivo, ma piuttosto risvegliare il meson la corretta mescolanza di paura e pietà: nello sperimentare una tragedia, si sente paura perché ci si vede nel luogo del protagonista, e si sente la pietà della sfortuna quale quella della persona o dell'eroe che soffre o soccombe; si vede qualche cosa di se stessi nel protagonista, è il medesimo nostro esserci. L'identificazione col protagonista è un meson di paura e pietà e dà luogo o eventua l'ab-scissa della katarsi. Aristotele non è chiaro, ma un'analisi del Kant-sublime può far luce sul fenomeno o sull'ermeneutica estetica. Nell'analisi di Kant del sublime c'è una imitatio, sia pure più complessa, accade si dà il reflex il riflesso speculare e supersimmetrico del chiasma plotiniano della sublime-bellezza-sublime, quella è un rispecchiamento che dà luogo ad una transizione simile o ad una transcendenza: dalla pietà e timore o terrore o orrore o angoscia o paura o orrore per disvelarsi una libera e gioiosa deliranza estatika. Nella esperienza della bellezza-sublime, per Kant, il dinamico o la dynamis in natura è una proiezione del senso interno dell'esserci. La riflessione del pensiero prioritario o della purezza in relatività con la physis o natura fa sembrare bella e dà un senso o un telos alla natura: similmente, quando si incontra la natura insondabile o noumenica nel pensiero, la natura, come dynamis, che si vede e riflette in quel fenomeno nel contempo la si teme tanto da poetizzarla in matrigna o causa dell'infelicità esistenziale: lì ove c'è la bellezza c'è anche il pericolo per la salvezza della destinanza del dasein. La natura che si incontra nel sublime è una natura diversa da quella che si incontra nella bellezza. È natura, non come le piccole cose circa le quali si è solleciti, è la natura verso cui lo scopo è imperativo ipotetico. L'identificazione con questa natura ci mette al confronto con l' inadeguatezza, per Kant, l'identificazione con la natura illimitata è causa di ansia estrema, l'angoscia, il timore e compassione e con-doglianza. Ma è intenzionale perché l'interagenza o il contrasto o l'isteresi ci costringe a cercare un senso diverso dal solito o insolita interpretanza dell'usuale proprio scopo semplicemente suscettibile e presente dall'immaginazione, quello che soggiorna alla giornata, in ricerca delle soddisfazioni quotidiane, le piccole cose circa le quali si è solleciti. La ragione identifica, un più grande evento al quale appartengono le nostre vite, la vivenza, l'erlebniz, il dasein, da allora quel pericolo molto verosimile da ultima inadeguatezza o insoddisfazione delle desideranze , non è più un pericolo grande di fronte all'eventuarsi della vivenza o dasein che, per Kant, è essere nell'etica. Quella realizzazione conduce ad una libertà autentica che si disveli nella katarsi, nell'essere abitati dall'entusiasmo divino o dalla transcendenza eccelsa aldilà dell'ansia con un senso conseguente di gioia e di autentica libertà: Identificandosi col protagonista della tragedia o con l'eroe o l'eroina l'esserci è condotto similmente, ad una parvenza di paura o di timor panico o agorafobia e nel contempo di angoscia, nell'analisi di Aristotele, nella tragedia e nella compassione da virtù, dalla preoccupazione per, l' identificazione con, il protagonista com-preso negli assalti ignoti ed inconoscibili che affliggono. Dalle virtù dei meccanismi di peripezia e scoperta si è capaci di riconoscere il difetto fatale del protagonista e dell'eroe e si è esperti nel valutare le differenze e le ab-scisse: è quella solo la preoccupazione del protagonista e la sua vulnerabilità di fronte agli assalti noti ed ignoti che lo affliggono, è solo sua la sollecitudine di quelle piccole cose. Quel riconoscimento: piccolo è bello, ma la tragedia è katartica disvela il nobile risultato di riflessione, l'appuntamento di ragione che consente la trascendenza, l' identificazione col protagonista e l'eroe per svelare una alterezza quale passione per l'indifferenza verso il pericolo esistenziale: più alto, più eccelso o più elevato, per Aristotele, è l' eudaimonia fondata sulle virtù. Aristotele e Kant descrivono un'esperienza estetica simile che sembra trascendenza . È esperienza di vivenza della libertà che dà luogo ad un piacere che ci eneva e nobilita , è connesso ad una consapevolezza di qual genere di scopo più alto, più nobile, più sublime quale esserci o sublyme dasein rivelate dalla semplice ragione o razionalità. In ambo i casi l'esperienza comporta una interazione con l'ansia estrema che conduce ad un sentimento di libertà e piacere , quale gioia o una trascendenza, una sublime disposizione o sensibilità o purezza katartica verso la più grande struttura di dasein sublime. Né Aristotele né Kant descrivono l'esperienza estetica della bellezza-sublime o dell' arte solo così, ancora un'analisi delle loro teorie di certi fenomeni estetici, quello del sublime nel bello o, semplicemente, la bellezza è indifferibile, ma non c'era prima ed ora c'è quale sublime-dasein sublime in natura in disvelatezza o quale arte in accordo con la natura o la bellezza della natura nell'adeguata convenienza nella sua formalità, per cui l'ente per il giudizio sembra essere come è stato predeterminato, esso costituisca l'argomento del ben-essere; tuttavia che cosa eccita la sensibilità di quel sublime, che possa comparire inadeguato per il giudizio, quale inadeguata abilità dell'immaginario e avvertita quale violenta per l'immaginazione, soltanto possibile nell'esserci del sublime o nella bellezza-sublime? Non possiamo non dire nient'altro, che quell'ente è adatto per la rappresentazione, che può essere trovato nella mente; perché il sublime non può essere contenuto in nessun formalismo, ma avviene è in interagenza o a contatto soltanto con le idee della purezza: quale informalità presente anche senza nessuna rappresentazione adeguata, possibilità che può essere imago rappresentata, attiva e denominata dalla e nella mente o essere in mente o essere la mente che mai mente. Così lontano , dall'oceano infuriante come in quadro di Turner o nell'odissea prima dell'approdo nelle sublimi insenature di Kalypso ove è dolce naufragare: tempeste sublimi e mitiche dell'eroe dell'esserci. La relativa vista di Kal-ypsous è la katarsi del sublime sintonizzante una sensibilità, che è sublime, poichè la mente è stimolata con le idee, che contengono la più nobile alterezza. La bellezza indipendente della natura discopre o disvela una tecnica della natura, che è priorità e purezza quale sistematica e organica preesistente alle leggi, il principio delle quali non troviamo nelle abilità. Non c'è adeguatezza ma tuttavia dalla natura, come meccanismo della purezza, si e condotti verso analisi più profonde o verso alterezze abissali. Ma in che cosa si dà nel sublime? Niente affatto in quell'accordo con le forme della natura per principii obiettivi e questi nel contempo verso le idee di quel sublime e nel relativo caos o nei relativi disordine e devastazione , se soltanto il formale possa essere osservato in quel sublime della natura. Alla bellezza della natura quel sublime costringe a pensare, un'osservazione provvisoria molto necessaria, che separa le idee di quel sublime della natura dalle teorie epistemiche: la valutazione estetica della natura si dà aldilà del formulario speciale in uso o adatto, giacchè l'immaginazione annichilisce e getta nella trascendenza anche la natura, quale desideranza, sia pure solo virtualmente. La relativa libertà elogiata è assolutamente niente, ma significante: essere nella libertà ed essere nella mente in libertà, o essere nella libertà della natura in desideranza: è possibile che le forze della natura possano essere controllate o respinte soltanto fino a certo punto, più oltre dipende solo dall'esserci. Gli esseri umani sono completamente liberi, e superiori alla natura, anche la natura dinamica non li raggiunge, la luce bella è presente, ma non brucia. Il bello è già un'espressione della libertà, la bellezza in libertà, perché è armonia. La sensibilità di quella alterezza è una sensibilità meson. È una composizione relativa più alta come nella tempesta esprime una felicità simile alla desideranza, tuttavia in lontananza e a distanza di sicurezza. Quella compresenza di due sensibilità contraddittorie in una soltanto sensibilità giacchè assolutamente impossibile che lo stesso sentimento sia situato in due topoi opposti, quasi che si sia situati in due luoghi differenti o in obiquità mistica: la physis opposta o bistabile si biforca o si trovi in una spazialità moebiusiana. Si sperimenta così dalla sensibilità di quella alterità che la circostanza non dipenda dalle leggi della natura e che ci sia un Principium indipendente nella mente epistemica, aldilà in trascendenza dell'agitazione o del timore o della paura: una alterità infinita, perché si pensa, che cosa i sensi non comprendano , quale entusiasmo in libertà che si dià oltre il terribile, perché si possa desiderare, da che cosa gli impulsi si danno all'immaginazione nel regno delle loro caratteristiche o il ritrovamento della loro matrice, perché infine è assolutamente grande in noi la natura e non possa essere immensa. denominata dalla e nella mente o essere in mente o essere la mente che mai mente. Così lontano , dall'oceano infuriante o nell'odissea nelle sublimi insenature di Kalypso ove è dolce naufragare: tempeste sublimi e mitiche dell'eroe e dell'eroina e dell'esserci in vista di Kal-ypsous è la katarsi del sublime, poichè la mente epistemica è stimolata con la più nobile alterezza. La bellezza-sublime della physis discopre o disvela una purezza preesistente alle leggi. Non c'è adeguatezza ma tuttavia dalla purezza, si aleggia verso analisi più profonde o verso alterezze cuspidali sublimi. Ma che cosa si dà nel sublime? Niente, dalla bellezza-sublime la valutazione estetica della natura si dà aldilà del formulario speciale in uso, che l'immaginazione getta nella trascendenza, quale desideranza. La libertà è assolutamente niente: essere nella libertà ed essere nella mente in libertà, o essere nella libertà della physis in desideranza, anche nella natura dinamica, come nella tempesta c'è una felicità simile alla desideranza, tuttavia in lontananza e a distanza di sicurezza, compresenza di due sensibilità contraddittorie in una . Si sperimenta così dalla sensibilità di quella alterità che la circostanza non dipenda dalle leggi della natura e che ci sia un Principium, aldilà in trascendenza dell'agitazione o del timore o della paura: una alterità infinita, perché si pensa, che cosa i sensi non comprendano , quale entusiasmo in libertà che si dà oltre il terribile, perché possiamo desiderare con l'immaginazione esistenziale. Dalla bellezza da sola non si è mai in interagenza come l'Intelligenza pura. Può essere che la fonte delle relative azioni sia pura, ma si deve costituire il fenomeno intero. La bellezza-sublime quale icona o figura di Kalypso si getta nelle onde ed è mito dell'alterezza che ama nascondersi nella bellezza e in alterità si dà, si autoeventua. Il sublime, non implica universalità; la bellezza, rappresenta l'oggetto di un giudizio che prescinde dal mutevole della sensazione empirica, si offre quale realtà formale che non colpisce il soggetto dall'esterno rendendolo passivo. Laddove la bellezza presupponga forma, proporzione, e misura, il sublime è riconducibile alla grandezza senza limiti e colpisce direttamente i sensi. All'origine del piacere per la bellezza si situa così una qualità oggettiva, fondata sulle leggi della sensibilità; leggi che Kant, intorno al 1770, ravvisa nello spazio e nel tempo in quanto intuizioni pure; alle sorgenti del sublime non vi sono invece dati oggettivi. Il sublime, non ha un nesso con la proporzione. Rocce audacemente sporgenti, nelle quali non si trova alcuna misura, ma solo grandezza, sono sublimi. Qui non è importante tanto il piacere, quanto piuttosto la grandezza. Quale la fonte delle considerazioni sulla differenza fra bellezza e sublime? Una lunga linea, una vasta estensione, le radure vuote o l'Oceano, sono il sublime, una grande altezza, una roccia è ancora più sublime. La profondità risveglia un terrore; tutte le rocce sporgenti sul mare spaventano, la vastità è una delle fonti del sublime e comprende in sé lunghezza, altezza e profondità, Lange, Höhe, Tiefe. Fra le tre dimensioni è la lunghezza a suscitare il minore effetto, non genera la medesima impressione, Eindruck, di una torre, di una roccia o di una montagna alta . L'altezza appare meno grande della profondità, e si è commossi [gerührt] in misura maggiore se sprofondiamo lo sguardo in un abisso [Abgrund], che non se lo innalziamo verso un'altezza della medesima dimensione. Nell'alterità: dal grado estremo della grandezza a quello estremo della piccolezza: anche qui si scorge una fonte del sublime per l'impressione che essa suscita , impressione che non si distingue da quella della grandezza, poiché anch'essa genera stupore. I fenomeni sono diversi: il sublime, deve la sua origine ad un sentimento iniziale di dolore cui, subentra un sentimento di piacere. Quest'ultimo, meriterà la qualifica di piacere negativo e relativo, di piacere misto a terrore e sarà differente rispetto al piacere positivo donde trae origine la bellezza. Atra differenza: il sublime conduce le fibre del corpo ad uno stato di tensione, il bello induce in esse rilassamento. Dolore e tensione , piacere e rilassamento sono le vere e proprie fonti del sublime. La mente e il corpo sono così strettamente e intimamente connessi, che l'uno senza l'altro è incapace di provare dolore o piacere , simili a quelli di Epicuro: i movimenti, come il bello ed il sublime, sfociano in qualcosa di meccanico, attività che incrementa la tensione delle fibre connessa con ogni tipo di dolore sono causa del fenomeno del sublime, che presenta notevoli analogie con il dolore: determinata qualità all'origine del sublime quale piacere e dispiacere, Gefühl der Lust und Unlust, che presenta una complessità sfuggente completamente e che racchiude sotto di sé tre diverse specie: il piacere puramente animale e corporeo, il piacere più propriamente umano, ed infine il piacere di natura spirituale, geistige Lust. Kant differenza fra conoscenza simbolica e conoscenza intuitiva, che parrebbero sulle prime rientrare nell'orizzonte della tradizione leibniziana, e si occupa successivamente del problema: le semplici parole pare fossero in grado di suscitare sensazioni, utili per la comprensione della teoria del sublime. Kant ha differenziato il sublime dalla bellezza nel senso molto interessante che effettua nelle prime parti della critica del giudizio, motivato sulle fortune della mente, il relativo interesse con tutta l' immaginazione. Kant pensa il sublime non inerente nella natura delle cose, ma quale fenomeno contenuto soltanto nella mente, essere fenomeno in mente, essere fenomeno della mente. Kant pensa che possa essere contenuto in nessuna forma, in quanto informale, senza la forma o con formalità infinita o indefinita, quindi senza ilemorfie: giacchè il sublime è a-ilemorfico apriory , immateriale e senza una ontologia formale, senza rappresentazione adatta possibile, ma sempre in attivo e denominato nella mente: è il tentativo di esprimere l'infinito senza trovare all'interno della gamma delle caratteristiche un' analitica, che per quella rappresentazione risulti adeguata. L'infinito è sublime perché è l'inizio dall'intero complesso della contrastanza per sè, come significato invisibile e reso interno, rimane impronunciabile ed eccessivo, sempre in eccedenza al di là del pensabile o immaginabile: espressione fenomenica della relativa infinità. Il significato vincente qui è quello della trascendenza della porezza estetica: la completezza è sempre in contrastanza, è sempre di fronte quale apparenza in sè, pensiero della purezza soltanto per il pensiero della purezza. Di conseguenza in quella dismisura il carattere realmente simbolico sparisce. Comunque nel sublime la relatività è fenomenologicamente relativa, per cui il rapporto positivo con il rapporto negativo si converte nell'apparenza e nel relativo sparire . Ciò modella le disposizioni fenomeniche dentro la mente, nell'immaginazione come fuori, di modo che l'interpretazione rivela nello stesso tempo la presenza: non possiamo mettere la mente e le relative idee in contrastanza. L'organizzazione e la forma di quel sublime possono essere così pensati anche dal doppio rapporto tra la sostanza suggerita come significante e il mondo apparente: sull'apparenza poichè la sostanza e la natura sono inaccessibili al pensiero giacchè in sè senza forma, senza ilemorfie, inerente della sostanza sublime, là è con tutta la relativa lucentezza, il suo splendore e luce in paragone alla natura della dea o della musa Kalypso. È l'oggetto, l'immagine di esso, oppure sono le parole con le quali lo si esprime, senza riferimento all'immagine a produrre un sentimento? Anche le parole, pensa Kant, possono produrre sensazioni ed impressioni: la sensazione del terrore, senza che sia necessario che ad esse corrispondano immagini o idee precise. Quale spiegazione dare di questo fenomeno? Poiché è consuetudine utilizzare determinate parole quando ci si rappresenta oggetti terribili, queste parole suscitano terrore . Le parole che vengono associate ad oggetti terribili possono dunque suscitare il sentimento del terrore anche in assenza di quegli oggetti e senza rinviare ad idee o immagini. Quando si legge che Vulcano forgia la saetta di Giove mescolando fulmine, grandine e tuono e fitte tenebre, qui le semplici parole suscitano commozione. Vi avevano aggiunto tre raggi di grandine, tre di gravido nembo, tre di rutilo fuoco e tre di austro impetuoso. Ora mischiavano all'opera terribili folgori, fragore e paura, e ire con avide fiamme: quale la fonte contenente la descrizione sublime e mitologica dell'attività di Vulcano, che risale all'Eneide di Virgilio? Sublime causato dalle parole.In qual modo, la poesia e l'eloquenza suscitano le idee della bellezza e del sublime? Per comprendere quale sia l'origine della loro efficacia nel generare impressioni si consideri che le parole possono produrre nella mente dell'ascoltatore tre effetti: il suono, l'immagine della cosa rappresentata dal suono, il sentimento dell'animo originato o dal suono soltanto o dall'immagine soltanto oppure da suono ed immagine contemporaneamente. Vi sono però casi in cui le parole possono agire sulla mente unicamente grazie al loro suono, senza risvegliare alcuna immagine corrispondente: al di là degli oggetti naturali, e oltre agli oggetti della pittura e dell'architettura, anche agli oggetti dell'eloquenza e della poesia, ovvero alle parole, non possa essere disconosciuta la capacità di suscitare le idee della bellezza e del sublime e che, anzi, debba essere ascritta loro una particolare efficacia, superiore a quella della natura . L'effetto della poesia sull'animo è completamente indipendente dalla capacità di suscitare immagini; si fonda interamente sulle sole parole e sul loro suono. Non v'è forse in tutta l'Eneide un passo più grandioso e più elaborato della descrizione della caverna di Vulcano nell'Etna e delle opere che quivi vengono eseguite. Virgilio s'indugia in particolar modo sulla forgiatura del tuono, che egli descrive modellato dai martelli dei Ciclopi. Ma quali sono gli elementi di questa straordinaria composizione? Tres imbris torti radios, tres nubis aquosae/addiderant; rutili tres ignis et alitis austri;/fulgores nunc terrificos, sonitumque, metumque/miscebant operi/flammisque sequacibus iras: meravigliosamente sublime: poesia e retorica si fondano non sul principio dell'imitazione, che regola la pittura, ma sulla simpatia, e il loro compito consiste nel suscitare impressione ed effetto sulla mente del lettore e dell'ascoltatore, e non è certo quello di presentare una descrizione ed un'idea chiara delle cose di cui discorrono, perché le parole, nella loro autonomia, possono imporsi alla mente del lettore o dell'ascoltatore come sorgenti del sublime, proprio in quanto esse generano un sentimento di commozione in presenza di una poesia: il piacere per il sublime, per il quale è impossibile vi siano giudizi oggettivi, universali, validi per tutti: sublime in analogia con il terrore, nesso fra il sublime e la parola: la scoperta definitiva di principi a priori sia della bellezza sia del sublime. Ora il sublime non è più una semplice impressione soggettiva ma rivela piuttosto un fondamento a priori. Il giudizio sul sublime della natura, sia esso matematico o dinamico in base alla distinzione della Critica del Giudizio, si qualifica sempre come un giudizio la cui validità non si limita al singolo soggetto empirico in un determinato momento temporale ed in un determinato luogo, ma solleva piuttosto una universalità e necessità che lo colloca sullo stesso piano del sentimento della bellezza: una "deduzione", una fondazione a priori della validità del "Giudizio estetico" sul sublime della natura, il sublime viene presentato quale preparazione al sentimento etico, ed il complesso concetto trascendentale ed a priori della "finalità" viene usato per indicare il contenuto del giudizio sul sublime, un giudizio che risulta "comunicabile", e quindi di validità intersoggettiva: tutto ciò che è atto a suscitare le rappresentazioni, Vorstellungen, di dolore e pericolo, Gefahr, e tutto ciò che è in qualche modo spaventoso, o che presenta un'affinità con oggetti spaventosi o agisce sull'anima in modo analogo al terrore è fonte di sublime: il terrore, la paura non sono elementi del sublime. Il sublime, è correlato con un sentimento etico, sentimento che coincide con la possibilità di pensare un oggetto che supera per la sua grandezza qualsiasi misura sensibile. Il sentimento del sublime è etico e consiste nella possibilità di pensare un oggetto, gegenstand, che per grandezza supera qualsiasi misura sensibile: il sublime ha a che fare con la paura però l'origine è derivata da una dimensione etica. Come sentimento, il sublime scaturisce dalla scoperta di un abisso, abgrund, che si estenda oltre i confini dei sensi. Il sublime quale rappresentazione , destinazione o disposizione ad estendersi fino a superare ogni misura dei sensi. La paura, viene sospinta indietro e moderata dalla considerazione della propria sicurezza, e dell'impulso ad estendersi che è troppo grande per le capacità di comprensione: per il sublime, non si dispone di una denominazione atta a caratterizzarlo: indica una comparazione, che ci conduce ben al di là della misura abituale delle grandezze e l'immaginazione subisce alla vista di esso un'estensione tale che la misura abituale non è più sufficiente a comprendere l'oggetto, gegenstand: sublime è ciò la cui rappresentazione ci incute terrore e timore, altezze solitudini profonde, ed in esse il luogo di soggiorno terrificante e solitario degli anacoreti o degli eremiti, ed infine la notte è sublime, ma il giorno è bello, poiché ciò che suscita terrore, non sempre lo troviamo sublime, ed al contrario mostriamo avversione di fronte a ciò che ci riempie di timore, non sempre vi sia una coincidenza fra il terrore e il sorgere in noi dell'idea di sublime e testimonia, anzi, che spesso, nei confronti di ciò che suscita terrore, assumiamo un atteggiamento di ripulsa. Migliore sublime è ciò in cui l'immaginazione viene a tal punto estesa dall'oggetto, che la misura usuale non è più sufficiente a comprenderlo: alcune cose sublimi possano suscitare un sacro terrore, un mostruoso castello le cui rovine in parte crollate ci mostrano la triste antichità: moti dell'animo suscitato da tragedie, rappresentazioni poetiche ed oggetti naturali, giudizi estetici della riflessione: hanno per se stessi un principio a priori ed è possibile svolgere un tipo di analisi sublime nella liberazione di vasi sottili o grossi da ingorghi pericolosi e nel rilassamento delle fibre del corpo, il sentimento del sublime si fonda sulla tendenza alla propria conservazione e sul timore, su di un dolore, il quale, poiché non arriva allo sconcerto reale delle parti del corpo, produce dei movimenti, che, liberando i vasi sottili o grossi da ingorghi pericolosi e molesti, capaci di suscitare emozioni piacevoli, non un vero piacere, ma una specie di orrore piacevole, una certa calma mista allo spavento, l'allentamento e rilassamento delle fibre del corpo, e quindi, un intenerimento, una dissoluzione, un illanguidimento, un soggiacere, un morire, uno struggersi dal piacere : il sentimento della bellezza o del sublime può esser suscitato dall'immaginazione congiunta con l'intelletto, ma anche con quelli in cui la causa determinante è una sensazione. Ma se il piacere, per un oggetto, si fa dipendere del tutto dal fatto che questo diletta per via di attrattive od emozioni, non si può esigere da nessun altro il consenso nel giudizio estetico; perché allora ciascuno consulta a buon diritto il suo sentimento particolare, cessa anche interamente ogni disputa. L'universalità empirica e non necessaria del giudizio estetico cui conduce la definizione del sublime come attrattiva e commozione vengono, elevate a "precetto", in accordo con la metodologia empiristica che dall'osservazione di come si giudica di fatto ricava le norme su come si deve giudicare il sentimento immediato del ben-essere, cui sottoporremmo il piacere, o un dispiacere, senza alcun interesse, piacere disinteressato, contrapposizione fra attrattiva e bellezza, coincide con quel piacere che l'anima ricava dalla contemplazione della bellezza o desiderio o lussuria. Quest'ultimo mira costantemente al possesso della cosa che di per sé non è bella per l'anima, ma semplicemente le procura piacere per motivi del tutto diversi, a prescindere dall'attrattiva e dalla commozione nella spiegazione del piacere disinteressato: il sublime ci libera, attraverso il nesso con il sentimento etico del rispetto, dai moventi sensibili, e allontana , da ogni commistione con qualsivoglia interesse dei sensi: la distinzione fra "bellezza" e "attrattiva" fondande l'apriorità del sublime trascendentale: tutte le rappresentazioni, siano esse oggettivamente soltanto sensibili, o interamente intellettuali, possono essere soggettivamente congiunte col piacere e col dolore, il sublime ad una "tensione" delle fibre del corpo, può esser suscitato dall'immaginazione congiunta con l'intelletto, ma anche con quelli in cui la causa determinante è una sensazione. Se nel ricondurre il sublime al rilassamento ed alla tensione delle fibre del corpo e nel farli consistere in essi soltanto, quindi in sentimenti di natura sottesa è la tesi, che risale ad Epicuro, della corporeità . Così pure, come affermava Epicuro, il piacere e il dolore sono sempre corporei anche se provengano dall'immaginazione o perfino da rappresentazioni intellettuali: sull'esposizione dei giudizi estetici. Tra ciò che piace semplicemente nel giudizio, e ciò che diletta piace nella sensazione, vi è, spesso, una differenza essenziale. Il diletto pare che consista sempre in un sentimento dello svolgimento, e quindi anche del benessere corporeo, cioè della salute; sicché Epicuro, che considerava ogni diletto come, in fondo, una sensazione corporea, in ciò forse, non aveva torto, e s'ingannava soltanto quando poneva tra i diletti il piacere intellettuale e perfino il piacere pratico. Sicché, si può concedere ad Epicuro che ogni diletto, anche quando sia occasionato da concetti che suscitano idee estetiche, è una sensazione corporea; senza che perciò si faccia minimamente torto al sentimento spirituale della stima . Kant interpreta Epicuro : legge nel principio epicureo non tanto quello che il suo autore vi ha detto, quanto piuttosto quello che, a suo avviso, egli vi ha voluto dire. La novità della Critica del Giudizio, consiste nell'avere stabilito una connessione con il principio epicureo, secondo il quale piacere e dolore hanno una connotazione inevitabilmente corporea. Kant pensa la presenza di Epicuro nella riconduzione del piacere e del dolore al legame fra la mente ed il corpo. Epicuro ha ragione, ad asserire che il piacere, quale che ne sia l’origine, è sempre identico a se stesso, e che non è possibile stabilire una differenza qualitativa fra i diversi tipi di piacere. Sublime, è ogni oggetto che suscita terrore, ma il sentimento del sublime non si possa risolvere nel terrore: intraprende il tentativo di separarli, all'interno della trattazione del sublime dinamico della natura. Della natura in quanto potenza. È vero che il giudizio che assegna alla natura il sublime dinamico è inscindibile dalla sua rappresentazione come potenza che causa timore; e non v'è dubbio che la nostra superiorità rispetto alla natura, come ostacolo che si oppone alla nostra sensibilità, può essere da noi sentita solo se presupponiamo la potenza e solo se l' inadeguatezza genera timore. Perché nel giudizio estetico, senza concetto, la superiorità sugli ostacoli non può essere giudicata se non dalla grandezza della resistenza. Ora quando sentiamo che il potere non sia adeguato, c'è timore, Furcht. Perciò la natura, non può essere una potenza, e quindi dinamicamente sublime, se non è considerata come oggetto di timore . L'identificazione del sublime con il timore deve essere però corretta ed integrata: è da porsi una limitazione. Non è, infatti, vera la reciproca: che, cioè, ogni oggetto che suscita timore debba esser trovato sublime nel giudizio estetico. Il suscitare timore non è una condizione sufficiente per il sublime e non ne determina le caratteristiche essenziali. Colui che teme non può giudicare del sublime della natura, come non può giudicare della bellezza chi è dominato dall'inclinazione e dall'appetito: fugge la vista dell'oggetto, che gli incute timore; ed è impossibile provare piacere in uno spavento, che sia seriamente sentito. Perciò quel piacere, che sentiamo ci opprime, è una gioia, Frohsein. Ma è una gioia per la libertà dopo un pericolo, accompagnata dal proposito di non esporvisi mai più; ben lungi dal cercare l'occasione di ripensare alla sensazione provata, non possiamo neppure ricordarla senza fastidio. L'unico tipo di piacere che può provare colui che viene sopraffatto dal timore consiste nella "gioia" o il piacere che scaturisce dalla libertà da un dispiacere: sublime in quanto potenza, il sublime dinamico, fenomeni naturali che risvegliano Dio in collera? In sublime: il sentimento di superiorità sugli effetti naturali, il sentimento del Dio. Il sentimento del sublime non rischia di diventare allora sentimento di superiorità nei confronti di Dio stesso? Con il sublime, che lo attribuisce alla potenza, pare contrastare il fatto che si sia soliti rappresentare Dio come in collera nelle tempeste, negli uragani, nei terremoti; ma nel tempo stesso come rivelante la sua sublimità, in modo tale che sarebbe stoltezza e follia l'immaginare una superiorità del nostro animo sugli effetti, e, a quanto pare, anche sui fini di una tale potenza: la divinità come oggetto sublime, perché si trova una sublimità di sentire conforme alla volontà divina, e si eleva al disopra della paura davanti a questi avvenimenti naturali: distinzione fra il timore ed il sublime si può giungere ad una corretta distinzione: il sublime, poiché è intimamente connesso con la paura e l'angoscia che sorgono di fronte all'onnipotenza divina, la paura e l'angoscia davanti all'essere infinito, alle altezze imprevedibili, l'oceano, grandi figure e il grande spirito della natura o grande genius nella creazione fisica così attraente per la sensibilità, il piacere si apre . Chi si illumina per la comprensione dissolvendo il disordine nell'armonia può soddisfarsi in un mondo. Desidera nel grande mondo essere questo caos: questa mancanza completa di scopo. La comprensione deve aderire a questa forma di collegamento, eccedente ed inutile, per il simbolo, o la purezza della libertà. Sotto quella idea della libertà, che dipende sui relativi propri mezzi, così in un'unità del pensiero, la comprensione collega, presenta il gioco infinito delle caratteristiche ed effettua così la relativa eccedenza di sè stessa: la comprensione quale possibile libertà. La libertà nobile gioco infinitamente più interessante, che la prosperità e l'ordine senza libertà. La libertà nel regno della libertà infinita continua, la libertà santa dello spirito in un'emozione sublime degli esseri di svelarsi in un'armonia: il gioco terribile meraviglioso del distruttivo e la fuga inesorabile della fortuna, sublime intorno al daemon della purezza coincidente con l'esistenza nel relativo sublime: il fascino intero di quel sublime di magnitudine nel matematico sublime, nel dinamicamente sublime come forza nell'esperienza sublime, quale propriamente è sublime e natura alternazione e alterità, rapida alterezza. Così, l'esperienza sublime è intenzionale quale libertà in trascendenza sublime:i sublimi possono essere anche amorfi, il sublime sembra essere-intenzionale, violenta le facoltà di senso e di estetica apprensione. Kant divide il sublime nel 'matematico', grande magnitudine ed il 'dinamico' , magnitudine di forza in relazione alla volontà. Il matematico sublime è definito come qualche cosa di 'assolutamente grande' ovvero, 'grande oltre ogni paragone' . Di solito, applichiamo qualche genere di standard di paragone. L'assolutamente grande, comunque non è il risultato di un paragone o una comparazione spaziale. Alcun oggetto è, misurabile - anche la taglia dell'universo, nessuno meno una montagna sulla Terra. Kant pensa soltanto al matematico in natura, ma fondamentalmente riflette sul 'estetico' nel senso di 'intuitivo' . La misura, richiede un numero ma anche un senso di unità, che possano essere contenute insieme nell'immaginazione e così 'comprese' . Un oggetto che eccede questi limiti, nonostante la sua taglia matematica, sarà presentato come assolutamente grande . Sublimi oggetti di senso, oceani, piramidi sono chiamati 'sublimi' . dasein-analytik nell'analitica della bellezza Kant introduce il concetto "dell' ideale della bellezza" nella relativa forma più pura quale giudizio di gusto quale risposta all'apparenza pura della forma in un oggetto, in contrasto con tutto il reale, in uno dei sensi di quel concetto, avente un certo scopo specifico o essendo destinando ad avere un certo scopo, identifica così la bellezza pura con la forma o l'apparenza pura del reale. Kant complica la sua analisi riconoscendo le forme della bellezza che non sono pure ma collegate con, anche se non riducibile, il riconoscimento del reale: è "la bellezza aderente," una bellezza della forma che è costante o stabile o appropriata per lo scopo di un oggetto o un gegenstad o un ente o un superente che abbiano chiaramente un telos quale relativa forma possibile nei vari sensi, o sensibilità empiriche. Kant addiviene "all' ideale della bellezza," o "di più alto modello, l'archetipo, una rappresentazione di un oggetto specifico o il tipo particolare di oggetto che è al massimo bello . Kant pensa la bellezza iniziata dalla logica di gusto o l'archetipo di gusto. La bellezza per cui un'idea è di essere ricercata non può essere una bellezza vaga, deve appartenere all'oggetto di un giudizio interamente puro di gusto. Ciò significa che ideale della bellezza è l'essere aderente: un'espressione estetica unicamente adatta per quello o questo scopo o estremità dell'esserci il solo capace di un ideale della bellezza. Il dasein è il solo fra tutti gli oggetti nel mondo capace dell' ideale di perfezione, anche quale bellezza della figura umana, in interagenza con l' immaginazione. L'immaginazione è in effetti implicata: l' ideale della bellezza può essere generato soltanto da un atto dell'immaginazione estetica; l'associazione deve essere generata dall'immaginazione, significa che l'ideale della bellezza può essere trovato nella bellezza architettonica della forma dell'esserci nello spazio: cioè la configurazione fissa delle caratteristiche dell'apparenza della vivenza quale armonia fra le funzioni esplicitamente volute dei movimenti intenzionali e le funzioni istintive in conformità con i principii etici, anche al costo della soppressione dei desideri e delle sensibilità : l'esistenza è la libertà dei movimenti intenzionali, la bellezza "d'eccitazione" e "la bellezza di distensione" o "di fusione". Schelling pensa alla bellezza naturale: la sua è una teoria della bellezza naturale ed artistica estetica dell'apprensione sensitiva della verità. Estetica che nella sua classificazione delle arti, disvela un riconoscimento adeguato dell'importanza della verità , effettivamente verità in vari sensi, nell' esperienza nell'arte o del sublimity, per la conoscenza della verità: l'estetica di Kant no. Kant pensa che il piacere nella bellezza è disinteressato, soddisfa senza un concetto, che potremmo avere una sensibilità del piacere in un oggetto senza considerare che cosa i concetti si applichino ad esso ed in base ad una tale sensibilità c'è il giudizio che è bello, il riconoscimento di adattamento dell'oggetto al relativo ambiente, non la verità: pensa che la percezione di armonia e di benessere allineate nelle cose intorno generi un'armonia e una sensibilità : dove tutti i risultati delle leggi della natura nelle forme delicate rivelino una costanza elastico-efficace delle cose, nella bellezza è armoniosa o sensibilità o natura armoniosa, o risonanza fra armonia e ben-essere in natura: la percezione di armonia in natura bene-ordinata che attrae l' attenzione: la sensibilità della bellezza . Kant ha interpretato la sensibilità nell'esperienza estetica come sensibilità della vita al livello più profondo, la sua concezione della fonte di piacere estetico è la sua analisi del giudizio libero della bellezza naturale, che non dipende dalla concettualizzazione del relativo oggetto, non si conclude là, la sua analisi delle esperienze estetiche include i casi della bellezza aderente degli impianti della natura così come dell'arte in generale, sua è la concezione di gioco libero con la forma pura di un oggetto in una concezione di armonia fra la forma ed il concetto dell'oggetto che è armonia in un oggetto bello. Kant ha complicato la sua concezione iniziale del disinteresse di giudizio estetico per tenere conto dell' interesse intellettuale nell'esistenza della bellezza naturale, ha riconosciuto che l' esperienza nella bellezza è un'esperienza in benessere e nell'essere nel mondo. Kant collegò il gioco libero delle facoltà e della sensibilità nella radura di vivenza. Là la soddisfazione o il piacere è la sensibilità è la coscienza di un gioco libero e normale di tutte le facoltà degli esseri . Ha identificato il gioco libero delle facoltà con l'attività, il gioco della mente deve essere fortemente vivo e liberare se deve animare. Il piacere intellettuale è costituito nella coscienza dell'uso della libertà in conformità con le regole. La libertà è una continuità piuttosto che discontinuità . Kant sostiene esplicitamente che il piacere estetico è interesse intellettuale nella bellezza, a priori, vale a dire, che l'esistenza della bellezza è "una traccia" o "segno" . La concezione di Kant in un interesse intellettuale nell' estetica è soggettiva. Il piacere estetico nella bellezza naturale è un segno della possibilità del ben-essere in natura, Kant desidera chiaramente mantenere il collegamento fra l'interesse intellettuale ed estetico nell'esistenza della bellezza , ma senza disvelare l'estetica della verità. Il sublime dilata il cuore e mantiene l'attenzione immobile e tesa. È stancante. Il bello scioglie l'anima . L'atteggiamento sublime va al di là dei dettagli e vede il bene tra le passioni secondo princìpi sublimi, sublyme non è perché ci sono sublymità, bensì, al contrario, poiché e in quanto accade il sublyme, persiste la necessità del sublyme. E soltanto la necessità del sublyme è il fondamento di possibilità del sublyme. La domanda sull’origine del sublyme deve procedere dall’essere-sublyme. Ma questo essere-sublyme si determina in primo luogo, ovvero di già, dall’origine del sublime: consiste nell’acquisizione del concetto preliminare del sublyme nel suo essere-sublyme: essere-sublyme, nel senso dell’essere-in-ekstasy, anche in quello dell’essere-oggetto del sublyme in generale: il tentativo di riscattare il sublyme da ogni riferimento ad altro all’infuori di sè non contravviene proprio all’essenza del sublyme? Certamente, giacché il sublyme vuol essere disvelato in quanto sublyme. E per la precisione in via supplementare all’interno di una svelatezza: essere-sublyme significa essere-disvelato. Però la domanda è che cosa vogliano dire, qui, disvelatezza. In generale, ciò in cui la sublymanza mentre sta sospesa fuori nell’aperto non è mai qualcosa di sussistente , bensì nell’essere-disvelata della sublymanza quest’ultima si procura per la prima volta la propria dimensione estatika. E da questa forza di decostruzione si misura la grandezza del sublyme. Da sé, questo prendere riferimento nell’aperto è certamente essenziale per l’essere-sublyme; ma esso prende fondo, per parte sua, nel tratto fondamentale dell’essere-sublyme, che dovrà essere portato gradualmente alla luce: della sublymità come essa è di per sé e presso di essa. La sublymanza è presso se stessa fintanto che il sublyme è in ekstasy, nell’essere-sublyme. Qualunque gegenstand in contrastanza eristica di qualsiasi fenomenologia kategorika che disveli alcun genere di eccitanza o di estasi della physis quali idee di dolore e pericolo e terrore e orrore e paura e angoscia, o qualunque fenomeno intenzionale che faccia percepire alcun genere di terribilità, o sia noematico di oggetti terribili, od opera in una maniera analogo a terrore, è una fonte del sublime o dà origine al sublyme; ovvero, è autopoiesi dell'emozione più forte che la mente sia capace di sentire: quale emozione più forte, perché si è soprafatti in transcendenza dalle idee sul dolore che sono molto più potenti di quelle che subentrino quali fenomeni del piacere: il dispiacere è più potente della debolezza o delicatezza piacevole, quell'alternanza o quell'alterità intenzionale svela in sè il fenomeno della dynamis o movimento in sè dell'essere-sublyme. Senza altro i tormenti che attanagliano l'esserci quali paura, terrore ed angoscia svelano sofferenze inaudite ed indicibili prossime all'estasi mistica della compassione e sono molto più grandi nel loro effetto sul corpo animato che alcun piacere sia pure immaginato dal libertinaggio più dotto o più singolare, o che l'immaginazione della vivenza, o che il più sonoro e squisitamente assennato, potrebbe godere: si è sempre nel grande dubbio quando si immagini che alcuni potrebbero rinunciare ad una vita di soddisfazioni la più perfetta al fine di terminare la vivenza nei tormenti anche in prospettiva di eventi generanti dolori e dispiaceri, giacchè la seducenza del sublime è più forte del semplice piacere, così come la bellezza sublime della morte è più nobile o eccelsa del semplice morire o perire o lasciarsi andare o attendere gli eventi dela fine: così la morte o essere-per-la-morte è in generale un'idea molto più toccante o più nobile o più eccelsa o sublime del dolore; perché c'è la fenomenologia del sublime nel dolore e di più nella morte sublime, comunque lì si è in prossimità dell'essere per la morte e quindi in una situazione emotiva sublime, infinitamente e dinamicamente più squisita o disquisita della delicatezza piacevole, quali più dolorosi e più compassionevoli e quindi più autentici del tremore o dell'intermittenza del terrore. Quando il pericolo o il timore del dolore sono incapaci di offrire alcuna delizia, sono semplicemente terribili; a certe distanze, e con certi equilibri, i fenomeni sublimi possano essere, e lo sono, deliziosi e angosciosi se compresi nell'autenticità dell'essere in prossimità della morte sublime. Le compassioni che appartengano completamente alla singolarità dell'esserci quali dolore o pericolo o paura ed angoscia insistono sempre in compresenza di piacevoli delicatezze o desideranze è perciò la perdita o l'assenza o la presenza assente suscita eventi più alti e più nobili nella mente, sempre e indelebilmente. Gli effetti violenti generati dall' amore sono sempre in prossimità della follia quale epigenesi del sublime: dynamis nell'arkè o evento del movimento estatico nella physis animata. Quando si soffre con le immaginazioni si è assorbiti così completamente da sentirsi attratti in vertigine da una abissalità infinita senza fondo o senza fine, come se si fosse chiusi fuori da ogni altra mondità o mondanità, in un vorticosa abissalità difficile se non impossibile da determinare o da delimitare con la sola mente: è l'essere-nel-sublyme oltre ogni confine o limite in autentica angoscia delirante, senza scopo, come è evidente dalla varietà infinita di cause che generano la follia: ma quello nel contempo può provocare al massimo o in eccedenza o in eccelsa autenticità la compassione di effetti molto straordinari, o emozioni straordinarie che svelano connessioni con il dolore positivo o il piacere negativo quali ossimoro del sublime. La differenza ontologica si immagina quando si è colpiti fortemente con qualunque entità misteriosa che minacci la distruzione esistenziale: non si può accettare senza protestare e la loro transcendenza sublime non genera inizialmente alcun semplice godimento o alcun vero piacere, ma la finalità ed il telos e alla fine la nike, la vittoria eventuano la percezione sublime della angoscia autentica, quale preludio di un piacere nel dispiacere, o meglio di una infinità dinamica qualitativa nella passione per l'indifferenza alla paura, al terrorre, alla follia: è l'apeiron nell'arkè, la sublyme disvelatezza dell'essere nella morte sublime inaudita ed indicibile, impensabile ed inimmaginabile. D'altra parte la nike quale compassione infinita è sempre un grande scopo, è l' essere animati dalla ricerca delle intraprese di libertà la più grande degli incentivi e perciò quelli sorgenti dall'alterezza del piacere nobile, magnanimo o molto alto o cuspidale o vertiginoso o pro-fondo o abissale, senza fondo, senza alcuno scopo, al di là del pensabile: inaudito, insondabile, inedito, indecidibile, indicibile: si dà nell'ossimora contrastanza dell'eristica, da nessuno disegnato o progettato prima o gettato quale gettatezza dell'essere per la morte sublyme: essere l'apeiron ontodynamica qualitativa dell'archè quale situazione emotiva, in moto infinito, al di là del piacere o del dispiacere dell'anima o del corpo animato, nella purezza dell'autenticità: assenza presente del piacere del dolore, o compassione del dolore piacevole o dispiacere considerevole del disdolore. La differenza dell' essere straordinaria del sublyme, mai guidata dalla ragione nel tempo, o del tempo, o del contempo, o dalle occasioni ma sempre al di là del tempo, o dell'ordinario tempo e quindi sempre in transcendenza, in estasi aldilà delle paure e dei timori e degli orrori e dei semplici piaceri ordinari ed ordinabili, o ortogognali, o ortodossi in maniera da appagare le vertigini, le sommità e gli abissi, le cuspidi iperboliche ed ellittiche, paraboliche e metaboliche ab-scisse, a-syn-totiche, eccelse, eccedenti, sublimi. Se qualcun dolore fosse sorto dalla mancanza di qualche soddisfazione, o ragione, quale angoscia per il nulla o in niente o il non-ente che si dia in contrastanza la paura o la vertigine dinnanzi al baratro o all'abisso sublime troverebbe nelle grandi difficoltà lo spettacolo dell'essere per la morte, dell'essere nell'autenticità dell'esserci nobile, in alterità o in alterezza quale essere-sublime-nel-mondo-abissale o in decostruzione o in autodynamica dissipazione o dissoluzione irreversibile o in instabile apokatastasi dell'apokalisse, senza fine e perciò nella più autentica katarsi del klynamen sublime: non è improbabile che quella sensazione di mancanza sia molto fastidiosa, perché alla fine si pensa si sia perso il senso e il senno per sempre, quasi non si possa più intravedere il sentiero del ritorno dall'abisso o dall'odissea del tragico, o che non ci sia alcuna musa Kalypso o mito al termine, al limite, lì nella radura sublyme in attesa del naufragio ed in prossimità dell'abitare poeticamente l'evento, quale sublyme-bellezza dell'essere-eroe o dell'essere-nel-mito o dell'essere-per-la-nike. La fonte del sublime è l'infinità; o l'infinito dinamico qualitativo. L'infinità ha una tendenza a riempire la mente con quel genere di orrore delizioso che è l'effetto più genuino e la più vera prova del sublime: alcune cose che possono divenire gli oggetti dei nostri sensi, quello è nella loro propria natura infinito. Ma l'occhio che non è capace di percepire i confini di molte cose, perciò sembrano essere infiniti, e producono gli stessi effetti come se lo fossero veramente, si è ingannati nel piacere, se le parti di un grande oggetto sono continue quasi indefinite, tanto che l'immaginazione non incontri nessun limite o confine o controllo che ne possano delimitare l'estendibilità. Dopo avere girato come una trottola da fanciulli e poi immediatente ci distendiamo con gli occhi chiusi, gli oggetti sembrano girare girare intorno e così il mondo. Dopo una successione lunga di rumori, come la caduta delle acque , nell'immaginazione la risonanza debole continua anche quando il fenomeno sia finito o terminato. I sensi, colpiti fortemente in maniera dirompente entrano in risonanza o in sinestesia aldilà dei fenomeni o della razionalità quale intuizione della purezza senza il gegenstand giacchè non riescono a cambiare rapidamente il loro tenore, o non si adattano immediatamente alla contrastanza, continuano nella loro risonanza oltre la dinamica dei quanta: è la frenesia, ogni ripetizione la rinforza con nuova dinamica, quasi qualitativa o aldilà o in transcendenza della dinamica dei quanta infiniti o infinitesimi. Ancora in ciò non presuppongono senso, ma un giudizio di riflessione: quindi una sensibilità senza sensi, quella piacevole o dispiacevole quasi indifferentemente, o una purezza dell'immaginazione. Il bello della natura interessa la forma dell'analityk-dasein che esiste solo nella delimitazione; il sublime invece deve essere informale quale infinità dei sensi o della mente che sveli i sensi della purezza infinita quale dynamis qualitativa: qualità infinita dei quanta o un'immaginazione di desideranza quale essere-sublyme dell'immaginazione: desideranza anche negativa. La differenza più importante tuttavia tra il sublime e la bellezza è : la bellezza della natura è una convenienza nella forma, per cui l'analitica sembra essere predeterminata o preformativa, la bellezza conduce alla conoscenza dell'argomento e si discopre nella vista, che eccita la sensibilità per l'immaginazione, ma soltanto se l'esserci vede immediatamente o tautologicamente o riempie la mente sintonizzata ad una sensibilità, stimolata per interessarsi alla convenienza. Non estende così realmente la nostra visione degli oggetti della natura, ma solo la purezza della natura, cioè della dinamica o del meccanismo nudo, o della purezza dinamica: un uso adatto, che l'immaginazione attua in relatività con una più grande varietà e complessità, eidetica descrittiva o un’ossimorica fenomenologia naturalizzata, la netta distinzione della fenomenologia descrittiva da una geometria esatta, dipendenti dalla fenomenologia come scienza eidetica, materiale, concreta e descrittiva, deputate all’analisi delle essenze morfologiche vaghe ovvero quelle caratterizzanti ciò che si dà concretamente nell’intuizione immediata alle scienze esatte, dipendenti dalla geometria come scienza sì eidetica e materiale ma astratta ed esatta classica per l’analisi di essenze geometriche. La geometria più perfetta e la sua applicazione pratica più perfetta non possono in alcun modo aiutare lo scienziato che vuole descrivere la natura ad esprimere con dei concetti di geometria esatta quello che si esprime in maniera così semplice, così comprensibile, così pienamente appropriata, con parole come frastagliato, intagliato, dalla forma cuspidale; questi semplici concetti sono inesatti per essenza e non per caso; anche per questa ragione non sono matematici: le teorie matematiche sono essenze esatte in quanto assiomatizzabili, complete e categoriche, perciò la geometria euclidea non coglie le differenze eidetiche ultime, le discontinuità qualitative costitutive degli schemi sensibili, né tutte le forme spaziali che sono oggetto di possibili intuizioni singole, non le descrive, non le classifica, deriva al contrario ogni sua forma da assiomi. Così facendo si confondono costruzione di oggetti e deduzione di formule, i vissuti come essenze inesatte connessi nel flusso eracliteo della coscienza temporale e i vissuti o erlebniz eraklytiani che si convertono attraverso la correlazione noetico-noematica in leggi formalizzabili proprie dell’essenza, distinguendo così fenomenologia e geometria. Su questa si basano le altre incongruenze kantiane, quali: concepire la fisica come indirettamente evidente in quanto basata sulla presunzione della matematica di essere adeguata al reale; disgiungere la manifestazione fenomenologica a priori dall’essere fisico formalizzato e per questo privo di senso; conseguentemente, criticare l’obiettivismo della fisica, subordinando proprio l’obiettività fisica alla manifestazione fenomenologica. In sostanza, non si è saputa risolvere la problematica dell’origine della rappresentazione spaziale né quello di una geometria morfologica che conferisca un contenuto matematico preciso al sintetico a priori costitutivo del noema percettivo. Ulteriore impasse della teoria fenomenologica consisterebbe nell’aver concepito il ricorso, in alternativa alla geometrizzazione e alla descrizione concettuale, escluse per principio, al lessico morfologico della lingua naturale, ossia alle espressioni linguistiche, per descrivere le singolarità eidetiche inesatte appartenenti alla sfera descrittiva. In questo modo, la fenomenologia, che voleva essere una scienza eidetica del futuro post-matematico e post-fisico, non fa che regredire pesantemente verso una descrizione linguistica arcaica pre-matematica e pre-galileiana. Manca nel pensiero kantiano una geometria morfologica che colmi tale divario anche all’interno della tradizione fenomenologica o nell'apriori dei caratteri fondamentali della fenomenologia, quali le essenze, le ontologie regionali, il sintetico a priori, la riflessione, il flusso dei vissuti, i noemi; il sintetico a priori corrisponde essenzialmente a una tesi di modularità e d’incapsulamento degli oggetti: non è una proprietà inerente a certi enunciati ma una strategia di costituzione d’oggettività; oppure, riguardo al flusso temporale dei vissuti, le regole eidetiche che lo vincolano corrispondono a degli algoritmi, a dei programmi, a delle procedure, implementate nel processo materiale di cui i vissuti rappresentano la parte accessibile con la riflessione, anche se sapere come tali noesi producano i poli d’unità e d’identità oggettuale costitutivi dei noemi nucleari è un affascinante problema ancora totalmente aperto, si possono cogliere tanto delle somiglianze quanto delle differenze tra la fenomenologia e il computare: la correlazione tra atti mentali e noesi e tra strutture ideali di senso e noemi, la convergenza del solipsismo metodologico, e il rapporto che lega il noema e le modificazioni intenzionali inteso come anticipazione della teoria degli atteggiamenti proposizionali. Differenza rilevante si può invece considerare il funzionalismo non sintattico ma concettuale,il carattere intenzionale delle rappresentazioni mentali è intrinseco e non epifenomenale: è possibile spiegare come effettivamente si possa completare, cioè naturalizzare, la fenomenologia. Le ultime teorie fisico-matematiche, si ha in mente la teoria delle catastrofi e delle biforcazioni, degli attrattori di sistemi dinamici non lineari, la teoria dei fenomeni critici e della rottura di simmetria, la teoria dell’auto-organizzazione e degli stati critici auto-organizzati, la termodinamica non lineare, sono in grado di spiegare come unità microscopiche possano organizzarsi in strutture emergenti macroscopiche, sulla base di fenomeni d’interazione collettivi coordinati o mesoscopici quasi fossero meson o creodi autodinamici. Per mezzo di esse è possibile traghettare le scienze naturali verso feno-scienze, scienze che elaborano aspetti qualitativi delle morfologie fenomenali. Questa macrofisica qualitativa dei sistemi complessi oltrepassa di gran lunga i limiti della geometria e della fisica concepite dal filosofo tedesco , che separa la fenomenologia estetica come analisi qualitativa della bellezza, essenziale, del percepire-costituendo il reale dalle scienze esatte e costituire un terzo-termine fenomenologico che, in primo luogo, sia un linguaggio qualitativo della percezione; in secondo luogo, che condizioni le strutture del linguaggio permettendo una descrizione qualitativa del percepito; e infine, che sia derivabile dai formalismi stessi dell’obiettività fisica, si possono modellizzare geometricamente le essenze morfologiche vaghe e schematizzare i loro a priori sintetici . I vissuti estetici possono essere perfettamente simulati e i loro correlati morfologici possono essere morfodinamicamente modellizzati, quale kategorie dinamiche qualitative post-kantiane del sublime, pur restando dati immediatamente nell’evidenza dell’intuizione d’essenza La bellezza è una qualità perciò della dynamis qualitativa, ma così anche il sublime si dà sia nelle kategorie quantitative sia nelle kategorie dinamiche qualitative e si dà con un senso di gioia e piacere in vista della grande finalità, sebbene non si possa percepire distintamente quello che c'è. Una grande profusione di cose che sono splendide o preziose in sè è magnifica. Il cielo stellato, sebbene accade alla nostra vista molto frequentemente, non riesce ad eccitare un'idea di grandiosità. Il numero certamente è la causa, il contrario dell' idea di magnificenza. Inoltre, le stelle giacciono in confusione apparente, con impossibile occasioni di senso e di calcoli: ma se si dà un vantaggio di un genere di infinità o qualche genere di grandiosità che consiste in moltitudine c'è l'essere sublime: un aspetto dell'infinità senza la magnificenza. C'è comunque un genere veramente grande: molte descrizioni nei poeti ed oratori che devono la loro sublimità ad una ricchezza e profusione di immagini: era come la stella del mattino nel mezzo di una nube, e come la luna piena; come il sole che splende sul tempio di Kalypso, e come l'arcobaleno, luce generosa nelle brillanti nubi: come le rose nella primavera, come gigli dai fiumi e l'albero di incenso in estate; come fuoco in un vaso d' oro con pietre preziose; come alberi di cipresso fluttuanti sulle nubi. Tutti i colori dipendono dalla luce così il suo contrario, l'oscurità : capaci di produrre il sublime, ma senza un'impressione forte nulla può essere sublime: il lampo è certamente produttivo di grandiosità ciò si deve principalmente alla velocità estrema del suo moto. Una transizione rapida dalla luce all'oscurità, o dall'oscurità alla luce, è ancora più grande . Ma l'oscurità è più produttiva di idee sublimi della luce: nel descrivere l'aspetto della Divinità, di Kalypso quale musa del sublime con profusione di immagini magnifiche, tante da far dimenticare le oscurità che circondano gli esseri, la luce e gloria che fluiscono alla presenza Divina; una luce che dal suo molto eccesso è convertita in una specie di oscurità. Luce estrema, che superando gli organi di vista oblitera tutti gli oggetti, così il suo effetto assomiglia all'oscurità. Dopo aver osservato il sole, lo sguardo è oscurato da due macchie nere, l'impressione che lasciano sembrano danzanti dentro gli occhi: può essere immaginata una contrastanza eristica, o nonostante la loro natura opposta una paradossale coincidenza nel produrre il sublime, gli extremi opposti operano ugualmente nel favore del sublime, nella notte più sublime e solenne del giorno. Una sublimità deve essere dedotta dalle fonti ove si sveli il dolore, l'angoscia, il tormento e l'estasi sublime, attraversati le cause del sublime con referenza in tutti i sensi, ma che la sua emozione più forte è un'angoscia sublime, per niente piacevole, un a priori che può essere una bellezza-sublime molto impressionante, misure di eccellenza gettati in figure regolari, trasformanti figure matematiche, con esattezza e simmetria, ma le idee matematiche non sono le vere misure della bellezza e del sublime in tale varietà infinita di luci, se si immagina la transcendenza della teoria Platonica di appropriatezza ed attitudine, l'archè dell'idea di appropriatezza: quella Perfezione sia la causa costituente della bellezza. La bellezza in angoscia è la bellezza più toccante: è la bellezza-sublime in trascendenza o contrastanza eristica con l'archè classico quale apeiron nell'arkè, la varietà nella superficie che non è mai per il più piccolo spazio la stessa; il labirinto ingannevole attraverso il quale scivola storditamente l'occhio instabile, senza sapere dove riparare o dove è portato. Non è questa una dimostrazione di quel cambio di superficie, continuo ed ancora appena percettibile che forma la bellezza? Ma l'idea di variazione, senza fare attenzione così accuratamente alla maniera della variazione ha portato a considerare figure angolari come belle: queste figure variano in una maniera improvvisa e interrotta: c'è una varietà infinita, in varietà diversificata sempre, impossibile ritrovare i confini, intenzionalmente la bellezza consiste nella chiarezza e trasparenza, nella dinamica, nel moto quale bellezza che sposta continuamente la sua direzione; ma un moto lento e languido è più bello di uno iperattivo, come l' inclinare verso una figura geometrica ed esatta, sebbene la superficie varia continuamente la sua direzione, non deve variare mai improvvisamente. L' improvviso, anche se l'impressione stessa ha poco o nulla della violenza, è sgradevole: l'occhio trionfa nell'estensione infinita e la molteplicità immaginaria, ma quella grande varietà, e transizioni rapide da una misura all' altra, è contraria al genio in musica. Tali transizioni spesso eccitano l'allegria, o altre passioni improvvise e tumultuose; ma non quel languore che è l'effetto caratteristico di ogni senso. La passione eccitata da bellezza è infatti più vicino ad una specie di malinconia, che all'allegria. La varietà infinita delle percezioni dell'anima suggerirà una varietà di suoni per elevarli a bellezza, naturalmente, e comparabili col sublime, in questo paragone là appare un contrasto straordinario, sublime enorme nelle dimensioni: la bellezza dovrebbe essere liscia e levigata; il sublime, accidentato e negligente; la bellezza dovrebbe evitare la linea corretta; il sublime in molti casi la linea corretta, e quando spesso devia fa una deviazione forte: la bellezza non dovrebbe essere oscura; il sublime dovrebbe essere scuro o tenebroso ed obscuro: la bellezza dovrebbe essere leggera e delicata; il sublime dovrebbe essere solido, ed anche massiccio: una natura molto diversa, uno essendo fondato sul dolore, l'altro su piacere; e nondimeno possono variare dalla natura diretta delle loro cause dopo una distinzione che colpisce le passioni. Nella varietà infinita di naturali combinazioni, si possano trovare le qualità più remote e immaginabile dall'un l'altro, unificati nello stesso oggetto. Se le qualità del sublime e della bellezza è trovato unito qualche volta, questo prova che loro sono gli stessi; ma prova anche che loro non siano opposti e contraddittori? Se si armonizzano Sublimità e Bellezza perchè tale emozione è distinta nella mente, o perché il corpo è vittima di seducenza ma la mente è in contrastanza eristica, o la mente è affascinata mentre il corpo è indifferente? Quando Newton scoprì la proprietà dell'attrazione prima, e le sue leggi, lui le fondò e ciò servì molto bene a spiegare i phænomena più straordinari in natura; con referenza al sistema generale, l'attrazione come causata da gravità; sulla natura di queste qualità, può essere perciò, necessario per spiegare la natura del dolore e piacere dalla quale loro dipendono o il terrore che è un'apprensione del dolore che esibisce precisamente gli stessi effetti quale atto di paura sulle stesse parti del corpo; quel dolore e paura consistono in una tensione innaturale dei nervi; accompagna una forza innaturale che qualche volta improvvisamente cambia in una debolezza straordinaria; effetti spesso alternati, mescolati con l'un l'altro: è la natura di tutte le agitazioni convulse, specialmente in soggetti più deboli che sono i più responsabili alle impressioni di dolore e paura. L'unica differenza tra il dolore ed il terrore è, che cose che provocano il dolore operano sulla mente dall'intervento del corpo; mentre cose che provocano terrore generalmente colpiscono gli organi fisici dall'operazione della mente che suggerisce il pericolo; d'accordo, nel produrre una tensione, contrazione, o emozione violenta quando il corpo è disposto, a tali emozioni come di una certa passione; ne ecciti qualche cosa come quella passione. Malinconia, abbattimento, disperazione e angoscia è la conseguenza della oscura visione e come tale assomiglia a dolore che consiste in tensione o contrazione: è probabile, che non solo le parti inferiori dell'anima, le passioni, ma la comprensione stessa, crei strumenti corporali in uso, sebbene quello che sono, e dove sono, può essere piuttosto difficile da stabilire; ma che appare un esercizio dei poteri mentali e incita ad una stanchezza straordinaria o addolori, indebolisca, e qualche volta davvero distrugga, le facoltà mentali, sebbene l'immagine dovrebbe causare una piccola tensione vibrando in tutte le sue parti, e di conseguenza deve produrre un'idea del sublime. Di nuovo l'origine del sublime dalla grandezza di dimensione: lo sguardo deve traversare lo spazio enorme con grande rapidità, e di conseguenza i nervi eccellenti e muscoli destinati al moto devono essere tesi moltissimo; e la loro grande sensibilità farli estremamente colpire da questa celerità, e sorgere dall'artificiale infinito; e che quell' infinito consista in una successione uniforme di grandi parti: la stessa successione uniforme aveva il potere nei suoni, causa della sublimità da successioni nel senso di sentire. Quando si riceve un semplice suono, le membrane vibrano secondo la natura, se il colpo è forte, si soffre di un grado considerevole di tensione. Se il colpo sia ripetuto abbastanza presto, la ripetizione provoca un'attesa di un altro colpo e provoca una tensione, un genere di sorpresa che aumenta ancora ulteriormente questa tensione quasi una convulsione in sorpresa capace del sublime al limite del dolore. Anche quando la causa sia terminata, si continui a vibrare da molto in quella maniera per del tempo, è la grandezza del sublime, come l'oscurità possa operare in tale maniera tanto da provocare il dolore. Alcuni pensano che l'oscurità possa essere causa del sublime, quale colore del non ente o colore del niente o del nulla sublime, inoltre non presuppongono un giudizio dei sensi od un giudizio logico determinante, ma un giudizio riflettente. Balzano però anche considerevoli differenze. Il bello naturale riguarda la forma dell’oggetto, che è limitazione; il sublime al contrario si può trovare anche in un oggetto informe, in quanto implichi o provochi la rappresentazione dell’illimitatezza, pensata tuttavia nella sua completezza; sicché pare che il bello debba essere considerato la presentazione d’un concetto indeterminato dell’intelletto, il sublime d’un concetto indeterminato della ragione, Nel primo caso quindi la soddisfazione è legata alla rappresentazione della qualità, nel secondo a quella della quantità. Anche tra i due tipi di soddisfazione c’è molta differenza,: mentre il bello implica direttamente un sentimento di intensificazione della vita, e si può perciò conciliare con le attrattive e con il gioco dell’immaginazione, il sentimento del sublime invece è un piacere che scaturisce in modo indiretto, vedendo prodotto dal senso d’un momentaneo impedimento delle forze vitali, seguito da una tanto più forte effusione di queste; e perciò in quanto emozione, non sembra essere qualcosa di giocoso, ma di serio, tra le occupazioni dell’immaginazione. Quindi è anche inconciliabile con le attrattive; e dato che l’animo non è solamente attratto dall’oggetto, ma alternativamente attratto e respinto, accompagnata com’è da ammirazione o rispetto, d’essere detta piacere negativo. Ma la più importante ed intima differenza tra il sublime e bello è : se, com’è giusto, prendiamo qui in considerazione prima di tutto soltanto il sublime degli oggetti naturali, la bellezza naturale, indipendente, comprende nella sua forma una finalità, per cui l’oggetto sembra come predisposto per il Giudizio, ponendosi così come autonomo oggetto di soddisfazione; mentre ciò che, nella semplice apprensione produce in noi il sentimento del sublime, può apparire, quanto alla forma, urtante per il Giudizio, inadeguato alla facoltà di presentazione e per così dire violento contro l’immaginazione, ma proprio per questo sarà giudicato più sublime. Ma in ciò che siamo soliti chiamare sublime c’è così poco di riducibile a principi determinanti ed a forme della natura ad essi adeguate, che questa anzi suscita più facilmente le idee del sublime quando in lei domini il caos, il disordine e la devastazione più selvaggia, purché si manifestino grandezza e potenza: è il sublime naturale, IL SUBLIME Kantiano, epistemica o analitica del sublime: la prima occorrenza della problematica in ambito filosofico si legge nel Fedro di Platone , dov’è riconosciuta un’esperienza artistica "ispirata" priva di regole razionali. La questione viene posta esplicitamente nel trattato Del sublime, o della sublimità stilistica: una fonte del sublime nella selezione sistematica dei più importanti elementi, ed il potere di formare, dalla loro combinazione reciproca . Il primo processo attira l'acoltatore dalla scelta delle idee, il secondo dall'aggregazione di quegli eletti. Sappho sceglie dappertutto le emozioni che presenziano alla passione delirante . Dove dimostra la sua eccellenza suprema? Nell'abilità con la quale lei seleziona e lega insieme impressionante e veemente circostanze di passione: pari agli Dei lei, felice siede e guarda fisso di fronte , accanto a Lei siede, ed in silenzio La sente parola , La risata bassa di amore ridente. Oh questo, questo solamente Mescola il cuore agitato nel mio seno per tremare! ma La vede un piccolo momento è la mia voce fatta tacere; Davvero, la mia lingua è rotta, ed attraverso ed attraverso me la carne il fuoco impalpabile gestisce il tremore; Nulla vede il mio sguardo, ed un rumore di fluttuanza in onde nei miei suoni di senso; Il fluttuare si inabissa in giù in fiumi, e un tremore afferra Tutti i miei lembi, e più pallido dell'erba in autunno, Presa da dolori di morte minacciosa, l'esitanza estatika, perduta nell'amore-trance. È un istante, la poiesis evidenzia la compresenza dell'esserci o dell'essere o del dasein come se fossero del tutto alieni e sparsi, anima, corpo, orecchi, lingua, occhi, colore? Contrastanze eristiche in sinestesia, lei è la stessa nell'alterezza e nell'alterità quale apeiron nell'arkè, infinity nell'apriory, essere nel tempo nella infinità quale durata, caldo e freddo nei suoi sensi e fuori della sua mente: è terrorizzata o al punto di morte. L'effetto desiderato non è solamente quello che una passione che dovrebbe essere vista in lei, ma un concorso di passioni o di com-passioni o con-doglianze o angosce autentiche in quanto l'ente cè e non c'è, è presente o assente: tali cose si svelano nell'eros, ma è la selezione del più impressionante, è la combinazione in un singolarità dell'apeiron, dell'infinito nell'intererezza, del sublime infinito nella bellezza della purezza: è l'eccellenza della singolarità della trascendenza, quale purezza della qualità infinita: lo stesso Omero, descrivendo tempeste, sceglie le circostanze più terrificanti, perchè pensa d'ispirare timore reverenziale: Una meraviglia che eccede la mia anima. Gli uomini pensano lontano l'acqua dalla terra, dove fluttua il mare profondo, un racconto del travaglio e del dolore. I loro occhi sulle stelle indulgono, i loro cuori sopportano doglianze. Spesso, verso gli Dei le loro mani sono elevate in alto, con cuori in disagio rivolti al cielo sublime in preghiera e in lacrime, piangono e contemplano: si immagina, che ci sia più eleganza che terrore. Ma cosa dica Omero? E si svelò su loro come un'onda che improvvisamente crei l'oscurità sotto nubi nere, enorme e ventosa, tuoni gettanti sulla nave, e le onde di schiuma selvagge, e l'aleggiare terribile del temporale quale improvviso colpo di vento, squarcia le vele, ed il cuore. In preda alla paura, sono visioni per loro degli artigli dell'essere-per-la-morte, in telos con la loro morte terribile. Omero non delimita mai, nello stesso momento non ha mai messo un limite al terrore della scena, ma disegna continuamente una vivenza in pericolo esistenziale, e spesso all'interno d' una destinanza d'essere-per-la-morte in onda successiva e infinita, nel thanatos del sublime in poiesis o parole, in forzata unione, in coercizione dinamica o in contrastanza eristica, genere di coercizione innaturale, pre-posizione di solito non conciliante nè combinatoria, ha snaturano così la sua linea della similitudine e della calamità imminente, dalla comprensione del verso: ha immaginato eccellentemente il disastro e sugellato sull'espressività la forma grandiosa e pressione imminente del pericolo, percezione e apprensione di thanatos o di essere in prossimità della morte o del naufragio neanche dolce. I punti salienti vagliati, li raccolse insieme, mentre inserì nel mezzo, nel meson o l'apeiron nell'archè: nulla di frivolo, o di banale, danneggiando, o meglio decostruendo l'effetto dell'intero, quale frattalità della completezza, presentando fessure o tagli o fenditure o ab-scisse o fessure in edifici poetici grandiosi e co-ordinati, i cui muri sono compattati dalla loro reciproca ortogonalità. Un'eccellenza alleata in contrastanza eristica e in sinestesia oltre all'exstensione o all'amplificazione di molte singolarità e molte spaziature, vuoti, radure o pause in alternanza con espressioni elevate in alterezza, una nell'altra o l'alterità nella singolarità, in una successione non interrotta ed in un ordine ascendente, in salienza pregnante, quale intensificazione di eventi o argomenti in essere quali fenomeni presentati fortemente, in virulenza o in presenza coercitiva o presentemente assenti o assentemente presenti nella sistemazione ordinata di fatti o di passioni o compassioni o angosce: effettivamente, innumerabili o infinite quale apeiron dell'archè, amplificazioni del tremore e del timore, della paura e del terrore, la memoria dei fenomeni e degli eventi che nessuno di quei metodi da solo possa dispiegare e svelare separatamente, è la sublimità, quale forma di completezza in contrastanza eristica, un completo intero, risonanza, dispiegamenti del sublime, la sostanza del sublime generalmente, dove il sublime differisce dalla dissertazione che investe il soggetto con grandiosità, definizione certamente in misura uguale alla sublimità e passione figurata: la sublimità consiste in elevazione, mentre la risonanza abbraccia una moltitudine di dettagli. La sublimità spesso è compresa di conseguenza, in un solo pensiero, la risonanza è associata universalmente con una certa magnitudine e abbondanza. La risonanza , in un modo generale è un'aggregazione di tutte le parti costituenti i temi di un soggetto enorme in una grandezza che si espande. Platone, nel suo orgoglio e grandiosità magnifica è caratterizzato da sublimità accidentata in gran parte profusione, comparato ad un fulmine o bagliore di lampo, secondo lo stile di una conflagrazione molto estesa con fiamme divoratrici, mentre avendo all'interno un ampio e costante fuoco, ora distribuito ora in una successione incessante di grande elevazione acuta dove sono in questione espressione intensa e passione veemente, in passaggi nei quali si è affascinati improvvisamente. Platone conduce al sublime. E cosa, che modo, può essere? È l'imitazione e l'emulazione di grandi poeti e scrittori: molti sono trasportati dallo spirito come se ispirati simili alla sacerdotessa Pythia quando esali vapore divino paradisiaco pregnante e oracolante e sembrano essere posseduti: sono ispirati con ciò e soccombono all'incantesimo della grandezza Omerica, procedimento che non è plagio; è come prendere un'impressione dalle belle forme o figure , un fiore di perfezione sulle dottrine filosofiche della contesa in verità gloria nobile, espressione alta ed elevata, come sarebbe stato elevato il sublime Platone: sublimità immaginata ed immagina Immagini di immagine o immaginazione da entusiasmo e passione, pensa e vede quello che descrive un'immagine il disegno dell'immagine poetica mescolante le passioni e le emozioni. Là le fanciulle insanguinate Ecco là!ecco là! Euripide, Ah! lei mi ucciderà! posso volare dove? Il poeta immagina nella sua mente, riesce, forse ad invadere tutte le regioni dell'immaginazione, il suo genio, in tragiche sublimità è frenesia oltre i limiti del cielo Pleiade immaginario volante in alto. Eschilo svela immagini più eroiche: bagnando nel sangue del toro ciascuna la sua mano, panico. Innamorato di sangue, ha giurato Dionysos stranamente posseduto. Una frenesia entusiasma la sala con le bacchanti in estasi: Il mondo intero condivise estasi immaginarie sublimi e magnifiche transcendenze in volo immaginario splendore abbagliante del sublime in grandezza dell' anima, o immagine: la sublimità con bellezza-sublimità, dissolvenza di splendore che pervade la sublimità, la visione di passione e sublime attraverso la radianza. Una risonanza, un fondo di forza, persuasività, bellezza-asyndeton, intessuto di anafore e diatyposis. Asyndeta improvvise come una raffica di vento o attacco con tormentate Asyndeta In ordine così disordinate, impetuosità accidentata di passione, in moto rapido: passione ed emissione rapida come da un motore di guerra. Hyperbata, o inversioni, veemenza, come da un vento mutevole, ora così ora con cambi rapidi, trasformi le loro espressioni, i loro pensieri, l'ordine suggerito da una naturale sequenza, in variazioni innumerevoli Dionysiache sull'orlo di un rasoio, per la libertà o per la morte, capace di superare il pericolo della situazione, pericolo imminente intimamente indivisibile, grande impressione di veemenza, getta allarmi e comprensione ansiosa per condividere il pericolo: è consapevole, e contribuisce a forme della sublimità e passione. Sofocle: rivelò Sire, fratelli, figli Spose, madri, l'espansione del numero nel plurale aiuta a pluralizzare le sfortune. Per nessun Pelopes, né Cadmi, né Danai, né il resto della folla di stranieri nato indulge con noi, ma la nostra è la terra di greci puri, liberi. Similmente l'interscambio di persone produce un'impressione vivida, e spesso svela immaginazione attraverso la transizione rapida del resoconto distanziando le transizioni rapide del narratore in variazioni di persona per fare presagire il dramma rapido dell'emozione, attraverso passione con più grande forza. Morte La dea afflisse a quelli che avevano saccheggiato il tempio in eisonanza di sublimità. Quando la fine viene, gli elastici dell'anima sono allentati come quelli di una nave, ed è risonanza libera e sublime e nobile, la contemplazione all'interno della mente , ma le immaginazioni oltrepassano i confini spaziali , e si osserva la vita si vedono dappertutto i fuochi celestiali avvolti in oscurità ; né pare sia una più grande meraviglia i crateri le cui eruzioni dalle profondità fiumi di fuoco sotterraneo e puro erompe quale sublime in magnitudine, la cui sublimità li eleva vicino alla maestà del Dio che ci salverà sublime e felice: frazione infinitesima. La sublimità trascendente anche le immagini nella Battaglia: ah Dei in Lontananza il cielo largo e rotondo ed Olimpo echeggia squillante di tuono;Ed Ade, re delle ombre tremò lì sotto, saltò dal suo trono, e pianse ad alta voce nel suo cuore. Affinché Poseidon rivelò ad Immortali e mortali quelle dimore terribili, Quelle magioni orribili fondazioni , il mondo intero sollevò ed increspò e divise a pezzi, e tutte le cose insieme si confusero cielo ed inferno, cose mortali e cose immortali, conflitti e pericoli di quella battaglia! Omero nelle sue leggende di ferite sofferte e delle loro contese, rappresaglie, passioni molteplici, ritrae anche la sfortuna che si increspa, E le sue vette, e la città troiane, e le navi di Achaia, Sotto i piedi immortali di Poseidon che si diverte E per l'estasi il mare disparve, i destrieri volarono: una concezione degna della forza della Divinità, Sia la luce, e luce fu sublime. Nel suo poema la battaglia è velata improvvisamente da nebbia e si confonde con la notte. Zeus, Padre salva i figli di Achaia dall'oscurità, fa giorno chiaro, per vedere! Quindi è in luce, ci distrugga! da allora nell'oscurità si implora il vantaggio di luce immediata. In verità, Omero in queste azioni d' inspirazione del combattimento, Achille è là, C'è Patroclus le cui parole avevano peso come un Dio all'altezza della sua inspirazione. Le sublimità non sono uniformi e libere, non c'è la stessa profusione di passioni accumulate, né il flessibile stile oratorio, pieno di immagini, sembra vedere innanzi il flusso della grandezza, ed una voglia vaga nel favoloso incredibile, come le tempeste nell'Odissea e Circe e dell'eroe naufrago e della storia incredibile di Kalypso: veri sogni di Zeus? Nulla molto improvvisamente vario, può essere la bellezza. È così in tutti i sensi sarà bello, se le linee che compongono la sua superficie non siano continue, addirittura varie, in maniera tale da stancare o dissipare l'attenzione. La variazione stessa deve essere variata continuamente. Achille, nonostante le qualità di bellezza e le molte grandi virtù con le quali ha adornato la mente e il coraggio conquistatore è incompatibile con la bellezza, incompatibile come il più grande quasi infinito: apparirà il sublime quale grande terrore e stupore; eventi e varietà d'immaginazione possibili idee con più alterezza di quella bellezza fatale. Loro piansero, Nessuno si chieda fascini così celestiali, Per nove anni lunghi ha messo il mondo in armi; Che grazie vincenti! che aspetto maestoso! Lei trasporta una dea, e lei guarda una regina. Ecco una parola non disse del particolare della sua bellezza; nulla o alcuna idea precisa della sua persona; nessuno ha detto una sola parola in tutta l'immaginazione o immagina brillanti colori, o immagina la fragranza di una rosa immagina l' origine della sublymanza, nel senso della sublyme-bellezza: il costruire un determinato tempio di Zeus, oppure la svelatezza ab-scissa, ovvero il portare-in-posizione una determinata statua di Apollo, oppure il portare in scena una tragedia: non è soltanto l’alterezza di una sublymanza: disposizione in quanto alterezza è mitopoiesis . Consacrare o mitopoiesis significa “rendere sacro”, nel senso che nell’offerenza del sublyme il sacro viene svelato in quanto ciò che è sacro è il Dio e viene cercato extraendolo dentro la disvelatezza della sua presenza. Alla mitopoiesis: omaggio alla dignità e allo splendore del Dio. Dignità e splendore vengono svelati nella sublyme-bellezza, non accanto o dietro alle quali si sia il Dio, bensì esso si dà alla presenza nella dignità e nello splendore. Ogni disposizione nel senso dell’alterezza mitopoietica è anche sempre ab-scissione eventuata in quanto modalità di collocazione dell’edificio e della statua, in quanto dire e nominare all’interno di un linguaggio. All’inverso una collocazione e una sistemazione non sono già una disposizione nel senso dell’alterezza che pone-in-costruzione; infatti, si presuppone che il sublyme da erigere, da disporre, possieda già in sé il tratto essenziale della disposizione, sia cioè se stesso, in ciò che sia più la risonanza. Ma in che modo si coglie la risonanza autentica, che dispieghi l'ab-scindere e l'eventuarsi dell’essere-sublyme? La sublymanza è in sé una ab-scissa nella quale un mondo viene svelato a forza o in dinamica estatica e, in quanto svelato, gettato in ab-scissa. Ma che cos’è un mondo? Ciò si lascia dire qui esclusivamente nell’allusione: il mondo non è l’insieme delle cose-aderenze sussistenti in quanto risultato di un’enumerazione, eseguita in dettaglio o anche solo pensata, delle medesime. Tuttavia, se non è la somma di ciò che è sussistente, tanto meno il mondo è l’ambito solamente immaginato e mentalmente prefigurato per il sussistente. Il mondo mondifica e svela il nostro esserci in quanto è una scorta all’interno della quale permangono disvelati, l’indugio e la fretta, la lontananza e la prossimità, l’ampiezza e l’angustia di ogni essente. Quella scorta non viene mai incontro come oggetto, ma, indiziando, trattiene estatizzati il fare e lasciare entro una risonanza, dai quali la grazia che chiama con un cenno e la sciagura che abbatte con un colpo, proprie degli Dèi, hanno il loro avvento o il restare-assente è una modalità in cui il mondo mondifica. Quell'indiziante può soccombere al disordine ed essere così un non-mondo: sia mondo o non-mondo, in ogni inoggettualità, più essente di qualsiasi delle cose sussistenti e sussunte, nelle quali, in modo conforme alla quotidianità, crediamo di essere di casa. Il mondo, però, è sempre l'indicibile; mentre sappiamo ciò, non sappiamo cosa sappiamo in-oggetto, nel senso di in-contrastante o contrastanza. Ora, il mondo è ciò che il sublyme es-pone, esso cioè e-rompe e conduce la svelatezza a restare in stabilità, alla dimora mondificante. Extra-ponendo il sublyme essenziale della svelatezza-di-mondo disvela un vuoto essere-capace e forse provoca persino una qualche “impressione”. Mentre il sublyme in risonanza, libera e custodisce e cura un mondo, è in ekstasy quel sovrano rifiuto che allontana il sussistente: l'indicibile che si addensa attorno è quell’isolamento nel quale il sublyme si disvela: in virtù della solitudine, in ekstasy riesce di ergersi-fuori nella svelatezza, e di pro-curarsi la sua dimensione sublyme. Mentre il sublyme conduce il suo mondo alla risonanza, si procura per la prima volta il compito al servizio del quale sta, crea se stesso, lo spazio che domina e determina se stesso, il luogo nel quale giunge in estasy nel sito-alterezza. L'ab-scissa come alterezza estatika consacrante dà fondo nella disposizione come disvelata libertà di un mondo. Quella può sottrarsi nell’inessenziale sublime sottrazione-di-mondo e della disgregazione-di-mondo certamente sussistente, ma non c’è più, è in fuga. Questo essere-via non è però un nulla, bensì la fuga stessa permane nel sublyme sussistente, e allora tale fuga si trova ancora soltanto con l’ab-scissa assentemente presente, all’essere-sublyme appartiene la risonanza dinamica infinita dell'apeiron nell'arkè, giacché l’essere-sublyme non può essere afferrato concettualmente a partire dall’essere-genesi, bensì, al contrario, l’essere-genesi a partire dall’essere-sublyme. Per contrassegnare il tratto essenziale nell’essere-sublyme in risonanza è deposta quale pietra, legno, metallo, colore, suono e lingua. Tutto ciò è l'ilemorfico, condotto entro una morfogenesi. Successivamente, tale scomposizione del sublyme lascia maturare ancora ulteriori distinzioni secondo argomento, contenuto e configurazione. L’utilizzo delle determinazioni di ilemorfia in riferimento al sublyme è possibile sempre e in qualsiasi momento, di esso si occupano tutti con facilità e per questo, da secoli, è divenuto corrente: discendono dall’interpretazione del tutto univoca dell’essente che Platone e Aristotele fecero valere alla fine della filosofia greca. Secondo di essa, tutto l’essente possiede ogni volta un suo proprio aspetto, che si mostra nella sua morfologia. Un essente sta all’interno di tale morfologia in quanto aderente al gegenstand e può essere pro-gettato. L’essente in quanto essente è sempre il sussistente fondato. Quell’interpretazione dell’essere dell’essente non è attinta dalla sperimentazione del sublyme, però la decostruzione è applicabile al sublyme sempre e in ogni momento, in virtù dell’essere quale essere-sublyme. Se si delinei l’essere-sublyme quale alterezza, allora con ciò non può intendersi che sia costituito da una ilemorfia, o non solo e non tanto giacchè il sublyme è risonanza dell'a-ilemorfico o immateriale o transcendenza della purezza dell'ente e del non-ente, quale niente o nulla. Ma che cosa è l'ab-scissa della risonanza-sublyme ? Così come il sublyme si dà nel mondo, si eventua nella sua curvatura ellittica o iperbolica o metabolica o nella varietà chiasmale moebiusiana in relatività monadale delle singalarità virtuali, altrettanto si risprofonda nella pesantezza della pietra, nella durezza e nella lucentezza del metallo, nella compattezza e nella duttilità del legno, nello sfavillio e nella cupezza del colore, nella risonanza del suono e nella forza virtuosa della parola. Tutto ciò non viene in luce per la prima volta nel sublyme, siano gravità, rilucenza, sfavillio, risonanza? O non è invece il gravare del masso e la lucentezza dei metalli, l'estasy in alterezza e la duttilità dell’albero, la luce del giorno e il buio della notte, la fluttuanza delle onde e il bisbigliare tra i rami? Come potremmo nominare o pensare o intuire, quale cognizione della adeguatezza, tutto ciò? La singolarità virtuosa di quest’insuperabile completezza lo chiamiamo sublyme e con ciò non intendiamo il globo planetario, bensì la completezza, la varietà virtuosa di mare e monti, di tempeste ed aria, di giorno e notte, gli alberi e l’erba, l’aquila e il destriero. Quel sublyme che cos’è? Ciò che dispieghi risonanza e completezza e tuttavia sia reversibile nel chiasma moebiusiano topologico, quale eterno ritorno nell'essere in vista dell'essere sublyme all'indietro e trattenente e custodente quale cura autentica ciò che è dispiegato. La pietra grava, mostra pesantezza e proprio così si ritrae in se stessa; il colore si accende e resta tuttavia chiuso; il suono risuona e tuttavia non emerge nella svelatezza in completezza. Ciò che emerge nel disvelato, invece, è esattamente lo schiudersi ed è l’essenza del sublyme. Tutte le cose rifluiscono nella relativa singolarità virtuale: nell'ontogenesi delle monadi virtuali che si schiudano c'è il medesimo incompreso o Non-compreso quale sublyme disvelatezza: qui la sua estasy, là la dà come ciò che nella svelatezza si schiuda. La sublymanza non è costituita dall'alterezza nel senso di una ilemorfia, bensì è l'ontogenesi dell' estaticità instabile, eventua il suo schiudersi come l'a-ilemorfia o la ilemorfica ob-scura o l'invisibile infinitesima pre-ilemorfica . Mentre in tal guisa la sublymità sveli in sé l'alterezza, getta se stessa nell'estasy come nel suo schiudentesi fondamento; un fondamento che, quale schiudentesi sempre e in modo conforme o aderente all’essenza, è un fondo abissale. Entrambi i tratti essenziali nell’essere-sublyme, quali alterezza e apertura e risonanza di mondo e l'alterezza, quale custodia che si schiuda casualmente congiunti nel sublyme e in una referenza conforme e aderente o inerente kategoricamente all’essenza: entrambi sono quello che sono soltanto mentre prendono fondo nell’autentico tratto fondamentale dell’essere-sublyme, la sublyme-bellezza, custodisce e cura si rivolge all'alterezza e non teme alcunché di chiuso, di ascoso anzi svela l'esistenza dell'a-ilemorfico o a-ente, non ente, niente, nulla. Ma nel suo schiudersi, lascia kriptare vuole essere e riprendersi tutto in sé: non può fare a meno del mondo , se deve risplendere nella risonanza dello schiudersi e del trattenersi: si è nella contesa in contrastanza eristika: quella contesa è l’intimità del loro controverso coappartenersi: il sublyme è al contempo l'eristika, poiché il sublyme nel fondamento della sua determinazione è contenzione in contrastanza, è per quello che accende e custodisce la contesa o l'eristika sublyme nella contrastanza. Poiché il tratto fondamentale dell’essere-sublyme è la contenzione in contrastanza: perché la sublymanza, nel fondamento del proprio essere, dev’essere siffatta contenzione in contrastanza eristika? In che cosa prende fondo l’essere-sublyme? Questa è la domanda sull’origine del sublyme: in che modo il sublyme, in quanto contenzione in contrastanza eristyka, è in primo luogo completamente presso Di sè e in secondo luogo è autenticamente in ekstasy sublyme. Come accada la contenzione di quella contesa? L’oscura asprezza e l’attrattiva pesantezza , la sua irrisolta impellenza e il suo risplendere: la dissipantesi durezza del suo schiudersi. Ed è quella di avere limite nel taglio di contorno, nel taglio verticale e nel taglio orizzontale. Mentre schiudentesi deve venire l'autoevento nell’aperto, questo stesso ontoevento deve farsi ritaglio, limite che tratteggi . Qui, nel tratto fondamentale dell’essere-sublyme quale contenzione in contrastanza eristika, risieda il fondamento della necessità e relatività anamorfica o morfologica. Senza svelare ora l’origine della morfologia: che cosa viene infatti conquistato, contendendo, in quella contenzione della contesa in eristika contrastanza? In tanto il sublyme è contenzione in contrastanza, in quanto estatizza, aprendosi in un mondo. Ma quella estatizzazione che spinge dentro, sospinge innanzi il sublyme e gli dà la risonanza in una radura. È l'ontogenesi entro cui l'alterezza è schiusa in modo conforme o aderente o inerente al mondo e il mondo è svelato in modo con-forme-aderente-inerente. La sublymanza fonda l'ontogenesi mentre svela: è la svelatezza della contrastanza in cui le cose e l'esserci giungono a stabilità, onde sostenerlo: la sublyme-bellezza in quanto tempio, trattiene la figura del Dio, al contempo, attraverso l’aperto porticato, lascia stare fuori nella radura che solo così è fondata come sacra. Ergendosi in un mondo il tempio si apre . Attraverso il sublyme, per la prima volta l'alterezza si fa con-forme o inerenza o aderenza al mondo . Allo stesso tempo, nel sublyme parole accadono virtuose nel nominare e il dire attraverso i quali l’essere degli enti viene alla parola per la prima volta e, insieme con il dicibile, viene al mondo l’indicibile: si svela l'autopoiesis, vengono coniati in anticipo i grandi concetti dell’essente . Nella sublyme-bellezza del pro-gettare e della poiesis e della morfologia in senso plastico-figurativo viene conquistato, contendendo, la contrastanza eristika, l'ontogenesi e fondatezza, in cui si fondi l ' abitare storico nell’essente, per aderire l'inerenza kategorica con la contrastanza dell’essere. L’essenza dell’essere-sublyme risiede nella contenzione della contesa, la quale conquisti in sé, contendendo in contrastanza eristika, la svelata intimità del mondo. Con quella determinatezza essenziale dell’essere-sublyme viene in stabilità l'alterezza della contrastanza che renda possibile la virtosità del sublyme. Quella sarebbe presenza di qualcosa di aderente o adeguatezza consapevole, o consapevolezza dell'adeguatezza quale intuità apprensiva dell'essere dell'ente o sapere per sè . Di certo si è lontani dalla doxa e dall'epistemica per cui il sublyme sia l’imitazione di qualcosa di sussistente o semplice adeguatezza, o aderenza inerente, o sapere per sè dell'essere delle entità. Ma con ciò la concezione del sublyme come presenza non è in alcun modo superata, bensì soltanto occultata; infatti, sia che la sublymanza venga nella vivenza come “farsi sensibile dell’invisibile”, sia, al contrario, come farsi simbolo del visibile in un’immagine-sensibile, ogni volta, in simili determinatezze, si insinua la doxa pregiudiziale, secondo cui la presenza fondamentale del sublyme sarebbe la presenza intuibile, apprensivamente, del sapere per sè in adeguatezza con le entità fenomeniche o le intenzionalità dei fenomeni dinamici della purezza. Secondo tali paradigmi senza dubbio autorevolissimi il sublime della bellezza o sublime-bellezza significhi sempre “autenticamente”. Allegoria e simbolo si offriranno quali presenze della bellezza-sublyme, nelle più diverse declinanze, e venga determinata una più elevata formazione plastico-figurativa. All’interno del sensibile quale “elemento dell’arte” vengono alla presenza il non-sensibile e il sovrasensibile. Se l'ilemorfico vale come il sensibile, allora avviene ciò che cade sotto i sensi, che è tale da divenire accessibile attraverso i sensi ma sulla modalità della sua appartenenza all’essere-sublyme non viene detto proprio nulla; infatti il gravare di una pietra, l’opacità di un colore, timbro e fluidità di una costruzione linguistica certamente non vengono sperimentati senza i sensi, giammai attraverso di essi soltanto. Nella sua disvelatezza e completezza, l'alterezza è tanto sensibile quanto non-sensibile o insensibile, o a-sensibile, o anestetica, quale presenza dell'immateriale o a-ilemorfica, o an-ilemorfica o an-ente o non-ente o niente o nulla. L’introduzione del “sensibile” coglie il poco del qualcosa di essenziale dell’essere-sublyme, giacchè lì la consapevolezza dell'adeguatezza, o intuire, entra in crisi, vacilla, è in vertigo per la presenza della profondità infinita della dynamis virtuosa, quale chiasma dell'anilemorfia, o anentità o non entità o abgrund o abisso o nullità o senza la fine, apeiron nell'arkè. Fu così che la distinzione tra sensibile e sovra-sensibile o anestesia o anilemorfia o anentità divenne il paradigma per i molteplici tentativi di interpretazione allegorica e simbolica del sublyme in generale. Già la distinzione di ilemorfica e morfologica diventa decisiva per ogni successiva posizione occidentale nei confronti dell’essente, ossia in Platone, l'ilimorfica, intesa come il sensibile, è stata ritenuta come ciò che è inferiore di fronte all’idea, intesa come ciò che è superiore e non-sensibile, o insensibile o sovrasensibile o anestetica o anilemorfica, nel pensiero cristiano, il sensibile sublyme si prende cura così dell’aderenza o inerenza del sensibile: non presenta nulla, non dà niente, si eventua nella nullità abissale. In alterità o in eterità o in essere alterità o alterezza la contrastanza della contesa tra il sublyme conquista contendendo la svelatezza, ossia la radura alla cui luce l’essente in quanto tale venga incontro si fa incontro trasformato. La sublymanza si presenta nel nulla o nel niente o nell'anentità o nell'anilemorfia perché, al fondo, non c'è mai un già stante ed oggettuale o gegenstand, gettato, naturalmente, che sia sublyme: non presenta mai, o lasci intuire la consapevolezza dell'aderenza o dell'adeguatezza o il sapere per sè bensì disveli o dispieghi o disponga fuori il mondo: è l'estasy, è l'estatica alterezza intuita solo quale intenzionalità fenomenica; entrambe quelle cose perché è contenzione di quella contesa. In forza della virtuosità il sublyme, è semplicemente e soltanto se stesso e niente di più. Ma allora in che modo è autentico sublyme? Che specie di realtà possiede? Ad onta di alcuni mutamenti, predomina ancora, fino ad oggi, quell’interpretazione della realtà del sublyme alla quale Platone, ancora una volta, ha dato l’avvio. In tale contesto, divenne decisiva quell'apriorità preliminare del sublyme. Dà ciò che si è disvelato intenzionalmente e spontaneamente dal sussistere naturale, ciò che è autopoiesis dell’esserci è la dinamica virtuosa che si dà nel fenomeno ontico o ontologico, a maggior ragione se riproduca cose della natura; infatti, quelle sono già copie di quei modelli che Platone chiama “idee”. Ciò è adeguatezza all'essere delle entità, e così anche il sublime, diviene riproducibilità di una copia di un modello o di un paradigma, anzi la sua autentica verità si dà solo quale adeguatezza ed aderenza alla paradigmatica purezza della trascendenza fenomenica, poiché le idee rappresentano l’essente autentico, ciò che le cose sono in verità, e per ciò il sublime è solamente un’eco, una risonanza paradigmatica in fondo autenticamente irreale. Platone tenta di rendere reversibile la realtà del sublyme, di contro alla costituzione sensibile del sublyme, si mette in campo la circostanza per cui essa presenti un contenuto non-sensibile. Grazie alla presenza ideale il sublyme risulta volentieri più spirituale delle cose tangibili di tutti i giorni, stacca l’ombra e tutt’intorno le aleggia “un afflato spirituale”: il sublyme si sottrae alla realtà propria di ciò che è sussistente: è apparenza; il blocco di marmo modellato di una statua ci dà ad intendere che sia un corpo vivente, laddove, al contrario, esso è in verità soltanto una gelida pietra. La sublymanza è un’apparenza perché non è essa stessa quello che presenta, e tuttavia un’apparenza legittima, giacché nella presentazione essa porta pur sempre alla luce l'insensibilmente spirituale. Interpretazioni del sublyme. Ora il sublime non è ancora così reale come le cose sussistenti, ora non è più così reale. Ogni volta, l’essere il sublyme interpreta nell’uno o nell’altro modo sempre l'irreale. E nondimeno è vero il contrario. Il tempio che si erge su un promontorio o in una valle in vertigo, la statua che se ne sta lì nella regione sacra, queste opere sono in mezzo a molto altro: terra e mare, sorgenti e alberi, aquile e serpenti non solo non sono mai e in ogni caso semplicemente sussistenti, ma presidiano il centro nel diradato margine dell’apparire: sono più reali di ciascuna cosa, poiché ciascuno di essi può annunciarsi per la prima volta come essente soltanto nell’aperto, contendendo, in forza virtuosa del sublyme. L'ontogenesi di Hölderlin nella sua poiesis è più reale più di tutti i teatri, i films e le poesiole, più reale degli edifici in cui sono sistemate le librerie e le biblioteche, in cui compaiono, tangibili, i volumi delle sue opere complete. Più reale di tutto ciò è infatti l'autopoiesis, dacché è gettata l'ontogenesi inesplorata del mondo, e trattenute in seno nelle insenature mitiche di Kalypso grandi e sublimi decisioni: è davvero l’essenza più propria dell’essere-sublyme, incommisurabile a ciò che è di volta in volta sussistente e a ciò che solo nella presuntiva è autenticamente reale, è l’essente e l’inessente, è l'essere dell'ente e il nonente, la nonentità, il niente, il nulla: non esistono sublimità delle entità, ma soltanto ekstasy tale da sollevare il proprio tempo all’altezza di sé e da trasformarlo. Più reale di tutto l’essente consueto è il sublyme in ontogenesi dell’esserci dell’esser-ci. Quella solitudine di ogni sublyme è il segno che, nella contenzione della contesa, si getti in alterezza nel suo mondo. Il suo starsene lì è la contenuta discrezione del ritroso restarsene-in-sé. Il che però non significa che il sublyme si eccepisca dalla realtà; ciò è impossibile, giacché è già sospinto innanzi entro tale realtà come il suo sovvertimento e la sua confutazione. Se le manca la forza, la potenza, la dynamis allora non è sublyme: l’origine del sublyme. La contesa quale eristica come tratto fondamentale nell’essere-sublyme ci domanda: perché la contenzione erystika è l’essenza dell’essere-sublyme? Quella domanda sia ora presa in cura. La risposta suona: l’essere-sublyme possiede il tratto fondamentale della contenzione? Dove e in che modo il sublyme è? Esiste il sublyme di per sé, in qualche tempo e da qualche parte? Nondimeno è necessario chiarire che cosa mai il sublyme sia. La parola -sublime- resta sempre e soltanto un vuoto , è semplicemente, soltanto e volta per volta il sublyme? che cosa è il sublyme? non più nel vuoto. Mentre domandiamo: ha fondamento l’essere-sublyme? che cosa è sublyme, al principio e alla fine? Contrastanza, il centro dell’aperto nella cui radura l’essente si mostra: è come la schiudentesi entra nella svelatezza. Il mondo si fa inascoso e si schiude, ma nella disvelanza. E mentre quest’intimità della svelatezza contenzioso tra il nascondentesi e il disascondentesi accade, ciò che fin lì valeva come il reale si rende finalmente svelato come l’inessente. Emerge alla luce del giorno, nella svelatezza, coprimento e distorsione e contraffazione dell’essente. Nella contenzione accade la svelatezza della disvelatezza del contenzioso tra inascoso ed ascoso, il venir fuori di coprimento e accadere in sé è l’accadere di verità. L’essenza della verità, non consiste nella concordanza o aderenza inerente di una proposizione con un fatto, bensì verità è questo accadere fondamentale della svelatezza in risonanza della disvelatezza dell’essente: in verità appartiene l’ascoso e il nascondersi, il mistero, così come il coprimento e la distorsione: la non-verità. Nel sublyme è in ekstasy l’accadere della verità, il che significa che, nel sublyme, la verità è in ekstasy. La sublymanza della verità, questa è l’essenza del sublyme. Verità non vuol dire qui una qualsiasi verità, un singolo che di vero, qualcosa come un pensiero e una proposizione, un’idea o un valore,che all’incirca vengano “presentati” o inerenti nell'aderenza ilemorfica , bensì vuol dire l’essenza del vero, la svelatezza: prima indicazione dell’essenza del sublyme a partire dall’essere-sublyme. Nel sublyme, la verità accade come divenire-disvelanza dell’essente: in che modo il sublyme sia l’origine del sublyme. La sublymanza è la verità in ekstasy da una parte sussiste il sublime e dall’altra la verità. E questa viene trapiantata in quella per mezzo del sublyme. Non è in alcun modo così: infatti il sublyme non sussiste prima della verità, né questa prima del sublyme, bensì: mentre si dà il sublyme, la verità accade si dà e si eventua nella disvelanza: perché, affinché la verità accada, essa deve venire in ekstasy sublyme? Se la verità viene in ekstasy per la prima volta con il sublyme e nel sublyme, e non è dapprima sussistente da qualche parte, allora deve divenire. Donde viene l’originalità e la singolarità della disvelatezza dell’essente? Forse, dal nulla? In effetti è proprio così, se con il non-essente si intende quel sussistente che, in forza del sublyme, viene per così dire sovvertito e confutato come l’essente. La verità non viene mai desunta da questo qualcosa di già sussistente: la svelatezza dell’essente accade mentre viene progettata, in contrastanza eristika. Tutto il sublyme, nell’essenza, è ontopoiesis, quale disvelatezza della completezza: è altro dal consueto. In forza del progetto autopoietico, il consueto e quel che è durato fin qui si fanno inessenti. L'autopoiesis non è escogitare qualcosa a piacimento, non è un librarsi nell’irreale. Ciò che l'autopoietica in quanto progetto, tenendo separato, sveli e progetti in anticipo, disveli, lascia fare per la prima volta all’essente il suo ingresso e lo esporti ad illuminazione. La verità in quanto disvelatezza accade nel progetto, nell'autopoiesis. In quanto estasy sublyme della verità, il sublyme è, in modo conforme inerente o aderente all’essenza: non è puro arbitrio ricondurre l'architettonica, la plastico-figurativa e la musicale all'autopoietica, alla poesia? Sarebbe così se le volessimo interpretare a partire dalla parola e come specie di questa: la parola, la “poesia”, è di per sé tuttavia soltanto una modalità del progettare, dell'ontopoiesis. La determinazione essenziale del sublime in quanto autopoiesis: il sublyme è l'ontopoiesis, la determinatezza del sublyme come espressione possiede una sua correttezza. L’opinione per cui il sublyme sarebbe espressione è inoppugnabile . Certamente, l’Acropoli è espressione . Altrettanto certamente, il sublyme è una particolare espressione. Ma il sublyme non è certo sublyme perché è espressione, bensì è espressione perché è sublyme, non soltanto la caratterizzi in termini di espressione e non contribuisca in nulla alla determinatezza dell’essere-sublyme, ma inibisce ogni domanda genuina su questo essere. La caratterizzazione del sublyme come espressione, è corretta e inconsistente, non è valida neppure per il linguaggio. Il linguaggio è certamente al servizio dell’intesa, della discussione e dell’accordo. Ma non è soltanto, un’espressione fonetica, oppure scritta, di ciò che dev’essere comunicato, per l’appunto il vero e il non-vero. Laddove nessun linguaggio, come in pietra, pianta e animale, lì non c'è alcuna svelatezza dell’essente, e in tal senso neanche una disvelatezza del non-essente e dell’inessente e del vuoto. Mentre il linguaggio nomina le cose per la prima volta, il nominare conduce per la prima volta l’essente alla parola e all’apparire. Il nominare o dire è un progettare, è indetto in quanto l’essente è indire progettante è al contempo disdetta di ogni opaco disordine. Il dire progettante è autopoiesis, e con ciò la prossimità e la lontananza degli Dèi. La lingua originaria è dizione in quanto ontopoiesis originaria , c'è l'ontogenesi del sorgente mondo: la poesia, resta la configurazione fondamentale del sublyme, ma questo perché nel dire ontopoietico per l’esserci viene in generale progettato e disvelato l’essente in quanto essente e si perviene al dispiegamento e alla custodia o alla cura. Progettare, costruire e dare forma in senso plastico-figurativo accadono sempre nel già svelato della dizione e del dire, per ciò non sono mai, linguaggio, bensì autopoiesis ogni volta originale nella singolarità: la determinatezza dell’essenza dell'ontopoiesis in quanto progettare non esaurisce la sua essenza. Senza lo sguardo o l'essere-in-vista-dell'essere nell’essenza pura dell'autopoiesis, non si apprende ancora il divenire della verità. Soprattutto, non si afferra concettualmente in quale senso la sublymità sia necessaria per il divenire della verità. L’essenza piena dell'ontopoiesis viene in luce nella risonanza: ontopoiesis – l’essenza del sublyme – è la risonanza ab-scissa dell’essere. Non produzione dell’essente. Ma che cosa significa essere, a differenza dall’essente? Quell'essente qui, l’organo, lo cogliamo nella sua differenza . L’organo è. Ma l' essere lo si percepisce a fatica, sebbene si sia altrettanto certi che l’organo è e non è, così come si sappia che è un organo, nonostante tutto il grande buon senso e la sua prossimità alla vita, cos’è più prossimo dell’essere? Cosa sarebbe l’organo e ciò che è consueto, senza l’essere? Si percepisce l’essere e il suo concetto se si intuisse quella svelatezza, che appare nel progetto autopoietico. L’essere è quel che cosa e l’essente, è disascoso o svelato ed ascoso. L’essente è di per sé soltanto in forza essenzialmente per l’essere-sublime: l’essere in libertà: essere un fondamento, la fondatezza, l'evento della singolarità iniziante che si dà o si eventua quale dinamica ontokronotopia. Con- fondazione, inizio ontogenesi ascoltati distintamente e compresi nella singolarità in transcendenza sublyme in autopoiesis della risonanza dell’essere, il progettare la svelatezza come l’alterezza dal consueto. Il progetto rilascia liberamente qualcosa che non soltanto non compare mai a partire dal sussistente e dal consueto, ma nemmeno può mai essere compreso dal sussistente. Il progetto è alterezza ab-scissa in quanto gettatezza della fondatezza. Cosa significa alterezza nell'ontogenesi di fondazione e inizio, e in che modo quel che con ciò è nominato coappartiene al progetto in modo conforme o aderente in inerenza all’essenza? La verità in quanto svelatezza è sempre disvelatezza della contrastanza, eristika in cui tutto l’essente e l’inessente è nella stabilità strutturale e a partire da cui si kripta o dekripta in quanto schiudentesi. In tal modo, la contrastanza resta sempre gettata in quell’oscuro abisso: la contrastanza, in che modo è? Entrambe le modalità dell’essere sono possibili soltanto se l’esserci-sublyme si getti nella contrastanza, ovvero si dà nel meson dell’essente in quanto essente e inessente, ovvero per l’esserci. Mentre l’essere-sublyme è la contrastanza eristika, diviene la risonanza sublyme. Nel progetto autopoietico, altrimenti dal consueto, la svelatezza si getta sempre svelata nella contrastanza, sempre progettata in anticipo ciò significa che il progetto ontopoietico viene aggettato dall’esser-ci-sublyme: la contrastanza eristica nella sua svelatezza dall’estatizzazione in ciò che è dato-in-attività e dalla custodia di ciò che è dato-in-risonanza: la sublyme-bellezza: la contrastanza c' è soltanto se il sublyme saprà essere sublyme. Il sublyme è già sempre gettato nella sua contrastanza eristica. Hölderlin è colui che autopoietizza il sublyme. Ma questo aggetto è sublyme, in modo conforme aderente e inerente all’essenza, è ontopoiesis. Se però il progetto è autopoiesis, allora l’aggetto non sarà qualcosa di preteso, ma la svelatezza dell’esserci sublyme, già gettato. Ciò in cui il sublyme è gettato è l'estasy, lo schiudentesi fondamento su cui il gettato, viene a riposare. Il progetto che conformemente aderisca all'inerenza dell’essenza è aggetto progetta soltanto se dall’ascoso fondamento trae fuori una svelatezza, se ciò che è dato-in-dinamica è dato-in-risonanza nel fondamento in quanto destinanza ascosa e da disascondere. Nel progetto, fa ingresso nella disvelanza, al fondo, non è un che di estraneo, bensì soltanto il più proprio, fin qui ascoso, dell’esserci sublyme. Il progetto viene dal nulla, non discende dal fin qui vigente;non viene dal nulla, perché , in aggettanza, trae fuori l’ascosa e trattenuta destinanza, la getta nella fondatezza e la fonda in senso autentico, quale progettare la risonanza è al contempo, essenzialmente il fondare. La svelatezza può diventare svelatezza della verità, in tal senso può accadere, soltanto se il progetto è un progetto fondante. Ma fondante lo è mentre si dà schiudentesi nell’aperto e precisamente in quanto la schiudentesi, nella sua controversia col mondo progettato. Poiché il sublyme in quanto autopoiesis è risonanza, progettante fondare, autoevento della risonanza nell'alterezza e nella svelatezza, cioè la verità, in tale modalità che venga a contendere il contenzioso . La verità accade soltanto in quanto svelatezza , viene in ekstasy soltanto nel sublyme. L’essenza del sublyme come risonanza dell’essere è il fondamento del sublyme. L’essere del sublyme non consiste nel fatto che è sussistente come essente, ma che si attiva in quanto contenzione della disvelanza dell’essere sublyme. Perciò il sublyme possiede senz’altro quell' eminente alterezza, è stabile in sé e si riprende da tutto il sussistente. L’essenza del sublyme è sublyme perché il sublyme deve essere, la sua essenza nel dire la verità a del pensiero nel concetto, nel portarla nell’impresa essenziale, nel sublyme. La sublymanza è l'ontogenesi della verità, è un’essenza, il sublyme è la verità, è il fondamento del sublime: ma il sublyme c'è? Esiste il sublyme di per sé? che cosa è il sublyme? Nel sublyme è in ekstasy l’accadere della verità, nel sublyme, la verità è in ekstasy. La sublymanza della verità, questa è l’essenza del sublyme. La sublymanza è la verità in ekstasy: il sublime è la verità. Donde viene ? Forse, dal nulla? è proprio così quest’oscuro abisso inizia l'evento del sublyme. L’inizio del sublyme è sempre la libertà, quale estasy dell'esserci. L’essenza del sublyme in quanto ekstasy che si eventui in verità è l’origine sublyme di Hölderlin: l’essere-sublime eventua l’aletheia ontologica quale sublymanza dell’essere nel sublyme. C’è l’interessere tra le tre varietà di verità e c’è l’interesserci epistemico nel senso che tutte le varietà-verità si danno, si offrono alla mondità quale comprensione del mondo, mentre l'esserci comprende l'essere in transcendenza estatica immaginaria, o in transcendenza ontica o fenomenica o analitica dell’essere delle entità quale prova ontologica o ontoteologica o ontoteleologica o met-ontologica dell’esistenza dell’essere-sublyme o quale transcendenza epistemica dell’esser-epistemè-del-sublyme o dell’essere epistemica ontologica del sublyme. Anzi solo la verità ekstatika del sublyme discopre sia l’ermeneutica sia l’epistemica ontologica dell’essere sublyme dell’esseRe, mentre la metafisica della verità o l'analitica o la fenomenologia o l'ontica della verità si adegui al paradigma trascendente della metafisica analitica fenomenica. Qualora si desideri comprendere anche l’essere sublyme delle entità mondane è consentito anche privarsi dell’ontologia per affidarsi alla classica ermeneutica epistemica o alla transcendenza epistemica o alla trascendenza analitica o alla trascendenza fenomenica per discoprire solo le verità delle entità della mondanità o le verità metafisiche o le verità trascendenti analitiche fenomeniche: l’ontologia fondamentale del sublyme, la domanda sull’essere-sublyme dalla quale il pensiero europeo sorge, viene invece declinata come analitica esistenziale del sublime, come descrizione accurata del sublime, rigorosa, ontologica della dimensione ontica del sublime in cui il fare e l’essere-sublyme quotidiano degli esseri si svolge quale transcendenza del sublime o transcendenza ontologica immaginaria del sublyme. Esserci nel sublyme, quale dasein nel sublyme, “esistere ” nel sublime, o abitare poeticamente il mondo-tempo nel modo sublyme, è declinato da Heidegger in transcendenza exstatica del sublyme, dopo essere sempre stato solo analizzato in trascendenza dinamica o trascendenza analitica fenomenica kantiana. Il modo di quella trascendenza fenomenica e analitica dell'in-vista-della-pro-spettiva è lo sguardo della trascendenza analitica e fenomenologia husserl- kantiana. Intesa non in quanto corrente o scuola di pensiero ma in senso metodologico, il come del darsi della vivenza al pensiero visivo, immaginario e teoretico che la guarda, o è in-vista-della-prospettiva della transcendenza exstatica immaginaria ontologica quale pensiero poetante del sublime che deve osare inoltrarsi nella più originaria problematizzazione della gegenstand, quale contrastanza o nell'essere dell'ente sublime in transcendenza spazio-temporale. L’ontologia del sublime è quindi possibile solo o ancora come trascendenza fenomenologia del sublime giacchè la filosofia del sublime è ontologia fenomenologica del sublime o della trascendenza della purezza o dell'essere-in-vista-di-prospettive transcendenti del sublime: la trascendenza temporale si è originata dalla trascendenza ermeneutica del sublime dell’esserci, ma in-vista-di-prospettiva ontologica si presentò come trascendenza analitica e fenomenica del sublime dell’esistenza. Ciò che è onticamente più sublime, talmente sublime da essere il sublyme, è ontologicamente il più sublime, anche perché non sembra aver bisogno di essere pensato, talmente è aderente inerente alla vivenza dell'esserci e disvelato è la transcendenza del sublyme quale estasy dinamica della mondità o dell'ontologia del mondo-esserci-mondo-in-libertà. Heidegger ha svelato e disobliato il darsi e il farsi sublime che da un punto di vista esistenziale-ontologico celi o kripti in sè e per sè enigmi su enigmi. Se l'essenza ontologica dell'essere e dell'esserci preceda e trascenda quale priorità-in-trascendenza ogni distinzione tra anima e corpo, se «das “Wesen” des Daseins liegt in seiner Existenz», “l’‘essenza’ dell’Esserci sta nella sua esistenza”, l’analitica esistenziale o l'analitica dell'esserci o la dasein-analytik precede logicamente, fenomenologicamente, analiticamente, onticamente, epistemicamente e sopratutto ontologicamente ogni scienza, o epistemica e ogni sapere fenomenologico o ontico che si voglia, o ogni trascendenza fenomenica o trascendenza ontica. Fra le strutture ontologiche o gestell-sublyme dell'esserci sublyme nel mondo–sublime-gli “esistenziali”–sublimi ci sono l’in-essere-sublyme, il con-essere-sublyme, l’essere-per-il-sublyme. Esserci-sublyme e mondità-sublime non si trovano in prossimità l’uno accanto all’altra ma l’esserci-sublyme è la mondità dell’essere-sublyme, perché «das Alleinsein ist ein defizienter Modus des Mitseins», “l’esser soli è un modo deficitario del con-essere”. La sublymità è un evento costituente dell' essere-alla-fine-senza-fine del sublyme che disveli l’alterezza sempre incompiuta indicibile ed inaudita quale futuro-anteriore della transcendenza exstatica dell'evento o transcendenza-che-si-eventui quale esserci sempre in vista dell'evento sublyme, mai solo del fenomemo sublime dell'evento. Lì il chiasma qualità-quantità si dà quale infinità o non-finito o senza-la-fine o senza telos o negazione kategorica qualitativa del finito aderente o gegenstand, giacchè anche alla fine c'è sempre un oltre o un essere-in-vista-dell'evento della transcendenza sublyme, o in transcendenza abissale sublyme: ma una ontologia della transcendenza è ancora kriptata e non ancora gettata in vista per la trascendenza fenomenica o trascendenza analitica. Se il fenomeno primigenio della temporalità originaria e autentica è l’avvenire, l’esserci-sublyme è possibilità sempre in transcendenza della singolorità o in vista dell'evento sublyme tanto che il sublyme sia la possibilità della trascendenza nella purezza o semplice possibilità d’esserci della transcendenza sublyme, una possibilità sempre sublime d' essere sempre in vista della transcendenza abissale e senza fine, o senza la fine e sempre nell'indeterminatezza o della transcendenza indeterminata. L’esserci-sublyme non ha una fine, bensì esiste in modo finito, è finito nell'infinito è infinito nel finito: è infinito nella monade infinitesima estasy della mondità è estasy dell'esserci, è transcendenza infinita nel finito o nell'apriorità o nell'arkè o nella transcendenza paradigmatica; ed è per quell'essere-in-vista-della-transcendenza che la Cura è la cura sublime dell' essere-sublyme-transcendenza-sublyme della singolarità in transcendenza. La Cura è il tempo sublime estatico nella sua sublymità esistenziale e fenomenologica e quindi ontica e ontologica; la Cura è la tensione sublime all’essere che sempre c'è senza-fine; la Cura è la temporalità sublime ekstatica come avvenire-essente stato-presentante la temporalità e si rivela come il senso dell’autentica cura quale estatico esserci-sempre-in-vista-della-transcendenza sublyme. L’esserci-sublyme come Cura si declina nelle forme del sublime, del com-prendere, del parlare, del poetare e il modo d’essere-sublyme della dis-chiusura è caratterizzato dalla curiosità fenomenica del sublime, moto dell'essere-senza-fine o essere-sempre-in-vista-della-transcendenza sublyme, essenziali caratteri della tentazione sublime. Il modo in cui si danno anzitutto e per lo più è la Singolarità densamente infinita o pregnante di infinità che svela la differenza tra spazio-tempo intramonade e spaziotempo extramonade, quale esserci-sublime nella mondità di un senza-fine . Heidegger è in risonanza con l'estasy: la singolarità è un esistenziale e appartiene come fenomeno ontologico alla costituzione positiva dell’esserci sublyme. Autenticità e inautenticità del Dasein-sublyme vanno intese in senso fenomenologico e ontologico come modi diversi di abitare poeticamente il mondo sublime. Emblematica, in questa direzione, è la differenza nell'ontologia del sublyme tra paura (Furcht) e angoscia (Angst) quale transcendenza della singolarità sublyme. Mentre la paura nasce sempre da qualcosa di specifico, l’angoscia scaturisce dall' essere nella vivenza sublime, la paura assale quando si è di fronte ad un ente intramondano sia pure sublime. L’angoscia si leva dall’essere-nel-mondo o dell'essere-nell'abisso-abgrund-senza-fondo-senza-fine sublime. La sublimità dell’angoscia è l’essere-sublime la transcendenza della singolarità nel mondo-sublime: quale essere sempre in apprensione dell'in-vista-della-transcendenza-sublyme: lì c'è la transcendenza dell'angoscia quale essere-sempre-in-vista-dell'evento del niente, del non-ente, del nulla. La Gettatezza–sublyme dell'essere-sublyme, quale transcendenza della gettanza sublyme mostra in estasy la gnostica-Heideggeriana, esplicitata quale scadimento dell’esserci non può perciò neppure essere concepita come “caduta” da un più puro e superiore “stato originario” del quale non avremmo né esperienza ontica, né comprensione ontologica «Das Dasein ist als solches schuldig», anche se velato – dell’esser nel mondo quale essere in vista della transcendenza del sublime, quale fondamento di un «ursprünglichen Schuldigseins», di un essere-sublyme originario in transcendenza della sublime singolarità. La caduta, la gettanza o pro-gettanza sublime disvela l'essenza della trascendenza temporale dell’esserci-sublime. Il senso dell’esserci come essere nel mondo è la temporalità del sublime quale ekstasy dell'ontocronia o trascendenza temporale, il suo costante esistere come apertura mai chiusa e mai compiuta, la sua infinità, suo essere-senza-la-fine fondata sull'abgrund, sul senza fondamento quale esserci-sublime che non ha tempo ma è temporalità della vivenza-sublime, vissuta, aperta, in contrastanza nella transcendenza spazio-temporale immaginaria. Non è che l’esserci riempia con le fasi delle sue realtà effettuali istantanee una stringa elastica o dinamica o un segmento sussunto, ma estenda se stesso, sì che il suo esser proprio è fin dall'arkè costituito come estensione o transcendenza exstatica dell'evento sublyme. Nell’essere dell’esserci sta già il “tra” riferito a nascita e morte. L’esserci ontico o fenomenico esiste per nascita, e per nascita muore anche proprio nel senso dell’essere-alla morte. Entrambi i “capi” e il loro “tra” sono, finché l’esserci fattiziamente esiste, ed essi sono in quel modo possibile dell'essere in vista della transcendenza dell’essere dell’esserci, quale cura della gettanza degli eventi della transcendenza sublyme. Nascita e morte si “con-nettono”, nel modo che è proprio dell’esserci, nella singolarità in transcendenza di gettanza e sfuggenza o precorrente essere-alla-morte, quale transcendenza della singolarità sublyme. In quanto cura, l’esserci è il “tra”sublime è la transcendenza sublyme. L’eco agostiniana la risonanza , la distensio temporale che l’esserci è da sempre e senza-fine, per sempre e nel tra, nella transcendenza temporale exstatica è il coincidere della struttura ontologica o gestell-sublime con la dinamica-sublime e matematica-sublime del tempo, ontologia sublime del Dasein-sublyme e estasy-sublyme, o transcendenza dinamica del sublime, sia pure quale risonanza Husserl-Agostiniana sempre in vista della transcendenza fenomenica dinamica per la transcendenza epistemica o ogni com-prensione del sublime-temporale-in-estasy o ontocronia-sublime: Il tempo-sublyme non è né oggettivo né soggettivo, né naturale né della physis ma dell'esserci sublime quale ontocronia-in-estasy:enigma sublime del tempo-sublyme sempre senza-fine, quale transcendenza enigmatica della ontocronia sublime . Un enigma che si chiarisce com-prendendo che il tempo, o lo spazio o lo spaziotempo, o la transcendenza ontokronotopica non siano una cosa o una entità, ma un accadere di processi nel mondo, una transcendenza spazio-temporale, un eventuarsi dell'ontocronia dell'estasy sublyme, i quali acquistano il loro significato solo nell’esserci-sublyme proteso alla cura, destinato a finire senza la fine e sapiente di tale finitezza poiché “si dà” verità, c'è transcendenza dell'aletheia solo nella misura o dismisura e fintanto ché vi è dell’esserci . L’essere nel mondo da parte dell’esserci consiste nel suo abitare poeticamente il sublime, o essere-in-vista-della-transcendenza sublyme: ha la sua fondatezza nell’ontologia dell’esserci , o meglio la sua transcendenza fondante si eventua nella transcendenza dell'esserci, nella struttura ontologica della transcendenza sublyme, nel costituire una struttura ontologica sublime che è una donazione di senso al mondo sublime, senza-fine, senza fondale, abissale «ist kein Ding, keine Substanz, kein Gegestand», non è una cosa, una sostanza o un oggetto ma è data come attuatrice di atti intenzionali nel plesso della transcendenza della singolarità di senso: ogni ente dal modo d’essere difforme dall’esserci va concepito come insensato, per essenza destituito di qualunque senso o c'è solo la transcendenza del senso . La non cosalità dell’esserci-sublime, sia quale matematica infinita sublime, sia quale dinamica estatika sublime è la fondatezza della trascendenza della singolarità anche del suo essere-sublime-spaziale, quasi la kantiana dasein dell'essere-nello-spazio: l’esserci stesso, nel suo essere-nel-mondo, è “spaziale” o dasein-spaziale-sublyme-in-estasy: l’esserci occupa, letteralmente, lo spazio. Non è affatto soltanto sussunto nella porzione spaziale riempita dal suo corpo . La spazialità dell’esserci-sublyme non consiste in un semplice occupare luoghi, ma nell’apertura di senso che si inoltra nella radura sublime illuminandola. Ecco perché l’esserci-sublyme è nel contempo sublime spaziale in senso originario e la dimostrazione che questa spazialità è esistenzialmente possibile solo grazie alla temporalità non può prefiggersi di dedurre lo spazio dal tempo, o di risolverlo in puro tempo. Lì si disvelò la trascendenza quasi ontologica in Kant: un'ontologia, ovvero di una teoria dell'ente o essere dell'ente che dispiegasse la filosofia trascendentale verso la problematica della singolarità in trascendenza dell'ente, della teleologia, dell'esperienza estetica, dell'intersoggettività, la destinanza della trascendenza è al contempo una nuova comprensione epistemica della natura. Il Giudizio o logos quale metafisica della verità è una ragione che si trasforma, individuando la presenza di un carattere "significativo" nell'esperienza della bellezza trascendente o della purezza aderente in natura, ma comprendendola come un'esperienza diversa e non subordinata a quella concettuale, che prima era il paradigma d'ogni significatività quale apriorità epistemica. E' una ragione che scopre un principio d'orientamento dello stesso operare concettuale, che dispiega l'ontogenesi di concetti, ma rinuncia a farne una legge epistemica . E' una ragione della purezza della trascendenza che si trasforma in un accordo possibile su esperienze non concettuali, per cercare di trovare il principio di una idea filosofica trascendentale come tentativo di dar forma ad un'ontologia: quale nuova teoria kantiana dell'esistenza o dasein-analytik, che intenda presentare una formula kantiana del problema ontologico dell'esserci, esigenza che si disveli dalla critica epocale dell'ontoteologia svolta da Kant, quanto dal nuovo senso di esistenza o dasein-analytik-ermeneutica kantiana : concetti e termini come quelli di posizione, determinazione completa, riflessione, forma, simbolo, esistenza, ovvero la problematica di una ontologia trascendentale delle categorie o lo stesso statuto ontologico dell'ente fenomenico: la deduzione è una ontologia della trascendenza in senso non soggettivistico. L'intreccio tra soggetto della purezza e della trascendenza ontologica kantiana mostra la possibilità d'identificazione di un ente della singolarità in trascendenza e d'esistenza, quale dasein-analytik e comporta la possibilità di far valere l'intero complesso delle forme: l'Analitica viene a delineare una ontologia delle condizioni di senso dell'uso delle forme ontologiche: la costituzione categoriale dell'oggetto in generale prende la forma dell'ontologia della trascendenza del fenomeno. Il Giudizio o metafisica della verità riflettente, Reflexion, la teoria o logos della riflessione trascendentale , concetti della riflessione: problematica del gegenstand o dell'oggettualità empirica costringono all'accentuare i presupposti ontologici impliciti nella funzione del giudicare trascendentale delle categorie: fenomeni che consentano ogni esistenza della singolarità in trascendenza, che è centrale per l'ontologia della trascendenza, ma che lo sarà ancora di più nel contesto della Critica del Giudizio o della critica della metafisica della verità. La teoria dell'ideale quale spazio di indeterminatezza della fondazione categoriale-non-categoriale tra i fenomeni della singolarità in trascendenza, problematica della indeterminatezza che configura ormai un'ontologia della trascendenza distinta da quella dell'oggetto in generale, che può essere definita un'ontologia del "mondo", in trascendenza fenomenica, nel senso di una teoria dell'orizzonte o di una ontologia della trascendenza della mondità, quale fondale o hyntergrund o abgrund abissale. L'unica forma in cui il principio di finalità si manifesta in forma pura, è l'estetica. Giudizio o metafisica della verità ed estetica e nesso tra Giudizio o logos e sentimento del piacere non è più quello della natura intenzionale del Giudizio, contrapposta a quella dell'intelletto. La logica del giudizio estetico o metafisica della verità estetica prevede piuttosto un atteggiamento inintenzionale del Giudizio, che ha luogo in un riferimento non-predicativo all'ente della singolarità in trascendenza, prima di ogni sua comparazione: giudizio che si compie per mezzo della percezione in accordo tra immaginazione della trascendenza e trascendenza epistemica o intelletto quale senso di una percezione nel piacere estetico, paradossi che qui possono crearsi con la distinzione tra esperienza estetica e coscienza estetica: il momento estetico si intreccia e rischia di confondersi con quello conoscitivo: il problema del senso cognitivo dell'esperienza estetica o della condizione estetica della conoscenza quale a priori o principio estetico, apriori-epistemico sussunto nell'apriori-estetico. Analitica della bellezza ma sopratutto l'analitica del sublime svela un'immagine estetica-ontologica della dimensione profonda dell'ontologia della libertà: una nuova prospettiva capace di estendere l'ontologia del fenomeno nell'estetica è una dimensione del fenomeno che può rivelarsi solo al di fuori dell'epistemico conoscitivo, quale singolarità in trascendenza dell'ente: estensione quantitativa e qualitativa si coniuga con la bella forma: esistenza e aderenza nel gegenstand ontologico del Giudizio della ontologia problematica del soprasensibile. L'esperienza estetica indica il paradigma di un evento della tanscendenza o ereignis: orizzonte che non è né natura né libertà e che si presenta come un fondamento indeterminato, che non può essere esplicitato, ma a cui è necessario fare riferimento: è la transcendenza-sublyme ontologica della libertà. Fenomenologia, Empirismo tradizionale ed Razionalismo sono inadeguati per descrivere la trascendenza-sublime fenomenica ontologica della percezione. L'empirismo crede che l'esperienza sia la fonte primaria di conoscenza, e quella conoscenza è dedotta da percezioni sensorie. Il razionalismo pensa che la ragione sia la fonte primaria di conoscenza, e che quella conoscenza non dipenda da percezioni sensorie. Ma l'Empirismo tradizionale non spiega come la natura di coscienza determini le percezioni, il Razionalismo non spiega la natura delle percezioni determinanti la coscienza: un giudizio può essere definito come una percezione di una relazione tra alcuni oggetti di percezione. Un giudizio può essere un'interpretazione logica di segnali presentata da percezioni sensorie. Ma il giudizio non è una pura attività logica, né una pura attività sensoria. I Giudizi universali possono trascendere ragioni ed esperimenti. La percezione non è pura sensazione, né è pura interpretazione. L'esperienza può essere riflessiva o ariflettente. L'esperienza ariflettente può essere conosciuta da una riflessione sussunta. La riflessione può essere consapevole come se fosse un'esperienza. La riflessione può essere anche un modo per capire e strutturare esperimenti. La riflessione ha un orizzonte interno nella coscienza ed un orizzonte esterno nella mondità: riflettono l'un l'altro tempo e spazio, influenza l'uno e l'altro. La spatialità del corpo animato dell'esserci nell'analytik-dasein, o l'immagine del corpo animato quale singolarità in trascendenza è influente nella intenzionalità del corpo animato, quale trascendenza della spazialità: è l'origine della dinamica della trascendenza ontologica influente sulla sublimità spaziale. Pensieri che non possono essere espressi sono temporaneamente inconsci. Pensieri che possono essere espressi possono divenire consapevoli o divenire consapevoli prima che siano espressi. Ogni sensazione appartiene ad un campo sensorio. Il concetto di un campo sensorio implica che tutti i sensi siamo trascendenze spaziali, e che tutti gli oggetti sensori trascendenze dello spazio. Ogni oggetto percepito appartiene ad un campo di altri oggetti che non sono percepiti. Ogni sensazione percepita appartiene ad un campo di altre sensazioni che non sono percepite simultaneamente dal soggetto. Lo spazio può essere definito come una forma dell'esperienza esterna, piuttosto che come una ilemorfia fisica ove siano sistemati oggetti esterni. Le relazioni tra oggetti nello spazio sono rivelate dall'esperienza del soggetto che percepisce. Un campo di percezione estetica è un campo dove le percezioni sono presenti nella trascendenza temporale e spaziale. Le percezioni possono essere trascendenze fenomeniche come un fenomeno ontico, o ontologico della singolarità in trascendenza quale trascendenza della libertà ontologica. La libertà è l'essere-in-un-mondo per essere la trascendenza della libertà. Se l’esserci-sublyme è spazio-tempo-sublime o ontocronia sublyme in estasy lo è perché è una sublymanza spazio-temporale: come senso dell’essere di quell’ente che chiamiamo esserci, viene indicata la temporalità o spazialità sublyme. Sublime la messa in chiaro della contrastanza d’essere dell’esserci: nel sublime c'è l'apprensività, l'intuizione e la comprensione dell'intenzionalità della kurvatura dello spazio-tempo cosmico e kaosmico, cronologico irreversibile e kairologico reversibile nel mikro e nel macro infinito ed infinitesimo. Forse chi per primo eventuò la differenza tra spazio tempo intramonade in supersimmetria con lo spazio tempo della mondità disvelò il sublime leibniziano o meglio, la domanda leibniziana risuona: perchè esiste il sublime piuttosto che il nulla, perchè c'è la bellezza piuttosto che il niente, perchè si dà il sublime piuttosto che la bellezza, perchè c'è l'evento del sublime, perchè c'è l'estasy sublime, perchè c'è la fenomenica sublime o la noumenica sublime o la metafisica del sublime o l'analitica del sublime o l'ermeneutica del sublime o la mitologia del sublime o l'ontoteologia o l'ontica del sublime? Quando si svelino quelle domande si è di fronte all'ontologos leibniziano del sublime immaginario. Leibniz scrisse un frammento sull'apocatastasi o reintegrazione finale di tutte le cose, Apokatastasis, nella storia ci sono dei salti, dei varchi, dei momenti di sospensione, ed è lí che si nasconde Dio, pronto ad agire secondo un suo disegno lungimirante. Ciò che sembra un continuum in realtà è un discretum: l'apparente ripetizione dell'identico non impedisce lo sviluppo di piccolissime virtualità nascoste: lì si kripta il sublime infinitesimo e si svela in una spirale che ascenda verso l'apocatastasy arcana e sublime o mente di Dio o essere sublime apocatastasy nella mente di Dio, quale supersimmetria tra la monade divina e la monade mondità nella monade infinitesima del dasein-analytik quale discrepanza e asimmetria o contemplatezza riflettente. Ma c'è anche il nulla ed il nulla è il nulla nell'intramonade divina o della mondità o dell'esserci, quale infinitamente niente o nulla abissalità sublime dell'essere che c'è, si eventua, si dà quale nulla sublime o essere sublime che si gettano nel fondamento, nel fondo dell'essere quasi ci fosse una specie di doppiofondo, una bistabilità abissale tratto fuori dal nulla sublime liberamente: è il trarre il mondo dal nulla in modo perfettamente razionale, perfettamente legittimo, quale doppiofondo. Fondamento di ciò che è è la sua ragion d'essere. Ma fondamento del fondamento è la libertà, il mondo è fondato sulla libertà della purezza dell' evento sublime, una paradossale vicenda quale variante leibniziana dell'argomento ontologico del nulla sublime: eventi del sublime che accadono, si eventuano dal trarre fuori dal nulla, o meglio dalla mente sublime divina della musa Kalypso, in forma di sublime: s'est trouvé tout inventé dans l'entendement divin avec une infinité d'autres, parce que cette suite d'evenements non è verità? Ed è la libertà, che è ma poteva non essere intrascendibile, privo di crepe e fratture entro cui spiri il vento dell'infinito sublime o del sublime infinito della libertà del tempo o l'oggetto infinito quale gegenstand infinito o ob-getto sublime di Ricoeur declinato secondo paradigmi e stilemi sublimi, o essere una condizione dell'esistenza temporale sublime dell'estasi dell'apokatastasy leibniziana o di Agostino il quale nei suoi celebri paradossi sull'esperienza del tempo sublime disvela l'esistenza di un oggetto sublime quale infinito sublime paradoxale: il tempo sublime non è mai quello che è, non è presente quando è presente, non è passato quando è passato, e quindi pretendere di misurarlo è come pretendere di misurare ciò che si sottrae a qualsiasi misura, giacchè si svela sempre quale dismisura sublime paradoxale. Aristotele nella sua Poetica spiega un concetto temporalmente determinato qual è quello di imitazione, non solo non comporta alcun riferimento alla rappresentazione physis, semmai la sospende o la stravolge: l'imitazione è anzitutto imitazione di azioni che per loro natura scorrono lungo l'asse del tempo, ma azioni il cui contenuto è il mito sublime, la mitologia sublime della musa Kalypso, giacchè fondata sul gegestand infinito o con possibili interpretanza infinite. La poetica-sublime e la physis-sublime appartengono a due regioni ontologicamente separate, distinte e incongruenti, ma in un chiasma moebiusiano: la poetica-sublime svela eventi che sono per l'esserci sensibilità e destinanza, la physis-sublime invece si dà quale tempo o misura del movimento dei corpi nello spazio o dynamis sublime, perciò la differenza è fenomenologica o ontica, ma non ontologica nel senso della dynamis dell'essere dell'ente, quali eventi del sublime, eventi che presentano una sostanziale identità di struttura ontologica: sono ontologia della disvelatezza della luce, quale ermeneutica della differenza e della contraddizione, per cui il senso si mostra negli opposti come altro da sé, inesauribile, capace di negarsi. Estasi della filosofia del sublime: quale interpretanza infinita che interroghi l'infinito trascorrere della formattanza sublime: evento che si eventui, nient'altro che evento, evento che differisce da qualsiasi altro evento l'abbia preceduto. C'è verità là dove si sostenga che il mondo sia sensato e sensibile, e c'è verità là dove si sostenga che il mondo non abbia sensibilità ma solo il logos, o la metafisica della verità epistemica: non si pensi l'essere che è e insieme l'essere che non è, non si pensi l'essere che diviene, perchè c'è la contraddizione e dunque il totale oscuramento della verità. Parmenide inaugurò così la metafisica della verità, o il pensiero che pensi l'essere: è la metafisica della verità che pensi l'essere epistemico e mai l'estasy sublime dell'essere abissale, essenziale origine del nihilismo quali phenomena della sublime disvelatezza. I phenomena quali figure nella spazialità infinita o ad interpretanza infinita si disvelano sempre irrudicibili al pensiero calcolante epistemici, anzi la loro presenza è una continua decostruzione della dynamis sublime: sia quale cronocromodinamica quantica, sia quale ontodinamica sublime o ontokronia del niente, del non-ente, del nulla. Quella dinamica sublime svela l'ontocronia nihilista dell'estatica Dasein-analytic quale topologica sublime del Dasein-analytic: il Dasein o Dasein-Welt, quale essere-nella-verità del sublime Dasein. I phenomena nihilisti sono semptre fenomeni sublimi del non-ente, del niente, del nulla, comprensibili senza gli strumenti del logos o della sensibilità o della congruenza intuitiva, giacchè lì l'entità non c'è, anzi lì si disvela solo l'abissalità estatica dell'essere-sublyme quale Essenza e essenziale Ontogenesi del Nihilismo. Heidegger gettò il nulla quale estatica progettanza dell'essere: il Nothing si dà si eventua quale evento del nulla, anzi solo il nulla getta la profondità abissale e sublime, quale ab-senza delle entità spazio-temporali sensibili o epistemiche della metafisica della verità o del logos. I phenomeni nihilisti sublimi ex-sistono, nella loro Ex-sistenza che disveli la struttura ontologica dell'essere sublime ex-jectante l'existenziale ex-sistenza quale pro-gettanza-re-gettata presentemente assente dal nulla abissale sublime. Heidegger pensò così al nulla quale evento abissale del sublyme. ontodynamis Kant, Heidegger i primi Dasein temporale come se l'essere di entità sono stati in qualche modo una funzione di Dasein. Inoltre, ha rappresentato in primo luogo l'ansia come un fenomeno Heidegger questi punti di vista. Cessa di parlare della temporalità o nulla, come un dimensione dell'esistenza , ha affermato che temporalità sorge all'interno di un più che comprenda "apertura" o "regione" . Più tardi sottolineato Heidegger che l'esistenza umana è come il stanziati per il sito auto-dynamis o "essere" degli enti. Invece di concepire di essere dal punto di vista del Dasein umano, poi, ha iniziato Heidegger "Pensiero" essere visibile in i suoi lavori precedenti. In tale contesto, egli ha concluso che "inauthenticity," che è, di comprensione cose in una superficiale derivante dalla auto-occultamento di essere. Tecnologico divulgazione di entità, allora, perché non è nata individui non sono stati in grado di sopportare l'ansia, ma perché, dal momento che circa Platone il momento, l'essere di entità. entità per il bene di acquisire potere e sicurezza. Heidegger > Dal punto di vista Heidegger negli anni Trenta, l'umanità occidentale potrebbe essere sl'essere e il nulla che, come è stato potente come l'inizio concessa agli antichi Greci. Tale incontro, così essere di entità, ma invece di essere storico di compensazione necessaria per le entità di manifestare in modi diversi da solo come flessibile greggio material.9 Heidegger insistito sul fatto che un tale nuovo lasciare esseri essere", cioè, per consentire le cose per manifestare in conformità anziché in conformità con i limiti imposti loro dalla scientifica costrutti e progetti tecnologici. Heidegger la divulgazione delle cose, invece di aprire una nuova fase di Occidentale storia. Heidegge essere se stessa. Platone di essere concepita non come la dinamica presencing di entità, ma piuttosto come il eternamente presente, immutabile schema, forma (eidos), o modello per le cose nel regno del divenire. Di concepire di essere come il presente permanentemente a terra per le entità, Platone ha avviato il 2500 anni di storia della metafisica. Heidegger cercato di trasformare questa storia, rivelando che non vi è alcuna eterna o finale "terreno" per le cose, che in realtà ciò che noi intendiamo per "essere" è sempre a forma di fattori storici. Romani ha dato un tocco di fondamentale importanza per la tradizione metafisica di raffigurante la metafisica di quella terra che "provoca" cose da entrerà in vigore. D'ora in poi, la metafisica divenne interessato principalmente a raccontare la storia in cui le cose di provenienza, come sono stati prodotto o creato. Appropriazione la tradizione metafisica, medievale teologi hanno sostenuto che per qualcosa di "essere" significa che esso sia creato (prodotto) e le conserve di entità suprema, essere pensata per poter essere in grado di essere rappresentati - misurata, quantificati, noto - dal soggetto. La scienza moderna costretti a entità si rivelano solo in conformità con presupposti teorici coerenti Mentre durante l'era industriale il raggiungimento di tale controllo potrebbe essere descritto come un mezzo per la fine di migliorare la tenuta umana, durante l'epoca tecnologica - che può essere detto di avere iniziato con gli orrori della prima guerra mondiale - l'umanità stessa è diventata un mezzo alla fine, senza scopo: la ricerca del potere per se stessa, che Heidegger descritto come il semplice "volontà di volontà". Più tardi Heidegger differenziata sua meditazioni di essere da teologico e scientifico che rappresenta la ricerca di "cause" di cose. Egli si è concentrato invece sul manifestness in virtù del quale entità possono essere incontrati "Spiegare" Silesius, ha parlato di tali acausal di origine dicendo: "La rosa è senza motivo, ma fiorisce perché fiorisce" Inoltre, più tardi Heidegger ha anche concluso che il "chiaro ing "necessarie per l'auto-manifestarsi di entità non può essere inteso in termini di kantiana il modello del "ecstases temporale" di l'esistenza . Piuttosto, ha sostenuto che la compensazione è costituito da e dèi, terra e cielo in una sorta di danza cosmica che libera il la luminosità intrinseca delle cose. Il "mondo" costituisce di per sé virtù del coordinamento spontaneo o stanziamento di reciproco le apparenze che sorgono - non ha causato, da "non-cosa" - momento dal momento. Più tardi Heidegger usato il termine loghi a questo nome reciproco coordinamento delle apparenze; di conseguenza, sostengono che la sua lingua (logo) consente di cose. Questo conto del rischio di auto-organizzazione Ereignis, il "caso di Stanziamento " afferma che l'umanità come storia ontologica, ermeneutica, metafisica, epistemica, fenomenica della kronotopodynamica nella physis e astrophysis nel pensiero pensante di Eraclito o Platone o Aristotele o Plotino o leibniz o kant Eraclito eventuò per prima l’essere poi la dynamis. Eraclito fonda la dinamica dello scorrere dell’essere nel nulla. Il pensiero di Eraclito è ancora poetante ma nello stesso tempo è anche la prima singolarità di contrastanza eristica: vi è contenuto il principio della dynamis. La dynon è la dea dell'esserci, lì la singolarità è completezza, lì la singolarità si dà, si eventua quale differenza dell'ontodynamica della physis, lì c'è l'autodynamica della differenza nell'intrasingolarità, lì c'è l'abissalità dell'essere nell'ente o l'evento dell'essere nelle entità mondane, lì c'è il kryptarsi dell'essere nelle singolarità della physis, lì c' è il tramonto o meglio è l'insorgenza senza eclisse dell'astrophysis che dà luce e si dà alla luce senza tramontare. Non c'è orbita o gravità ma solo il soggiornare senza fine, o il sorgere della purezza della transcendenza della physis in relatività con la disvelatezza e l'oblio. L’idea è la dynamis dell’essere stesso in sé e per sé, come ciò che è aletheia o disvelatezza o verità aristocratica e sacerdotale. Eraklyto di animo variabile e intriso di ambiguità evocò una sibilla dalla bocca delirante che disse cose di cui non si ride, non addolcite né da ornamenti né da profumi. Il signore che ha l’oracolo in Delfi non dice e non nasconde, ma accenna: tratti in inganno gli uomini nella conoscenza delle cose visibili, simili a Omero, trassero in inganno dei bambini: tutto quel che abbiamo visto e preso lo lasciamo, tutto quello che non abbiamo visto né preso lo portiamo con noi. La presenza in Eraclito dell' oracolo si spiegò con l’intenzionalità di offrire una sacralità al pensiero, quasi si trattasse di una rivelazione ermeneutica. Eraclito aprì la verità nel logos, benché verità eterna, non la si comprenda mai, né prima di udirla né dopo: è la legge del mondo, spiegò, ma si è ignari da svegli, così come nei sogni, tale verità riflette la physis in ogni ente, quale stabilità della physis-archê ontologica, ma non c'è risonanza anche se si ascolta: sì è presenti, ma assenti. Per tanto il pensiero è la virtù e la sapienza è l' ascolto della risonanza dinamica della physis che raccolga l’intima natura della physis kryptata, giacchè ama nascondersi. E si dà o si eventua solo nella dynamis. Si deve sapere che la guerra è comune, e che la giustizia è contesa, e che tutto avviene secondo contesa e necessità o eristica. Polemos o l'eristica dinamica della physis è l'ontogenesi che rivela la fenomenica degli dei e l'ontologia della libertà dell'esserci quale fondamento della mondità eleusina. Eraclito svelò la dinamica sublime dell'eristica in accordo o in discordanze discordi, quale bellissima e sublime armonia, concorde pur discordando: armonia sublime di tensioni contrastanti come nell’arco e nella lira: questi infatti trasformandosi sono quelli, e quelli a loro volta, trasformandosi, sono la dynamis, concorde e discorde, armonica e disarmonica, dinamica ontologica-cosmologica che si rivela la struttura ontologica della dinamica cosmica; il suo apparente caos trova nella singolorità la dinamica strutturale latente, profonda, invisibile: l’armonia invisibile è più pregnante o ontologica della visibile. La via in su e la via in giù sono identiche o invarianti nella dynamis ontologica, così come è sempre lo stesso sia il principio e sia la fine nella sfera. Quella dynamis del mondo è la stessa per tutti, non c'è né una per gli dei né una degli esseri animati o inanimati, ma c'è sempre stata ed è e sarà fuoco vivo in eterno, che al tempo dovuto si accenda e al tempo si spenga. Dinamica reciproca di tutte le cose col fuoco e del fuoco con tutte le cose, come delle merci con l’oro e dell’oro. Mutamenti dinamici del fuoco: dapprima mare, del mare una metà terra, l’altra soffio kosmico della dynamis o cosmogonia della physis. Il kosmos dinamico è la physis originaria dotata di una propria vitalità dinamica strutturalmente stabile, che si riveli in dynamis della physis-archê meteorologici evaporazione, condensazione, fulmini , interpretati come risultato delle metamorfosi fenomeniche dell' ontogenesi dinamica abissale come lo sono gli insondabili confini dell’anima. Eraclito ci svelò così gli inesauribili movimenti dell'essere dell'ente quale dynamis della physis cosmica, quale struttura ontologica della bellezza-sublime della divinità o assolutezza dell'armonia fenomenica così interpretata nell'ermeneutica eristica della dynamis: le fanciulle Figlie del Sole lungo la via che appartiene alla divinità, egli asseconda con il proprio desiderio il tiro dei cavalli nel tragitto dalle case della Notte verso la luce. Alla porta dei sentieri della Notte e del Giorno le fanciulle persuadono la Dikê a consentire il passaggio del mortale, per la strada maestra che lo porta, infine, al cospetto di una dea innominata o Verità, la quale, accogliendolo benevolmente, così gli rivolge la rivelazione: giovane, tu che, compagno di immortali guidatrici, con le cavalle che ti portano giungi alla nostra dimora, rallegrati, poiché non un’infausta sorte ti ha condotto a percorrere questo cammino, infatti è fuori dalla via battuta , ma legge divina apprenda: e il solido cuore della Verità ben rotonda e le opinioni dei mortali, nelle quali non c’è una vera certezza: come le cose che appaiono e che veramente fossero, essendo tutte in ogni senso: Parmenide. La divinità parmenidea è rivelazione della Verità. Le qualità dinamiche dalla dea della Verità o della Alêtheia si svelano nella sua ontologica disvelatezza interpretativa rivolta alle entità fenomeniche che appaiono, agli enti della dinamica mondana. La dea è ciò che si manifesta, si dà o si eventua nella dynamis sublime. Essere è pensare la dinamica sublime: ascolti, quali sono le vie di ricerca che sole si possono pensare: l’una che è e che non è possibile che non sia, è il sentiero della Persuasione, perché si svela la dynamis sublime della Verità, l’altra che non è e che è necessario che non sia: questo è un sentiero su cui nulla si apprende: non si può conoscere ciò che non è, perché non è cosa fattibile, né esprimerlo. Infatti la stessa dynamis è pensare ed essere. La rivelazione della dinamica della Verità, affidata al mythos afferma l’essere, l’altra il nulla che non è; indeterminatezza dinamica dell'eristica solo apparente giacchè svela l’essere come vera e unica possibilità, e l’essere che non può non manifestarsi nel pensiero quale fenomeno dinamico esistenzale dell' esserci. Essere la dynamis o essere la verità dinamica della disvelatezza: to on o to eon indica per un verso l’ente, ciò che è, per altro tutto ciò che è, per altro ancora significa quanto è immutabile, imperituro e eterno nella realtà, in ciò contrasta l’instabile physis, come cose che pur sono assenti, alla mente siano saldamente presenti, non si può recidere l’essere dal suo essere congiunto con l’essere, né come disperso dappertutto in ogni senso nel cosmo, né come raccolto insieme nella dynamis dell’essere, qui: l’essere to eon è proposto come lo sfondo che accoglie, stringe tutte le cose, la dinamica che dà significato al molteplice degli enti presenti e assenti, lontani e vicini; l’instabilità dinamica della physis-archê disvela l’assoluta dynamis nell’essere: emarginando il nulla, risolve la problematica del passaggio dal nulla all’essere o della transcendenza dinamica dall’essere al nulla o dispersione e concentrazione dell’essere nel cosmologia o qualcosa di diverso accanto all’essere, un non-essere quale entità fenomenica di modelli cosmogonici. In relatività con l'epistemica cosmica dell’essere in relazione con Senofane, il quale contrappone al politeismo e antropomorfismo un monoteistico incentrato sulla singolarità dell'essere e divinità della mondità nei segni dell’essere. È necessario il dire e il pensare che l’essere sia: infatti l’essere è, il nulla non è: vi esorto alla contemplatezza, da questa prima via di ricerca si deve essere in lontananza, ma anche da quella su cui gli esseri che nulla sanno vanno errando: è l’incertezza che guida una dissennata mente, si è trascinati, sordi e ciechi , sbalorditi e senza giudizio, dai quali essere e non-essere sono considerati la medesima cosa e non sono la medesima cosa, e perciò di tutte le cose c’è un cammino reversibile. Infatti, questo non potrà mai imporsi: che siano le cose che non sono! Ma da questa via di ricerca allontana il pensiero, né l’abitudine, nata da numerose esperienze, su questa via forzi a muovere l’occhio che non vede, l’orecchio che rimbomba e la lingua, ma con la ragione giudica la prova molto discussa che è stata dinamicamente disvelata nella sua consistenza ontologica. È la dea della verità che soggiorna senza eclisse, senza tramonto che svela la purezza dell'essere in luce con il tramonto senza mai più coniugare essere e nulla, o la follia dell' essere in interagenza con il non-essere. Eraclito dissolve quell'eristica fenomenica o epistemica nella relatività dinamica della physis che si dà alla luce e non si disvela, come la dea aleteia dell’essere: che è l’essere ingenerato e imperituro, è un intero nel suo insieme, immobile e senza fine. Né una volta era, né sarà, perché è ora insieme tutto quanto, singolarità dinamica continua. Quale è l' origine della dynamis? Dal non-essere o dal nulla non è consentito né dirlo né pensarlo, perché non è possibile né dire né pensare che non sia la dynamis dell'esserci. Quale eventualità lo avrebbe mai costretto a nascere, dopo o prima, se derivasse dal nulla? Perciò è fenomeno che sia , o non sia per nulla. E' dall’essere dynamis che insorgerà la forza di una certezza che sorga e soggiorni senza fine e senza eclisse, e che sia in relatività alla disvelatezza ed all'oblio: né il nascere né il perire consentì: l’essere si stringe con l’essere, è senza principio e senza fine. Lo stesso è il pensare, è il pensiero, perché senza l’essere nel quale è espresso, non c'è il pensare: nient’altro o è o sarà all’infuori dell’essere: la dynamis dell'esserci è nascere e perire, essere e non-essere, cambiare luogo e mutare luminoso o insorgere o soggiornare. Inoltre è completezza da ogni parte, simile a una ben rotonda sfera, kronodinamica dal centro uguale in ogni parte: né in qualche modo più grande né più piccola sia o quantitativa, ma qualitativa da ogni parte dynamis, è un tutto inviolabile nei suoi confini o nell'apeiron. L’essere è senza fine: non potrebbe sorgere dal nulla né passare nel nulla; è singolarità dinamica continua indivisibile rivelazione della dea della disvelatezza: tra l’essere e il nulla, non rimane che un sentiero dinamico disvelante la physis o l'astrophysis dell’esserci. La dynamis c'è , si dà, si eventua: come può il non-essere viceversa determinare ciò che è? L’assoluta assenza della dynamis non si svela che nell'abissalità kryptante: ex nihilo nihil , l’eventualità di una generazione del nulla dal nulla si eventua sempre quale tramonto dell’essere, ma l'esserci che mai tramonta, che insorge e soggiorna è la dynamis illuminante dell'astro-physis ontoepistemica, che implica la svelatezza della dea o la sua verità. L’essere soggiorna nel vuoto della physis indivisibile ma dinamico, stabilmente senza eclisse e senza fine, atemporale, eternamente senza tramonto con la sua dynamis o forza divina inviolabile, invulnerabile è un'icona della potenza, un'imago dynamis, un’immagine potente, bella e rotonda sfera, con le sue qualità di solidità, integrità, omogeneità e equilibrio di purezza transcentente e con una significanza cosmologica: l’essere della physis o dell'astrophysis è l’universo, espressione dell’intero cosmo e delle sue perfezioni. Un cosmo sferico, pieno d’essere, compatto dal centro alla periferia, equilibrato. Un cosmo che, intuito nella sua globalità, è tutto quello che può e deve essere, con un dinamico sviluppo temporale, senza nulla che possa sopraggiungere o venire a mancare. Un cosmo in cui, considerato nella sua totalità e densità, si risolve la dynamis disvelante, oppure occultante, disorientante, accadente esserci nella physis quale etereo fuoco della fiamma, leggero, a sé medesimo da ogni parte identico, e rispetto all’altro, invece, non identico; opposto o in contrastanza con la notte oscura, di struttura densa e pesante: è la dynamis quale ordinamento del mondo, verità in evidenza dell’essere al mondo. L’essere è realtà cosmica, vissuta e accertata sia pure in un mondo fenomenico. La dea delle verità del kosmos è seducente con le sue parole che manifesta i fenomena del diakosmos, quale rivelazione del cuore della verità che non trema e si dà nell'evento o che appare. Il mythos della dea si dà sempre sorgente nell'archè-physis quale transcendenza della purezza ontologica dell’apparire degli eventi dinamici o fenomenici, o la loro ermeneutica finita o infinita interpretazione della Apparenza astrophysica: l’apparire è il manifestarsi stesso dell’esserci della dynamis in relatività e in equilibrio con la physis dell’essere Aletheia, verità dinamica, sempre insorgente e senza tramonto, una grande cosmologia dinamica alternante luce e notte, quale STORIA MITIKA ed ONTOLOGICA del MITO della PHYSIS e dell'astrophysis. Il mito o storia mitica della Physis o dell'astrophysis è essenzialmente un luogo mitico,una topologia del mito dell’abisso,della fondatezza,dell’aldilà ontodynamica:la storia del mito della Physis è la storia dei luoghi del mito,la storia mitika del mito è la storia dell’Essere mitiko,o dell’eterno ritorno del mito o della risonanza infinita dell’essere nel mito,nella latenza,custodita,curata per eventuarsi nella epokè mitica della Physis o dell'astrophysis dinamica. La storia del mito della Physis o delle dynamis astrophysica è la storia della radura dell’Essere, dell’Essere diradato,sgombro,libero d’Essere nell’abisso mitiko, senza nulla, senza niente, senza fine, senza tramonto, senza eclisse. Nessuno è ancora stato libero di ricercare la storia dell’ontologia del mito della Physis dinamica dell'astrophysis,aldilà dell’ermeneutica teologica, oltre la metafisica nichilista categorica, epistemica,paradigmatica. Non c’è né l’ontologia dell’essere mitico, né l’ontosofia del mito o la storia mitika del mito della Physis della dynamis astrophysis. La storia del mito si fonda sulla storia mitica della dynamis sublime:senza essere liberi di contemplare il mito dell'astrophysis dynamica, non c’è mito ma solo fondamentalismo teologico, teocrazia:la storia mitika del mito della Physis è la storia mitika della dynamis d’Essere in presenza della contemplazione dell’Essere astrophysis o divinità. Il mito c’è quando l’essere si pone dinanzi nella contemplazione dell’Essere astrophysis dynamica che si dà, si getta alla presenza nella radura, nella topologia dell’Essere, quale ontologia dell’Essere dinamico, il Gegengrund o fondale astrophysico che si eventua nella ontovarietà della gettatezza del mito della dynamis sublime è la radura dinamica che custodisce, kriptata, latente la cura dell’Essere dynamis dell'astrophysis. I luoghi della Gegengrund o fondale dell'astrophysis sono gli spazi kaosmici ove si getta dinanzi,davanti l’Essere mitiko della dynamis, i luoghi del mito dinamico sono quelli che l’esserci si trova di fronte non ad un orizzonte del mondo, o ad una prospettiva mondana, o ad un tramonto o eclisse cosmici, ma l’Essere è abitato dynamicamente dall’orizzonte e dalla prospettiva dell’Essere senza fine, senza declino,senza tramonto, senza eclisse, quale eterno ritorno della risonanza dell’Essere mitiko della dynamis astrophysica. Solo così si eventua l’epochè della storia mitika della dynamis sublime, non teokratica, del mito della Physis dinamica dell'astrophysis. Tanto per essere rigorosi fino in fondo:il mito della dynamis non è la topologia della teocrazia, né il mito è la singolarità nichilista cosmica del tempo immaginario, giacchè quelle suggestive topologie sono sempre categorie della prospettiva del mondo tramontante mentre l’orizzonte dell’Essere mitiko della dynamis non si trova mai di fronte all’eclisse, al tramonto, alla fine della storia, del tempo, dello spazio, del kosmo o dell'astrophysis. Nel mito della dynamis invece c’è l’eterno ritorno della differenza ontologica tra il Gegenstand quale contrastanza eristica della dynamis astrophysica: non il nulla o il niente, ma l’Essere dinamico che ci viene in-contro, l’Essere della dynamis sublime che si getta alla presenza, per abitare l’Essere che contempla la radura ove si eventui l'astrophysis. La storia mitika del mito della dynamis sublime è la storia della differenza che si eventua nell’ontologia dinamica, quale presenza che abita il luogo kaosmico dell'astrophysis dynamica. La storia mitika del mito dynamico della Physis e dell'astrophysis è la storia dell’Essere che contempla l’essere dinamico e di fronte, quale presenza dinamica della radura, ove non ha mai abitato né l’entità, né l’Esserci, né la mondità, né la metafisica, né la teocrazia, ma solo la risonanza dell’Essere dynamis che ci viene in-contro, quale eterno ritorno dell'astrophysis dynamica. La storia mitika del mito dynamico della Physis è la storia delle origini dell'astrophysis dynamica, tanto per abitare i luoghi storici del mito dinamico, si eventua nella risonanza quale Essere dynamico e mitiko Essere divino che ci viene incontro, Essere che abita l’Essere, Essere che si incontra kriptato nell’Essere mitiko della Physis o astrophysis dynamica. La topologia, il luogo ove l’Essere dynamico ci viene in-contro e ci abita è il mithos della dynamis: la topologia del mito dynamico è la mitika topologia della storia del mithos della astrophysis dynamica, solo nella topologia del mithos dynamico la storia si eventua quale storia mitika del mithos dynamico dell'astrophysis: giacchè solo lì è dinamicamente essere storia mitika del mithos dell'astrophysis dynamica e mai più storia della teocrazia, storia metafisica della teologia teocratica, storia metafisica della teologia teocratica,storia della volontà di potenza della teocrazia, storia dell’etica teocratica, stroria metafisica dei fenomena cosmologici. I luoghi ove il mithos della dynamis ci viene incontro, o dove l’essere in-contra l’essere dynamico che si eventua ed abita l’essenza del pensiero della dynamis, sono i luoghi del mithos dell'astrophysis dynamici, sacri, oscuri, misterici, kriptati, perché quella prossimità dell’essere con la sua ikona che si getta alla presenza e la abita è miticamente dynamica nel senso di indicibile, inaudita,e dai paradigmi fisici cosmici, la storia mitika del mito è la storia degli spazi dynamici, abitati solo dall’Essere dynamico che ci viene in-contro, quale Gegenstand o fondale dynamico astrophysico, mai nullità, e nel contempo:Essere che si incontra nell’essere dynamico che si getta ed abita, nella contemplazione, l’Essere dynamis dell'astrophysis. Le varietà del venire incontro dell’Essere dynamico sono infinite, indicibili, senza eclissi: perché i luoghi del mithos della dynamis sfuggono alla classificazione dell’imperativo categorico del rigore razionale o della metafisica ideale nichilista, sinergetica,supersimmetrica,inferenziale,logistica,teocratica. Gli eventi del mithos della dynamis sono sempre in relatività con gli eventi e le ontovarietà dell’Essere dynamico che ci viene incontro, che si eventua quale dynamis ontologica: si incontra l’Essere dynamico, si contempla la dynamis d’essere kaosmica. I luoghi del mithos-dynamis sublime sono gli spazi topologici ove l’Essere dynamico si dispone nella contemplazione, nell’ascolto,nella visione, nella sensibilità e nel pensiero dynamico dell’Essere di fronte, dinnanzi, davanti che ci viene incontro, nella Gegenstand o fondale dynamico dell'astrophysis kaosmica. La storia mitika del mithos-dynamis è la storia delle radure, dei vuoti ontologici della Physis-dynamis, ove l’essere si eventua per essere contemplato e per abitare dynamicamente l’essere di fronte, oltre che abitare dinamicamente solo il mondo, la Physis-dynamis, il kosmo. Quando un luogo, una radura, un vuoto sono abitate dynamicamente dall’Essere che si getta e che viene in-contro all’Essere, si eventua il mithos e la sua storia quale storia mitica del mitiko abitare dinamicamente l’Essere dynamis, in libertà, in verità, in prossimità con l’Essere dynamica. La libertà di ricerca sulla storia mitica del mithos della Physis-dynamis si eventua nella storia dei luoghi ordinari del senso del mithos, della sua essenza, della sua presenza qui ed aldilà del mondo i luoghi del mithos, anzi meglio la topologia del mithos, lo spazio vuoto, la radura, lo spazio libero dalla mondità ove è custodito, curato, evocato e contemplato il Gegenstand o il fondale astrophysico: l’Essere che viene incontro per abitare dynamicamente, non solo il mondo, ma l’ikona dell’Essere, l’essenza dell’Essere, l’Essere dynamis, l’Essere ontologico. Si eventua così nello spazio e nel tempo del mondo la differenza ontologica: si presenta la topologia dell’Essere mitiko, di là e di qua la topologia fluttuante del mondo dell’Esserci, del mondo virtuale, del mondo immaginario, del mondo ontologico, del mondo dynamico. Il mondo dell’Essere mitiko si getta nella mondità anche quale mondo mitiko, mondo caotico mondo cosmico, mondo caosmico, mondo dynamico, mondo estatico e la sua influenza metafisica si dispiega nel mondo etico, epistemico, paradigmatico, ermeneutico, dinamico, noetico. Quale fondamento della verità dell’Essere dynamico mitiko la sua influenza dà senso al kaos, all’invisibile, all’indicibile, all’inaudito, all’assenza presente della sua sacralità provvidenziale: l’unica che possa salvare o curare nel mondo dell’aldilà, della dynamis. La Topologia dell’essere mitiko e la sua topologia animata dell’Essere animato che trascende l’Esserci,ma non è l’Essere ontologico dynamico. Quelle ontovarietà dispiegano la complessità della fondatezza dell’Essere mitiko nel mondo virtuale, animato, ontologico, immaginario, dynamico, metafisico, sinergetico, supersimmetrico e disvelano quanta volontà di potenza ci sia nella storia mitika del mithos della Physis-dynamis. Volontà di potenza dell’eterno ritorno dell’Essere mithos, nell’epochè della storia dell’Esserci, ma anche volontà di influenza egemonica imperativa categorica nella metafisica, ermeneutica, dynamica, etica, estetica, epistemè, virtuale, immaginaria, onirica, estatica, mitica, magica. Nell’Essere mithos, l’Essere animato non si adegua, in verità né all’Esserci, né all’Essere ontologico o dynamico. Nel mondo del mithos il mondo animato non ritrova l’adeguatezza metafisica, epistemica, razionale, dynamica, estetica, etica con il mondo dell’Esserci, né con l’Essere nel mondo cosmico, immaginario, virtuale, kaosmico. Ma quella differenza ontologica dell’adeguatezza non trascura l’ortogonalità influente della volontà di potenza metafisica della storia mitika del mithos, anzi la sua categorica imperativa dà senso, identità, teocrazia storica e trascendentale. L’Essere mithos, quale essere animato nel mondo mitico è la misura di tutto: del kosmo che c’è e del mondo che non c’è, o è invisibile, indicibile, inaudito, mitico, magico, estatico; l’Essere mithos è anzi l’unico centro gravitazionale che dà senso, stabilità, pace, e soprattutto e per lo più dà l’impianto, la creazione, la Gestell al mondo dell’Esserci, dell’Esser qui, dell’Esser là, dell’Esser aldilà. La topologia del mithos, quale storia mitika del mito della Physis è la Gestell del mondo e dell’Essere animato, quale Esserci che ci viene in-contro nella sua morfogenesi di Essere animato: e perciò da contemplare e da venerare. Giacchè solo quell’Essere è mithos della physis che ci potrà salvare, o curare, o consolare, o guidare nel destino nella sorte, nell’avventura della storia mitika del mithos. La Topologia dell’Essere mithos è implementata nella bistabilità dei sentieri che si biforcano: c’è la superficie della Gestell fondante il mondo dell’Esserci, virtuale, trascendente, immaginario, metafisico, etico, dynamico, estetico, sinergetico, cosmico, epistemico, ermeneutico, ma c’è, quale eterno ritorno nella superficie supersimmetrica,l’Essere animato che ci viene incontro nel vuoto ontologico, nella radura dynamica dal nichilismo, nella singolarità kaosmica del nulla, quale Gestell: contro-Essere, Essere che ci incontra e avviene,si getta nell’Essere ma anche nell’Esserci, per abitare con il senso del mithos della Physis o dell’Essere animato. La storia del mito è stata, ed è,sempre interpretata quale volontà di potenza della metafisica imperativa influente: non c’è una storia dynamica del mito, né una storia ontologica, né una storia mitica, né una storia ontologica, né una storia mitica nel senso di Topologia del mithos dell’Essere più che del mondo o della mondanità. Il futuro della libertà di ricerca della storia mitica del mithos si presenta nel plesso, o nel chiasma, dell’Essere storia della Gestell mitika dell’Esserci e del mondo, e storia della Gegenstand o fondale astrophysico dell’Esser mitiko che ci in-contra, che avviene in-contro, quale risonanza dell’Essere animato sempre, eternamente ritornante nell’aldiqua dall’aldilà. L’Esserci mitiko che ci viene in-contro, quale Gegenstand o fondale astrophysico è la donazione di misura, la misurata topologica del mithos e della storia mitika del mithos animato che abita dynamicamente l’Essere, oltre che il mondo e l’Esserci, si eventua quale stabilità del Kaos, morfogenesi visibile dell’invisibile, koinè, linguaggio comune etico ed dynamico dell’indicibile, dell’inaudito, mistero dell’indecidibile, mistico svelato del mito eternamente ed infinitamente interpretato ermeneutica del vuoto silenzio della singolarità del mithos, quale storia mitika del mithos. La storia mitika dell’Essere mithos è la storia dell’abbandono, della kriptazione, della latenza, dell’oblio dell’Essere ontologico nell’Esser animato: sia quale vivenza dell’Esserci, sia quale vivenza della mondanità eterna, infinita, mitica, indicibile, inaudita. L’Essere che vi viene in-contro o che si in-contra è l’essere animato che dalla latenza kriptata, custodita, curata, della radura della Topologia dell’Essere, si eventua imperativamente quale misura del tempo e dello spazio, della dynamis e dell’estetica, del kosmo e del Kaos, del bene e del male. Ma quella gettatezza dell’Essere mithos non è semplicemente imperativo metafisico della volontà di potenza, quella è solo la sua metamorfosi teocratica, influente, altrimenti il mithos sarebbe solo una delle varietà ermeneutiche, epistemiche, estetiche,astronomiche, l’Essere gettati, quale mithos dell’Essere animato dà stabilità alla più complessa Ontoteologia o Teoontologia della dynamis. Aldilà del bene e del male, anzi quale fondatezza che eventua ora l’uno ora l’altro o annienta sia l’unità, sia l’alterità la storia che si getta, quale storia mitika del mithos si presenta sempre nella sua varietà ontoteologica influente che si dà, che ci viene in-contro, che si in-contra nei sentieri interrotti del mithos, quale metastabilità del Kaos, orizzonte prospettico dell’Essere animato che dà senso all’Esserci, alla vivenza, alla creazione, alla mondità, all’aldilà. L’Essere animato che si in-contra si getta nell’Esserci, nel mondo, nella vivenza quale impianto imperativo stabile della volontà di potenza dell’Essere Mithos: è la Gestell dell’Essere animato che ci viene in-contro, non quella metafisica, o etica, epistemica, ma quella metastabilità che annienta il Kaos, il nulla, il niente oltrechè l’Esserci preesistente, per fondare la Topologia del mithos dal nulla, dall’invisibile, dall’inaudito, dal vuoto cosmico. La Topologia dell’Essere mithos che ci in-contra abita mistericamente il fondamento dell’Esser animato, dell’Esserci della vivenza del mondo: abita la stabilità della Gestell quale venire in-contro della presenza che ci in-contra nell’Essenza dell’Essere. La stabilità dell’Essere animato è la storia mitika del mithos quale controkaos e risonanza che ci presenta davanti di fronte al Kaos per Essere Gestell topologica della radura, del vuoto dell’invisibile, dell’indicibile, dell’inaudito: la storia del mithos è la storia dell’Essere di fronte al Kaos, quale Essere animato che ci viene in-contro e che si in-contra nella essenza della vivenza, dell’Esserci, della mondità dynamica. La storia del mithos è la storia sia mitika della metastabilità dell’Esser animato che si presenta, si eventua, ci in-contra nella fondatezza dell’Essere, dell’Esserci quale vivenza, del mondo, dell’Essere aldilà. Il Metaodos-dynamis è il sentiero ininterrotto del Gegenstand o fondale astrophysis: eterno ritorno della risonanza dell’Essere che ci viene in-contro, e che si getta alla presenza dell’Essere che si in-contra di fronte, dinnanzi, quale evento dell’Essere animato. Il gettarsi incontro nella metastabilità della presenza sia quale volontà di presenza o teocrazia,sia quale dono della misura del mithos o Ontoteologia, la storia mitika del mithos dà senso all’imperativo categorico del Gegenkaos Essere di fronte, davanti, incontro al Kaos del mondo. Ma la sua presenza si eventua anche nel gettare nell’essenza del fondamento dell’Esserci e della vivenza l’incontro dell’Essere animato, quale Topologia dell’Essere o varietà dell’Essere ontologico. La storia del mithos sarà la storia dell’interfaccia, intervolto, interessere animato che ci viene incontro nel sentiero dell’Essere. Il campo del mithos è l’intervolto dell’interessere topologico animato. I sentieri del campo del mithos sono la risonanza dell’eterno ritorno della storia del mithos-dynamis. Il campo mitiko è l’intervarietà della Topologia dell’Essere quale campo metamorfico che dà ortogonalità all’abisso, dà la visione dell’Essere animato all’invisibile, dà ascolto al silenzio inaudito, dà senso al mithos getta i sentieri dell’essere animato nell’Abgrundynamis, nel senza fondo delle fondamenta dell’Essere: il campo mitiko è la Gestell-dynamis dell’Abgrundynamis, l’impianto della metastabilità che s’eventua nei sentieri dell’abisso. La storia del mithos è la storia del campo dynamico, quale intervarietà della topologia dell’essere animato. Il campo sacro è la metastabilità, la Gestell dell’abisso, dell’Abgrundynamis, dell’interessere, dell’intervolto, dell’interfaccia ortogonale imperativo dell’aldilà che si eventua quale vuoto cosmico, radura dell’invisibile, silenzio dell’inaudito, indicibile. Il campo dynamico del mithos è la risonanza dell’eterno ritorno dell’Essere animato che si getta nella storia quale storia del mithos-dynamis. Il campo dynamico del mondo è la Gestell-dynamis nell’Abgrundynamis, quale ortogonalità imperativa senza fondo nell’aldilà, oltre l’orizzonte, oltre il tramonto della storia, oltre la fine della storia, oltre l’eclisse del mondo della storia classica.Il campo dynamico del mithos, la Gestell mitika, l’impianto mitiko ove l’Essere animato che avviene, si getta dall’aldilà, ci viene in-contro e si incontra nella Gegenstand o fondale atrophysico quale Essere aldilà che si presenza di fronte, davanti, dinnanzi quale intervolto, dell’invisibile, indicibile, inaudito del mito nella volontà di potenza metafisica influente, nella dynamis, nell’Estetica, nella Noetica, nell’Ermeneutica.Il campo del mithos dynamico si presenta sempre aldilà della semplice teocrazia, quale volontà di potenza della metafisica ideale dell’aldilà, nella sua intervarietà di ontoteologia o Teontologia: evento che si incontra nei sentieri dynamici della gettatezza dell’interessere animato quale intervolto interimmagine dell’Abgrundynamis, dell’Essere abissale che si in-contra nella radura topologica, nel vuoto ontologico, cosmico, nelle singolarità nichiliste della cronotopia dynamica immaginaria. La differenza ontologica tra il campo dynamico della storia mitika e la storia classica del mithos si eventua nella differenza tra la storia della volontà di potenza dell’Esserci metafisico e la storia della Topologia dell’Essere animato che ci viene incontro, che si in-contra, di fronte quale Gegenstand o fondale astrophysico dell’aldilà, dell’abisso, quale matastabilità, Gestell dell’Abgrundynamis. La storia del campo dynamico è la storia mitika dell’immagine dell’Essere che ci in-contra di fronte: intervolto dell’immagine, Interdynamis.Il campo del mithos è la dynamis dell’abisso che ci sta sempre di fronte, ci abita e che ci in-contra quale aldilà. Ma il campo dynamico del mithos, si presenta anche quale metastabilità, impianto, struttura ontologica,in qualità di salvezza, cura, pensiero dynamico della Physis. La storia del campo dynamico del mithos è anche la storia dell’Essere al potere del mito: ma solo nella sua varietà di dynamis, di immagine dell’Essere animato, mai quale volontà di potenza della metafisica dell’immagine del mondo. Anzi il campo dynamico del mithos con la sua dynamis influenza la mondità, mai può essere soggetto, giacchè la sua fondatezza si disvela sempre dalla metastabilità dell’abisso, dell’invisibile, dell’indicibile, dell’inaudito, dell’aldilà che si presentano di fronte, davanti, in-contro alla mondanità, e si gettano nella sua fondatezza senza essere mai fondati. In quel senso il campo dynamico del mithos è dynamico, è più dynamico, dalle immagini del mondo: la storia mitika del mithos è la dynamis della volontà di potenza della metafisica nichilista, della fine della storia; è più dynamica, giacchè abbandona le immagini del mondo per gettare in-contro le immagini dell’Essere animato.Il campo mitiko non è stato, e non sarà mai una nuova metafisica, se mai è la Teontologia, senza essere ontologica: si eventua invece quale alterità, senza essere differenza, e quale relatività senza essere dispiegamento. Il campo dynamico del mithos è la radura ove si getta e si incontra sempre di fronte l’evento dell’immagine dell’Essere animato.La storia del mithos è la storia dell’accadere della presenza, volontà e potenza dell’immagine dell’Essere che si dispiega dall’abisso, dall’aldilà, dall’invisibile, dall’indicibile, dall’inaudito: che decostruisce il tempo e l’immagine del mondo, dell’Esserci, della metafisica imperante nichilista. Il campo dynamico del mithos crea lo spazio alla dynamis che si eventua dalla metastabilità dell’Abgrundynamis, ma non dà fondatezza alla Grundynamis: si svela in-contro, di fronte, in relatività, quale immagine dell’Essere mai fondata, né fondabile dalla immagine del mondo, o dell’Esserci, o della Physis: Teontologia della dynamis quale intervolto, intervarietà della Ikona-dynamis del pensiero dynamico.Il campo dynamico del mithos della Physis è la storia della differenza del venirci in-contro dell’Essere e del suo gettarsi nel mondo, nella Physis cosmica: in qualità di immagine dell’Essere che si eventua, quale Essere animato metastabile dell’intervarietà dell’Abgrundynamis: nella sua varietà della semplice gettatezza nella storia dell’Esserci, o dell’Essere al mondo. Mai mondo nell’Essere o volontà d’Essere mondità dell’immagine dell’Essere.Daseyn e dynamis sono i sentieri del campo dynamico del mithos ove si eventua l’in-contro la Gegendynamis della Physis ontologica .Lì la risonanza dell’Essere che ci in-contra, dà senso alla Teontologia, quale alterità della metafisica nichilista, in relatività con l’ontologia dynamica della Physis .La storia di quell’in-contro si in-contra nella risonanza della storia del mithos, quale storia dell’immagine d’Essere che si getta di fronte all’immagine del mondo o dell’Esserci: dynamis che si getta in-contro al Daseyn.Il campo dynamico del mithos della Physis è quella Topologia ove la storia mitika si eventua quale dynamis del Daseyn, ed anche dell’immagine del mondo, attraverso l’immagine dell’Essere animato in relatività con l’immagine dell’Essere che si getta dall’aldilà, dall’invisibile, dall’abisso, Abgrundynamis, indicibile. Ma il campo dynamico del mithos della Physis ontologica è anche la Topologia metastabile della abgrundynamis: immagine dell’abisso dell’Essere o dell’Essere abissale che si getta nella storia del mithos.In qualità di abgrundynamis il campo dynamico del mithos si metastabilizza in gestelldynamis, ikona della sua struttura ontologica, ove si eventua l’incontro tra l’Essere animato, dynamis e l’immagine dell’Esserci.Il campo dynamico del mithos della Physis è al tempo stesso stabile ed instabile:la sua stabilità è relativa all’Essere animato che si eventua quale essere mitiko: dall’abisso dell’Essere ci viene incontro e in-contra l’Esserci ed il mondo, la Physis e la sua struttura ontologica. E’ stabile nella Gestell dell’immagine dell’Esser mitiko ma instabile nell’Abgrundynamis intermittente la Gegendynamis,quale risonanza dell’Essere dynamico della Physis.L’anfibologia del campo dynamico del mithos dà alla sua Gestelldynamis l’essenza della metastabilità in relatività con l’ontologia, quale Teontologia, in relatività con l’immagine dell’Esserci e del mondo quale teokrazia della storia classica del mithos.Quella differenza è essenziale, perché crea la biforcazione tra l’immagine della storia mitika e l’immagine del mondo della storia del mithos della Physis. Il sentiero nel campo dynamico del mithos dell’immagine della storia del mithos della Physis è stato interrotto, giacchè la storia si è dispiegata, ed anche, o immagine della volontà di potenza della metafisica o teocrazia.La Teontologia, quale immagine dell’Essere mitiko che si getta nella immagine della storia del mithos non è più presente né nel mondo, né nel dynamico mondo, né nel mondo dynamico, né nell’Esserci del dynamico campo del mithos della Physis. Solo la libertà di ricerca eventuerà nel futuro un’immagine della storia del mithos quale gettatezza dell’Essere mithos animato, che si disvela dall’abisso dell’aldilà.Solo così il campo dynamico del mithos della Physis quale campo animato dell’immagine o interimmagine della storia del mithos eventua la storia del mondo animato, mentre fin’ora la storia del mito si è presentata nell’interpretazione dell’immagine del mondo imperativa ed influente, quale volontà di potenza metafisica sull’immagine della storia del mito della Physis.Nella storia del mithos della Physis si eventua una interferenza: quale immagine della storia del campo dynamico del mithos che dà la misura non solo al mondo, all’immagine del mondo, all’Esserci, alla dynamis, al nulla ma anche purtroppo all’essenza fondamentale dell’Essere, la storia mitika dynamica, esprime, disvela la verità, ma anche la occulta, la oblia, la kripta sotto la parvenza della cura, della latenza che custodisce conserva, accudisce, consacra e contempla. L’interferenza ontologica nella differenza ermeneutica del campo dynamico del mithos della Physis dà la misura della sua volontà di potenza imperativa kategorica, ma anche la valenza dell’Esser mito quale sentiero, dinamica di svelatezza della dynamis, di contemplazione che dekripta l’evento dell’incontro che ci incontra nel chiasma dell’Esser animato, quali immagine in relatività con l’Essere ontologico.Quella interferenza che appare originariamente nel campo dynamico del mithos della Physis, ma anche si eventua in altri campi quale l' astroPhysis o la koinè, disvela la differenza ontologica tra l’Essere-sé dell’Esserci nel mondo e l’esser-sé quale dynamis: nella storia del mithos della Physis c’è sempre la trivarietà della Topologia dell’Essere: Seyn, Daseyn, dynamis ove l’Esserci o l’Essere è indeterminato, ma sempre in relatività quale Dynamis: Esserci sempre nell’Essere-sè e nell’Essere al di là dal sé, dynamis, senza paradossi di identità o di principi logici di contradizione, anzi quelle evenienze non fanno altro che confortare l’imperativo categorico del campo dynamico del mithos della Physis. L’interferenza di quella presenza, nel campo dynamico del mito ontologico della storia mitika del mithos della Physis dà la misura dell’ indeterminatezza, dell’invisibile, dell’infinitesimale, dell’indicibile, dell’inaudibile, del bene e del male, ma anche della dynamis dell’adilà del bene e del male, dell’aldilà del mondo e del nulla, dell’aldilà del tempo e dello spazio, dell’aldilà della cronaca e della storia mitika, dell’adilà della dinamica e dell’estetica, dell’aldilà della guerra e della pace.Nell’interferenza ontologica quelle varietà sono solo episodi eventuali dell’immagine del campo dynamico del mithos che dà la misura dell’Esserci quale Essere-sé nell’Essere animato nel mondo animato, nella Physis animata. La storia mitica del mithos è creatrice di storia,non solo nel suo campo dynamico del mithos della Physis, ma in generale e nel senso della globalità, quale evento della nuova dynamis: dinamica dell'Essere animata in qualità di varietà dinamica: Esserci, Essere mitiko, Essere in relatività con l’Essere aldilà. La nuova dynamis dell'Essere animata è creatrice di storia del campo dynamico del mithos della Physis, ma anche di quello immaginario, virtuale, ortogonale, metafisico influente nichilista, decostruttivo, ermeneutico, epistemico, dynamico, estetico, sinergetico.Il campo dynamico del mithos quale storia dynamica del mithos della Physis sarà così il fondamento della nuova dynamis: quale dynamica dell'Essere contemporaneamente, quale dynamis, Esserci, Essere alterità nell’aldilà, Essere mitiko dell’Essere animato.Il campo ontodynamico del mithos così è, non l’unico, ma il più evidente nella creazione della storia, sia Gestell, sia Gegen-Gestell: o meglio, e di più, è il Gegen-Stell: l’impianto della storia mitika della Physis, struttura ontologica che ci viene incontro dall’adilà, dall’alterità, ma che ci in-contra nel sentiero dell’Essere animato.Il Gegen-Stell, la sua struttura ontologica, è la metastabilità che ci viene incontro, quale presenza che ci incontra nel campo ontodynamico del mithos della Physis per impedire il declino nel nulla, nel kaos, nell’abisso, nell’Abgrundynamis.La storia mitika che crea la storia dell’immagine del mondo, è la presenza metastabile dell’aldilà, dell’alterità che ci incontra sempre di fronte, per interferire nel declino, nel klinamen abissale della metafisica nichilista tramontante, eclissante.Ma affinchè appaia la presenza della storia del mithos della Physis nel campo mitico interferente non è sufficiente il sapere dell’Esserci e del mondo, ma indispensabile dispiegare il sapere dell’Essere animato che si eventua di fronte e ci incontra dall’alterità dall’aldilà. Il campo mitiko della storia del mithos della Physis si presenta nel mondo della storia solo attraverso il sapere del fondamento dell’Essere animato, il quale s’eventua sempre quale interferenza che ci incontra sempre di fronte, e viene ad abitare ontodynamicamente il dynamico campo della storia mitika dell’Essere animato.Solo il sapere dell’Essere consente di essere sempre di fronte ed incontro all’Essere mitiko nell’equilibrio del campo ontodynamico del mithos che consentirà di decostruire e creare il sentiero della storia del mithos della Physis. Il sapere dell’Essere mitiko si dispiega nel campo ontodynamico del mithos della Physis quale creazione della storia mitika del mithos, che dà fondatezza, getta nel mondo e nell’immagine del mondo mitiko le kategorie del mithos e la verità dell’Essere animato. Il sapere dell’Essere mitiko che ci viene in-contro e ci incontra nel campo ontodynamico del mithos della Physis, quale sapere mitiko dell’Essere animato, che getta nella storia mitika del mithos della Physis la sua creatività, la sua verità, la sua missione dell’Esserci, la sua immagine del mondo. Quella sapienza mitika dell’Essere mithos della Physis che si eventua sempre di fronte, quale Essere animato trascendente la semplice volontà di potenza metafisica teokratica, o nichilista o sinergetica kosmica per dispiegare, nel campo ontodynamico del mithos che crea la storia sulla volontà di verità del mithos, e sulla volontà animata, o volontà mitika della storia mitika. Mai sarà animata una nuova ontologia, ma è già trascendenza e tramonto della metafisica nichilista, epistemica, ermeneutica, paradigmatica che disvela l’immagine del mondo quale creatività dell’immagine della storia della globalità del mondo. La volontà di verità mitika fonda la Teontologia, quale sapere dell’Essere animato nel campo sacro del mithos che crea la storia del mithos e l’immagine della storia dell’Esserci globale del kosmo: la storia mitika della Physis quale misura della storia del mondo, quale ATTRATTORE STRANO della dynamis. Prima di Leibniz non esisteva una teoria dei fondamenti della ragione: il primo assioma logico dei fondamenti della razionalità moderna è rinvenibile nella frase leibniziana: "nihil est sine ratione", niente è senza ragione ovvero nessun ente può esistere senza un fondamento, senza una razionalità. Ma quando si opera l' oltrepassamento della metafisica e quando si attua la "differenza ontologica", è ancora fondamentale quell'assioma leibniziano e, successivamente, hegeliano ? Le conoscenze razionali sono confutabili sia attraverso la messa in crisi dei fondamenti sia attraverso la costruzione di una metafisica che pone ai fondamenti originari dei problemi irrisolvibili, aporetici e paradossali.La logica è entrata in crisi irrimediabilmente.Tale crisi era già, in origine, permanente? La risposta è forse rinvenibile nella contrapposizione tra il nihil est sine ratione leibniziano e A.Silesio per cui la rosa è senza perché; poiché fiorisce di sé, non gliene cale; non chiede d'essere vista.Ora, di queste contemporaneità, sorgenti in simultanea, tra nascita dei fondamenti e crisi degli stessi è intrisa la storia della dynamis.E' la storia della dynamis che si ripete e che si ritrova ad un bivio, ad una biforcazione. Fin dall'origine, nella dynamis è presente questa biforcazione o differenza ontologica originaria: quale coesistenza di due dynamis dell'ente e l'eristica quale dinamica interna, dis-cordia dell'entità. Dynamis è disposizione l’in sé l’oggettivo per Aristotele; è l’astratto universale in generale, l’idea, ed è solo potentia. Invece l’energheia, la forma, è attività, ciò che si realizza, la negatività in un rapporto di sé, unificazione di dynamis energeia e entelechia. Per Hegel questa sostanza assoluta è in sé e per sé e non ha bisogno di alcun elemento ylemorfico. I due modi della rappresentazione dell’assoluto sono la ragione pensante e l’eterno cielo. L’in sé, l’oggetto è solo dynamis, il possibile.In accordo con l’interpretazione attivistica dell’ontologia anche nella definizione di dynamis Ontologica dello spazio-tempo: PHERECYDES: 580 BC, svelò la differenza ontoteologica o mitologica del Chronos, Time, e la Chthonie o Ground o grund o meglio ab-grund quale spazialità ontoteologica o mitopoietica; ANAXIMANDER, 580 BC,disvelò l'apeiron spazio temporale quale physis infinita e senza fine infinitamente sublime dynamis, mentre Diodorus e Democritus differenziarono l'apeiron e l'archè nel cosmo quale cosmesi o bellezza finita dell'infinito sublime anaximandreo: delicate membrane spaziali o topologiche, quali varietà sferiche consentivano la sensibilità dell'apparenza o phenomena quali imago dell'estasy eonyka platonica o ideale Cronotopia della Physis Ontologica. La frattalità kronotopica dell'apeiron di Anaximandro o i frammenti dell'archè di Anaximandro consentirono alla Ontologia dello spaziotempo di Anaximandro di dispiegarsi nel vuoto nulla di MELISSUS, per eventuare una PHILOSOPHYa della temporalità nel Timaeus Platonico: lì l' apprensibile modello paradigmatco svela il comprensibile Platonico Cosmos quale adeguatezza alla verità Platonica paradigmatica. E' l'universo paradigmatico dello spaziotempo Platonico quale estasy exstatica dell'eternità , o paradigma della physis eterna che si dà solo quale fenomeno visibile dell'ideale invisibile, ma intuibile con la metafisica della verità o logos animato. Solo così è possibile percepire le differenze spaziotemporali dei phora o dei periodos o delle periphoras o dei kykleseos: tutti misurabili secondo il paradigma pitagorico dell'identità tra aritmos e curvatura dello spaziotempo, in una sublime armonia cosmica e mousikale quale perfezione ideale delle eterne sphere spiralimorfe Platoniche. Si dà così la continuità dello spazio tempo in dinamica sublime e in infinito apeiron sublime, ma apparente nei fenomena quale discreto e finito, anzi aritmos, senza ritmo, in stasi inerziale o contrastanza ob-gettata o gegenstand istantanea, attimo, momentanea o atto, o essere solo in atto, o apparire nei fenomena solo nell'esserci dell'atto discreto quale singoralità temporale del presente, o apriorità dell'archè della kronotopia infinita. E' la differenza nella temporalità che si dà quale aritmos della presenza per creare la trascendenza al passato ed eventuare la possibilità eventuale del futuro, o futuro anteriore o eterno ritorno o apokatastasy ciclica o in lineare sequenza: Zeno Docet.Finito ed infinito non sono possibili nella stessa frazione di tempo: l'apeiron dovrà essere frammentato ed i suoi frattali fondare la rigorosità e l'esattezza, altrimenti la divisibilità o l'analitica o la dyairesis infinite possono creare dei paradoxa spaziotemporali infiniti. Aristotele inventò così le distanze discrete irriducibili nella temporalità kategorica memore delle omeomerie anaxagoriane, ma sempre nella dynamis dell'essere in atto nella presenza e di essere in potenza nel futuro o nel futuro anteriore quale passato.Leibniz nei Fundamenta Theoria Motus Abstracta del 1671 svelò una PHILOSOPHY Ontoteologica dello spaziotempo quale relatività Leibniziana della simultaneità degli eventi: Gödel si ispirò a quel paradigma per immaginare l'apokatastasy kaosmika, ma quella sarà un'altra sublime story della dynamis, qui invece si è in presenza del versus Newton o della monade versus la gravità. Newton pensò al paradigma del tempo ab-soluto quale ab-soluta verità del tempo mathematico, la cui durata può essere misurata con il pensiero calcolante degli infinitesimi microkronotopici ma non-infinitamente divisibili: è il Newton versus Leibniz o la syntesy dell'analitica degli eventi temporali: Gravità-Newtoniana dello Space-Time in contrastanza con la relatività della simultaneità degli eventi della monade dynamica sublime. Newton nei Principia immagina gli eventi instantatei con un paradigma empirista o non si cura di spiegare la struttura ontologica dell'evento dynamico, mentre Leibniz con la sua ontoteologia della monade svela una metafisica ermeneutica della verità che si eventui sia nei fenomena, sia nelle verità nascoste o kryptate o non ancora in dis-oblio nella mente sublime ed infinita della divinità dynamis: è la Leibniz-Theory della Temporalità Ontoteologica che si dà quale nuovo paradigma della Leibniz-Theory dello spazio tempo, giacchè nella struttura ontologica della monade non c'è più differenza sia nell'intra che nell'extramonade, quale mondità, o mente sublime ed infinita della dynamis-divinità. Leibniz nei Mathematicarum Metaphysica del 1715 explicita definitivamente la struttura ontologica degli eventi simultanei dello spaziotempo quale dynamis sublime delle intramonadi o delle extramonadi in sistole e dyastole o quali intermittenze sublimi della struttura ontoloca della monade: è l'ermeneutica della temporalità o l'interpretazione dello spazio tempo intuitivo, quale consapevolezza dell'adeguatezza della metafisica della verità fenomeniche, o kriptate quali eventi virtuali nella mente sublime della divinità o monadea o eventi dynamici sublimi noumenici o noetici del pensiero pensante. Russell nella sua riscoperta critica del paradigma Leibniziano introdusse l'immaterialità post-newtoniana, ma le conferì un paradigma logico e non ontologico, tanto da intraprendere una controversia con il suo coevo Whitehead, più in proximità con il paradigma Leibniziano. Axiomi degli eventi dinamici delle monadi eventueranno una cronodinamica della PHILOSOPHY del Tempo di entità imaginarie o entità metafisiche immateriali e virtuali, un bel parodosso giacchè le entità nell'immaginaririo non ci sono o sono latenti o kryptate nella mente sublime della divinità-dynamis monaDea. Gottfried Leibniz pensò quegli assiomi virtuosi e virtuali come paradigmi epistemici o metaontologie o ontoteologie matematiche. Christian Wolff invece quali axiomi della mathematica della physis e quindi dello spaziotempo: è il Methodo dell'Analytica dello spazio tempo che tanta fortuna addusse a kant e ai Mathematici della Durata e della magnitudine dei quanta spazio-temporali, così Christian Wolff eminente philosofo della Germany promosse Leibniz nella philosophya universale. Leibniz aleggiò quel paradigma nell' Analysis Situs, o Geometrya della Situatione emotiva o cronodinamica della monadea, lì gli axiomi della Geometrya Euclidea si disvelano quali assiomi della metafisica delle verità fenomeniche e virtuali e perciò assiomi di una geometria immaginaria, senza entità ilemorfiche, quasi una ontoteologia topologica o una metaphysica topologica o geometrica o metamatematica o ontologia della mathesis della monadea. Leibniz nei fragmenti del 1671 definì la quantità come se fosse il chiasma o l'apokatastasy della qualità spaziale e simbolica: l'infinito è il simbolo della qualità di un logos virtuale e così l'infinitesimo, o lo zero della mathesis. Quantità e adeguatezza degli eventi si riflettono nella qualità della monadea, quale innovativa Philosophya del Tempo in alterità con la Classica Philosophya che da Aristotele dominò in Europa , una differente versione del Mythos Rhapsodico di Chronos: quale movimento o ontodinamica immaginaria dell' eternità o ontokronia cronodinamica della monadea. Leibniz nella celebre controversia si ispirò a Plotino quasi presago di una virtuale relativity-theory. Plotino disvelò l'estasi del tempo quale autoevento dell'esserci nella mondità o dell'esserci della monadea. Plotino decostruì sia l'ilemorfica interpretanza del tempo sia l'ideale armonia cosmica platonica per eventuare una paradigmatica e ab-stracta interpretazione della temporalità sublime: definì quasi una philosophya del tempo immaginaria, cioè senza l'entità ilemorfica, Leibniz dispiegò quella intuizione per immaginare l'interpretanza o l'ermeneutica dell'evento immaginario nell'intra-extramonade virtuale, quale struttura ontologica o gestell dello spazio-tempo immaginario o metalogica matematica immaginaria come entità immaginaria. Plotino fonda sull’Essere Infinito evento della singolarità, quale Abisso vertiginoso di oscurità, perché insondabile, l’Essere di Parmenide che tutto comprende e, perché tutto comprende, di esso non si può dire nulla. L’abisso assoluto dell’Essere è una intuizione sfuggente che può divenire però più stabile quando c'è nell’Abisso e Silenzio la prima intuizione della consapevolezza come Infinita singolarità nella sua assolutezza vertiginosa di Abisso e Silenzio , l’Infinità in sè assolutamente vuota, atto puro: trascendenza della purezza, pensiero pensante, oltre cui c’è l’abisso e silenzio mistico. Essere abisso infinito dell’essere in Essere come momenti dynamici all’interno dell’Infinito: Agostino docet: Platone, il più puro e il più luminoso di ogni filosofo, ha dissipato le tenebre dell’errore ed ora risplende specialmente in Plotino, un platonico così simile al suo maestro che si penserebbe vissuto insieme o piuttosto, dato il periodo così lungo che li separa, che Platone sia nato di nuovo : attorno alla rosa c’è il profumo e il profumo non nasce dopo, nasce con la rosa, e, se essa è eterna, coeterno è il profumo in essere perfetto che si crea dal niente: vibrazioni dynamiche coeternamente esistenti nell’essere infinito. Infinito nei suoi infiniti livelli di manifestazione, la dimensione immateriale del mondo: l’Infinito si pone su infiniti piani con vibrazioni dynamiche: l’Essere costituito da infinite dynamis è l’intuizione di Plotino e verrà poi ripresa da Leibniz: il discorso di Plotino sarà il discorso di Leibniz, ma in Plotino si intuisce la relatività del tempo. Platone pensò al tempo quale immagine dell’eternità o spazio di tempo dell' eternità dell’essere: Se nessuno chiede cos’è il tempo io so che cos’è, lo intuisco, ma se qualcuno chiede di spiegare che cos’è il tempo di Plotino o Tempo immagine il più possibile perfetto dell'eternità del mondo ideale, non si trova niente di meglio che l'immagine mobile dell'eternità che procede secondo il numero. Giorni, notti, anni, sono forme del tempo che imita l'eternità e si muove secondo il numero. Tutti i movimenti celesti si misurano con i numeri. Tutti i tempi astrali sono coordinati nell'unico cosmo, regolato dal tempo o ciclo universale in cui tutti i celesti astrophysis ritornano esattamente alle loro primitive posizioni di partenza: il numero perfetto del tempo compie l'anno perfetto.Il tempo in questo senso è un numero, cioè un'armonia matematica. Il tempo cosmico dell'anima mundi. Il tempo fu fatto insieme col cielo, generati insieme, insieme si dissolvano. Il tempo nasce, o il cosmo inizia in assoluto, secondo un'equazione rigorosa:ciò che diviene, ciò che è fisico, per natura nasce , mentre soltanto ciò che non nasce è eterno. La nascita del cosmo procede dal disordine caotico dell' ilemorfica purezza. L'eventuale dissoluzione ci sarà nel sensibile non perfetto: idee del cosmo trascendente che non inizia in alcun tempo; soltanto Platone fa nascere il tempo. Proclo nella sua Fisica invece immagina ogni anima inserita nel cosmo regolato da rotazioni dynamiche e apocatastasi immaginarie o L'ESTASI DEL tempo dynamico in estasi, fuori di sé. Tutta l' esistenza fisica e i moti dell' anima, si sublima per Plotino in un'estasi suprema, in attimi di dynamis: l'intuizione plotiniana dell'aldilà, dell'atemporalità, della sopra-temporalità, o della pre-temporalità del flusso, della costituzione del flusso quale apprensione o varietà d’apparizioni immanenti nel tempo preempirico o oggetto temporale, con la sua durata oggettiva per l'oggetto spaziale o oggetto temporale nel tempo trascendente nell' eterno flusso eracliteo, secondo una prospettiva temporale analoga alla prospettiva spaziale. Così in ogni istante è custodita, curata, sigillata l'intenzionalità in relazioni temporali di anteriorità e posteriorità in sé, o un principio di descrizione dei fenomeni dinamici: il tempo è un fenomeno, un cambiamento dinamico immanente complesso, o che trascorra e accada ad immagine del cambiamento, possiede una direzione, una continuità, tutti fenomeni dinamici presuppongono il tempo, dunque il tempo è qualche cosa di temporale: paradosso assoluto della temporalità fenomenica. I fenomeni del flusso dinamico assoluto, o del flusso in quanto fenomeno temporale dell'intenzionalità longitudinale virutale, quale singolarità dell'evento della monade disvelano l'estasi della trascendenza. L'intenzionalità longitudinale o ab-scissa si differenzia dall'intenzionalità trasversale o transfinita per la sua fenomenologia non inerente o non aderente verso gli oggetti temporali, ma verso le fasi di apparenza delle entità spaziotemporali: le due intenzionalità, longitudinale e trasversale, sono inscindibilmente intrecciate talchè l'intenzionalità longitudinale non si realizzi parallelamente all'intenzionalità trasversale, l'autoapparenza del flusso non implica la confusione dell'intenzionalità pre-egoica o pre-oggettiva: un archi-movimento, un flusso dynamico, uno scorrimento, un allungamento, una dilatazione, una ditensione si trovano nel tempo come un fenomeno dinamico temporale o intratemporale. Platone e Aristotele hanno pensato il tempo-metabolè, ma il tempo non è definito dal tempo: qui c'è il rifiuto di fare dell'anima il sito originario del tempo; senza l'anima che numera e che conta, il tempo, il numero del movimento, non c'è; il tempo, per essere, ha da essere animato; senza l'anima, il tempo esisterebbe solo in potenza, perché ha la sua origine nei movimenti dimamici. È aderenza al movimento dinamico e non inerenza dell'anima. Aristotele pensò l'esistenza quale movimento dinamico interno dell'anima e come tutti gli altri movimenti del mondo, si svolga nel tempo ma la descrizione dello svolgimento temporale è possibile solo su una alterità. Plotino immaginò il tempo con un movimento o un archi-movimento, quale arckè della dynamis dell'anima della mondità. In apparenza il tempo non può essere il movimento, perché il movimento è sempre nel tempo. Plotino identificò il tempo con il movimento della verità o meglio con la disvelatezza, o alètheia, dell'anima come anima del mondo. Ma che cosa è il tempo? Non è niente altro che il movimento dynamico dell'anima, movimento da cui provengono originariamente l'anteriore ed il posteriore; ma l'anima non è nel tempo. Così l'anima è la prima a giungere fino al tempo, genera il tempo e lo possiede coi suoi propri atti: movimento dell'anima che dà nascita al tempo è un movimento dynamico non sensibile. L'anima temporalizza il tempo e la vita stessa dell'anima: il tempo è la vita dell'anima che consiste nel movimento dynamico nel quale l'anima passa da uno stato di vita ad un altro, il tempo è la distensione della vita dell'anima intempora o supertempora: è l'eternità di Plotino o Agostino: il tempo è nell’anima del mondo, o nell'extramonade quale apprensione del tempo come processo compreso e determinato dalla misura dell'intratempora . Agostino vi afferma che il tempo è impensabile al di fuori di ciò che accade nelle tre dimensioni del tempo futurum, praesens, praeteritum. Questi due tempi, dunque, il passato e il futuro, come sono? Poiché, se si tratta del passato, non è più, se si tratta del futuro non è ancora. In quanto al presente, se fosse stato sempre presente e non se ne fosse andato nel passato,nec in praeteritum transiret, non sarebbe il tempo ma l'eternità. Con Plotino la soggettività-spiritualità del tempo diventa possibile. Il tempo è spirituale, soltanto: l'attesa, l'attenzione, la memoria che, tendendosi verso il loro oggetto, provocano nello spirito una distensione come distensio animi. Kant invece distinse il tempo come forma pura dell'intuizione dai contenuti sensibili e dagli oggetti empirici, e concluse per la sua permanenza. Quindi il tempo, nel quale dev’essere pensata ogni variazione delle apparenze, rimane, e non muta, poiché esso è cio in cui la successione e la simultaneità possono essere rappresentate soltanto come sue determinazioni. Kant rifiutò il tempo passante, ma non rifiutò l'alternativa stessa del cambiamento e della permanenza, poiché attribuì al tempo proprio l'invarianza strutturale, la permanenza, il tempo non passa mai, rimane. Kant distinse la forma pura del tempo dalle intratempora fenomeniche, pensò il tempo dell'intratempora, poiché può solo rimanere ciò che è suscettibile di cambiare, oppose la durata al tempo spazializzato, concepì la prima come una specie di flusso, di cambiamento continuo a differenza del tempo matematico che potrebbe accelerarsi dinamicamente, e persino infinitamente. L'elaborazione del concetto di tempo estatico plotiniana o temporalità non significò una successione delle estasi. L'avvenire non è posteriore all'essere-stato, a sua volta non è anteriore al presente. La temporalità si temporalizza come avvenire essendo-stato-presentificante, il tempo non passa né dimora, ma si temporalizza. La costituzione estatico-orizzontale della temporalità si dà in temporalità autentica e inautentica: tra una temporalità originaria che appartiene al Dasein-dynamis, e un tempo derivato o cronometrico. La temporalità originaria è fondata nelle estasy temporali del Dasein-dynamis: l'attesa, la presenza e la cura: essere-in-attesa, custodire e presenziare non sono soltanto i modi in cui afferriamo l'una volta, il presto e l'adesso, delle modalità della coscienza , ma sono proprio la loro origine; essere-in-attesa non è una modalità della coscienza del tempo, ma il tempo stesso nel suo senso originario ed autentico: il tempo è pensato ancora da Agostino nella fenomenologia originaria della soggettività ontologica o Dasein, è il Dasein-dynamis che dà il tempo ai cronometri: l’aspettarsi-discordante-presenziare dell'esistenza inautentica è la possibilità dell'esperienza volgare di un passaggio del tempo, ciò non implica forse che il passaggio del tempo sia un modo legittimo di apprendere il fenomeno temporale in una coscienza in dinamica continua, in un flusso dynamico eracliteo. Il tempo è rigido eppure il tempo è dynamico e fluisce. Questo è il problema: comprendere come da una temporalità formale ed immutabile, la temporalità estatica non conosca successione, e si possa derivare qualche cosa come il fenomeno del passaggio delle cose nel tempo, o piuttosto il fenomeno del passaggio del tempo stesso, il tempo appreso come successione di istanti della presenza, nel suo concetto metafisico di tempo o ontologia tradizionale come successione sul modello dell'intratempora. E' l'immagine ricorrente del flusso dinamico, già in Simplicio e nel neoplatonismo, intratempora del tempo e la sua soggettività-spiritualità. Il tempo nasce e si dispiega dinamicamente fra esserci e mondo. Mentre per Aristotele lo spazio è finito in estensione ma continuo e quindi divisibile all'infinito, il tempo è un numero , anzi il tempo è il numero del movimento dinamico secondo il prima e il dopo, è l'infinito dinamico almeno potenziale. Aristotele distingue fra intelletto dinamico e passivo. Il passivo è la natura ossia l’intelletto in sé che nell’anima ha sensazioni e rappresentazioni. Quando il nous dinamico è in sé e per sé egli è solo cio che è e questo soltanto è eterna e immortale dynamis. La singolarità dynamica è l’essere puro. Il mondo dynamico e molteplice trae origine dalla molteplicità delle forme della dynamis visibile e invisibile o che ami svelarsi o disvelarsi quale dynamis di Eraclito nelle dinamiche materiali e immateriali, fisiche e storiche, interne ed esterne all’esserci. Non è solo una caratteristica fisica della materia ma anche una struttura ontologica della dynamis. L'essere dinamica degli eventi nella dynamis è la visione di Platone: Ogni far-avvenire di ciò che dalla non presenza passa e si dà nella presenza è poiesis della dynamis. Anche la physis, il sorgere di per sé, è una dynamis, è poiesis . La physis è anzi dynamis nel senso più alto e nobile e sublime . E' il disvelamento dynamico dell' aletheia, verità della dynamis quale disvelamento, o verità in dynamica aletheia. Giacché nel disvelamento si fonda ogni dynamica . L’evento decisivo della dynamis sta dunque in questo disvelamento, cioè dispiega il suo essere nell’ambito in cui accadono disvelare e disvelatezza, dove accade la verità della dynamis. Ma il disvelamento della dynamis non si dispiega in evidenza, bensì vige anche kriptato nella kronotopia dinamica per eventuarsi custodito in un altro disvelamento o GESTELL , l’imposizione della dynamis nella physis come disvelatezza dell'evento della dynamis o costellazione in cui accade ciò che costituisce l’essere della verità della dynamis. Holderlin pensò che la dove c’è il pericolo là c'è anche la dynamis che salva, nel pericolo si mostra anche la possibilità di quella svolta in cui l’oblio dell’essenza dell’essere si rivolge. Questo oblio non viene semplicemente messo da parte, accantonato, bensì esso viene esperito come richiamo al fatto che l’oblio, il restar velati, appartengono allo svelamento. Ciò che salva non sta al di fuori della dynamis. Anzi, si fonda nella sua essenza, quale soggiornare senza tramonto o dynamis, là dove la verità si dà come aletheia, come svelatezza della dynamis, là dove già da tempo soggiorna la dynamis. Se è desto l’abbandono e l’apertura alla dynamis, si raggiunge quella via che conduce ad un nuovo fondamento della dynamica, il grande sentiero non ha porte, migliaia di strade vi sboccano , quando si attraversa quella porta senza porta, si cammina liberamente tra cielo e terra. Si tratterà infatti di lasciare entrare nel mondo la dynamis. Kant pensò nella Critica della ragion pura: In qualunque modo e con qualunque mezzo una conoscenza si riferisce a oggetti, quel modo, tuttavia, per cui tale riferimento avviene immediatamente, e che ogni pensiero ha di mia come mezzo, è l’intuizione. Ma questo ha luogo soltanto a condizione che l’oggetto ci stia davanti, affinché avvenga l’intuizione, deve esserci una relazione tra l’infinita intuizione e l' aletheia della dynamis del cuore che non trema della disvelatezza di quella radura luminosa o dynamica radura luminosa non-dicibile del soggiornare nel mondo senza eclisse e senza fondamento. Come può nascondersi davanti a quello che mai tramontanta o dynamis, quello che mai tramonta, quello che costantemente sorge, emerge , Eraclito la pensò quale dynamis della physis o insorgenza, il sempre perdurare disvelamento in opposizione dell’occultamento. Ma il pur tuttavia mai tramontare significa sia disvelamento che nascondimento: La physis ama nascondersi , la physis ama la dynamis del nascondersi e del disvelarsi, non-nascondimento e occultamento sono in relatività dinamica spazio-temporale. La physis è un emergere ed è metamofosi metabolica o katabolica, il sorgere è come tale già sempre incline al chiudersi. Disvelamento e Nascondimento non sono pensati come due avvenimenti distinti e semplicemente giustapposti, bensì come una sola e medesima dynamis, tenendo sempre presente la loro irriducibile differenza ontologica, la dynamis di astrophysis/mondo e mondo/astrophysis quale dynamis della physis. La physis illumina ad un tempo ciò su cui e ciò in cui l’esserci fonda il suo abitare. In ciò che sorge è presente l'astrophysis come nascondente proteggente. Su di essa l’esserci fonda il suo abitare nel mondo. Ma cos’è il mondo? è il luogo dove cadono le dinamiche essenziali della dynamis. Da ciò si può pensare che il mondo non sia già aperto, ma che invece si apra a partire da un fondo che resta costantemente chiuso, mondo e astrophysis sono essenzialmente diversi l’uno dall’altro e tuttavia mai separati. Cioè il mondo si fonda sull'astrophysis e l'astrophysis sorge attraverso il mondo. Mai il mondo dunque potrebbe aprirsi se non a partire dal richiudersi in sé dell'astrophysis. La relazione nella quale le dinamiche si elevano all’autoaffermazione della propria essenza . Nella dynamis ognuno porta l’altro al di sopra di ciò che esso è. Mondo e astrophysis sono sempre in dinamico conflitto, poiché solo come tali prendono il loro posto nella dynamis di illuminazione e nascondimento. Ma sarebbe sbagliato pensare che il mondo sia solo l’aperto corrispondente all’illuminazione e l'astrophysis solo chiuso corrispondente al nascondimento, poiché la dynamis giunge al culmine nella semplicità di ciò che è intimo, per questo nel corso della dynamica, ha luogo la singolarità dynamica . Ciò che è opposto concorda e dalla dynamis l’armonia più bella è sublime, quell’armonia è il modo fondamentale con cui la physis si dispiega e disveleli la dynamis degli eventi e l'astrophysis. Analogamente at-trae i contendenti verso l’origine della loro singolarità o quale eristica della Verità tra rivelazione e nascondimento: la dynamis in quanto disvelatezza dynamica della singolarità espone un mondo, ma l’esposizione di un mondo è solo uno dei due caratteri fondamentali di quell’essere dynamis, ciò in cui la dynamis si ritira e ciò che in questo ritirarsi essa lascia emergere è l'astrophysis. Eraclito Pensò la dynamis quale sublime e più potente armonia nascosta di quella che appare nei fenomeni o negli eventi. L’Ereignis è l’evento della dynamis e con cui l’Ereignis si disvela o ritorna: lo svelarsi e il ritrarsi, cioè la disvelatezza e la velatezza della Physis, dell’Aletheia, dell’essere e della verità. Quella natura dynamica è la Physis, che poggia su quell’Eriegnis dal quale la Dynamis originaria si leva per imprimere il suo moto. Dynamis dell’esserci è l'astrophysis, poiché l'astrophysis, come Dynamis originaria è l'evento dell'astrophysis è l’Ereignis del MUTAMENTO della dynamis. Il mutamento dell'astrophysis chiama e dynamizza è Aperto all’Aperto, fa si che nei fenomena si manifesti il mondo quale Ereignis della dynamis. Allora l’essere dynamico sarebbe un modo dell’Ereignis-dynamis e non l’Ereignis-dynamis un modo dell’essere dynamico. Così l’Ereignis-dynamis si eventua nella Lichtung-dynamis, nel luogo della silente ferma calma dove da sempre ERACLITO la contemplò quale dynamis dell'alterezza, dell'insorgenza che mai tramonta o è metabolica in mutamento dynamico o eristico fluire e trasformarsi di tutte le astrophysis. Lo stato di quiete che appare, nei fenomena, non è altro che un instabile equilibrio fra forze e interagenze eristiche della dynamys disvelata. La verità che la dynamis annuncia è che il conflitto dei fenomena è solo apparente, in quanto gli opposti sono una sola e medesima eventualità, in quanto al di là vi è una dynamis che li sovrasta. Eraclito svelò per primo l'ontologia della dynamis, giacchè ERACLITO dispiegò l'ontologia della physis e dell'astrophysis, prima di lui la dynamis è indicibile, inaudita, incredibile, mitologica poietica: indicibilità e innominabilità fisica e metafisica o forse solo ermeneutica certamente non-epistemica e non-metafisica, è intraducibile e difficile da comprendere, necessaria di un pensiero e di un pensare diverso per essere colta nella sua essenza, ma che può essere pensata già come comprensione della Dynamis vuota. Il vuoto, questo nulla della dynamis, è ciò che la dynamis è come recipiente che contiene non consiste affatto nell'ilemorfica ma nel Vuoto Dynamis o ciò che non c’è, quale instabile dynamica del vuoto o increspatura della dynamis del vuoto, del nulla. Il vuoto dynamico non esiste: esiste solo ciò che è. Ma ciò che è esiste solo in quanto viene dal vuoto dynamico. Il vuoto della dynamis non esiste, non può essere in alcun modo afferrato, però fa essere dynamis o evento della dynamis l’essere, quale instabile e dynamico movimento del vuoto dynamico della physis è l’eccedenza della natura che genera e distrugge è in gioco o scende in campo la sublime potenza della dynamis. Ogni singolarità ha a che fare con lo smisurato o il sublime dynamico. Nei momenti estremi lo smisurato si presenta nella forma di una discontinuità, di un’apparizione e di una rottura dynamica o della dismisura sublime o physis, l’essere nel fui, l’essere già da sempre ciò che è, la perfezione dynamica dell’essere, il già da sempre compiuto nel suo movimento dynamico: non ha inizio, e ogni evento astrophysico si inscrive in quell' inizio, origine in-principiata, non discende dall’origine: si è l’origine dynamica perché contiene in sé tutto il suo movimento, è sempre in se stessa dynamis. L’origine è il caos-dynamis, e la configura del caos è l'astrophysis, come lo spalancarsi nel momento dello spalancarsi, mi apro, mi spalanco, è nella dynamis dello spalancarsi; quindi l’origine è intemporale. Dentro il kaos si struttura stabilmente la dismisura dynamica e la misura, ma l’apertura originaria è originaria nel senso che non c'è tempo, si è sempre lì. Eraclito Pensò la dynamis del kaos come physis e astrophysis Smisurate e senza misura, autosufficienti in sé, smisurate giacchè senza fondatezza o abissalmente fondate nella physis dynamica eccedente, incommensurabile aldilà di un possibile modello epistemico, ma solo quale dynamis-ontologica, una ontologia della dynamis o un'ontologia dell'essere dynamis quale misura dello smisurato: la dynamis è misura di tutti i fenomena ma è anche misura dello smisurato nel senso che definisce la misura: è lo sfondo della meson aristotelica, perché il kaos è l'apertura, nel suo dispiegarsi, manifesta anche i fenomena in un ordine astrophysico. La singolarità dynamica è incommensurabile, è misura dello smisurato, misura tutte i fenomena o meglio le definisce ne riconosce l'andamento, il ritmo, la scansione, il kairos-dynamis, il momento dynamico opportuno. Aristotele stabilisce quando il kairos-dynamis sia stabile nelle dinamiche astrophysiche della physis o cosmesimo: l'anelito all'infinito, la dynamis dell'infinito, il sentirsi nulla di fronte alla Dynamis sublime, quale singolarità del nulla, o nulla dynamico e smisurato o dismisurato che appare come nulla dynamico, nel senso di dynamis inafferrabile e immaginaria. Non c'è una misura mondana della potenza della Dynamis: non si afferra mai e che in un punto e non la si trovi, si inabissa e si disperde come in un labirinto Dynamico silenzioso e disperante nell'apeiron. La dismisurata dynamis è la misura dell'astrophysis, nata dall'ontologia della dynamis, dalla sua infondatezza. L'ontologia della dynamis è l'infondatezza, dal suo nulla dynamis il mondo dell'astrophysi si dà, si eventua è sullo sfondo della sua infondatezza, è anche sullo sfondo della sua dynamis. La grande formula leibniziana, perché l'essere dynamis piuttosto che niente è una formula ontologica che eventua anche la dynamis fenomenologica. Per spiegare il moto non si ragiona più a partire dall’impulso, ma dall’assoluta quiete o dall’assoluto movimento della dynami. Qui giganteggia Leibniz, o la dynamis nell’evanescenza Dynamica sublime: cos’è il virtuale, se non Dynamis. Dynamis sarà allora la curvatura spaziotemporale della virtualità cosmica o astrophysis ontologica della dismisura. Il senza-fondamento della dynamis è l'evento per una ermeneutica dell'astrophysis o per i fenomena della curvatura spaziotemporale possibile o dynamis della physis. La dynamis è l’artefice della curvatura dello spaziotempo dell'astrophysis degli stessi fenomeni epistemici o della spiegazione di un fenomeno, di ogni fenomeno ontologico o il senso dell' esserci della STRUTTURA DINAMICA degli eventi. La struttura ontologica della dinamica è la purezza della transcendenza dal non-essere all'essere, o dall'essere al non-essere ontologico. Dynamis che include il momento dell'essere e del non-essere o la dynamica dell'essere-non-essere ontologica. Nell'essere esiste il movimento, l'essere è ma il non-essere non è una sorta di nulla che aleggi là per là in modo vago, anzi la stessa struttura ontologica dell'essere dynamis includa l'alterità. Non solo il non-essere è, il non-essere è l'altro. Dynamis è dire che è altro o l'insorgenza del non-ente che mai tramonti. Il non-essere è l'altra dynamis. Platone Afferma l'essere del non-essere quale dynamis, anche solo quale ideale o eidos del non-essere, figura del non-essere, dynamis immaginaria senza la presenza dell'entità. L'essere è il non-essere quale dynamis dell'alterità. Platone pensò così il movimento della dynamis dell'essere e del non-essere. Per Aristotele invece la dynamis tra l'essere e il non-essere ontologica o metafisica di essere dynamis si converte in una epistemica o fenomenica astrofisica. Aristotele pensò la dynamis quale movimento, trasformazione, cambiamento o il movimento della astrophysis sempre mobile: c'è qualcuno o qualcosa che si muove dall'essere al non-essere; ma chi si muove dynamicamente? Aristotele pensò all'esserci che ha la potenza, dynamis, di essere alterità. E che il movimento è un modo di essere-in-atto, dynamei ontos entelekeia a ateles, quale momento dell'essere e momento del non-essere, dynamis, potenza dell'astrophysica metafisica o una astrofisica dell'essere, è una struttura ontologica; una struttura ontologica dinamica, o metafisica dinamica o teoria dell'atto e della potenza. La potenza o dynamis è la possibilità, la potenzialità che ha la dynamis di un mutamento della physis di Eraclito, poiché il fuoco non è una sostanza statica, ma sempre mutevole, Eraclito postulò una dinamica dell’essere, alla base di tutti i fenomeni: uno stato continuo di flusso , panta rei, o essere, la faccia nascosta della Natura, macroscopica e microscopica. Anassagora propose non solo che la materia fosse infinitamente divisibile,sia nello spazio che nel tempo, ma che la divisione generasse un sistema infinito ulteriormente divisibile all’infinito, quale infinita varietà di tutti i fenomeni, fisici. Solo l’equilibrio tra di loro può generare un cosmo ordinato, ma è un equilibrio instabile, per cui il mondo è in continuo cambiamento: la discordia è necessaria perchè vi fosse mutamento e movimento dei fenomeni naturali, l’archè dei fenomeni però si incentrò nei numeri interi, intesi come punti geometrici, raffigurabili spazialmente, esistenze aventi consistenza fisica, secondo precise figure geometriche. L’esistenza dello spazio, che contiene in sé sia gli oggetti stazionari che quelli in movimento, e perciò può essere sia pieno che vuoto, ma la physis è la prima manifestazione dell’essere nella Metafisica aristotelica interpretata da un fisico, non un matematico. Platone è un matematico. Aristotele invece, non usa il discorso mitico, ma concetti come dynamis o energheia, dove il dynamaion equivale quasi a ciò che viene pensato nella methexis. Il dynamaion è ciò che di per sé non è niente, è ciò che ancora non è, ma nello stesso tempo è il paradigma di qualcosa che non può essere emerso dal niente, prende vita genera autodynamicamente i Titani: Oceano, Yperìon, Divina, Fluente, Norma, Memoria, Ispirazione e Cronos, si dà il fenomeno mitologico del tempo in Cronos che odia i suoi figli giganti e non consente loro di venire alla luce, imprigionandoli, kryptandoli, le gocce del suo sangue sono ontodynamiche nel senso che generano le Erinni, i Giganti e le Ninfe, dalla schiuma del suo mare sgorga nasce e si dà o si eventua Afrodite e le stelle quale corona del Cielo, Atlante sostiene la volta stellata, geme scosso dai colpi di Zeus contro i Titani, Zeus si scaglia dal Cielo per colpire i Titani, getta la luce che annichilisce i miti, Zeus divora o ingoia Metis ed evita di essere detronizzato, Cielo chiude i figli che ha generato nel seno. Cronos conquista il mondo divorando e kryptando. Il figlio Zeus non viene divorato per la ribellione della madre Fluente, nessuno è estraneo alla dynamis mitica, che scuote perfino il Caos genesi della dynamis eterna e senza la fine , indistruttibile e kaos-cosmo, antico, principio di tutto e di tutto fine, cosmo-archè, che si avvolge come sfera intorno alla terra, dimora degli dei beati, che cammina con vortici di rombo, custode celeste e terrestre che tutto circondi, che ha nel petto l’intollerabile necessità della Natura, scuro, indomito, svariato, dalle forme cangianti, che tutto vede, che hai Cronos per figlio, beato, demone supremo della instabilità del tempo ontologico trascendente e fenomenico. L’elevazione estatica della temporalità consiste in uno sforzo dynamico dell’anima di unirsi a sé, di distaccarsi da tutto quanto possa essere ostacolo, in modo tale che sia in grado di vedere con l’occhio dell’anima la bellezza sublime. La via è una fuga da singolarità a Singolarità, la risalita verso la contemplazione estatica grazie alla immensa potenza dell’Essere dynamis: la sua inconoscibilità e la sua indicibilità non consenteno né discorso né scienza, nè epistemica nè ermeneutica, ma solo una contemplazione che vada al di là delle categorie della comprensione in quanto la dynamis è in-formale, cioè, si trova al di là o nell'essere ontologico;ogni essere che si trovi nell’universo è in bellezza sublime ontologica, capace di contemplare la visione luminosa perennemente illuminata. La metafisica di Plotino è la dynamis estatica grazie al suo non essere, al suo non avere nessuna composizione, può diventare il principio della potenza o dynamis di tutti i fenomena. Questo è possibile soltanto in quanto la dynamis rimane in sé, indifferente , una sorgente che origina tutti i fiumi pur rimanendo sempre stabile in sé; oppure, come la vita di un albero immenso, ben fondata nella sua radice e presente e diffusa senza dissiparsi in tutte le parti: come il sole dal quale viene fuori un raggio alimentato dal suo centro senza che il sole cambi per niente, quale trascendenza della dynamis, il suo modo di essere superiore ad ogni altra forma di essere, totalmente distinto da tutto e, allo stesso tempo, presente in tutto grazie alla sua bellezza sublime. La dynamis del Sole dipende dalla luce e riceve tutta la sua potenzialità da sè, la luna riceve la luce dal sole, il quale, a sua volta, la riceve dalla luce in sé o dal fondamento dynamico del fondamento della dynamis estatica che crea l’essere, si trova al di là dell’Essere e al di là della forza e della potenza quale autodinamica o autodeterminazione o dynamis della purezza. La trascendenza della dynamis consente di capire la sua potenza: tutte le cose provengono da lì, perché non è delimitata da alcuna forma: è Dynamis perché nulla era , tutto può derivare, affinché l’Essere possa esistere, non è Essere, semmai è il padre dell’Essere: contiene se stesso, se si vuole essere precisi, bisogna intendere che include in sé tutte quante le altre: in verità è tutte le cose in trascendenza, un movimento orientato verso un fine, senza la fine è il post-eventum dalla potenza inesauribile della physis. Aristotele pensò la physis dynamica quale movimento del kosmos o cosmesi della curvatura della physis quale fondamento d’essere ontologico riguardanti i fenomeni della luna e quelli del sole e degli astri, o una interpretazione paradigmatica della physis Ontologica, perché il principio esprime anche l’essere, donde scaturiscono gli enti o archêphysis. L'apeiron illimitato, infinito, indeterminato: senza fine, privo di limiti, qualitativi e quantitativi o dynamis del caos o la differenza tra archê ontologica e logica, o dynamis ontologica è la Fisica: tutti considerano l'infinito come principio, poiché non è possibile né che esso esista invano, né che ad esso convenga un'altra potenza o dynamis che quella di principio. Tutto, infatti, o è un principio o deriva da un principio: ma dell'infinito non vi è principio, perché altrimenti avrebbe un limite. Ed è anche ingenerato e incorruttibile, allo stesso modo di un principio, poiché ciò che è generato ha necessariamente anche una fine, ed ogni corruzione ha il suo termine. Per questo è la dynamis dell'infinito: non vi è principio, ma sembra essere il principio d’ogni altra cosa e comprendere in sé tutte le cose, e a tutte le cose essere guida all'infuori dell'infinito. E tale principio sembra essere la dynamis; è infatti immortale e imperituro, l'apeiron non rinvia ad altra fondazione, tanto nella sua dimensione spaziale, quanto in quella della potenza, o dynamis di stabilità contro la minaccia del nulla, senza morte e senza distruzione, physis-dynamis-apeiron una forza che va al di là o transcendenza dynamica della temporalità. Alla illimitata potenza o dynamis è consentita una infinita ed eterna vitualità di movimento infinito quale fondamento delle interazioni: nell'infinito, un moto eterno, sono possibili innumerevoli kosmoi o Microcosmo o macrocosmo o l’eternità del movimento, per cui avviene la transformazione della physis o la potenza animatrice e dinamica della physis, ma che cosa è l’essere-dynamis della physis: è solo il calcolo dei movimenti celesti o la trasmigrazione delle anime o l'estasi nei riti misterici eleusini e matematicoastronomici o la poetica sublime, ascetica, orgiastica del culto di Dioniso? Dioniso-Zagreus frantumato in infiniti astrophysis dai Titani ri-sorge autodynamicamente, dalle ceneri , portando in sé, nell’oscura dynamis propria dell’involucro corporeo i Titani quali forze telluriche o sismiche dynamiche:la sua luce dynamica, immortale daimon si inabissò nell'esserci quale entousyasmos ontodynamico. Da lì quale risonanza dynamica l'ontodynamis si eventuò quale fenomena delle muse armoniche dell'aritmos: poiché vedevano che le note e gli accordi musicali consistevano nei numeri e, poiché tutte le altre cose, parevano a loro che fossero fatte a immagine dei numeri e che i numeri fossero ciò che è primo in tutta quanta la realtà, pensarono che gli elementi dei numeri fossero elementi di tutte le cose, e che tutto quanto il cielo fosse armonia e numero. E tutte le concordanze che riuscivano a mostrare fra i numeri e gli accordi musicali e i fenomeni e le parti del cielo e l’intero ordinamento dell’universo, le raccoglievano e le sistemavano in dynamica coerenza: i corpi che si muovono nel cielo dovevano essere dieci; ma, dal momento che se ne vedono soltanto nove, allora ne introducevano un decimo: l’Antiterra: costoro sembrano ritenere che il numero sia principio non solo come costitutivo materiale degli esseri, ma anche come costitutivo delle proprietà, pongono, poi, come elementi costitutivi del numero il pari e il dispari; di questi, il primo è illimitato, il secondo limitato. L’Uno deriva da entrambi questi elementi, perché è, insieme, e pari e dispari. Dall’Uno, poi, procede il numero; e i numeri, costituirebbero tutto quanto l’universo: limite illimite dispari pari uno molteplice destro sinistro maschio femmina fermo mosso retto curvo luce tenebra buono cattivo quadrato rettangolo. Aristotele rivela:l’armonica, con la dynamica matematica degli intervalli musicali è lo stesso metodo matematico dei fenomeni astrali quale paradigma per svelare la natura degli enti: principio della dynamis metafisica o epistemica ontologica delL’univeso quale contemplazione della bellezza-sublime o struttura dynamica divina. La contemplazione dynamica del Cosmo o kosmos-dynamis è l'armonia quale struttura ontologica dell'astrophysis o bellezza sublime. La sibilla dalla bocca delirante dice cose di cui non si ride, ma lì c'è la deliranza dynamica sublime. Il signore oracolo in Delfi non dice e non nasconde, ma accenna la dynamis sublime della physis-archê o del kosmos-dynamis o della dynamis-armonica ontologica o essere dynamicamente nel cosmo. E' la dynamis cosmica dell’esserci che si nasconde, si krypta e si dekrypta nell'astro-fisica del kosmos in relatività o interagenza con la forza, o potenza o dynamis cosmica o l’essere-singolarità ontodynamica nella sua infinità, o dell’essere come dynamica spazialità cosmica. Essere-dynamis nell’universo come spazio dynamico di tutto ciò che è e può essere nel mondo ontologico. La dynamis ontologica svela la consistenza ontologica della physis e dell'astrophysis e si dissipa nel tramonto , nel klynamen, nell'insorgenza o dissolvendosi o divengendo nel mutare continuamente, così sempre sono invarianze immobili durante il ciclo dynamico della physis cosmica. Insieme dynamico, il venire all’esistenza di tale genere di cose è un’alterazione, mentre per altri è unione e separazione, che cioè fosse prodotto da esseri e da esseri preesistenti, inattingibili dai sensi . Pertanto la loro dynamis è mischiato in tutto perché la visione è quella degli enti astrophysici caotici. Ma le cose appaiono differenti e i loro nomi cambiano in rapporto a ciò che per quantità prevale nella mistione degli illimiti: non c’è nessun ente che sia assolutamente, ma ciò di cui ciascuna entità contiene di più, questa appare essere la sua physis. L’interpretazione di Aristotele è qualità unica dell’ordinamento e separazione dei contrari dalla miscela e la loro reazione reciproca nel vortice in cui ancora ruotano gli astrophysis. Il contenuto cosmogonico dei frammenti delinea uno svolgimento aperto, irreversibile, che ha nel tutto infinito e indifferenziato, l’apeiron-dynamis, la progressiva azione di un motore forza discriminante: è l’alternativa lineare al ciclo cosmico e l’introduzione di una forza-dynamis motrice intelligente, apeiron-dynamis rigorosamente dinamica, diakosmein cosmogonico è un vortice dynamis, capace di innescare la disgregazione dell’intero originario attraverso l’emergenza delle polarità fondamentali dynamiche cosmiche: infiniti elementi eterni nello spazio vuoto. Che cosa mai vuole dire il dio o la dea della dynamis? che cosa nasconde sotto l’enigma, che cosa intendiamo in generale, con immagine dynamica:alethinòn o òntos òn? pseudès dòxa? La dynamis è impronunciabile, indicibile, cosa che non può essere oggetto né di discorso, né di pensiero? invece di essere, definiscono un mobile o ghènesis che sono come quelle cui inerisce la potenza di subire o di fare, dynamis toù pàschein kài poièin, anche quando si tratti di azione? E così l’essere, appunto per questa ragione, essendo conosciuto dalla conoscenza, per tanto, per quanto è conosciuto, si muove perché subisce un’azione, la qual cosa non può accadere per ciò che sta in quiete. Ci faremo persuadere così facilmente che in realtà il moto o kìnesis, la psychè, l’intelligenza o phrònesis non ineriscono a ciò che assolutamente è, ch’esso né vive né pensa? E’ però possibile che avendo anima, stia assolutamente immobile, pur essendo appunto animato? Dobbiamo dunque ammettere che anche ciò che si muove e il moto stesso sono cose che sono, che per le cose che sono immobili, non vi è in nessuna, in nessun luogo, intelletto assolutamente, se tutte le cose si spostino, si muovano, per questo stesso discorso verremo ad escludere ancora per le cose che sono. Per chi muove da tutti i punti di vista ciò che è, ma, come la preghiera dei fanciulli vuole che quanto è immobile anche si muova, bisogna dire che ciò che è tò òn ed il tutto tò pan sono immobili ed in movimento: ciò che è, in quanto tale, la quiete e il moto. Perché il moto starebbe e la quiete si muoverebbe. Uno dei due infatti, quale si sia, nell’un caso e nell’altro, costringerà l’altro a mutarsi nell’opposto, in quanto sarà venuto a partecipare del suo opposto. Partecipano ambedue dell’identico e del diverso, dunque il moto è l’identico o il diverso o così della quiete, il moto è identico e pure non è identico, è identico e non è identico. E se mai il moto come tale partecipasse in qualche modo della quiete, non sarebbe per nulla assurdo dire che il moto è statico? Quindi il moto è diverso da ciò che è? Allora è chiaro che realmente il moto non è come essere, ed è in quanto partecipa di ciò che è? Ebbene? Su questa base forse dobbiamo dire che per noi il bello è a maggior ragione una cosa che è di ciò che bello non è? Per nulla. Più difficile da conoscere è se l'essere e l'uno siano essenze delle cose che sono e ciascuno di essi sia, l'uno essere, l'altro uno, non essendo qualcos'altro, o se si debba cercare che cosa sono l'essere e l'uno, essendovi un'altra physis; gli uni infatti ritengono che la natura dell’essere e dell’uno sia in un modo, gli altri nell’altro. Platone pensò l’essere dynamis illuminato dalla verità e dall’essere, è potenza trascendente: essere si dice in senso accidentale e per sé kath’autò. Essere per sé sono dette tutte le accezioni che ha l'essere secondo le figure delle categorie; tante sono le figure delle categorie e altrettanti i significati dell'essere dynamis. Poiché, dunque, alcune delle categorie significano l'essenza, altre la qualità, altre la qùantità, altre la relazione, altre l'agire o il patire, altre il dove e altre il quando: ebbene, l'essere dynamis ha significati corrispondenti a ciascuna di queste. Inoltre, l'essere e l'è significa, ancora, che una cosa è vera e il non-essere e il non-è significa che non-è vera, ma falsa; e questo vale tanto per l'affermazione quanto per la negazione, l'essere o l'ente significa, da un lato, l'essere in potenza o dynamis e, dall'altro, l'essere in atto o dynamis attante. I confini dell'anima, psychès peirata, non si trovano, quando si cercassero, talmente sono profondi, l'anima seguita ad esistere conserva potere e intelligenza:dynamis: c’è chi, ponendo intorno alla terra un movimento vorticoso, immagina che sia tenuta ferma da questo moto del firmamento; e c’è chi immagina la terra come una madia piatta, e sotto le pone l’aria come sua base e sostegno. Ma quel potere o dynamis onde cielo e terra si trovano disposti come fu possibile un giorno fossero disposti nel modo migliore, codesto potere dynamico né lo ricercano né credono abbia alcuna sua forza divina; bensì credono di poter ritrovare un Atlante assai più forte e più immortale di questo, e meglio capace di contenere in sé , la bellezza in sé, màthesis della dynamis: o dynamis contemplata dalla metà archès o immaginazione eikasìa-archà-physis. Ogni màthesis dynamizza una conoscenza preesistente: màthesis o epistemik physis in relatività dynamica o perfezione cosmica. In particolare utiliza l'idea di forza come essenza della materia e di spazio come relazione della dynamis inseriti in una armonia prestabilita o l'essenza assoluta dello spazio, che assieme al tempo assoluto sono dal punto di vista epistemologico aristotelico forza o dynamis dell'ordine cosmico, Specimen dynamicum. In esso senza mai separare il rigore della prudenza storica dalla dynamis di una raffigurazione ermeneutica, produce una nuova visione dotata di regole morfo-sintattiche e ogni fenomeno fisico può essere ricondotto a fenomeni dynamici o potenza generatrice con in sé il principio di ogni mutamento, di ogni moto e principio di mutamenti. La fisica di Aristotele fu la scienza generale dei mutamenti nella natura; i fenomeni fisici erano quindi ridotti agli urti tra le particelle considerate indivisibili. L'unico effettivo antagonista della concezione meccanicistica fu Gottfried Wilhelm Leibniz che propose una paradigmatica del tutto alternativa:la dinamica di Leibniz. La nascita della dinamica , ovvero una teoria che spiegò il moto quale effetto di forze, dynamis , l'equivalenza cinematica si fondò sull'idea di forze esterne quali cause dinamiche che determinano le deviazioni dal moto rettilineo-uniforme inerziale o "fondamento" dinamico . Ma la dinamica d'attrazione non era riducibile ad un meccanismo di puri urti, agendo a distanza nel vuoto, erano comunque comprese in termini di un meccanismo di bilanciamento in un equilibrio statico. Il mondo-macchina o 'assolutezza' del moto, sottostante alle apparenze cinematiche, è propria di un moto ridotto a differenza di posizione: il moto non ha una realtà propria; assoluta e reale è solo una differenza di posizione che, comparendo nei moti rotatori, permette di rivelare una rotazione assoluta, quindi un moto assoluto ed uno spazio ed un tempo assoluti, esistenti indipendentemente dai fenomeni fisici. E' la negazione della relatività del moto su un piano dinamico che sembrava determinare l'affermazione della cosmologia . Ed è lo spazio assoluto, coincidente con lo spazio infinito della geometria euclidea, che si impose definitivamente sulla concezione del cosmo spazialmente finito aristotelico-tolemaico. René Thom sosteneva esistesse una priorità ontologica del continuo sul discreto e cita Aristotele, la Fisica: E’ chiaro che l’illimitato apeiron è causa solo in quanto hyle e il suo essere è privazione, mentre il sostrato in sé è il continuo e il sensibile o l’infinito ha per sostrato il continuo. Dunque, dobbiamo all’autorità di Aristotele una visione che vi sia una continuità liscia, senza salti né lacune, che è lo sfondo impercettibile su cui si stagliano gli eventi, le trasformazioni, le faglie, le increspature dell’essere. Il continuo è il sostrato, il supporto, lo sfondo su cui, grazie a cui si pongono in rilievo le varie figure e forme : non è possibile pensare nulla senza riferimento al continuo della fisica e della metafisica aristotelica e della matematica ontologica o cosmologica, o ontologico in senso pieno: le cose divine si muovono in continuità, con il sole, gli astri, la luna e tutto il cielo, l’essere è uno e continuo e l’infinito è continuo perchè tiene insieme l’universo: la luce è il legame del cielo, la forza che tiene unita la volta celeste e con-tenere, tenere insieme: non semplice fondale o sfondo.Thom, L’antériorité ontologique du continu sur le discret: synektike dynamis, la potenza coesiva, relazionale, ricordata dal pensiero di Aristotele. Nella Fisica Aristotele esordì: Se l’uno è continuo, l’uno è molti, essendo il continuo divisibile all’infinito : l’infinito è continua divisibilità o aggiunta, o come divisibilità di un continuo all’infinito apeiron, vagamente sentita come energia relazionale del cosmo, come forza coesiva tra gli eventi naturali: la sua qualità è la divisibilità infinita: grandezza, tempo, movimento, e dunque mutamento sono forme del continuo, che lì esprime la sua totale fisicalità: corpo, movimento del corpo, tempo, spazio. Il tempo inteso come linea del tempo, un tempo spazializzato in cui l’istante equivale al punto sulla linea, spazio della fisica aristotelica compiutamente geometrizzato, dove il continuo non è più forza naturale, cosmica che compone, armonizza, mette in relazione, ma sostrato materiale e sensibile composto secondo il continuo lineare. Aristotele pone così il problema della differenza tra gli enti e della loro identità. La linea non può però mai essere divisa simultaneamente in tutti i suoi possibili punti, o il tempo nei suoi infiniti istanti. La continuità, come l’infinità, è pura potenzialità, o transcendenza della purezza-dynamis o evidenza fenomenica quale pura potenzialità o dynamis precategoriale fisico-matematica delle dinamiche classiche quali fluttuazioni o perturbazioni. Invece, con la geometria dei sistemi dinamici si dà centralità a fenomeni possibilmente al di sotto dell’intervallo della misura fisica: una variazione, fluttuazione non misurabile, un non-nulla al di sotto della misura, può determinare l’evoluzione di una dinamica. Solo il continuo, non ponendo limiti inferiori alla misura classica ha consentito di sviluppare quelle dynamis analitiche. La misura fisica è per principio approssimata: è un intervallo dinamico o punto euclideo, senza dimensioni, punto di partenza o di passaggio di traiettorie o linee senza spessore. La fisica classica è deterministica e descrive perfettamente la dinamica, matematica nel continuo, l’aleatorio, l’incertezza delle dinamiche non-lineari cambiano la dynamis delle variabili spazio temporali o lo spazio-tempo della fisica classica o l' epifenomeno del movimento ontogenico. Le variazioni locali della metrica, correlate alla curvatura dello spazio della relatività spazio-temporale, o continuo del movimento, ad intervalli infinitesimali dell’analisi non standard, che riprende il concetto di infinitesimale di Leibniz. Nel Pacididius Philateti, Leibniz introduce due interessanti esempi per spiegare la propria visione del movimento, del cambiamento e del continuo: si considera il passaggio dallo stato di moto a quello di quiete di una sfera assoluta posta sopra una tavola perfettamente piana, il problema è quello dello stato di passaggio del punto di congiunzione o l'ituizione degli spazitempi postrelativistici di Kaluza-k. Se si immagina tale punto come intermedio c'è uno stato contemporaneo di moto/quiete. Se invece si propenda per un passaggio nel quale ad uno stato di moto segue immediatamente uno stato di quiete, sembra che si guadagni in precisione ma si perda l’intuitività di tipo ontologico: non esiste così un'interazione a distanza. Stelle e pianeti non possono comunicarsi le loro reciproche distanze e quindi non possono "sapere" con quale intensità attrarsi, in ultima analisi dunque, non possono proprio attrarsi. Einstein spiegherà, infatti, che la massa si muoverà in uno spazio deformato e quella deformazione lo farà muovere "come se" esistesse la forza attrattiva descritta da Newton. Ma la forza attrattiva non esiste. L'avvallamento non avrà la forma dei vortici di Leibniz ma è qualcosa che "tocca" il corpo, che interagisce direttamente: nessuna interazione a distanza, ma senza interazione dynamica non c'è l'interazione, non può esserci un'interazione a distanza. La singularité physique della dynamis intesa come trasfigurazione imperativo-inventiva, prospettivo-orizzontica o l'interpretazione della verità come un tenere-per-vero che ha il carattere di un comando, e il vero come adattamento al caos, fonda il carattere inventivo e imperativo di una potenza che guarda lontano intorno a sè la dynamis che sa di essere volontà di potenza, in tale consapevolezza si erge dinanzi all'ente fino all'incondizionato progetto-guida della metafisica. La distinzione di queste due determinazioni, che regge la metafisica e la cui origine è rimasta occulta, ha il fondamento nella distinzione platonica dell' ontos on e del me on. Il primo è l'ente essente, che è in modo vero e proprio, nella cui presenza sono uniti il che cosa un ente è e il che è. Il secondo è quello apparente, che mostra il che cosa è solo in modo offuscato, e che quindi non è veramente, pur non essendo un niente. Tale distinzione si presenta successivamente in forme diverse essentia, existentia, viene infine alla luce nel compimento della metafisica: il che cosa la volontà di potenza, in quanto essenza, è l'unico e autentico che è dynamis. Si attua il rovesciamento del platonismo, si pretende di avere assunto la preminenza sull'essere, mentre con la sua stabilizzazione, è portata a compimento soltanto la supremazia dell'essere come presenza e stabilità. La conseguenza di questo ultimo stadio della metafisica, si manifesta nella corrispettiva determinazione dell'essenza della verità. Essendo svanita anche l'ultima risonanza della alètheia, la verità diventa suprema volontà di potenza o dynamis: in un mondo in cui solo l'ente, e non l'essere, è essenziale. Il nichilismo dinamico è quell'evento Ereignis-dynamis nel quale la verità sull'ente nel suo insieme muta e si spinge nella dynamis infinita sublime. Un evento fondamentale della metafisica della volontà di potenza, che rappresenta una svolta decisiva nella metafisica. La dynamis o potenza non conosce fini in sè, ai quali giungere per fermarvisi, ma, in quanto superpotenziamento, può solo ritornare in se stessa, senza che il movimento del mondo sfoci in qualche stato finale, sussistente in sè. E poichè l'attuarsi perenne e senza fini della dynamis o volontà è finito nelle sue posizioni e nelle sue forme, l'ente nel suo insieme deve far ritornare l'uguale, e tale ritorno deve essere eterno. Tale dynamis è costruttiva, poichè costruisce ciò che ancora non è presente, curando il fondamento; è distruttiva o decostruttiva poichè in ogni costruire è implicato il distruggere. La dynamis è l'elevarsi in alto del sublime infinito o la storia dell'essere dynamis o storia della dynamis metafisica dell'essere sublime. Nella metafisica dynamica attraverso la perenne domanda che chiede che cosa è l'ente-dynamis si domanda dell'essere-dynamis: l'ente in quanto ente è tale, grazie all'essere; ma l'essere dell'ente è pensato partendo dall'ente. Ne consegue che la metafisica non pensa l'essere in quanto essere: lo pensa partendo dall'ente e arrivando all'ente. Essa traspone l'essere dynamis in un ente dynamico, sia esso l'ente sommo nel senso della causa suprema, o invece l'ente nel senso del soggetto quale condizione dell'oggettività, o nel senso della soggettività incondizionata. L'essere dynamis viene dunque fondato su quello che fra gli enti è il più ente dynamico. Perciò nella metafisica l'essere rimane impensato; ma anche la svelatezza dell'ente rimane impensata, poichè la metafisica pensa, sì, l'ente dynamico e non la dynamis delle entità: è la storia del sottrarsi dell'essere e del conseguente abbandono dell'ente: occorre invece che il pensiero vada incontro all'essere nel suo rimanere assente instaurando il dominio dell'ente, che appare come la volontà di potenza, porta a compimento il destino della completa velatezza dell'essere dynamis, la metafisica della dynamis perviene alla sua forma estrema, e solo in questa forma diviene comprensibile la sua essenza, che consiste nell'oblio dell'essere dynamis. La metafisica come storia dell'essere-dynamis è la storia dell'essere come metafisica della dynamis. La storia dell'essere come metafisica della dynamis comincia con la distinzione tra che cosa un ente è e il fatto che è, oppure ciò che può essere: la possibilità della dynamis, e rimane senza fondamento, si cela l'essere stesso. All'inizio della sua storia, l'essere si apre nella radura come schiudimento o physis e svelamento o alètheia; di qui giunge nella forma della presenza e della stabilità dynamica. Per Aristotele, ciò che è stabile e presente ha il carattere fondamentale del movimento o della quiete, nella quale il movimento si è concluso, ed è connotato come dynamis-èrgon ed enèrgheia, nel mutamento della enèrgheia nella actualitas, in cui viene definitivamente misconosciuta l' impronta greca dell'essere dynamis: all'inizio, l'ente in quanto èrgon è ciò che è lasciato libero nell'aperto dell'essere presente; quando l'enèrgheia si trasforma nell'actualitas, l'èrgon diviene l'opus dell'operari; l'essenza in tutta la sua purezza in quell'ente che realizza in senso sommo l'essenza dell'essere, in quanto non può mai non essere: in termini ontoteologici è Dynamis, ente dynamico: l' existentia è l'actualitas, una efficienza che traspone qualcosa nel "fuori" e supera così dynamicamente il niente. L'essenza dell'essere è dato ora dall'essere che costituisce il tratto fondamentale dell'existentia che, fin dall'inizio della metafisica, ha la preminenza rispetto all'essentia, quale dynamis o impellente possibilità. L' existentia si svela come l'insorgere dynamico contro il nulla: Perchè vi è dynamis e non piuttosto il nulla? L'essere dynamis è un fondare, e il fondare deve avere in sè l'essenza di accordare preferenza all'essere rispetto al niente. Per Leibniz, l'ente Dynamis è existificans. La volontà di potenza rappresenta l'estremo scatenamento dynamico dell'essere nell'enticità, in forza del quale quest'ultima diventa la razionalità scientifica o epistemica dynamica e che trasforma il mondo in una immensa dynamis della volontà di potenza. Di tale evento dynamico nell'aperto della radura dynamica è custodita dall'essere la dynamis: Aristotele interpreta in generale ciò che cade con la dynamis del sasso che vuole tornare dai suoi sassi; lo stesso vale per il fuoco che avvampa verso l’alto, per raggiungere gli altri fuochi, nel cielo: che cosa c’è di nuovo, dunque, nel modo aristotelico di fare filosofia partendo dalla fisica? Fisica significa: comprendere l’essere del movimento; Platone concepiva ancora il movimento come un non-essere, perché differente da quell’essere, la cui immutabilità, è sempre e ovunque presente il mondo delle strutture immutabili come i numeri e le figure si rispecchi negli eventi di questo mondo, e ciò trovi espressione nel concetto di misura e armonia, di ordine e bellezza o L’ESSENZA DEL MOVIMENTO dynamico. Quando Aristotele parla del movimento, intende l’essenza di ciò che è mosso: non quale astrattezza di spazio, tempo e velocità, nella quale i punti son astratti, bensì proprio la diversità degli enti, che partecipano del movimento, in un mondo tutto pieno, nel quale ci sono enti di diverso tipo, ciascuno con un movimento differente. Ma che cos’è, in generale, il movimento? Non è, semplicemente, un non-essere-qui. Ma non è nemmeno, soltanto, un essere-qui. Infatti, se di movimento si tratta, è insieme qualcosa che è qui e non è più qui: sono le aporie DI ARISTOTELe di una fisica qualitativa che a trapassare in metafisica. Pertanto, se ogni conoscenza razionale è o pratica o poietica o teoretica, la fisica dovrà essere conoscenza teoretica, ma conoscenza teoretica di quel genere di essere che ha potenza di muoversi o dynamis: oltre ad occuparsi dei corpi terreni, caratterizzati dall’essere passeggeri e non eterni, Aristotele fa rientrare nel campo d’indagine della fisica anche lo studio dei corpi celesti. Con quest’operazione, egli pone l’astronomia come scienza fisica e non come scienza matematica quale era per Platone, poiché gli astri sono anch’essi corpi in movimento, benché non siano soggetti al divenire, ma esistenti sempre e necessariamente in quanto composti non già dei quattro elementi, bensì dell’etere; gli orizzonti della fisica finiscono per spaziare dalla terra al cielo, o confine tra il mondo terrestre e quello celeste, popolato dai corpi eterni – è segnato dalla luna, che divide il mondo sublunare da quello sopralunare o astrofisica che presenta caratteristiche fluttuanti. La materia e la forma non sono separabili l’una dall’altra, la materia non sempre si lascia dominare dalla forma, a volte le si oppone: eterna è invece la loro vicenda di trasformazione, poiché eternamente si trasformano l’uno nell’altro. Il mondo sublunare, di natura sferica, viene così a configurarsi come una serie di cerchi concentrici al cui centro c'è l’elemento più pesante e alla periferia quello più leggero. I corpi celesti, invece, si muovono di moto circolare. La luna segna il confine tra i due mondi sublunare e sopralunare, ma tra essi non c’è separazione netta: c’è anzi una zona intermedia in cui si situano i fattori meteorologici. Aristotele parla del moto solare come causa dei moti sublunari: quale dynamis ciclica del mondo sublunare. I corpi celesti non si muovono tutti allo stesso modo: ciascuno di essi descrive nel suo tragitto una sfera e l’insieme complessivo di tali sfere dà un insieme concentrico che ha al suo centro la Terra. Come la Terra occupa il centro del mondo, così la periferia è occupata dal “cielo delle stelle fisse”, che chiude l’estremità del mondo. Le stelle fisse hanno moto eterno, circolare e semplice: via via che dall’alto si scende verso la luna, i moti dei pianeti presentano sempre maggiori irregolarità di velocità: quale è il principio motore che mette in movimento i corpi celesti? Aristotele propone ben due diverse possibili risoluzioni , dapprima egli riconosce che ogni sfera ha un proprio motore dotato di determinate caratteristiche: deve essere una sostanza dynamica, deve essere atto puro della dynamis l’universo stesso non è che movimento incessante pensiero del pensiero dynamico: poiché l’essere dynamis si dà o si eventua in molti modi e il suo essere si dà in una pluralità, tutti in qualche modo connessi è infinita dynamis apeiron, illimitato, giacchè se avesse limiti, allora avrebbe qualcosa fuori di sé e quel qualcosa sarebbe il non-essere, se l’essere si muovesse, si muoverebbe verso ciò che non è, verso il non-essere o l’immobilità assoluta dell’essere? Aristotele svelò per primo l’indeterminatezza della materia. Tutta la physis è mobilità, anzi è l’attualizzazione di una dynamis o potenzialità, ca, ma l’atto si identifica con la forma, la potenza con la materia. La potenzialità della materia, infatti, è tale per cui essa può essere diversamente da come dovrebbe :Aristotele è enigmatico: un evento è la dynamis dell'indeterminatezza, è sì indeterminatezza intenzionale ma che distingue tra ciò che avviene kata fusin e ciò che avviene para fusin, vi sono eventi nella indeterminatezza, ma tutto si muove in vista del motore immobile; nel De caelo a muoversi direttamente in vista del motore immobile è solamente il “primo mobile”, cioè il cielo delle stelle fisse. Il movimento uniforme ed eterno del primo cielo che regola il movimento degli altri cieli deve trovare l'atto puro, immateriale, è il fondamento intrinseco dell'essere Dynamis, l' essere è in un luogo, perciò il luogo è il primo immobile e tutte le cose sono nel cielo: chè il cielo, s' intende, è il tutto! Il luogo, invece, non è il cielo, ma , per così dire, l' estremità del cielo, ed è immobile contiguo al corpo mobile: il cielo non è affatto in un' altra cosa è la dynamis del Cosmo. Ma come vi potrà essere un movimento naturale lungo il vuoto e l' infinito, se in questi non persiste alcuna differenza? Ma ogni movimento è in un tempo, e in ogni tempo è possibile che si attui un movimento, ed è possibile che tutto ciò che è mosso, si muova. Lo spazio è finito e limitato dalla sfera del cielo. La sfera del cielo è uno spazio finito e illimitato a due dimensioni con curvatura costante positiva. Lo spazio racchiuso dalla sfera del cielo è pieno, finito e limitato: esso non è né omogeneo né isotropo per cui non può essere considerato uno spazio globale euclideo a tre dimensioni. D' altra parte, nell' ambito di un' astronomia geocentrica non è possibile misurare la dimensione della profondità dello spazio cosmico. La geometria di Euclide non è una teoria dello spazio, ma una teoria degli oggetti, considerati in astratto, per le loro dimensioni e per le forme che li delimitano, come grandezze infinitamente divisibili: un' algebra geometrica, un algoritmo. Il tempo infinito non è più misurato dal numero di rotazioni della sfera del cielo. L' equilibrio dinamico fra gravitazione e inerzia consente che l' universo possa essere considerato un' infinita estensione di spazio vuoto. Poichè i corpi sono costituiti da entità indivisibili interagenti a distanza, anche all' interno dei corpi prevale lo spazio vuoto. La varietà non euclidea spazio-temporale è continua e differenziabile, cioè ammette in ogni evento uno spazio-tempo tangente a curvatura nulla. Ciò significa che un intorno sufficientemente piccolo di un qualunque evento è una dynamis cronotopica. La distanza cronotopica fra due eventi è una geodetica dello spazio-tempo. Lo spazio-tempo curvo è pieno di campi e di energia, un evento spazio-temporale delle varietà differenziabili o dynamis-physis. La fisica è un movimento di una potenza, Il cambiamento è un passaggio dal non essere all’essere oppure dall’essere al non essere, Il tempo e lo spazio sono grandezze continue quindi anche il movimento è continuo, movimenti, spazi e tempi sono divisibili all’infinito: in mezzo agli istanti c’è sempre un tempo. Esistono infiniti tipi di infinito , Infinito in atto e infinito in potenza, ma L’infinito può esistere solo in potenza, Lo spazio è infinitamente divisibile, ma la fisica matematizzata non è l’unico sapere : è Leibniz o l' ermeneutica della physis. La nascita della «fisica» in Aristotele è costituito dalla insistenza sul motore per spiegare il movimento eterno e continuo del cielo o ontologica del motore immobile. Per realizzare il proprio fine, che è quello di muoversi eternamente, il cielo deve essere mosso dal motore immobile: Il cielo è una vasta sfera che ruota attorno a un asse, come ci induce a pensare la rivoluzione circolare delle stelle sempre visibili. La Terra è una sfera: Ma una cosmologia presuppone una filosofia della natura, o almeno una fisica dinamica ontologica paradigmatica ove il moto possa essere una relazione che spieghi l'essere dynamico con l'essere matematico, la struttura della scienza è la struttura dell'Essere dynamis che possa afferrare la varietà dell'Essere, qualitativo, mobile e variabile. Non c'è una teoria matematica della qualità, neppure una del movimento. Non vi è movimento né numeri, non una dinamica: è impossibile dare una deduzione matematica della qualità dinamica, non c'è una adaequatio della dynamis. Platone ipotizzò un universo sferico geocentrico dove la Terra ha una forma sferica e non è sorretta da niente. Intorno inseriti in sfere concentriche, sono presenti gli astri "fissi" e "vaganti". Invece Eudosso pensò un modello secondo cui l'universo è costituito da sfere omocentriche di diverse dimensioni. L'universo aristotelico oltre ad essere sferico è anche finito perché avendo un centro non può essere infinito, introduce lo spazio relazionale, inteso come luogo o posizione relativa o una potenza dynamica. Ciò-che-si-muove-da-sè si muove secondo impetus imaginatio, o immaginare la dynamis . La priorità aristotelica del moto circolare è immaginata come perfettamente sferica o dynamis immaginarie vertiginose o dinamica del moto nella presenza dell’essere o essere nello spazio-tempo come luogo in cui si trova un ente, l’altro come il tempo in cui esso si muove. Che cos’è il compiersi del movimento? Il movimento si compie non quando l’ho già compiuto: se sono già arrivato, il movimento è terminato, non c’è più moto, ma quiete. Che cos’è invece il movimento in quanto movimento? Il movimento come tale: il movimento dev’essere descritto come intreccio di dynamis ed enèrgheia. Dynamis o dinamica, Nel Sofista Platone pensò la dynamis, o la natura di ciò che è in movimento. Aristotele è stato solo rapsodico, non sistematico nell’elaborare Che cos’è l’essere? L’essere è virtualità o dynamis, la dynamis è "archè tes metabolès", principio della trasformazione. L'atto è la potenza, l'accedere della potenza dinamica, attraverso cui la potenza si trasforma in atto è l'immagine. Esiste in sé soltanto in potenza. In Aristotele ogni evento ha una struttura ontologica: la dynamis, l'enérgheia e l'entelécheia. La dynamis ontologica dynamis-energheia-entelécheia, si presenta come situazione di scelta onto­logica, e ontologica biforcazione dell'essere. La scelta ontologica si compie in una dimensione ontologica, il dramma o la dinamica dell'essere. Delle diverse configurazioni ontologiche della dynamis, che formano la biforcazione ontologica, significano la permanenza ontologica, o il mutamento ontologico. E solo il mutamento è il compimento dell'apertura. PLATONE definì l'essere come dynamis: ciò che è (tò on) è ciò che ha potenza o di esserci: dynamin o dynamis ontologica fondamentale, della d y n a m i s che è atto e soltanto atto o fondamento di tutta la fisica: l a p o t e n z a c h e a t t r a v e r s a e p e r v a d e o g n i a t t o dei physei onta è l’ontologia aristotelica, essere l’immediato tramontare, tenersi at-tenersi, man-tenersi il primo e più fondamentale significato dell’essere, poiché l’essere dynamis è un puro essere, fulminea, abbagliante visione della “dynamis” ontologica di essere una indeterminatezza comunque entificabile nella sua collocazione spazio-temporale. Priorità ontologica della dynamis un fondo di essere hylemorphyca non è dynasthai, ma dynamis. Essere vuole dire essere costante, rimanere continuo; ed il tempo della cosa che continuamente è, continuamente è presente, presenza. Se la dynamis è l'evento della verità o l'evento aletheia ci sarà una STORIA DELL'ORIGINE DELLA TEORIA DELL'ATTO E DELLA POTENZA, che è manifestazione di dinamismo in essere dinamica, una spiegazione più profonda del fenomeno del movimento ATTO E POTENZA IN ESSere-Dynamis' o 'la potenzialità. La dynamis è fenomenologia trascendentale o ontologia fondamentale. L'ontologia è "fondamentale" perché riguarda il significato di Essere la dynamis. Il problema per la fenomenologia è come catturare il movimento di forma, da potenziale ad attuale, o movimento ontologico nell'Essere, di un movimento dynamico-essere-sé o ONTOLOGIA DELla FENOMENOLOGIA DInamis o movimento eterno: in particolare il tempo compare come una proprietà del movimento, il suo essere misurabile, cioè numerabile, nel senso di ciò che rende numerabile il movimento. Per Aristotele il movimento è un continuum e il tempo è una misura che appartiene simultaneamente a tutti i movimenti misurabili, v'è un solo tempo che appartiene a tutti i movimenti del cosmo. L'infinito potenziale del tempo si esplora tanto verso il passato quanto verso il futuro. Per Platone vi era un inizio del mondo, l'atto del demiurgo che crea il tempo; Aristotele è un anti creazionista, pensa il mondo intriso di divino, mosso dal motore immobile invisibile, ma la struttura del cosmo è eterna. Aristotele disamina il tempo con un paradosso: il tempo non esiste: il passato perché non c'è più, il futuro perché non c'è ancora, il presente non è nel tempo perché separa ciò che è passato da ciò che è futuro, il tempo non è nell'istante, perché l'istante è dynamis. Agostino dispiega: la memoria è la presenza del passato, l'anticipazione è la presenza del futuro. Il futuro e il passato sono modalità del presente. Le relazioni temporali si ispirarono tutte al Timeo di Platone: la vera dimensione ontologica del mondo è quella dell'eterno; il tempo, pertanto, è solo la dimensione del cosmo e dell'essere fisico. Il tempo è stato creato dal demiurgo insieme con il mondo, e quindi prima della creazione del mondo non ci fu tempo. In Plotino la funzione temporalizzante dell'anima si svelò metafisicamente determinante. Il tempo è una distensione o una estensione dell'anima e l' estensione può essere indivisibile, divisibile in maniera finita o infinitamente divisibile. Se c'è un movimento in un atomo di tempo, c'è anche in un istante, quindi sarebbe divisibile ulteriormente, un intervallo di tempo infinitamente divisibile dove la separazione è dynamis o ontodinamica dell'essere dell'ente, quale cronodinamica dell'esserci. Il presente è un intervallo di tempo di ampiezza arbitraria e struttura infinitamente divisibile. Il futuro è anticipazione di ciò che sta per accadere, il passato è attesa: è necessario che ci sia un futuro a causa del persistere del movimento e del cambiamento, ma il futuro è del tutto indeterminato nei suoi dettagli e sulla sua esistenza è solo potenziale. Dunque non esistono oggetti futuri se non in potenza, in senso potenziale: c'è però una aporia, il passato ci appare quale presenza di infinità, infinite rivoluzioni celesti, infiniti generi. Il finitismo di Aristotele implica che il passato, gli eventi del passato o i cambiamenti passati siano solo un'esistenza potenziale. Il passato, o il tempo passato, può essere infinito, apeiron, ma nel senso non quantitativo di essere senza limiti, come in una sfera. Il tempo dipende dalla numerabilità dei movimenti e niente è misurabile se non dalla mente e quindi niente è misurabile se non c' è simultaneamente una mente . Aristotele pensò al tempo come ontologicamente secondario, in quanto non esiste autonomamente ma nella morfogenesi del movimento o cambiamento. Il tempo non agisce sull'essere dell'ente perché non ha autonomia ontologica. C'è asimmetria tra passato e futuro:l' asimmetria ha un significato metafisico, e fonda la teoria metafisica del divenire nella struttura fisica del mondo o la nozione di istante- eventi simultanei nei paradossi di Zenone in soluzione,somma finita di infiniti infinitesimi quale premessa per la concezione galileana dello spazio-tempo o il tempo con lo spazio- luogo-topos e spazio-chora. La fisica è scienza dei corpi in movimento ed è nel luogo che in senso primario si svolge il movimento di una sua potenza, dynamis quale ontodinamica dell'essere dell'ente stabile in uno spaziotempo, ma allora che cos'è il luogo? Pare che il luogo coincida con ciò che delimiti un corpo, con la sua forma, e la sua estensione sia commisurata alle dimensioni della grandezza delimitata, della materia del corpo, di cui la forma è limite. Ma è impossibile, dal momento che la forma e la materia non sono separabili da un corpo, mentre il luogo può esserlo. Corpi e luogo sono tra loro distinti, ma correlati, in contatto ma non sovrapponibili, l'uno è contenente, l'altro contenuto; nessuno dei due è assolutamente in se stesso, bensì l'uno in funzione dell'altro, ma l'uno è ciò in cui qualcosa è contenuto, l'altro invece ciò che è in qualcos'altro ed essi non appaiono coincidenti né all'evidenza, né al ragionamento. Si può perciò dire che ogni cosa è in un luogo come in un recipiente, è cioè circondata da qualcosa che la contiene e la delimita e che è perciò ad essa commisurato, ma non si identifica con essa né con la sua forma. Il luogo è quindi il limite primo del contenente, ossia ciò che immediatamente delimita un corpo in quanto suo recipiente, ma non è parte del contenuto né ad esso eccedente: il luogo sia un intervallo che si frapponga nei corpi come una porzione di grandezza capace di sussistere separata e per sé, indipendentemente dal movimento. Ma non può esserci limite se non di ciò che è da esso limitato, né contenente se non di qualcosa che è da esso contenuto e nessun interstizio, vuoto, può dividerli. Aristotele inventò la dynamis relativa col fenomeno imitato da quasi tutti o almeno da Galileo a Kant, una nave in movimento sul fiume: è il luogo contenente di tutto ciò che si trova a bordo e si muove in quanto è mossa da sè; il fiume è invece il luogo nel quale la nave si muove. Ma in quanto tale non è il fiume che si muove, bensì la nave che muovendosi in esso occupa una posizione sempre diversa, nessun movimento sarebbe possibile senza punti di riferimento fissi e determinazioni spaziali stabili, il luogo è il primo limite immobile del contenente senza l'esistenza del vuoto, là dove non c'è alcun corpo, c'è vuoto, quel che è in realtà pieno d'aria, è il vuoto o quale luogo vuoto nel quale non c'è nulla: nel vuoto nessun movimento locale pare sia possibile. Nel vuoto la velocità dei corpi potrebbe essere incalcolabile e tutti i corpi equiveloci, infatti la velocità di un corpo differisce. Ma nel vuoto la resistenza è nulla, perciò in un tempo ci si muoverebbe con velocità smisurata. Newton per risolvere simili paradossalità immaginò il tempo e lo spazio quali assoluti ove gravitino solo entità in movimento, Leibniz invece nella celebre controversia immaginò la relatività dello spaziotempo in relatività con la dynamis dell'essere dell'ente in una temporalità extatica plotiniana quale disvelatezza della verità o aletheia, o ontodinamica della kronodinamica della monadea relativa ad una temporalità immaginaria cioè priva di entità sia pure della purezza trascendente. il tempo immaginario di Leibniz o di Plotino è il tempo della verità immaginaria giammai degli enti, se mai sempre del non-ente, del niente, del nulla abissale. Apollodoro definì il tempo quale interspazio finito ove abiti l'infinito o apeiron nell'archè o spazialità finita ove si dà l'infinita temporalità, ma se quella si configuri in una topologia qualitativa si eventua la monade leibniziana o il Syntagma Philosophico della kronotopiadynamica. Leibniz disvelò così la Temporalità Ontologica quale kronodinamica della verità o disvelatezza plotiniana: ontologia della verità dell'ontologia del tempo ontodynamico, o ontologia immaginaria nonlineare o ab-scissa dall'esserci ontologia della curvatura del tempo o dello spaziotempo. Leibniz nel 1684 immaginò fosse possibile una ontodinamica infinita in uno spaziotempo finito o definito in monade, quale apeiron nell'apriori o archè Spaziotemporale, assolutamente estraneo alla meccanica Newtoniana intrisa di accelerazione assoluta, per sistemi di riferimento in moto relativo rettilineo ed uniforme. In relatività in verità invece non c'è mai separatamente lo spazio e il tempo, ma solo lo spaziotempo. L'idea che la relatività possa essere una teoria geometrica dello spazio tempo è una disvelanza dell'ontologia della verità quale TEMPORALità ONTOLOGIcA dello spazioTempo Ontologico o autentico in relatività all'estasi dell'esserci e giammai dell'ente: le varietà , quali monadi dello spaziotempo ontologico, in estasy TRANScendenti transfinite è già presente in Leibniz nel suo paradigmatico TempoEvento nello spazioTempo-Immaginario, quale nonlineare ontologia dell'evento della monade in un originale spazio tempo a curvatura immaginaria. La nonlineare ontologia plotinoleibniziana svela una nonlineare spaziotemporalità ontologica in transcedenza transfinita, quale spaziotemporale ontologia ontodinamica dell'esserci. Leibniz svelò l'infinito o l'infinitesimo nell'evento temporale finito e lo calcolò quale spaziotemporalità ontologica dell'evento dell'esserci ontodynamico denso di infinite dimensioni, non solo quelle immaginate o quantiche della compresente m-theory, anzi quella non è altro che una singolarità della pl-theory, quale ontodinamica della multy-super-dimensionalità dell'ontologia . Nonlineare della Curvatura dello spazioTempo o nonlineare dynamica delle superdimensioni sublimi della monadea.L' analytica nonlineare chaotica e ontodynamica lì trovò la sua ontogenesi fino al Lorenz-model del 1963, ove c'è lo strange-attractor della celebre butterfly: eventi infinitesimi posso creare ontodinamiche imprevedibili ed indicibili. Lorenz modellò i suoi paradigmi sulla pl-theory o pl-Ontology dei creodi delle Monadi. Kant attaccò Leibniz e in apparenza anche Clarke nell'estetica trascendentale. Kant definì l'ontologia spaziotemporale plotinoleibniziana una chimera, Leibniz non fu in grado di repliche, ma il tempo e i dispiegamenti risposero per lui. Leibniz ha sostenuto che l'ilemorfica era un'apparenza fondata sulle monadi metafisiche: singolarità qualitative, impenetrabili, indistruttibili spatio-temporalità. Kant rifiutò quell'idealismo, ma dedusse la scienza fisica dall' a-priori. Non ci sono atomi materiali; la materia è divisibile all'infinità ma l'oggetto transcendentale è sconosciuto: capire niente tranne qualcosa nell'intuizione, non può essere afferrarato, nella purezza. Leibniz disvelò invece una teoria relazionale spazio-temporale. Senza le monadi non ci sarebbe spazio e senza eventi non ci sarebbe tempo. Lo spazio ed il tempo non sono contenitori in cui le cose e gli eventi possano essere inseriti ma può rimanere vuoto spazio-tempo: l' evento è una singolarità senza coordinate dello spaziotempo. Il presupposto è che il tempo non esiste indipendentemente dai rapporti di spazio-tempo degli eventi di una singolarità, le teorie relazionali implicano che lo spazio-tempo sia gli eventi ed i rapporti spatiotemporali i loro eventi. Leibniz è contro Newton e la sua teoria del tempo e spazio assoluto, Kant è entrato nell'arena dal lato di Newton: se c' è uno spazio in sè allora la teoria assoluta è migliore della teoria relazionale, ma la teoria della relatività speciale risollevò le sorti della teoria relazionale; la relatività generale indica che la curvatura dello spazio-tempo è influenzata dalla distribuzione delle interazioni gravitazionali, quindi la relatività è ontologica . La geometria fisica non è a priori, ma sopratutto è non-Euclidea, Kant invece pensò sempre ad una geometria euclidea quale conoscenza a priori. Così l'avvento della relatività generale, fondata sulle geometrie non-Euclidee per lo spaziotempo ha gettato nella crisi il pensiero di Kant o il suo paradigma anche perchè la grande eccezione ontologica fu proprio il suo avversario Leibniz. La geometria non-euclidea e la relatività speciale si disvelano proprio dalla sua idea di spazio-tempo con l'abbandono della simultaneità assoluta; dalla relatività generale viene l'idea che lo spazio-tempo è dinamico e che la gravità dovrebbe essere relativa. Leibniz o la scienza di Leibniz fu oscurata da Kant-Newton ma l'esistenza di punti spazio-tempo o di spaziotempo quali eventi ontologici o punti di spazio-tempo sull'ontologia dello spaziotempo disoblia quel paradigma o quell'ontologia della monade o quanta immaginarii dell'ontologia dello spaziotempo. Newton attribuiva al tempo e allo spazio una realtà di tipo sostanzialistico del tutto indipendente dagli eventi , mentre Leibniz li considerò come relazioni secondo uno statuto ontologico degli eventi. Gottfried Wilhelm Leibniz versus Samuele Clarke-kant o clarkant? Pare proprio così: klarkant e l'ontologia dello spaziotempo della pl-theory . Loro non furono d'accordo sullo status ontologico dello spazio piuttosto che sulla sua struttura geometrica o fisica: confutare la voglia di quelli che pensano lo spazio possa essere una sostanza, o almeno un assoluto, non solo c'è l'incoerenza in Newton, ma lo spazio denota condizioni di possibilità, un ordine di cose che esistono insieme, lo spazio è un ideale. Leibniz dà definizione: il luogo è la relazione della co-esistenza è perfettamente la relazione della co-esistenza, le relazioni della co-esistenza sono completamente in co-esistenza con relazioni della co-esistenza. Quali "relazioni della co-esistenza" Leibniz aveva in mente? La "situazione" di un oggetto non è una relazione, ma le "relazioni attinenti della co-esistenza" . Leibniz presuppose che le distanze tra oggetti fisici definiscano una funzione di distanza più forte, o di gravità attrattiva quali "relazioni geometriche più complesse di co-existenza", lì lo spazio non è nulla altro chr un ordine dell'esistenza di cose, osservate come insieme. Il tempo varietà dei paradigmi della fisica che si sono eventuati dopo la metafisica ininfluente ontogenica classica non sono ancora riusciti a disvelare la differenza ontologica tra l’ontofisica dell’essere e la fisica delle entità ilemorfiche. Nell’ultimo secolo dell’ultimo millennio alcune teorie della mathesis,alcune intuizioni del pensiero ontologico hanno eventuato la presenza di una struttura ontologica nei modelli ontologici per l’ ontofisica. La dove l’essenza dell’essere è la misura del tempo ontologico,della velocità del tempo in relatività alla velocità della luce: sia nell’astrofisica kaosmica,sia nella microfisica quantica della Gestell,dell’impianto della struttura topologica fluttuante planckiana dell’ ontofisica con le sue ermeneutiche ed i suoi paradigmi,sia nella struttura ontologica del chaosmos. Nella struttura ontologica dello spazio-tempo della cronotopia della fondatezza della Physis si svela una paradigmatica sistemica per la fisica, c’è una tematica prioritaria noetica,ma non c’è ancora una noematica,né l’ermeneutica,né un’ontologia della physis, men che mai per l’ontofisica o la struttura ontologica dell’esserci dell’evento. E’ essenziale analizzare,studiare,interpretare gli eventi caotici o meglio kaosmici della temporalità,della singolarità spaziali ,dei vuoti del tempo immaginario delle fluttanze nelle regioni planckyane o nella Gestell di Planck ma la fisica sia pure quantica supergravitazionale che sia influenzata dalla metafisica,nulla può di fronte ai nuovi eventi e perciò si può solo rifugiare nel frattale,sia grazie alla replicabilità ricorsiva computazionale. Ma chi non si arrende e non cede alle lusinghe ortogonali,canoniche,clonabili è nella libertà noematica di svelare modelli ontologici dell’ontofisica anche nella struttura ontologica del kaosmos. Con il consenso nolente o volente del pensiero gli attrattori,delle varietà topologiche della stabilità strutturale,dei modelli godeliani,dell’ermeneutica epistemicadel tempo immaginario nella gravità quantica o meglio la struttura ontologica dell’epistemica delle verità. La differenza ontologica essenziale tra l’epistemologia abitata dalla metafisica influente,ininfluente e l’epistemè in relatività con l’ontologia influente è l’ermeneutica della temporalità: per millenni la visione del tempo si affida alla ortogonalità lineare canonica,cosmica nella pl-theory si eventua il tempo ontologico, virtuale, immaginario, trascendente e transfinito. La struttura ontologica transfinita trascendente ed i modelli ontologici ontofisici consentono il dispiegamento di singolarità ontovarietà non solo con la temporalità immaginaria ma di più e oltre con la temporalità ontologica,virtuale transfinita trascendente,kaosmica sia nella Gestell planckyana,sia nella supergravità quantica. Si eventueranno anche gli attanti ontologici,al di là degli utilissimi fin’ora attrattori strani, la struttura ontologica degli attanti immaginari gli attanti virtuali consentiti dall’ontovarietà gli attanti trascendenti. Solo con quelle varietà o strutture ontologiche sarà consentito eventuale le velocità del tempo superiori alla canonica velocità gravifotonica. La velocità del tempo non sarà più solo una formula estetica della ontologia influente della nuova epistemica o noematica della ontofisica. Ma l’ontologia dei modelli per l’ontofisica consentirà anche di svelare l’ontologia della verità soprattutto e per lo più quella inerente all’ontologia ed ermeneutica dell’essere in velocità nel mondo dell’essere in elasticità nel vuoto nel kaosmo dell’essere la velocità e l’elasticità del tempo delle superonde, supercorde, metacorde, metaonde, ontoboliche o ontovarietà delle ontosingolarità quantiche, virtuali, immaginarie, transfinite. L’ontologia dei modelli per l’ontofisica consente il disgelarsi della interazione ontologica ontomorfica o formattanza per le ontologie dell’elasticità nella Gestell planckyana ontoelasticità delle ontosingolarità delle onde. Il dispiegarsi dell’ontologia dell’ontofisica consentirtà la disvelatezza della ontologia del campo immaginario, virtuale, campo transfinito trascendentale. Ontocampo cosmico utile per l’ontoelasticità virtuale immaginaria transfinita trascendente ma di più e meglio dell’interessere nella sua isteresi virtuale, immaginaria, trascendente, transfinita . L’ontologia del campo nellla Gestell planckyana consente il disvelarsi di modelli della topologia fluttuante per le supercorde l’ontovarietà creodale nelle differenze di creodi quantici, creodi gluconici o gravifotonici, creodi quarks. O di meglio i creodi ontologici sentieri ontologici della topologia planckyana ontogenesi quantici, quarks virtuali, immaginari, transfiniti, trascendentali, kaosmici,la ontologia kaosmica qual è l’ontogenesi dei sentieri creativi che dall’ontovarietà planckiana si disvelano nel tempo ontologico nella velocità del tempo nel vuoto virtuale quantico immaginario, transfinito, trascendente o vuoto ontologico. L’ontologia delle singolarità creodali o virtuali immaginarie, transfinite, trascendenti, kaosmiche si eventua nella Gestell planckiana quali ontovarietà, cuspidali, ellittiche, iperboliche, metaboliche, ontoboliche, è il modello della topologia fluttuante delle singolarità dei sentieri creativi con la sua isteresi pregnante di almeno quattro valenze sinestetiche. C’è di meglio per lo più l’ontologia dei sentieri creativi nella Gestell planckyana eventua la differenza tra attanti ove l’ontologia della temporalità è caosmica, ove la temporalità si dispiega virtualmente, ortogonalmente, canonicamente nella supergravità quantica. Nell’attanziale invece c’è ancora una sinestesia o un’indeterminatezza tra la temporalità immaginaria e la transfinita trascendente: è l’ontologia dell’infinitesimno kaosmico immaginario che dà increspature al vuoto e crea il sentiero dell’essere o creodo ontologico metastabile ontobolico, della ontovarietà. I creodi dell’ontogenesi ontologica si gettano nel campo della Gestell o struttura ontologica planckiana con ontocronie indeterminate fluttuanti, instabili, virtuali, immaginarie, trascendenti ,transfinite, kaosmiche, solo la differenza tra il sentiero creativo e i creodi si dà quale evento della temporalità della mondità. La differenza ontologica della velocità del tempo getta sul campo diverse ontocronie da quelle più canoniche ed ortogonali quali la supergravità quantica a quelle più affascinanti quali le singolarità immaginarie dal caosmo ma nella Gestell planckiana fluttuante cripta e si decripta un sentiero creativo ove si eventua il transfinito, isteresi creodale dell’indeterminatezza tra le due differenze contemplate dall’epistemè paradigmatica. Lì i creodi ontologici custodiscono e disvelano sia l’ontocronoia quantica sia l’altra immaginaria superdeterminatativamente ed eventuano così anche il tempo ontologico trascendente kaosmico. Il sentiero creativo che si getta nel campo della Gestell planckiana è il creodo dell’ontocronia fluttuante tra le differenti velocità del tempo contemplate dall’epistemè paradigmatica: la velocità del tempo supergravitazionale quantico, la velocità del tempo immaginario, la velocità del tempo transfinito trascendente, la velocità del tempo ontologico kaosmico. E’ evidente l’ortogonalità della velocità della velocità del tempo quantico supergravitazionale ancora sperimentale la velocità del tempo,superiore alla costante fotonica, immaginario delle singolarità nichiliste cosmiche nel campo progettuale di ricerca, la presente e viva la velocità del tempo virtuale, transfinito, trascendente kaosmico: l’ontologia del tempo ove oltre all’attrattore temporale, ortogonale, strano o frattale che sia,si eventua anche l’attante immaginario, l’attante transfinito, trascendente, l’attante kaosmico. L’ontologia delle ontovarietà del tempo getta nel campo della Gestell planckiana l’ontopoiesi dei sentieri creativi, le singolarità virtuali, immaginarie, trascendenti ,trasfinite, kaosmiche, le singolarità ontologiche attanziali criptanti e decriptanti la velocità del tempo prima che sia tempo del mondo o tempo dell’esserci o tempo dell’essere nel mondo o tempo nel tempo della mondanità. Nel campo della Gestell o struttura ontologica planckiana oltre agli eventi virtuali o immaginari si gettano in interazione gli attanti degli eventi transfiniti trascendenti cosmici: è l’interessere tra gli eventi dei sentieri creativi che si dà quale topologia fluttuante delle ontovarietà dell’ontopoiesis dell’ontofisica. Il pensiero kaosmico è sceso nel campo dell’imprevisto frattale,ma non ancora si è gettato nel campo della Gestell immaginaria, virtuale, transfinita, trascendente. Il progranma di ricerca sui modelli per l’ontofisica dispiegherà e svelerà l’ontologia influente per l’ontopoiesis. La Gestell o struttura ontologica dei sentieri creativi che si eventuano di fronte all’essere sono la morfogenesi virtuale,immaginaria,trascendente,transfinita, kaosmica della physis nella sua indeterminatezza dei virtuali, immaginari, transfiniti, trascendent, kaosmici: è l’impianto, la struttura ontologica, la montatura che si getta nel campo della Gestell planckiana prima di fluttuare nella frattalità degli attrattori strani delle teorie del kaos lorenziane Le sue dimensioni infinitesime non consentono una visione o previsione ma consentono l’eventuarsi delle icone morfogeniche, virtuali, immaginarie, transfinite, trascendenti, kaosmiche. Anzi le isteresi delle icone dei sentieri creativi eventua le differenza ontologica con i creodi sia pure ontologici per disvelare l’ontofisica che si getta di fronte dinnanzi davanti libera e sgombra dalle influenze della metafisica imperativa categorica della volontà di potenza sinergetica, sia anche nella versione più epistemica della supergravità quantica. I modelli ontologici delle icone consentiranno d’eventuare le icone morfogeniche, immaginarie, virtuali, trascendenti, transfinite, kaosmiche che si gettano nel campo della Gestell disvelano gli attanti dell’ontofisica, ontopoietici della velocità del tempo, del vuoto ontologico, dello spazio metastabile, delle ontovarietà ontoboliche. La icona è una varietà ontologica ontobolica o un ontovarietà kaosmica che ci sta di fronte dinnanzi sempre davanti. Nella Gestell o struttura ontologica planckiana le icone dei sentieri creativi si eventuano nel vuoto ontologico ora quali singolarità kaosmiche, leibniziane, morfogeniche di varietà gluoniche, ora in qualità di singolarità immaginarie ontogeniche di varietà cuspidali, ellittiche, quarks. Nell’isteresi degli eventi della Gestell o struttura ontologica planckiana, le varietà iperboliche si alternano a quelle paraboliche il loro interesserci si dà quali ikone del vuoto ontopoietico fluttuante e dispiegante singolarità virtuali immaginarie, trascendenti transfinite. L’ontofisica consente di eventuare modelli ontologici anche per le singolarità immaginarie, supergravitazionali o kaosmiche:immagina quali attrattori unidirezionali e per simmetria, o supersimmetria, aggettanti intermittenze quantiche, cosmiche. Ma in un modello ontofisico si possono eventuale varietà ove l’attante si presenta in tutte le direzionalità kaosmiche, sia in micro che in macro o mega,giacchè i sentieri creativi morfoattanti si gettano in campo globale: ogni infinitesimo per ontogenesi si eventua quale singolarità non solo immaginaria anche virtuale,trascendente, transfinita, kaosmica. Giacchè lì la temporalità si svela trascendente ontopoietica, ma anche disvela la sua differenza ontologica attraverso le increspature metastabili che creano i sentieri irreversibili nel tempo dell’esserci nella Gestell o struttura ontologica planckiana. Morfogenicamente i modelli ontologici eventuano le morfoattanze o le interazioni della Gestell di Planck delle ontofisica: nel disvelare le singolarità della temporalità ellittica la temporalità virtuale parabolica la temporalità transfinita iperbolica la metabolica temporalità dei sentieri creativi delle kaosmiche ontoboliche. Lì nella Gestell-Planck si eventuano reversibili ma nella gettatezza cosmica appaiono irreversibili, ma sempre kaosmici. Il modello ontologico consente di eventuare l’oltre del futuro che ancora non c’è anche della nuova fisica teorica sperimentale risorta dalla superpotenza di calcolo quelle varietà classica emersa nella cromodinamica si disvelerà quale singolarità virtuale o immaginaria dell’indeterminatezza del gluone-quark dell’intermittenza quantica della Gestell planckiana. Il glug-quark è la virtuale singolarità intermittente della Gestell dell’indeterminatezza quale creodo ontologico. L’isomorfismo è l’identità di struttura: una struttura può venire incorporata in un’altra, se la prima è isomorfa a una parte della seconda. A questo punto ci possiamo chiedere che cosa significhi parlare di “verità di una teoria” . Che cosa significa interpretare una teoria e Come si applica tutto questo alle teorie fisiche? La nozione di verità rispetto a un modello fisico è di carattere parziale, come quella di ‘adeguatezza empirica’ . L’uso di nozioni ‘parziali’ di questo tipo, che sono in qualche modo alternative a quella generale di ‘verità di una teoria’, risponde a un’impostazione che ritiene più opportuno concentrarsi su aspetti pragmatici e empirici che non su domande come “La teoria è vera?” o “Sotto quali condizioni la teoria è vera?”. Ma che cosa si può dire in base all’approccio semantico alle teorie fisiche relativamente alla questione generale della verità di una teoria? Se la verità di un’intera teoria è determinata dal fatto che il mondo reale sia effettivamente come la teoria dice che deve essere, che cosa succede nel caso che una teoria ammetta più di un’interpretazione, cioè nel caso che, secondo la teoria, il mondo reale possa essere fatto in due o più modi diversi? La fisica, sia classica sia quantistica, ammette una teoria con diverse interpretazioni; o altrimenti detto, se includiamo nella definizione di una teoria anche la sua interpretazione, due diverse teorie che descrivono gli stessi fenomeni: la meccanica quantistica è una teoria fisica con una definita struttura formale e una determinata portata empirica, ma con un problema interpretativo ancora aperto. Le interpretazioni di questa teoria sono infatti molteplici: dalla ‘teoria dei molti mondi’ alla ‘teoria della riduzione dinamica’ e alla ‘teoria della decoerenza’.Ognuna di queste interpretazioni ci dice qualcosa di diverso su come è fatto il mondo descritto dal formalismo quantistico: se una particella microscopica come l’elettrone abbia una traiettoria ben definita, secondo alcune intepretazioni la domanda avrà una risposta negativa, secondo altre interpretazioni la domanda avrà una risposta positiva. La verità di una proposizione come “l’elettrone ha una traiettoria ben definita” dipende dunque dall’interpretazione scelta. Ma il vero problema è che cosa succede della verità dell’intera teoria. Come possiamo giudicare, in tal caso, della verità della teoria? Ma i problemi per la nozione di verità non finiscono qui:la teoria newtoniana dello spazio, del tempo e del moto e la teoria della relatività speciale di Einstein , viene da dire che la teoria vera è la relatività speciale. Ma la teoria newtoniana funziona molto bene in un certo dominio: relativamente ad esso ‘salva i fenomeni’ esattamente come la teoria della relatività, e la sua descrizione dello spazio e del tempo può essere ‘vera’. La verità di una teoria fisica può quindi dipendere non solo dalla sua interpretazione, ma anche da domini interteorici o interteorica adeguatezza intersoggettiva. La simmetria, intesa nel senso di ‘invarianza rispetto a un gruppo di trasformazioni’, ha ormai acquistato una posizione del tutto centrale nella descrizione, spiegazione e previsione dei fenomeni naturali. Dalla fisica microscopica alla cosmologia, la ricerca scientifica ricorre sempre di più a considerazioni, principi e metodi basati su proprietà di simmetria. Nella fisica contemporanea, le proprietà d’invarianza delle leggi fisiche sono postulate attraverso principi, noti comunemente come ‘principi di simmetria’ o ‘principi d'invarianza’. Il primo principio ad essere stato esplicitamente formulato come principio d’invarianza è il principio della relatività speciale, attraverso il quale Einstein stabiliva, nel 1905, l’invarianza delle leggi fisiche rispetto a cambiamenti di sistemi di riferimento inerziali. Dai primi lavori di Einstein sulla relatività alle più recenti teorie quantistiche dei campi, la storia dell'applicazione dei principi di simmetria all’indagine fisica coincide in larga parte con la storia della stessa fisica teorica: basti pensare alla formulazione della relatività generale, all’introduzione delle simmetrie quantistiche, all’estensione della teoria dei gruppi di simmetria all'ambito della meccanica quantistica, e all’elaborazione delle teorie di gauge, le teorie di campo fondate sulle cosiddette ‘simmetrie di gauge’ attraverso le quali si descrivono le particelle fondamentali e le loro interazioni. Nello spirito della teoria della relatività, l’invarianza delle leggi fisiche rispetto alle trasformazioni spazio-temporali esprime l’ invarianza rispetto a cambiamenti dei sistemi di riferimento o ‘osservatori’. Su questa base, è quindi possibile porre le invarianze spazio-temporali in rapporto con un criterio di oggettività intersoggettiva della descrizione fisica: le leggi mediante le quali descriviamo l’evoluzione dei sistemi fisici hanno valore oggettivo in quanto non cambiano : oggettivo è ciò che è invariante rispetto al gruppo di trasformazioni dei sistemi di riferimento, oggettività significa invarianza: una visione della temporalità "altra" da quella lineare: si passa da un'immagine bidimensionale dell'800 ad una tridimensionale ove la visione lineare è semplicemente un aspetto particolare. Qui c'è lo stesso passaggio verificatosi quando la geometria euclidea fu superata dalle geometrie lobacewskyane o iper-euclidee o non euclidee; c'è lo stesso passaggio di quando Copernico scoprì la non realtà delle teorie tolemaiche. Aspetti della ricerca epistemologica,Filosofia della Conoscenza,Filosofia della Scienza, nella scienza stessa. Il tentativo di assorbire integralmente la filosofia nelle scienze trova la sua principale ragion d’essere negli sviluppi del sapere scientifico nella tendenza ad occupare spazi tradizionalmente riservati alla filosofia. Aristotele diceva dell’essere si parla in tanti modi ed alcuni paiono essere ancora utili e sensati. La visione del tempo lineare dipende dalla possibilità di calcolare, con i numeri reali, un segmento e/o una linea retta. Ma quando vengono scoperte altre teorie di numeri non reali ma nello stesso tempo razionali e naturali anche la possibilità di calcolare un tempo non lineare diventa un gioco. Hawking verso la metà degli anni '70 elaborò, attraverso i "numeri immaginari", la teoria del "tempo immaginario". I "numeri immaginari", si sa, sono perfettamente numerabili, calcolabili anche se non commensurabili con le altre teorie numeriche:numeri "reali", "naturali", "irrazionali". Nell’estate del 1995 a Firenze, S.Hawking ha capovolto la visione: da singolarità dello spazio implosivo del cosmo, a singolarità gettante energia continua ed antientropica nell’universo.Quale paradigma si è eventuato? Un modello spaziale delle singolarità spazio-temporali o singolarità cosmiche virtuali dell’ipospazio nell’iperspazio temporale.S.Hawking ha disvelato nell’abisso della spazialità relativistica einsteiniana, l’ipospazio soggiacente che non è un “nulla” o un “niente”, ma una “superentità” ipospaziale della topologia fluttuante.Nel modello matematico proposto da Hawking, le parti stabili delle singolarità cosmiche s’immaginano instabili, per la nota teoria dell’indeterminatezza di Heisenberg: non si potrà mai sapere con assoluta precisione, pur disponendo della migliore “thecnè” futuribile, quale status possiedano le particelle elementari ai confini dello spazio vuoto: se statico e perciò impermeabile a qualsiasi fenomeno di attraversamento quantico, o instabile ed “ek-statico” e pertanto vibrante di gettatezze singolari, strane o virtuali. Tra le tante possibili o probabili o immaginarie o virtuali alcune omologhe e coerenti e simmetriche o asimmetriche o super-simmetriche: tant’è che nell’ipospazio soggiacente, esisterà almeno una superstringa di particelle virtuali o superonde fotoniche o gravitoni, capace di attraversare l’orizzonte degli eventi da uno spazio-tempo ad un altro: e,per simmetria,sarà anche non impossibile il chiasma ipospaziale della super-stringa cosmica. Getti quantici instabili e virtuali, se simmetrici, creeranno un campo gravimagnetico implosivo; se asimmetrici, un campo di fissione esplosivo estatico: genesi, dal “nulla” o dal “niente” o dal “nihil” cosmico, della materia o antimateria virtuale: singolarità dello spazio-tempo, cronotopie della relatività quantistica. Sarà così ? Nessuno, forse per qualche secolo potrà rispondere a simile domanda cosmica; ma,analizzando con maggior attenzione, il modello topologico di S.Hawking alcune illuminazioni per eventi fondamentali della fisica sono possibili. Di tanti, sono qui enunciati solo alcuni, forse non d’immediata necessità temporale, ma in futuro, dotati di qualità virtuose essenziali.Il chiasma ipospaziale può essere immaginato stabile e statico o instabile ed estatico, o strutturalmente stabile ed estatico. Le curvature graviquantiche dello spazio-tempo circondanti si inabissano in singolarità ipospaziali virtuali: tali da creare una curvatura positiva circolare e simmetrica alla corrispondente biunivoca: una superstringa infinitesima e quantica di dimensioni prossime alla costante di Planck . La virtualità ipospaziale darà alla luce una stringa cosmica ove il flusso di materia o antimateria virtuale ellittica o spiralica, si configurerà quale campo soggiacente l’ipospazio virtuale. La superficie gravitazionale dell’universo s’increspa in negativo, secondo il ritmo dei numeri immaginari coniati da Hawking, fino a disvelare nell’ipospazio soggiacente , le superstringhe morfogenetiche del campo graviquantico: se simmetrico implodente, se a spin asimmetrici virtualmente aggettante nuova energia nell’universo, tanto da generare nuovi, o in passato, big-bangs. Per super-simmetria la stringa ipospaziale s’inabisserà nell’ipercronotopia, tanto da convergere verso la simmetria vicina, o lontana, anni luce.Si eventuerà un chiasma ipospaziale, morfogenesi virtuale e di altri multiversi singolari o strani o immaginari.Se la scienza non ci inganna, e le riflessioni di Hawking sono dense di pregnanza e salienza, siamo di fronte ad un evento della visione del kosmos sconvolgente e paradigmatica al tempo stesso, capace di relegare a particolarità divertenti, tutte le teorie precedenti. Ma anche pregnante talmente da disvelare modelli nuovi, utili per dispiegare gli eventi immaginati da Hawking e svelare salienze inaudite ed ancora inimmaginabili.Là si disvela un modello metabolico cosmico che s’eventua dal nulla, o dal nihil, virtuale ma che forma un chiasma a stringa immaginaria, e in generale un ipospazio virtuale immaginario.Sarà quella morfogenesi cronotopica a stabilizzare un campo gravi-quantico estatico o pregnante di gravità quantistica.In quella supersimmetrica singolarità, le due singolarità cosmiche saranno forse eternamente intangibili, statici, o supergravità delle cronotopie periferiche, ma generanti un campo ipospaziale comunicante e fluttuante e aggettante materia ed antimateria, particelle virtuali e strane, galassie e universi.Per conferire rigorosità e bellezza ad un simile modello di singolarirà virtuale ipospaziale, è possibile inscrivere quel paradigma descritto con i numeri immaginari in varietà topologiche o meglio in trivarietà.Il doppio chiasma ipospaziale virtuale, sarà una bivarietà ove s’inabissano le polarità estreme ed inferiori, quando le pareti si disvelassero instabili, indeterminate ed ekstatiche.La bivarietà virtuale immaginata da Hawking si inabissa nell’ipospazio d’un toro topologico attraversando una stringa cosmica, anch’essa formata da una bivarietà topologica.Nella supersimmetria immaginata da Hawking, la doppia bivarietà toroidale si disvela quale singolarità virtuale del chiasma topologico. Ma quel che appare alla nostra visione non è altro che una composizione frattale della trivarietà ove le singolarità spazio-temporali possono disporsi nella più assoluta libertà nella cronotopia universale, senza alcuna stabile coessenzialità temporale e spaziale, tale da far apparire le singolarità kosmiche singolarità uniche e inequivocabilmente distinte nell’universo, ma in realtà ben inserite nel campo graviquantico attraverso l’ipospazio virtuale di S.H. Se quel paradigma è pregnante in macro nel cosmo, sarà altrettanto nel micro, tant’è che non sarà tanto difficile immaginare stringhe nella micro regione di Planck, ma supersimmetriche alla ipospazialità di Hawking. Sarà bene riflettere sulla cronotopia virtuale creata Hawking e ben disvelata dal modello topologico della trivarietà.Quindi Hawking ci fornisce, per la prima volta, la possibilità di calcolare una temporalità cosmica non lineare e quindi ci dischiude una visione della temporalità "altra" dai paradigmi delle narrazioni dell'800.Se la scienza e la filosofia hanno elaborato una formalizzazione della temporalità diversa.Quel che ci appare in luce ed in modo dispiegato, fu presente in nuce? Prima, però, un raffronto tra la visione temporale lineare e la tridimensionalità del "tempo immaginario". Mentre la classica visione del tempo procede per spostamenti progressivi e lineari come se fosse una freccia del tempo, l'evoluzione del "tempo immaginario" si dispiega nella superficie di una sfera, sorge da un polo "immaginario" il nord raggiunge l'equatore e si chiude in un polo, di linee congiungenti, "immaginario" il sud. Se si pongono le due diverse interpretazioni del tempo in relazione, si comprende come c'è una convergenza ma anche una biforcazione nel percorso incapace di una qualche stabilità certa. "E' un caos" è un'espressione che viene usata per esprimere la dissolvenza di una qualche identità, telos, lineamenti e fondamenti e sta per "non esiste nessuna certezza, finalità, non c'è nessun fondamento". Emerge con una qualche rilevanza culturale, filosofica e scientifica l' "epistème" di due congetture: la più originaria prende spunto dalla dialogia tra apollineo e dionisiaco ove ogni sapere, ogni senso non ritrova più in sè e fuori di sè le coordinate fondamentali: il mondo è dominato da un'instabilità permanente, caotica appunto; il senso della temporalità, in questa visione, avverte il declino sia della linearità sia della ciclicità senza un dispiegamento, però, di un'interpretazione verso altre forme della conoscenza e del sapere: il senso di questa congettura rimane sempre al di qua del senso caotico contemporaneo. La seconda congettura,viene alla luce nella matematica con la "teoria del caos". C'è una qualche corrispondenza tra queste congetture e quel senso impalpabile appena descritto, si può stabilire una qualche connessione tra i vari sensi del "caos" e/o definire che cosa sia questo "senso del caos "? Si evidenzia la necessità di stabilire una minima considerazione sull' "ontologia del chaos", sul senso in sè del "chaos", sulla sua influenza nella cultura. Joyce col suo ossimoro "chaosmos" volle definire un senso che fosse, nello stesso tempo, un "cosmos" non ordinato e non prevedibile; questa parola vuol dirci che l'antica distinzione tra ordine e disordine, tra "cosmos" e "chaos", tra tempo ordinato e tempo disordinato, possono trovare un punto di fusione nell'essenza del "chaosmos" ovvero in un "cosmos" ove non regna più la simmetria apollinea ma fa da padrona l'assimetria dionisiaca. Nello stesso tempo quell'assimetria dionisiaca non si trova però iscritta in una temporalità ben definita, con un orizzonte degli eventi, dei limiti ben evidenziati; tant'è che è impossibile uscire da quelli se non in una sorta di "de-lirio" e di "sub-limen" cioè di un andare oltre la linea dell'orizzonte e quindi in un altro mondo "chaos-cosmos". Il "chaos", quando lo si contrappone al "cosmos" diviene sinonimo di fenomeni incomprensibili, indecidibili; quando si trova un punto di fusione col "cosmos" l' "ontologia del chaos" non fa altro che dispiegare luoghi e regioni dello spazio-tempo ove gli eventi appaiono disordinati, incomprensibili, indecidibili nel piccolo ma in una dimensione diversa appaiono in una prospettiva differente dalla precedente ma non per questo incomprensibili. Forse il "chaos" è compresente in tutte le dimensioni dell'universo ed appare incomprensibile per la razionalità, per il sapere ed il calcolo. Ma quando l'osservatore lascia che il "chaos" vinca le sue battaglie in quella dimensionalità e si sposta verso una dimensione "altra", il "chaos" cessa di essere tale per rivelarsi nella sua armonia e bellezza simmetrica. Si può definire l' "ontologia del chaos" quale rappresentazione dell'essenza delle cose nella propria dimensione non delineata da nessuna cultura, razionalità,calcolo. Perchè il "chaos" possa essere considerato un oggetto di osservazione, quindi, si dovrà trovare una soggettività visiva che ne delimiti l'orizzonte, il senso e la forma. Per una classificazione delle varie tipologie caotiche, immaginiamo un disco in cui sia incisa una musica infinita. L' "attrattore strano" sarà la forma regolare del "chaos" i cui confini e l'orizzonte degli eventi sono ben delineati, per esempio a forma di disco, ma di cui è impossibile percepire e calcolare l'itinerario interno. Quando il sapere ha di fronte a sè la forma completa del disco può definire l'evoluzione complessiva,può dare qualche ordine al disordine. Ma lo stesso soggetto visivo, all'interno del disco, non riuscirebbe mai a stabilire un itinerario, un senso, una conoscenza, un ordine: si troverebbe in un classico "chaos". In questa dialogia tra ordine esterno e disordine interno o viceversa c'è tutta l'essenza dell' "ontologia del chaos": è possibile rintracciare i prodromi di questo paradigma , nella monade leibniziana quale sfera contenente in sè il "chaos"e il "cosmos"; ovvero, nella monade c'è un succedersi di simmetria ed assimetria, di "cosmos" e "chaos". Secondo questa prospettiva gli sviluppi compiuti relativamente ai fondamenti della geometria, della logica e della fisica matematica hanno condotto inevitabilmente a una profonda trasformazione della concezione kantiana dei principi sintetici a priori. Tali principi non potrebbero più essere concepiti come necessari, certi, non rivedibili. Ciò che viene negato è un modo di intendere l’a priori, non l’a priori in senso generale. Al contrario molti hanno rimarcato l’adesione, da parte degli empiristi logici, ad una concezione relativizzata dell’a priori. L’a priori contestualizzato costituisce la base per quella che è stata definita una negazione “debole” del sintetico a priori kantiano. Secondo questa interpretazione il carattere proprio dell’empirismo logico sarebbe da individuare esattamente nella tensione fra aspetti di tipo kantiano e aspetti riduzionistici. Forse nel periodo musicale,nello "zeit-raum" mozartiano è già presente il "chaosmos". "Zeit-raum", nella sua originarietà, significa spazio-tempo ovvero il senso del periodo quale fu formulato in origine: "perì-odòs" limite intorno ad una strada, ad un sentiero. La musica mozartiana è la prima musica col senso dello "zeit-raum", del periodo che ha in sè una simmetria, rigorosità, completezza apollinea, cosmica ma che, nella sua essenza, al suo interno conserva e svela un disordine, un'assimetria, una tonalità che va oltre l'ordine musicale esistente. Lo "zeit-raum" sarà quindi, quale metafora del "chaosmos", lo spazio cosmico entro cui è possibile far soggiornare il tempo caotico e nel contempo il tempo cosmico, ove soggiorna lo spazio del "chaos". Mentre nel "cosmos" spazio e tempo ci appaiono, sia nella fisica classica fino a Newton sia nella fisica einsteiniana e post, come regolati da una legge e da una rigorosità calcolabile e nel contempo come se fossero governate da identiche leggi, sensi, forme; nello "zeit-raum chaosmico" è possibile che lo spazio ed il tempo siano governati da una "differenza": tempo ordinato e spazio disordinato, tempo caotico e spazio cosmico. Si potrebbe anche evidenziare una fenomenologia in cui una spazialità cosmica sia abitata da una temporalità caotica e viceversno. Si potrà allora definire un "attrattore strano" avente una dimensionalità temporale caotica ed una dimensionalità spaziale cosmica. La ragione classica si è trovata di fronte a questi fenomeni della scienza. Il pensiero filosofico, per riuscire a trovare un'interpretazione di questi fenomeni, è stato costretto ad abbandonare le grandi narrazioni. Forse Nietzsche con la sua dialogia Apollo-Dioniso, accennò a questa ipotesi, ma al di sotto delle complessità evidenziate dagli "attrattori strani" formulati da Lorenz; del resto mai appare, nel pensiero nicciano, la presenza metaforica di una divinità che possieda gli elementi del dionisiaco e dell'apollineo quale essenza stessa della sua natura: lo spazio-tempo ove il "chaos" viene alla luce per generare mondi abitati da una caoticità imprevedibile ed indecidibile dove trovano dimora dei ed uomini quindi il dionisiaco, l'apollineo e l'umano che non è nè dionisiaco nè apollineo ma è l'uno e l'altro. In principio il "chaosmos" è isologico con la "fusis" e, a sua volta, questa isologia è possibile interpretarla come un "attrattore strano" ove la "fusis" si evidenzia con un orizzonte, una forma, una formula rigorosa e completa ma che in sè possiede infiniti itinerari labirintici. Per poter parlare della "fusis", quale "ontologia del chaosmos", non è più possibile utilizzare il linguaggio che tutt'ora costituisce la nostra "koinè", perchè l'evidenziarsi del "chaosmos" qual e "fusis", natura ha messo in crisi non solo le grandi narrazioni, ma anche l'essenza stessa del linguaggio. Solo una nuova visione della temporalità può offrire nuovi orizzonti alla nostra riflessione; quale relazione, allora, intercorrerà tra temporalità caotica e/o immaginaria, "pensiero della differenza" e l' "ordine simbolico del mondo". Sperimentiamo il tempo come un passaggio continuo e inarrestabile da ciò che fu a ciò che è adesso ed ulteriormente a ciò che sarà. Questo passaggio quasi impercettibile non significa che il tempo sia un'entità assoluta,la cosiddetta teoria del «tempo assoluto», o vuoto, assunta da Newton, poiché in realtà il tempo è una caratteristica derivata dal movimento «teoria relazionale» del tempo, seguita da Leibniz. Ogni mutamento contiene una dimensione irriducibile di successione di un “prima” e di un “dopo” ed è questa la temporalità nel suo momento originario, prima di ogni misurazione . Laddove c'è successione, c'è una forma di temporalità. Da questo punto di vista, ogni fenomeno successivo produce un proprio tempo, ma a causa dell'intreccio tra gli esseri della natura, normalmente il prima e dopo di molti fenomeni si determina in rapporto a certe successioni standard . Il tempo quindi è l'ordine successivo prima/dopo tra gli eventi , nato dal movimento . Però, ciò che cambia permane sotto molti altri aspetti, per cui il tempo, in un senso più frequente del termine, è la «durata dell'essere mutevole», una durata sempre immersa nel cambiamento, dal momento che ogni essere naturale subisce costantemente trasformazioni interne e anche cambia a causa del mutamento continuo della natura circostante. Così un ente dura il tempo di un'ora, di un giorno, di alcuni anni, in quanto permane nell'essere durante quel periodo o durata, che resta determinata proprio perché quel periodo è stato caratterizzato da alcuni cambiamenti e dai mutamenti nei fenomeni del cielo, in quelli terrestri, dei viventi. Se, per assurdo, non cambiasse mai nulla nel mondo e non ci fosse alcun riferimento, nemmeno esterno, ad una qualche successione di eventi, allora in quello strano stato non si darebbe un vero «tempo». A durare è ciò che è mutevole e, per questo motivo, le cose a-temporali, come sono i concetti astratti, per esempio i numeri, non «durano» . Il tempo, in quanto dimensione non spaziale del moto, è suscettibile di essere quantificato. Newton concepiva il tempo come assoluto, come un flusso uniforme e infinito, indipendente dalle cose, il quale tempo non era altro che un'idealizzazione pari a quella dello spazio assoluto e infinito. Kant seguì in un certo senso la stessa strada, solo che ridusse il tempo ideale newtoniano a un'intuizione a priori della sensibilità interna dell'uomo, introducendo così il dualismo tra il tempo psichico (quello della sensibilità interna) e il tempo assegnato ai fenomeni per inquadrarli nelle categorie del pensiero: è vero che il tempo astratto è costruito in parte dall'uomo quando misura la successione dei moti naturali il giorno, l'anno, in quanto tali sono entità di ragione fondate sulla realtà, ma altri aspetti del tempo sono ontologici e pre-metrici il futuro non è un ente di ragione. La teoria della relatività di Einstein eliminò in maniera definitiva l'idea del tempo assoluto nella fisica. Il tempo, lo spazio-tempo è relativo allo stato di moto di un dato sistema di riferimento, e nella teoria della relatività generale il tempo è anche relativo alla intensità del campo gravitazionale, cioè alla curvatura dello spazio. L'evento creativo dell'Essere sul tempo sarebbe in qualche modo pensabile soltanto in un modello di universo nel quale le linee dello spazio-tempo fossero quelle elaborate da Kurt Gödel:interpretazione ontologica della pl-theory? Lì si eventuerà la crisi ontologica della mathesis, in relatività con la ricerca della verità ontologica, o svelatezza, dell’essere al di là dei paradigmi della metafisica influente,ininfluente dell’imperativo categorico della volontà di potenza. Il futuro abita nel presente sia il pensiero ontologico, sia l’indicibile paradosso godeliano della fondatezza metaontologica della mathesis: la mathesis dell’essere quale disvelatezza della verità ontologica, altri saranno felici delle magnifiche sorti virtuali della matematica, senza sottrarre nulla a quella presente epoca, è giunto il tempo ontologico dell’evento della epochè, quale mathesis della fondatezza ontologica della verità disvelata delle matematiche. La metaontologia della mathesis si disvelerà quale ontosinestesia del pensiero ontologico, in relatività con la crisi della fondatezza ontologica godeliana. La fondatezza ontologica abita il futuro nella presenza della fondatezza virtuale, immaginaria, kaosmica quale modello ontologico del dicibile della koinè ontologica eventuante i paradossi ontologici, ma gettante, oltre la verità ortogonale, i paradossi dell’adeguatezza categorica imperante paradigmatica. Qui il futuro abita il presente nell’essenza della fondatezza ontologica, o meglio dagli eventi godeliani è possibile dispiegare una metaontologia della fondatezza della mathesis. Quale completezza della fondatezza non sarà sufficiente solo una fondazione ortogonale, noetica, imperativa, categorica, modale adeguata all’inferenza della volontà di potenza paradigmatica sia per l’infinita’ degli eventi che sfuggono o che rimangono nell’oblio, sia per la disvelatezza dell’essere ontologico che eventua la fondatezza ontologica della verità, ma anche della stessa fondatezza virtuale della technè frattali, sia della fondatezza immaginaria della temporalità, sia soprattutto e per lo più per l’eventuarsi della fondatezza kaosmologica fluttuante topologica, intuita dallo stesso Godel, poco prima dell’al di là, con le sue teorie kaosmiche degli universi transfiniti, ma sinestetici nella temporalità ontologica, quale singolarità sulla curva del mondo, quale increspatura dynamica dello spazio tempo o l’infinita complessità di ogni singolarità dynamica e svolgendo le infinite ‘pieghe’not strange, and that it is not clear that we will have sufficiently clear intuitions concerning them to allow us to assess differing answers. In response, let me begin by reiterating the point I made in the introduction that assuming, as I do, that the types view is correct, such questions may take the types view at least a step farther even if they are arguably not starting points for inquiry in musical ontology. Questions about the cessation of musical works have seldom been asked before in the by now vast literature on musical ontology, and attempting to raise and answer them modifies the basic types approach and may well have important consequences for it and for musical ontology; note in passing here that I distinguish the cessation of musical works from their destruction, as I take destruction to involve the intention to destroy, whereas cessation is intention-neutral and thus a broader category. Moreover, Jerrold Levinson has suggested a range of at least seven different possible answers to such questions about the cessation of musical works; to my knowledge, Levinson is the only other person to have asked such questions before, though even he does not explore them at length (Levinson 1990, 262): (1) musical works are indestructible, once created, and at most may become "lost" or inaccessible to us; (2) musical works are destroyed with the destruction of human beings and their successors; (3) the permanent destruction of all records and memories of musical works destroys them; (4) disintegration of the musical practice that allows musical performance destroys musical works; (5) loss of the musical tradition and requisite background knowledge needed to understand musical works destroys them; (6) absence of their material embodiments, that is, scores, manuscripts, recordings, and performances (though not conceptions and memories), destroys musical works; and (7) irreversible large-scale neglect or disrespect for musical works destroys them. Let us briefly assess and reject some of these possible answers in the hope that this will clarify our intuitions about the different answers and how to assess them. To begin with, (7) will not do, for even if a work is disrespected or neglected, that shows only at best that few care for the work or ever will care for it, not that the work itself has ceased to exist, just as a neglected or disrespected painting still exists even if hardly anyone cares for it. To turn to (6), this too will not stand, for so long as a work can be retrieved, performed, scored, recorded, and the like from its memories, conceptions, and reproductive capacities in individual minds, the musical work continues to exist. Indeed, such a work would be akin to (short) musical works or (simple) paintings or (short) poems that the artist has conceived and created, thus bringing them into existence, but has not yet set down on paper or on canvas. Nor will (5) do, for all it shows at best is that the work is not adequately understood, not that it does not exist, just as a painting not adequately understood still exists. It might be objected here that my rejection of (5) begs the question. Perhaps the analogy with painting is supposed to be a reason, but one could hold the view analogous to (5) about paintings too; (5) is as plausible about paintings as it is about musical works. The question is why we should not regard paintings and musical works the way (5) suggests, and I do not provide a reason, or so the objection goes. Here is my response to this worry: (5) says that loss of the musical tradition and requisite background knowledge needed to understand musical works destroys musical works. This, I submit, will work neither for music nor for painting. Take painting. Let us say Picasso's Guernica remains as it is today, but in the year 3006, humans have lost the painterly tradition and requisite background knowledge needed to understand such paintings. Does the painting cease to exist? Let us grant this for argument's sake, even if it seems odd. Now let us say that in 4006, humans recover and exactly reconstruct the painterly tradition and requisite background knowledge needed to understand such paintings. Has Picasso's work now come back into existence? Can the same thing go in and out of existence? That seems very odd, and is also contrary to Locke's claim that no one thing can have two beginnings of existence, or go in and out of existence. It seems ontologically more economical, simpler, and better to say that the work still exists in 3006, even if humans do not know how to understand it. If this is right, then paintings and musical works, analogously, do not necessarily cease to exist when merely an artistic or painterly or musical tradition is lost, and there is no requisite background knowledge available to understand them. So (5) must be rejected. Turn now to (4), which too falls short, for so long as there exist recordings, scores, and the like of the work, the work still exists even if no one can perform it, and indeed recordings of the work can still be played and heard, allowing listeners to access, understand, and appreciate musical works themselves, which must thus exist. It will emerge below that my own view is somewhere around (2) and (3) above, and so I now turn to providing some grounds for rejecting (1). Just as we allow the possibility that musical works are created and thus come into existence, similarly we may want to allow the parallel possibility that they can cease to exist. Allowing so would also involve a second parallel, this time with physically based artworks that can be created as well as destroyed (e.g., paintings are destroyed when torn to shreds or burnt, and carved sculptures when shattered), and thus we would also get a theoretical unity on this issue across the various arts. Moreover, prima facie at least, it seems to be the case (or at least to be intuitively appealing on grounds of symmetry) that whatever comes into being through creation, especially human creation, can also cease to exist over time (cf. Levinson 1990, 261–63).1 It seems hard to find a counterexample to this parallelism, and even literary works would seem to cease to exist if there exist no manuscripts or printed copies or complete and accurate memories (or recordings) of them; even (created) scientific theories such as Newtonian physics can cease to exist, by my lights, if there exist no humans (or no one sufficiently humanlike) to learn about them and think of them, even if various (discovered) physical laws such as the law of gravitation may still hold. It is not clear what reasons we might have for exempting musical works alone from this idea that whatever is created can cease to exist. Moreover (as I argue against Wolterstorff in section 4), Platonism about artworks is untenable, and I find unacceptable the idea that artworks that are irretrievably "lost" to us continue to exist either in some Platonic realm or as part of the fabric of this world in some indeterminate location. I think Aristotelian Realist proposals can answer better such questions about irretrievable artworks, saying that they cease to exist. Such Aristotelian proposals should be preferred to Platonist ones if only on grounds of simplicity and economy, insofar as they are consonant with our pretheoretic views on the temporal properties of works. Finally, (one of) our main interest(s) in artworks, as audience members, lies partly in being able to experience them; this may also be part of one of the main interests of artists in creating artworks, viz., that they themselves or others be able to experience their artworks when completed. If this is impossible in principle, for the artworks in question are in principle irretrievable and not reconstructible (as in the musical case at hand), then we should say that (for all practical and aesthetic purposes) the artworks in question have ceased to exist as artworks (though they may still exist as physical objects). In this sense, artworks can not only be created and destroyed but may also be weakly mind-dependent in that if it is in principle impossible for any humans or anyone sufficiently humanlike ever to experience them (or experience them as art), then they cease to exist as artworks, even if they may exist as pieces of canvas or blocks of stone or pieces of paper with marks on them. I should clarify that I mean the most rigorous sense of "in principle" here, one that involves the existence of human beings: if no humans exist or could exist and no one sufficiently like humans exists or could exist to experience artworks as artworks, then artworks do not exist as artworks, even if they may still exist as pieces of canvas or blocks of stone or pieces of paper with marks on them. This is not to deny, though, that there is a distinction between artworks being destroyed and their being lost to us temporarily (e.g., an old musical work that we know of may be lost to us and yet exist, unknown to us, for its complete manuscript lies unknown in some forgotten attic, where it will be found at some time in the future). At this point, someone might raise the following concern for me. Suppose a musical work of mine exists only as a mental object in my head until I play it on live radio once and then immediately die. No one recorded it or has an amazing enough memory for the work to continue to exist as a mental object in his or her head. The radio waves are now traveling out from the solar system at the speed of light. The radio signal represents a sufficiently complete encoding of the musical work, as complete as any CD, say. Yet it is physically impossible for humans to retrieve the signal, and let us assume there are no intelligent aliens out there. Is it in principle impossible for the work to be recovered when it is physically impossible? Does the musical work continue to exist or not? This is a good worry, and here is my response to it. As stated above, on my view, "in principle" involves the existence of human beings. In the above scenario, it may be physically impossible to recover the work, but that need not amount to in-principle impossibility. For I take in-principle impossibility to be stronger than mere physical impossibility, as involving something approaching—even if short of—logical impossibility. The musical work still exists in this scenario, but it is lost to us, perhaps permanently so, unless the radio waves are somehow bounced back to us from outer space or some such thing. The existence of the musical work does not depend on aliens intercepting it, and the work can exist without aliens, so long as there are humans, even if the work is (permanently) lost to us. Assuming, then, that questions about the cessation of musical works make sense and allow for differing answers, I turn now to my view. At first blush, it might be thought that a musical work ceases to exist when there are no performances of it, since performances of it are tokens or instances of the type that is the musical work. But, given the very real possibility that some musical works may be forgotten or unpopular, and thus remain unperformed at various times in history even though their scores are extant, it might be thought that a musical work ceases to exist not when there are no performances of it but rather when, in addition to its not being performed, there survive neither any copies of the score of the work nor the composer's original manuscript.2 However, consider now the following cases. Suppose there existed neither performances nor any copies of the score nor Bartok's original manuscript of Music for Strings, Percussion, and Celesta. But there does exist at least one good recording of a complete and more or less accurate performance of the work. In such circumstances, has Bartok's work ceased to exist? Perhaps not, for through auditionings of this recording we can hear the work itself as it should sound.3 Consider, second, the case where even this lone recording is destroyed, and there are no performances, manuscript, or copies of the score of the work. However, Y, who has an amazing musical memory, remembers the entire work accurately (either from auditionings of it or on the basis of auditionings plus a visual memory of the score), with all its melodic, harmonic, contrapuntal, rhythmic, orchestral, structural, textural, timbral, and other details.4 Here too one might say that the musical work has not ceased to exist, though for the time being perhaps it exists only as a mental object, as a mere memory in the mind of Y alone; yet it is not an in-principle private and unshareable object.5 It should be noted that in such cases the musical work itself has not undergone a transformation, even though its mode of existence may change. There are at least four ways in which musical works cannot exist, and briefly enumerating these will help answer our question about the cessation of musical works. First, musical works cannot exist in some Platonic heaven, completely independent of their tokens, and of us, for that matter. In any case, one problem for any view that sees artworks as Platonic entities—whether existing in their own realm or "somewhere" in our world—is to defend the highly counterintuitive view that is also contrary at least to current artistic practice that artworks qua Platonic entities are "discovered," not created (cf. Levinson 1990, 63–88, 215–63). Nor, second, can we allow musical works to be merely private, mental entities, existing only in the minds of their creators (as Collingwood seemed to conceive of artworks); though some works, like unwritten and unrecited poems or unwritten and unperformed music, may exist solely in the minds of their creators, so long as the creators alone remember them completely and fully. For musical works, when performed and recorded, are public entities that many can hear and share, and do not exist only in their creators' minds as private entities accessible only to the creators. And, third, we do not want musical works to be merely imaginary or unreal either (as Sartre seemed to view artworks), for it is not clear how such unreal works can be heard, or how they can have any property, aesthetic or unaesthetic, apart from being unreal. Nor, fourth, can we identify musical works with physical objects, existing only where these physical objects are, as we might do with carved sculptures and paintings—for example, the Mona Lisa exists in the Louvre, where the canvas that constitutes its physical base is. For, to begin with, the physical bases of music are not as clear as those of painting and carved sculpture. Moreover, even if performed sounds (and possibly manuscripts and scores) could be said to form the physical bases of music, it seems that some musical works may exist not where these physical bases are, as is the case with paintings and carved sculptures, but solely in the minds of their creators, as in the cases of unwritten and unperformed works (though here again it might be said that the neural events of their creators form the physical bases of such works). Most important, we cannot identify musical works uniquely with physical objects—for example, Mahler's Fifth does not exist uniquely and solely where the Berlin Philharmonic performed it, or where my copy of its score is, or even where its original manuscript is, though its existence may be tied to the existence of these physical bases of it—that is, normally it will exist when its performances, copies, or manuscript exist. Go to sectionTop of pageAbstract1. A New Question about the On...2. Something Like Aristotelian...3. Objections and Replies4. Against Musical Works as Cl...References 2. Something Like Aristotelian Realism Musical works must, then, exist in this world, our world, not in some Platonic heaven, or merely in our minds, or merely in physical objects. Now, if these works are types that must exist in this world, how else can they exist but as inhering in and thus being preserved in their tokens or instances and certain nontokens, and not separately from them? That is, musical works as types must exist as inherent in their tokens and certain nontokens, not in separation from them (cf. Margolis 1987). It also follows from the discussion above that musical works exist so long as in principle some being is capable of experiencing a token of a musical work as a musical work, the existence of potential experiencers being a necessary condition for the existence of artworks, which are weakly mind-dependent if I am right. Accordingly, the answer I propose to our question about when musical works cease to exist is that they cease to exist when there exist no tokens (performances and playings of recordings) or certain related nontokens (manuscripts, copies of the score, and full and correct memories) of them, and they can also cease to exist as musical works when there cannot in principle exist any beings capable of experiencing them as musical works. At this point, someone might object as follows to my claim that human extinction or more generally the permanent nonexistence of potential experiencers can cause artworks to cease existing qua artworks. Does human extinction cause paper to cease existing qua paper and canvas to cease existing qua canvas? These are after all functionally individuated artifacts, not natural kinds. Or are artworks somehow more mind-dependent than other artifacts, and if so, why? Here is what I have to say in response to this worry. Paper and canvas can exist qua paper and qua canvas as they have certain mind-independent chemical and physical properties, for example, a certain chemical composition, and the like, in virtue of which they can exist as paper or canvas even if there is no one to write or paint on them. In contrast, it is not clear that musical works themselves (as opposed to sound waves) have such mind-independent chemical or physical properties, nor is it clear that artworks in the other arts have such properties. In the case of physically based artworks such as paintings and carved sculptures, their physical bases such as canvas or paper or stone or wood or metal, and so on, can exist qua physical bases, as they have certain mind-independent chemical and physical properties. But that does not hold for paintings and carved sculptures themselves, which should not be identified with their physical bases, as they have different temporal and other properties. A word is also in order here as to why even though musical works continue to exist even when there exist only manuscripts or copies of their scores or memories of them, nevertheless these are not tokens of musical works but only, as mentioned above, "certain nontokens" or "preservative nontokens" of them. This is what I have to say in response. Musical works can be, and are primarily meant to be, heard, and are audible through their tokens—performances and playings of recordings—which in turn can be heard, as they are occurrences of sequences of sounds in a certain order.6 In contrast, copies of the score of a musical work or its manuscript or a memory of it are not audible.7 Thus, even though musical works may be said to somehow inhere in (and be retrieved or accessed from) copies of their scores, their manuscripts, and memories of them, and thus survive even when one of these alone exists, nevertheless these are not tokens or instances of the musical work, as unlike the musical work and its tokens they are not audible; a score, in particular, is an arrangement of graphic signs or inscriptions in which the musical work may be said to inhere or be preserved (cf. Ingarden 1986, 38–39), but it is not a token (only a "notated recording") of the musical work.8 Unlike performances and playings of recordings, these appropriately related nontokens are not audible, sound-sequence occurrences, and thus they cannot be tokens of the type that is the musical work. And yet their existence is sufficient—though not necessary—to preserve the work, so that it persists if they exist: it is possible to perform, record, and hear musical works even if only their scores or manuscripts or complete and accurate memories of them remain. Here someone might object to my view as follows. Certain savants or accomplished musicians and composers can read a score and "hear" the music, in a manner that is effectively the equivalent of an auditory hallucination. Why should we not conclude that scores are audible and thus are tokens, though they are not audible to everyone? After all, performances are not audible to everyone either; they are not audible to the deaf. My response to this concern is that the kind of private, "silent" hearing "in one's head" described here does happen, but it is not the usual kind of public hearing through one's ears, which is how musical works are meant to be heard, standardly, with all their timbres, harmonies, melodies, dynamics, and so forth. In particular, it is doubtful if one hears all timbres or tone colors as well as crescendos, decrescendos, and the like when one hears in one's head, the way one hears timbres, crescendos, decrescendos, and the like through the normal, public mode of hearing through one's ears. To use a Humean distinction, perhaps one only has ideas or memories of timbres, crescendos, decrescendos, and the like when hearing in one's head, not impressions of these, which you only get when you hear through your ears; and as Hume said, impressions are livelier and more forceful and vivid than ideas. Thus, as mere scores are not audible through the ears to normal hearers who are not deaf, scores cannot be tokens of musical works, unlike full and correct performances and playings of recordings, which are audible through the ears in the usual, public way to normal hearers. But at this point, someone might object to my proposal as follows. If, as on my proposal, a musical work exists so long as its tokens (performances and playings of recordings) or certain preservative but inaudible nontokens (manuscripts, scores, and full and accurate memories of it) exist, and the work exists as inherent in these, then surely we want to capture what is common to the tokens and nontokens on which the work's existence depends. For, presumably, the dependence of a musical work's existence on its tokens and certain nontokens reveals something central about it. The type-token distinction precisely fails to capture what is common to the tokens and nontokens on which a work's existence depends, for it is too narrow to capture the variety of this set of ontological dependencies. If musical works really are types, why should anything other than tokens be relevant to their continued existence? Surely in making the claim that certain nontokens suffice to preserve musical works we are undermining the claim that musical works are types by making that view undesirably disunified. This is a good worry, and here is a reply to it. The preservative nontokens (manuscripts, scores, and full and correct memories) of musical works that suffice to keep them in existence constitute reliable recipes for making tokens (performances and playings of recordings) of musical works. A recipe can give us access to the work so long as one can see from the recipe what the token built according to the recipe would be like, and this is exactly what these recipes for producing performances and recordings do. My position, then, is that musical works exist so long as either their tokens or reliable recipes for making those tokens exist. Such a position is not undesirably disunified, for it explains how two seemingly very different kinds of things, tokens and certain preservative nontokens, turn out in fact to be related, in that the latter are reliable recipes for making the former. Thus, at least prima facie, the claim that musical works are types is not under threat. In fact, something very interesting about types as abstracta may emerge as a result, to wit, that at least some types, most notably musical works, may exist not just if their tokens do but also if only recipes for making their tokens exist; it is tempting to claim similar things about other types, such as culinary dishes (like pasta primavera or Kung Pao chicken or nachos)—that these exist if their respective tokens or instances do or even if only recipes (in the form of written or oral instructions, memories, molds, and the like) for making their tokens exist. At best this might show that musical works and some other abstract entities such as culinary dishes are not classic types but an intelligibly related cousin thereof, which we might call types'. For in the case of classic types such as word-types, one might think a word such as "Socrates" ceases to exist if there exist no written or spoken or remembered or conceived tokens of it, even if there exist recipes or instructions for putting the letters a, c, e, o, r, s, and t together in a certain order. The same might not hold true of musical works, however, if the above reasoning is correct, though I shall not pursue this point further, beyond granting the possibility that musical works are types', a relative of classic types. What may be common to them as belonging to the same genus of types is that they are both created abstract particulars, the instances of which are tokens. Where they may differ is that types' can exist even if there exist no tokens of them, only recipes for creating tokens, whereas classic types seem to need tokens to exist. I return to this distinction later. My proposal accords with the fact that types, in general, exist when and where their tokens exist.9 For example, the Red Flag exists only when and where there are token red flags in our world, and not completely separately from its tokens in some Platonic heaven. Nor does the Red Flag itself exist merely in our minds, independent of having any tokens in our world, though of course the concept of the Red Flag exists in our minds alone. My proposal, though it concerns musical works as types, is also quite similar to the kind of answer given by Aristotelian Realists concerning the existence of universals (see Armstrong 1989, 75ff.). On their story, the universal "redness," for example, exists as inherent in red objects, not in some Platonic heaven completely independent of them, or in our minds as an abstract concept, or as a mere name to help distinguish red objects from other objects. My proposal shares at least one virtue with Aristotelian Realists' view of universals. Just as they can allow that "redness" and red objects exist in this world, independently of us in a restricted, non-Platonic sense, my proposal allows that musical works as types, and their tokens and certain nontokens, may exist in this world, independently of us in a restricted, non-Platonic sense. Thus, it makes sense, on my proposal, to talk of forgotten musical works being "discovered," for such works did preexist in their tokens and certain nontokens in this world prior to our "discovery" of them, so long as they were in principle discoverable. But this is not to deny the difference, as pointed out by Wollheim, between the type-token distinction and the universal-particular distinction (Wollheim 1980, 74–79). Both types and universals are abstract, generic entities, with elements falling under them. Universals inhere, on an Aristotelian view, in their particulars, just as types inhere in their tokens. The difference between types and universals is in regard to the transmission of necessary properties.10 Properties possessed necessarily by particulars, qua particulars of their respective universals, cannot be transmitted to their universals. So, for example, the universal "redness" cannot itself be red, though its particulars must necessarily be red by virtue of being its particulars. In contrast, all and only the properties possessed necessarily by tokens, qua tokens of their respective types, will be transmitted to their types. So, to take Wollheim's example, the Union Jack must be colored and rectangular, as all its tokens necessarily are, though it need not be made of linen, even if all its present tokens were to be made of linen. Similarly, the (written) word-type denoted by the English word "Socrates" shares the essential, normative, instance-making properties of its (correct) tokens "Socrates," "Socrates," "Socrates," and so on: like its tokens, it has eight letters arranged in a certain order, it starts and ends with the letter s, and so on. On my proposal, then, musical works are types, not universals, because transmission of necessary properties obtains in their case. Thus, for example, the type that is Bartok's Music for Strings, Percussion, and Celesta must, among other things, have four movements, with the third movement beginning and ending with a marimba solo, as must all complete and accurate performances of that work, if they are to count as tokens of it. Another reason why musical works are types, not universals, is that types, as Wollheim points out, are postulated where we can correlate human inventions with a class of elements, whereas this need not be true of universals. Types (such as coin-types and word-types), in other words, are creatable abstract particulars by definition, while universals, though abstract, are neither creatable nor particular objects; the universal redness, for example, is not created by us but is something we discover (at least on Realist as opposed to Conceptualist views about universals) as inherent in red objects, independent of our (actual though perhaps not possible) perception. So, musical works, being particular human creations, are types, while "redness" is not a human creation and thus not a type but a universal. At this point, it might be objected that bureaucratic efficiency, for example, would seem to be a universal. In any case, it is a multiply instantiable entity that cannot have the necessary properties of its instances. Yet bureaucratic efficiency has not always existed, and it seems to have come into existence through human creation (albeit not by the creation of a single individual). So the type-universal contrast may not have been fully sorted out. I have four things to say in response to this. First, I agree fully that the type-universal contrast may not have been fully sorted out. In fact, I urge that philosophers come up with an inventory that, once and for all, distinguishes carefully between types, universals, kinds, classes, sets, and other abstracta, though I myself cannot do so here. Second and related, if it exists, bureaucratic efficiency would seem to be a created, multiply instantiable entity. But, as I pointed out, it does not share with its instances their necessary properties (of being bureaucratically efficient, and so on, in this case), which I have urged is a feature of types. So it is possible that bureaucratic efficiency may be a sort of created abstract entity that is different from types, and it may also be a sort of abstract entity different from universals, kinds, classes, and the like. However, exactly what kind of created, abstract entity bureaucratic efficiency is is something beyond the scope of this essay on musical ontology, so I will simply note here that it may be a kind of abstract entity different from types, universals, and so forth. Third, note that Platonists might plausibly argue contra this concern that, like other universals, bureaucratic efficiency is not created but exists eternally. But I myself am not a Platonist, so I will merely note here that it is possible to argue plausibly, contra this worry, that bureaucratic efficiency is not created. Fourth, as someone inclined to Aristotelian Realism, I am open to argue that bureaucratic efficiency does not exist (and cannot exist), as it has no instances (and can have no instances) that it can inhere in. On an Aristotelian Realist view, just as unicornhood does not exist without instances the way redness does, similarly bureaucratic efficiency might be thought not to exist, as bureaucracies are bound to be inefficient, tardy, unaccountable, corruptible, high-handed, and so on. Without any instances of bureaucratic efficiency, then, bureaucratic efficiency cannot exist, on an Aristotelian Realist view. At best, it is only conceived of, as an ideal we can only hope for. It might also be objected here that a central use of the type-token distinction has been its application to our mental states, and as it is not clear that these are creatable, it is not clear that types are creatable either. In response, note first that the type-token distinction was historically first introduced into philosophy by Peirce, who used it to talk about symbols, including word-types, which clearly are created. Second, it might be argued that at least some mental states (some beliefs, desires, and so on) are created by individual subjects in the light of their particular circumstances, and even subjects might arguably be said to have been created by their forebears. Go to sectionTop of pageAbstract1. A New Question about the On...2. Something Like Aristotelian...3. Objections and Replies4. Against Musical Works as Cl...References 3. Objections and Replies I want now to address briefly some objections to the view proposed above. One objection might be that musical works themselves as types cannot be heard, for types are abstract objects, and like all abstract objects (universals, kinds, classes, sets, and so on), they can only be conceived or thought or imagined, not sensibly perceived; only their tokens—performances and playings of recordings—can be heard. To this objection I want to reply that musical works as types are accessed and perceived in and through hearing their complete and accurate tokens, so that in perceiving their tokens one perceives both token and type (cf. Wolterstorff 1980, 40–41). To be sure, perhaps in the case of physical object types, such as the U.S. quarter or the Stradivarius violin, one does not literally perceive the type but rather only grasps or intellectually intuits the type through perceiving its exemplary tokens. But, I submit, in the case of musical types, one actually hears the work itself through hearing its exemplary tokens, both performances and playings of recordings. Lest I be misunderstood, note that I do not mean to divorce perception and intellection via a radical, mutually exclusive dichotomy between these two. I grant Kant, Sellars, McDowell, and so on, that perception may in fact involve intellection in that perception may involve applying concepts. So we may hear and perceive the audible type that is the musical work in a way that involves concepts; indeed, it seems we must apply concepts, such as sound, pitch, melody, rhythm, harmony, and the like, to hear musical works coherently. My claim is only that while we may merely intellectually grasp physical object types such as the U.S. quarter, we hear the type that is the musical work in a way that involves concepts, and we may also perceive artworks in the other arts in a way that involves concepts. This might show, to revert to a distinction suggested earlier, that while musical works are types', physical object types such as the U.S. quarter are classic types. So now we may have a second difference between types' and classic types, in that types' may be perceived in and through perceiving their exemplary tokens, whereas this does not hold for classic types. This is in addition to the first difference specified earlier, to wit, that types' can exist even when there are no tokens of them but only recipes for creating these tokens, whereas classic types need tokens to exist. Once again, what types' and classic types have in common is that both belong to the same genus—namely, types—and are thus created abstract particulars, the instances of which are tokens. Moreover, even if what I have just said is denied, so long as the performances and recordings of musical works are (more or less) complete and accurate, and resemble their respective types very closely, for all practical and aesthetic purposes it may not matter too much that we can directly perceive only the tokens and not the types. A second objection argues that it is not possible to create abstracta such as types, so musical works cannot be created if they are types. Nor, it might be said, is it possible to interact causally with abstracta. In response, notice first that at least some abstracta are created. For example, classes, such as the class of all wine glasses in my kitchen, are created, in this case when I put the very first wine glasses in my kitchen. And we can also change and causally interact with some abstracta, such as classes, by adding new members to them and expanding them, or by diminishing them. In the particular case of musical works as types, I submit that even if the chords (arguably being mere permutations and combinations of notes or pitches) of musical works are discovered or hit upon by composers and improvisers, say, at a keyboard or on a guitar or some other instrument, nevertheless both composition and improvisation involve more than such mere discovery of chords. When composing and improvising, composers and improvisers (in jazz and other oral traditions, such as Indian classical music) also make creative decisions (whether deliberated or spontaneous in the case of improvised music) about which notes to select and which to leave out, how to combine the selected notes, what instrumentation to give to the notes they select, what tempi or speeds to give them, what dynamics or volume to endow them with, how to group and articulate and phrase these notes, what rhythms, durations, and time signatures to give to them at different junctures, and so on. As a result of such creative decisions, what comes about is something that is created, something new that did not exist prior to the compositional or improvisational activity and has now come into existence. This is how music-making, like art-making in general, is a human activity, connected essentially to human beings. It would seem odd and counterintuitive to think, in contrast, that musical works are not created but discovered as they existed prior to human beings—indeed, that they would have existed as eternal Platonic universals even if there were never any human beings on our planet but only dinosaurs, say. Such a view not only goes against our current artistic practice that sees composers and improvisers as creators, it would also unjustifiably isolate music from the other arts in that musical works alone would be discovered, whereas paintings, sculptures, literary works, films, and so forth, are created. I return to related issues in the next section. Go to sectionTop of pageAbstract1. A New Question about the On...2. Something Like Aristotelian...3. Objections and Replies4. Against Musical Works as Cl...References 4. Against Musical Works as Classes or as Kinds In this concluding section, I discuss some grounds for rejecting well-known versions of two alternative views, one the view that musical works are classes and the other that they are kinds, this discussion being meant to give the reader some sense of various options about musical works. Between the two of them, the view that musical works are classes and the view that they are kinds constitute two of the three most salient positions in the philosophical literature on musical ontology, the third position being the view that musical works are types (cf. Davies 2003, chap. 2). With these brief remarks behind us, let us turn now to the views of Nelson Goodman (1976). Goodman thinks that musical works are to be identified with classes (or sets) of their correct performances. An odd feature of Goodman's view (odd perhaps especially for a class theory) is his insistence that an incorrect performance of a musical work (even if there is only the slightest mistake) cannot be an instance of the work, for only correct performances of musical works count as their instances. Goodman's reductio ad absurdum argument for this view, reminiscent of the Sorites paradox, is that, in his view, if we allow a performance with even one wrong note to be a performance of a given musical work, then we have to allow a performance with two wrong notes to be a performance of the same work, and so on until by a series of one-note errors of omission, addition, and modification we are forced to the absurd conclusion—given the transitivity of identity—that all performances are of the same work, and that there is only one work. Let us consider some reasons for rejecting Goodman's view that musical works are classes of correct performances. One problem for Goodman's view is that while classes change—expand or diminish—whenever they get more or fewer members, musical works, on the other hand, do not themselves change every time a new performance comes into being (cf. Wolterstorff 1980; Ingarden 1989). This suggests that musical works should not be identified with the classes of their correct instances, as Goodman identifies them. Second, given that classes exist only when their members exist (cf. Wolterstorff 1980, 100), Goodman's view entails that musical works, which he identifies with the classes of their instances, cease to exist when they have no instances (performances), that is, when the class of their instances is empty. However, musical works can exist, pace Goodman, even when they have never been performed. For instance, they can exist unperformed at least so long as their score exists. A third worry for Goodman is that while musical works can be, and are, heard, it is not clear how classes can be heard. Goodman might reply here that the class of its performances that is the musical work can be heard in and through hearing its members, that is, its performances. But unless the work has just a lone performance, the problem for this reply is that while one has clearly heard a work after hearing one adequate performance, one has not thereby heard the entire class of all such performances, with which Goodman identifies the work. Let us now turn to the other aspect of Goodman's view, the claim that there can be no incorrect instances of musical works. Goodman's view that there can be no incorrect instance of a musical work runs contrary to current artistic practice. An extremely brilliant performance of a musical work that is only the smallest microtone off on a certain note, or only a hemidemisemiquaver too fast or too slow at a certain juncture, would not be a performance of the work on Goodman's view, as it is incorrect, even if only fractionally so. In contrast, current artistic practice would regard such mistakes as negligible and certainly no reason to exclude the performance from being a performance of the work in question. Just as philosophizing about science must fit actual scientific practice, I submit that likewise aesthetic theorizing must fit artistic practice unless we are given good reasons for revising artistic practice (cf. Thomasson 2003), which Goodman has not given us; and while I cannot here list good reasons for revisionism about artistic practice, one possible example might be cases where revisionism leads to enhancing the value of artworks and the pleasure we get from them. A second worry for Goodman, related to why he has not given us good reasons to revise our artistic practice, is that there is in fact no clear and sharp dividing line (or at least we do not know of any such dividing line) sorting those incorrect performances (e.g., performances where there is only one note wrong) that are still performances of the work from those incorrect performances that are so incorrect (e.g., performances played on the wrong instruments at the wrong tempo, with too many wrong notes, chords, rhythms, and so on) that they cannot count as performances of the work. Goodman expects us to peg such a dividing line at a certain point, from which point he will then press the series of one-note errors of omission, addition, and modification until we can go, as he says, from Beethoven's Fifth to "Three Blind Mice" (see Goodman 1976, 186–87), and are forced to admit that all performances are performances of the same, solely existing work. But contra Goodman, once we recognize that there is no sharp dividing line and refuse to peg one, Goodman's argument does not get an entry point and is a nonstarter. Goodman's expectation that we peg a dividing line at a certain point is unfair, for there is a fuzzy area, with vague boundaries, dividing incorrect performances from grossly incorrect nonperformances. On both sides of this fuzzy area, however, we can tell incorrect performances from grossly incorrect nonperformances, even though we cannot demarcate them sharply. Third and finally, if it turns out, as is possible, that no performance of any work is or has been or will be without some or other flaw (no matter how minor these flaws may be), that is, that there are only degrees of incorrect performances and no absolutely correct performances of musical works, then Goodman's view will be committed to the absurdity that no musical work has been, or can ever be, performed.11 As such, given that classes exist only when their members do, Goodman's theory will have to say, counterintuitively, that musical works have never existed and can never exist, for the classes of their performances (with which he identifies musical works) are and will be empty. I turn next to Nicholas Wolterstorff, who thinks musical works are kinds. Wolterstorff has what he calls a nonuniform theory of the ontology of artworks (see Wolterstorff 1980 and 1992), according to which while artworks in some of the arts (e.g., painting and carved sculpture) are physically based concrete particulars, artworks in many other arts (e.g., music) are kinds. Kinds, on Wolterstorff's Platonistic view, are a certain sort of universal (cf. Bender 1993) that exists just in case its associated property exists. And a property "being F" exists if and only if either something is F or something is not-F. Musical works, and properties in general, can neither be created nor destroyed, thinks Wolterstorff, for musical works exist everlastingly as preexistent kinds that composers make into their works by selecting certain properties as criteria for their correct performance; composers only create copies or tokens of their scores. Moreover, on Wolterstorff's view, musical works in particular are performance-kinds, that is, they are kinds whose examples are their performances, primarily. Wolterstorff also thinks—rightly, in my view—that examples of musical works need not be performances, so long as they are sound-sequence occurrences having the instrumental and acoustic properties necessary for being performances of a work. For example, (complete) playings of (full and accurate) recordings are not performances yet are sound-sequence occurrences having all the properties necessary for being performances, and thus should be counted as examples of musical works. Likewise, sound-sequence occurrences produced by player-pianos should, thinks Wolterstorff, be counted as examples of musical works. Furthermore, Wolterstorff claims that musical works (and other artworks that are kinds) are norm-kinds, that is, they are kinds that can have properly or improperly formed instances: for example, a symphony can have correct or incorrect performances. Composers select properties of sounds, plus how these sounds are to be produced (including their instrumentation), to serve as criteria for correctness of performances of their musical works. And performers must aim (intentionally) to follow composers' specifications to produce correct performances. Wolterstorff's view has many virtues, but I have the following reservations about it. My main worry is about Wolterstorff's Platonism, which makes musical works Platonic universals (or kinds, more correctly) that exist eternally and are neither created nor destroyed. To begin with, the idea that musical and other artworks are not created but exist prior to their creation is one that runs counter to our current artistic practice, which sees artists as creating their works, and we have little reason to revise this creationism about the arts. Seeing artists, including composers and improvising musicians, as creators and not mere discoverers in part accounts for the special godlike status we give to them but not to "mere" discoverers such as Columbus or Livingston who hit upon things, indeed, often merely stumble upon them, as in Columbus's case. That is also why we usually value artists who create something anew more than we value artists such as Marcel Duchamp, whose creation consists in appropriating already existing readymade objects (such as the urinal in Duchamp's Fountain) or found objects (such as driftwood) and putting them, with a title, in the right art-historical context, such as a museum. Furthermore, allowing that artworks in the other arts—painting, literature, film, and so on—are created, while musical works alone are discovered, results in a false divide in this respect across the arts, and there is little to be gained from denying a theoretical unity across the arts on this issue of creation. Two final considerations may also show how ontologically profligate and odd Wolterstorff's Platonism about universals, properties, and artworks is. On Wolterstorff's view, there is virtually no distinction to be made between existent and nonexistent universals and properties; in contrast, Aristotelian Realists make such a distinction in claiming that existent universals and properties are those that are instantiated, while nonexistent ones are those that are uninstantiated (though we can conceive of them) and that come to exist when instantiated. The reason why this distinction is obliterated by Wolterstorff's view is that he thinks that a property "being F" exists if and only if either something is F or something is not-F. Now, given the law of excluded middle, it will be true of just about anything that it is either F or not-F. Thus, on Wolterstorff's ontologically profligate view, just about any property F that we can possibly conceive of exists, including uninstantiated properties like unicornhood, and also, perhaps, inconsistent properties like round squareness. Second, and relatedly, even the most irrelevant thing would seem to be evidence, on Wolterstorff's view, for the existence of even the most fantastic uninstantiated property F, for by the law of excluded middle, even the most irrelevant thing is either F or not-F. Thus, for example, that grass is not a unicorn proves, negatively, that the uninstantiated property of unicornhood exists. Or that grass is not a round square establishes the existence of round squareness; similarly, that I am not a centaur shows that centaurhood exists, and that Meryl Streep is not a mermaid proves the existence of mermaidhood. The counterintuitiveness of Wolterstorff's view here is reminiscent of Hempel's paradox, according to which something as unrelated as my brown shoes seems to be a confirming instance of the statement "All crows are black," as it confirms its logically equivalent contrapositive "All nonblack objects are ............................................................................................................................................................................................................................... Nothingness the event of en-own-ment. The Crossing through of Being+ and Nothingness+ If the essence of being is nothing in itself but resides in the previously examined turning toward, then '"being" is resolved into this turning toward'(44). Being then has to be thought as a turning toward to which existing human being itself essentially belongs. With a view to finding a way to transcribe this insight into the historically appropriative essence of being, the latter [being as crossed through=being+] can only be thought through a crossing out. This crossing out has a negative as well as a positive meaning. What it warns against has already been indicated: Being thought 'as something that exists in itself and so only occasionally emerges as an over against of human being'(45). It pertains to such a conception of being that human being is in its essence excluded from being, that the essence of human being does not inhere in that of being but rather holds itself in this op-position to it. The crossing through of being averts this conception of being and human being as a relation of reciprocal op-position and therewith at the same time points toward the counter-poised structure of en-own-ment. Here, being is no longer an over against of human being because being is envisaged as a turning toward the essence of human being, which essence also makes up the essence of being inasmuch as being needs the projective disclosure of existing human being for its own essencing. In the same way, the essence of human being is, in the structure of en-own-ment, nothing like an over against of being because it only is what it is out of the needful relation of being to it. In a second sense however, the crossing through is a positive indication, one which connects up with the four ends of the bisecting lines. These four ends signify 'the four regions of the fourfold (Geviert) and their gathering in the place of the crossing'(46). The four-fold names the gathering together of the four world regions Earth and Sky, Divinities and Mortals. Each of these regions is, as possessing worldly significance, a region of meaning. The world-fourfold is in this or that way, therefore is historically illustrated, for example in one of its actual modes of appearing. Hitherto, we talked about the essence of being as en-own-ment, of the presencing of the truth or manifestation of being as en-own-ment. If now the presencing of the truth of being belongs with the world as the fourfold, we are entitled to talk of the presencing of the truth of being+ as the coming into being of the fourfold. We can also however say: The truth of being as the fourfold prevails as en-own-ment. With the fourfold, the question of the being of the world is raised, a question fundamental ontology sees as belonging intimately to the being question. The being of beings, its very ad-vent, is world-relatedness, and which receives its world-relatedness, its meaningfulness, from the regions of the world. The place where the two intersecting lines cross one another manifests itself in the gathering of the four world regions. This place is however that of beings gathered together in the regions of the world, what, with reference to its historical origin, can be called the 'thing'. But what is at issue here is not the thing-concept handed down through the ontological tradition but rather the thing-concept belonging to the history of en-own-ment. Thereby the word 'thing' designates the way in which beings are disclosed in their being, which is itself to be understood as a way in which the four world-bound regions of meaning are gathered together. The way in which the world regions are gathered together in beings and in their mode of uncovering is, at the same time, the way in which the disclosure of beings recovers the fourfold both as appropriating and appropriated. The gathering of the world regions has to be thought out of the covering and, conversely, the covering, out of the gathering of the fourfold. When henceforward we talk of the turning toward of being+, two things have to be borne in mind. On the one hand, we have to take into account being as crossed through in the manner explained above. On the other hand, being+, as that which is turned toward, is turned toward the truth of being+ as the fourfold. If we only speak of being, this is just an abbreviated expression for the turning toward characteristic of the clarification of being+ as the fourfold. In order to bring out more precisely how it is that the essence of human being is connected with the complete essencing of being (therefore the clarification of being+ as the fourfold), the turning toward of what pre-sents itself to human being has first to be 'completed, insofar as the latter, human being, is mindful of it'(47). The minding of the turning-toward designates the way in which the essence of human being responds to the turning-toward. In its disclosive minding, the latter is a re-minding recollection. With the result that one can now say: 'Human being is essentially the memory of being, or rather of being+'(48). Here memory is not just memoria but thrown projective covering uncovering. The turn of phrase 'memory of being' is elucidated as follows: 'the being of human being belongs to what, in the crossing through of being, lays claim to being an initiating proposal'(49). The only marginal note by Heidegger to this piece in his hand written copy is to be found here and reads 'en-own-ment'. This marginal note says that the memory of being is to be thought out of en-own-ment. Human being belongs along with that which, as the crossing through of being+, calls forth existence, and that thinking which emerges out of existence, in the claim to an original ,that is, originating (in distinction from beginning) proposal [Geheißes]. 'Belonging' as that which in appropriating projection turns being toward the essence of human being tells us what 'en-owning' [Ereignen] means. The primary meaning of enowning is, as can be gleaned from Beitrage zur Philosophie: human being conceived as the property [Eigentum] of being (50). Out of the appropriating turning toward of the truth of being+ as the fourfold, the being of human being is determined as 'belonging' to being+ so that human being becomes the being enowned of projection and covering uncovering. Being enowned [Ereignetsein] means: being determined as the 'property' of being. The enowning of turning toward and the being enowned of revealing-concealing have to be understood out of this primordial meaning. The primordial meaning of this counter-poised enowning and being enowned is emphasised yet again in connection with turning toward [Zu-wendung], when Heidegger says that 'human being makes use of it' [in sie verwendet] in order to get 'caught up in' it [sich verschwende] (51). In the appropriating turning toward, that existence which is thereby appropriated gets caught up in the turning toward, so that the existence employed in the clarification of the fourfold gets caught up in the full essencing of the truth of being as the fourfold in its disclosive and covering-uncovering fulfilment. The making use of happens as enowning, the getting caught up in arises out of that particular mode of being appropriated. To the turning toward of the clarification of being+ as the fourfold belongs also as an essential moment, turning away, the nullifying withdrawal. For this reason, not only being but also that which belongs to its very essence, namely nothingness+, has also to be thought and written as crossed out (52). And because it pertains to the crossing out of being that it belongs to the essence of human being so also it pertains to the crossing out of nothingness+ that thoughtful human being also belongs to its essence (53). So we can also talk of the essence of human being as the memory of nothingness. In What is Metaphysics? Da-sein is determined as the place-holder of nothingness (54). That essence of nothingness which belongs along with the essence of being, its essencing as nullifying turning away or negating withdrawal is to be thought like being as historically appropriate. And because enownment is the essencing of the truth of being as the fourfold, negating withdrawal has its essential place in the en-own-ment of the fourfold. Negating withdrawal is in each and every one of its essential modes connected with the truth of being as the fourfold, is therefore also connected with the lightedness [Gelichtetheit] of world and world-relatedness. Not every turning away happens as the negating Nothingness of nihilism. In nihilism, that Nothingness which belongs to the essence of being comes to prominence in a quite peculiar way'(55). Only, this quite peculiar mode of essencing of the negating withdrawal is nihilism. That nothingness which belongs to the essence of being is not to be characterised right away as nihilism. With this it is implied that this nothingness, the negating withdrawal, still then also belongs to the essence of being, that is, if nihilism is historically overcome, even for example, reversed. The overcoming of nihilism does not mean the overcoming of nothingness in general, but rather the overcoming of a particular historically determined mode of the negating withdrawal. And it holds of all modes of essencing of the negating withdrawal that existing human being should belong thereto, and indeed in such a way that it participates in the negating process. Hence, 'human being is not merely caught up in nihilism but even participates in it'(56). Just as human being itself belongs to the essence of being and of nothingness, so it also and of itself also belongs to the 'essence of nihilism'(57). As a being exposed to both being and nothingness'(58) human being contributes to that sphere in which nihilism fulfils itself. Nihilism has much of the character of a historically determined mode in which negating enownment manifests itself, inasmuch as the being of human being is appropriatively displaced in order that, as an appropriated existence, it can participate in the historical manifestation of the nihilistic nothingness. Reduction [Reduktion] with regard to Beings and Production [Produktion] of Being: the Will to Power as the essence of Nihilism In his essay 'On the Line', Ernst Jünger proposes a 'description of the locus of nihilism', to which there pertains 'an assessment of the place and the opportunities available to human being in the place described by means of the image of the line'(59). This 'Topography of Nihilism'(60) lends itself to a discussion with that thoughtful consideration whose most urgent possibility is the determination of the essence and origin of nihilism. As a thoughtful consideration of the essence, what might be called a 'topology'(61) can be characterised in contrast to the former literary topography. Indeed a consideration of the essence of nihilism belongs in any examination of the crossing through of being+, to the extent that the nihilistic nothingness belongs in general to the essence of being as a historically determined form of nothingness. Just such an examination of the essence of being+ (in connection with that nothingness+ which belongs to it) has already been proposed in the manner indicated above. In this way, consideration of the essence of nihilism has been brought to the point at which it becomes clear that henceforward this essence and this origin can be determined topologically. For it now becomes evident that this nihilistic nothingness, just like nothingness in general, belongs to the essence of being. However it has still not been shown clearly and unambiguously in what way the nullifying withdrawal of nihilism variously announced in the topographically described reduction of the world and of living being in the world, prevails and holds sway. To take account of this relationship between the topography and the topology of nihilism means that a philosophical topology has to 'precede' a literary topography (62). Above all, this means that what the topology brings to light as the essence of nihilism precedes what can be topographically depicted in terms of the reduction. Thoughtful topology is characterised as 'the exhibiting of that place where being and nothingness are gathered together and which determines the essence of nihilism in such a way that a possible overcoming of nihilism thereby makes itself known'(63). This locus, one which validates the topology of nihilism, is an essential place, the place where being and nothingness are so essentially displayed in their belonging together that this belonging together accounts for the way in which the nihilistic nothingness prevails in the manifestation of being. This historically determined essential place is however a placement in en-own-ment, because it determines the mode of appearance of en-own-ment both historically and nihilistically. The fundamental question for the topology of nihilism reads: Wherein do being and nothingness belong together and how is the essence of nihilism unfolded out of the inter-play between them (64)? This inter-play between being and nothingness, between turning toward and turning away, names the mode of essencing [Wesungsweise] of nihilism. In the turn of phrase 'being and nothingness' the 'and' expresses the essential belonging of each to the other. The mode of essencing of nihilism is a particular way in which nullifying withdrawal prevails in the turning-toward of being. What is sought is the 'wherein', the essential place of the nihilistic prevalence of withdrawal in the clarifying turning-toward of being. The answer to this question links up with the topographically designated reduction. For it should be possible to grasp the reductive experience and expression of the life-world and of life in the world out of the essence of nihilism. To the experience of a thorough-going reduction there also belongs the insight that the reduction 'is an on-going process of ever-increasing power and destructiveness'(65). The nihilistic reduction in connection with an ever growing empowerment implies the following for thoughtful topology: 'a process whose depth and originality are ever diminished within the sphere of being in general is not merely accompanied by a growth in the will to power but actually determined by it'(66). 'Within being in general', that is, within the openness and unconcealment of beings, reduction, contraction and withdrawal take place with ever diminishing depth and originality. This 'ever diminishing' is nothing ontic but bears an ontological-historical stamp. For the openness or unconcealment of beings is not itself anything ontic. Beings can only be confronted out of their unconcealment. In their very unconcealment, beings confront us as determined with regard to what and how they are. The nihilistic reduction has been installed in this very unconcealment. The growing empowerment, linked up with a process of ever diminishing depth and originality within the sphere of beings, is envisaged topologically as an increase in the will to power, a process by which the reduction and the contraction and with it the development of power within the sphere of beings is determined. A distinction is therefore drawn between the growing empowerment within the sphere of beings and the increase in the will to power. That will to power which is identified here under the auspices of topology is not readily contained within the limits of what Nietzsche meant by this phrase; rather will to power here takes on the form of a historical exemplification of the belonging together of being and nothingness, a belonging together from out of which proceeds both the reduction and, in connection therewith, that progressive empowerment within the unconcealment of beings. 'Being and nothingness', in the inter-play between which the essence of nihilism is unfolded, belong together in the will to power, in that will 'that wants itself'(67). The will to power as the will to will thereby shows itself to be the essence of nihilism. The will to power is the withholding mode of essencing of that nothingness which belongs to being and which as such makes up the essence of nihilism. In how nullifying a way does this self affirming will to power prevail? If the reduction and that progressive empowerment which prevails within the sphere of beings belong to the essence of the will to power and its unending growth it could be said: 'that reduction which manifests itself within the sphere of beings is grounded in a production of being, namely, in the development of the will to power as an unconditional will to will'(68). This 'production of being' is a historical manifestation of the turning-toward of being but of such a kind that there also belongs thereto an overwhelmingly dominant turning-away in the sense of the nullifying withdrawal. In the first instance, this withdrawal within the sphere of beings is characterised by ever diminishing depth and originality. But that withdrawal which takes root in a nullifying mode of being of the will to power is not to be restricted to the above. Since the reduction within the sphere of being rests upon a peculiar production on the part of being, one could say: 'The contraction, the ab-sence is determined out of and through a pre-sence'(69). It is the pre-sence of the nullifying mode of being of the will to power which 'precedes every decline'(70). There where the sphere of beings declines it is not therefore this sphere itself which prevails but precisely something else (71). This decline within the sphere of beings does not means its disappearance and diminishment. On the contrary the ontic sphere can be augmented and exalted as never before, and even then it declines from the standpoint of unconcealment. In what way however does that ever increasing will to power that wants itself nullify? How can this nihilistic nullification of the will-ful and power-ful be set out as an essential characteristic of being? The will to power as historical, indeed as the most modern and newest mode of essencing of being belongs to the conceptually fabricated historicality of being. As a historically determined ontological concept this word does not name what in everyday language is known as a human machination but 'an essence of being'(72), that essence of being that is decisive for the fabrication of all beings (73). The mode of essencing of being as fabrication means that here, within the process of unconcealment, making comes to the fore. The makeability of being as the will to power is exhibited in the basic makeability of all beings and, correlatively, in the artificiality of the modern subject, a subject whose entire being is centred in this mechanistic conception of everything. The makeability of beings means: everything that is, including human being itself, can be disclosed as constructible. Correlatively, the artificiality of the subject is shown in this, that all of its modes of disclosure are characterised by the artifice of making. That makeability and artificiality which is exhibited in fabrication 'empowers the power which lies at its root'(74). The most up to date way in which the artificiality of being is displayed empowers itself to the extent that it allows power to emerge in its essence as 'overpowering'(75). The essence of power stems from the will to power as overpowering. Herein what is truly negative shows itself as that wherein the essence of nihilism resides. For overpowering is in itself a 'casting down and destroying'(76). This de-stroying (Ver-nichten) is, like everything else that has to be thought here, not meant in an ontic fashion. It is not a setting aside and clearing away of what is present at hand, not even a 'demolition and fragmentation in the sense of a radical disintegration of what presents itself'(77). The casting down and destroying in question is a much more ontological happening, one that takes place in the very process of uncovering as the 'trans-ition into nullity'(78). The destruction out of the overpowering power bears upon the what and the how of the realm brought to light and therewith the mode of unconcealment that corresponds to it. As utter destruction, the overpowering has more of an 'essential than a cumulative' character (79). The nihilistic negation as destruction does not in the first instance fasten upon whatever beings there might just happen to be, and precisely because it is not an ontic destruction, but rather 'first fastens upon being itself'(80) and this because the destruction proceeds from being itself. The destruction that proceeds forth out of the overpowering power 'is the 'desertification' [Verwüstung]'(81). But even this is not an ontic waste and wasting of whatever is but an ontological 'undermining'(82) of each and every possibility of deciding. This means that beings can no longer be determined in their former modes of being what and how they are inasmuch as the latter have been drawn back into the nullifying destruction. Desertification is 'no longer being able to go back', because it can only go forward toward the extinction of every possibility of bringing beings as such in touch with their being (83). The will to power negates every ontological possibility of that very being which has been objectified by modern science and technology ever being able to enter into the historically determined illumination of being+ as the fourfold, and this because it is itself uncovered through a covering over of its former way of being what and how it is. The overcoming of Nihilism as the Recovering [Verwindung] of the Set-up [Ge-stell] The topology of nihilism is an enquiry into its essence. The will to power has proved to be the essence of nihilism in its destructive prevalence. The place and the placement of this essence of nihilism have been shown to be the place of the prevailing will to power. This essential place is however the set-up as the essence of modern technology and contemporary natural science. The essence of modern technology is that will to will which wants everything exclusively in the thoroughgoing and uniform availability of a standing reserve [Bestand], that is, that commands and 'sets it up' as such (84). This availability means a mode of disclosure determined by the nullifying will to power, while the standing reserve names that mode of disclosure of beings which emanates from the will to power, in that the formerly regulative being what and how of beings is overpowered and destroyed. The nullifyingly destructive will to power is, as the essence of nihilism, the essence of modern technology. The will to power is the 'unconditional unification of such a setting [Stellens]'(85). The unity (Ge) of the commanding setting (-Stell) is the set-up (Ge-stell). The set-up is however the most recent mode of manifestation of en-own-ment, one in which the turning toward exhibits the basic trait of expropriation, so that human existence is expropriated out of the expropriating turning toward. The set-up as the manifestation of the event of appropriation [Ereignis] is expropriation [Enteignis]. The ex-propriating turning toward says: the being of human being does not belong to the realm of the disclosive manifestation of being. Existence is expropriated to the extent that it does not belong to the disclosive manifestation of being. The Ex-, attached to expropriation and expropriatedness, names the nihilistic withdrawal that takes place in en-own-ment. In conformity with the manifestation of expropriation, the disclosive manifestation of truth (or the illumination of being), as also the disclosive manifestation of the fourfold, are themselves also withdrawn. The nullifying overpowering of the world as that of the fourfold also negates the world-related being how and what of beings. But even in and through the historical dominance of the Set-up 'being+ is not extinguished (86). In the expropriation of the Set-up the enownment of the fourfold does not disappear but simply undergoes its most extreme withdrawal. But as soon as the Set-up is thoroughly experienced as the enownment of the fourfold, the enownment of the fourfold breaks through with a 'peculiar kind of strangeness'(87). Within the dominant Set-up, the fourfold is experienced through its uttermost rejection. There belongs along with this experience the insight into the possibility of a historical overcoming of the Set-up and therewith also of nihilism in its ultimate culmination. If this overcoming is not just to be a turning away from the nihilistic essence of modern technology then it also has to be experienced and realised as a 'recovery' [Verwindung]. Recovery means here the very opposite of a turning away, namely, a returning toward. In the recovery, we wind ourselves around the essence of nihilism, we range around it and thereby 'go along with whatever this essence itself calls for, insofar as it calls us into that realm within which it is raised into the fullness of its truth'(88). That to which we are called by the essence of nihilism, by the nullifying will to power, the Set-up, is the disclosive manifestation of the lighting of being as the advent of the fourfold. Were we to reach just such a historical reversal in the Set-up through the advent of the fourfold,166. 202 Pli 9 (2000) The question for architecture and philosophy though, is whether new buildings and new creations can resolve the opposition of the singular and the general and the contradictory claims of past, present and future. Is there necessarily a paradox in the clash between specific local loves and universal utopia, and between actual and virtual environments? This essay will deduce one answer to this question from the thesis that creation is necessarily paradoxical and problematic, put forward by the philosopher Gilles Deleuze (“The ‘problematic’ is a state of the world, a dimension of the system, and even its horizon or its home...”5). It also a response to one of the strongest criticisms of Deleuze’s work, in its application to architecture. Manfredo Tafuri’s claims that Deleuze’s philosophy does not allow for critical distinctions between ideological groups and movements in criticism (“We firmly believe it necessary ‘not to make rhizomes’ of those groups.”)6 Tafuri attacks the loss of critical effectivity and acumen in a fundamentally problematic and paradoxical view of the relation of critic and architectural phenomena: “Implicated though it may be in the objects and phenomena it analyzes, historical criticism must know how to balance on the razor’s edge that separates detachment and participation.”7 When Deleuze embraces the problematic and the paradoxical, does he also embrace indifference? II. Peter Eisenman’s Deleuzian architecture Though Deleuze defines the context in which creation must take place as primarily problematic, his philosophy is still progressive and responsive to environment. It is not the case that out of unavoidable problems comes a loss of reforming energy or a form of quietism. Neither is it the case that the problematic nature of things leads to an inability to recognise important or salient features of our environment. On the contrary, we can only move forward through a philosophical redefinition and creative affirmation of those features. There is a combination of diagnostic and innovating functions in this view. We have to grasp the significant aspects of our worlds by expressing them in new ways, ways which will inevitably change them. This necessary combination of diagnosis and creation can be 5 Gilles Deleuze, Différence et Répétition (Paris: PUF, 1968). Trans. Paul Patton Difference and Repetition (New York: Columbia, 1994) p. 280. 6 Manfredo Tafuri, The Sphere and the Labyrinth (Cambridge: MIT, 1990) p. 11. 7 Ibid. p. 11. James Williams 203 understood best in the dual function of the key concept of becoming in Deleuze’s work. He put forward an ontology of becoming, where the real is in a state of flux, or differentiation (that can be obscured by an illusion of fixity and identity). He also adopts creative becoming as the only way to affirm the underlying real processes of differentiation or constant change behind all apparently static things. The salient features of the environment will therefore be those in process of becoming(s). This means that any creative endeavour combines a passive registering of that which is in a process of change with an active affirmation of the process. It is because reality is primarily becoming that a creative affirmation of becoming is also related in a positive manner to the way things are. This relation is activated when an architect expresses the becomings at play in an actual site in a new building or plan. As a consequence of this central role of becoming, Deleuze’s influence on architecture is far from the most obvious connection of a philosophy of difference with the nostalgic fragmentation and pluralism of postmodern architecture. His work is influenced by and leads to the most radical modernism, one that eschews all idealism and the search for abstract fixed identities such as pure form. The ontology of becoming turns against progress, defined in terms of the move towards ideals or lost origins. Instead, there is an expression of pure movements, defined as variations, or more properly differentiations; that is, alteration that needs no reference to different identities or fixed reference points. However, this ontology and affirmation of becoming allows for determinacy: becoming is not justified on the basis of some originary chaos, but on undetermined relations between determined movements or processes. For Deleuze, indeterminacy is the problematic relation of ideas defined as structures of other ideas.8 For example, the difficult idea of urban innovation given by Calvino above, involves a structure combining the ideas of progress and the liberty to decide one’s fate, with the ideas of loss and identity. It is because the relations between these ideas are uncertain and because the ideas themselves change with those relations that the structure itself is problematic in the radical Deleuzian sense of a primary becoming, a dynamic with no external measures or ends. For instance, as identity becomes heavily linked to environment, liberty becomes a less extended and weaker idea; and, if we accept Calvino’s presentation of the paradox, there is no final way of determining which direction these links should or even must necessarily move. 8 See Difference and Repetition, p. 182 ff. 204 Pli 9 (2000) The American architect Peter Eisenman follows Deleuze’s definition of the problematic in his large-scale regeneration of the Rebstockpark periphery of Frankfurt. His work picks up on the problematic relation of ideas in order to develop a new way of looking at the relation of architecture to environment: “architecture can propose [...] some kind of event in which interpretation of the environment is problematised...” Eisenman insists on the pervasive and recurrent problems facing architects when their brief involves urban design in complex historical, social and technological contexts. In responding to the brief, he goes from problems – which would seem to ask for solutions – to a problematisation, which involves the realization that certain problems cannot be resolved once and for all – they must become part of the creative process. This process is explicitly Deleuzian in recognising that the undetermined relation between ideas must be expressed in architecture. So Eisenman borrows Deleuze’s concepts of the fold and the event in order to articulate the key ideas that are present in the site, history and future of the Rebstock site: “In the idea of the fold, form is seen as continuous but also as articulating a possible new relationship between vertical and horizontal, figure and ground [...] The new object for Deleuze is no longer concerned with the framing of space, but rather a temporal modulation that implies a continual variation of matter.”9 Eisenman considers the problem of the relation of the ideas of figure and ground in architecture, the interaction between a building’s spatial context (lines of communication and transport, entrances, urban spaces and boundaries) and the building proper. He considers two dominant ways of thinking about the problem as if it were soluble. First, figure ground contextualism assumes “a reversible and interactive relationship between the building blocks and the void between them”; the problem is then strictly one of buildings and spaces. The architect determines “in any historical context the latent structures capable of forming a present day urbanism.”10 This postmodern contextualism refuses to countenance an extension of the relationship of figure and ground to social and technological influences that may demand a revolutionary attitude to space. Any problem is resolved through a reuse of historical ground-figure relations in new contexts. New buildings mimic historical forms and repeat historical grids in order to achieve an inoffensive continuity between the 9 Peter Eisenman, ‘Unfolding events: Frankfurt Rebstock and the possibility of a new urbanism’, in Re:working Eisenman (London: Academy, 1993), pp. 58-61, esp. p. 60 10 Ibid. p. 59. James Williams 205 past and the present and in order to reproduce the successful ground-figure relations from the past (the postmodern piazza, is the paradigm).11 Second, the isolation of the point block or linear slab on a tabula rasa ground liberates ground and figure by creating a discontinuity between them. This is a description of the most excessive form of modernism in architecture, where local environments are cut off from buildings in the name of functionalism and a set of ahistorical aesthetic principles. The modern block, floating on its pilotis over an island of grass and tarmac, is a product of this deliberate detachment of ground and figure. Its value, unlike contextualism, is to respond in a revolutionary fashion to modern problems of ground congestion and pollution.12 However, according to Eisenman, neither of these approaches “explains the true complexity of phenomena”. In the context of urban development in Frankfurt, he rehearses the well-known criticism that the isolation of a building leaves its inhabitants detached from a ground that becomes barren. The desolate spaces under and between modern urban developments testify to this false resolution of the ground-figure problem. Yet the postmodern ‘contextual’ solution is also attacked for its lack of profundity, which can be traced back to its concentration on a limited set of historical structures adopted in new developments. The demand for continuity in structures fails to account for the genuine value of historical forms and plans. In fact, contextual developments suffer from the same problem of isolation despite their superficial historicity because they do not take account of the full-range of conditions that lead to the success and value of earlier developments, “its nostalgia and kitsch sentimentalism never took into account the manifold realities of contemporary life.” Postmodern regeneration, according to a sympathetic representation of surface-looks and preservation of important social spaces, rarely recaptures an original energy and social cohesiveness, since their cause is not the space alone. 11 See, Charles Jenks’ discussion of the postmodern ‘rule’ of urbane urbanism: “New buildings, according to urban contextualism doctrine, should fit into and extend the urban context, reuse such constants as the street, arcade and piazza, yet acknowledge too the new technologies and means of transport.” (Charles Jenks, Postmodernism (London: Academy, 1987) pp. 329-350) 12 See Le Corbusier’s ‘Five Points of a New Architecture’, first point: “The first point was the piloti, or vertical stanchion in steel or concrete, which lifted the box up into space, freeing the ground underneath for circulation or other uses.” (William Curtis, Le Corbusier: Ideas and Forms (London: Phaidon, 1986). p. 69) 206 Pli 9 (2000) These criticisms are too general to be decisive in the already vague and unproductive modern-postmodern debate.13 They do, though, serve to highlight key aspects of Eisenman’s theory. Firstly, the problem-solving theories fail to treat the relation of ‘old to new’ as one of mutual transformation. They concentrate on absolute continuity or severance at the expense of evolution. Secondly, they fail to analyse the relation of ground to figure as ever-changing and evolving at any given time. The problem is not that new building creates tensions within urban spaces. Those spaces are constantly prey to a tension between ground and figure because: one, that relation is necessarily difficult and complex; two, the relation takes place within an ever-changing social context. Thus, in his Rebstock project, Eisenman notes how, historically, the demand for cheap and efficient public housing and the demand for good communications put contradictory pressures on architects. The modern ‘solution’ concealed this contradiction in the separation of figure and ground, only to suffer from the re-emergence of the problem in the barren spaces produced between modern blocks. He also notes how new waves of innovation in communication put established urban plans under stress. Indeed, the challenge to his architecture comes from the electronic media revolution and hence from a new public used to a different, media-induced experience: “in a media age objects are no longer as meaningful as timeful events...”14 In response, Eisenman undermines the figure-ground opposition by blurring the distinction. He uses the practice of folding across and along lines to introduce uncertainty in the boundaries of the Rebstock site as well as within the spaces defined by individual buildings. The relation between old and new figures and grounds is made explicit through the new where folds in the plan, façade, and figure-ground relations bring to mind older relations as well as new ones (old and new boundaries of the site are extended within the site proper, for instance). In an article on Eisenman’s use of Deleuze’s concept of the fold, John Rajchman has focused on the complexity of this effect: Rebstock is folding in three dimensions. Hence one is not just dealing with an urban ‘pattern’; rather, it is the urban ‘fabric’ on 13 The difficulty Eisenman has in separating his work from modern and the postmodern theory is brought out in the interview ‘Dialogues with Peter Eisenman’, The New Moderns (London: Academy, 1990), pp. 208-37. 14 ‘Unfolding events: Frankfurt Rebstock and the possibility of a new urbanism’, p. 61. James Williams 207 which the pattern is imprinted that is folded along this line, thereby becoming more complex […] The periphery of the plot thus ceases to be its defining edge, and becomes instead one dimension of an uncentred folding movement… 15 According to Eisenman, this effect is not one of clear definition; rather, what appears, only does so indistinctly, “In such a displacement, the new, rather than being understood as fundamentally different to the old, is seen as being merely slightly out of focus in relation to what exists. This out-offocus condition then, has the possibility of blurring or displacing the whole, that is both old and new.”16 Eisenman has put forward a design that avoids the ‘solution’ of modernist urban discontinuity, whilst also responding to contemporary pressures without turning to the inappropriate nostalgia of postmodern contextualism. His displacement of the ground-figure problem bears witness to the value of an aesthetic developed within a problem, and hence in terms of becoming, rather than as a final response to a problem, in terms of Being or essences. The main concepts of his design (‘uncentred folding movement’, ‘out-of-focus’, ‘displacement’) challenge the figure-ground and past-present distinctions in a productive and forward looking manner. But, beyond this particular instance, Eisenman makes wider claims for his approach in his theoretical text on Rebstock. Having taken a set of ideas that have been treated as independent and having re-introduced them into a problematic structure, his analysis makes three fundamental claims that return to the Deleuzian thesis on an ontology of becoming: a. any actual form is changing at any given time; b. the relation between forms is necessarily difficult and complex; c. the relation takes place within a constantly changing context. If these claims are accepted, then it is possible to see the value of an aesthetic that works with them, as opposed to concealing them under illusory solutions. Andrew Benjamin described this position in his introduction to Re:working Eisenman. His analysis is ontological, concerned primarily with Being as opposed to relations between forms: 15 John Rajchman, ‘Perplications’, in Re:working Eisenman, pp. 114-23, esp. 118. 16 ‘Unfolding events: Frankfurt Rebstock and the possibility of a new urbanism’ p. 60. 208 Pli 9 (2000) The recasting, the reworking, has a complex temporality in that what the project is – its being as a project – is not reducible to its being so at one point in time. What this means is that the reworking sunders the ontology of stasis in terms of the ontology proper to complex repetition; i.e. a giving which in happening again is an original happening. It is thus what that the name identifies is the complex site worked by the two-fold presence of reiteration and distancing.17 Eisenman’s work is not bound to a specific instant in time. Its complex temporality brings past and future together in order to reveal an ontology of becoming where other works depend on an ontology of stasis. For instance, Eisenman’s critique of the modernists’ break with past relations of ground and figure is dependent on an awareness that this past is implicitly part of their timeless present (the modern ‘stasis’ – where time has stopped because the problem has been resolved). But also, an understanding of Being in terms of past, present and future instants is challenged since any ‘being’ brings all three together in an active becoming. Eisenman brings the past and the future into play in the present, thereby showing that they are not merely past and future, gone and yet to come, but ‘happening again’. His work is in tune with this ontology because actual effects of reiteration and distancing, the experience of the folds described by Rajchman, are in harmony with the ontology of becoming as described by Benjamin. III. Deleuze’s ontological arguments In his Difference and Repetition, Deleuze develops an ontological argument that underpins Eisenman’s claims on time and space. This argument is part of Deleuze’s study of difference, where he seeks to prove that, fundamentally, difference cannot be understood in terms of differences between individuals, classified in terms of species and genus. This understanding would lead to a negative definition of difference in itself as a limit within a species and/or an opposition between genera. Problems concerning differences would then be resolved by referring to limits and oppositions. Instead, Deleuze defends the thesis that difference 17 Andrew Benjamin, ‘Re:working Eisenman: work and name’, in Re:working Eisenman, pp. 6-9, esp. 9. James Williams 209 is the product of primary differentiations; that is, any individual presupposes differences in the intensities of variable immanent components. Difference then, is not between individuals, but a condition of the existence of any individual. For example, Eisenman’s understanding of space is consistent with the Deleuzian view that space is differentiated according to variable intensities of movement; the Rebstock project attempts to include a limiting of site, a deformation of facades and so on. On the other hand, the same site could have been analysed in terms of strict differences, the inside and outside of the site, the separation of figure and ground etc. According to Deleuze, in the first case, space is given by a distribution of movements and intensities (the site is more limited/dense here, less here); in the second case, space is divided following oppositions between identities and distinctions between concepts (inside/outside; figure/ground).18 Deleuze contends that the second position presupposes and yet conceals the differentiations associated with the first. He justifies this claim for primary differentiation in two stages. First, he puts forward an ontological proposition that undermines the argument for the primacy of distinctions of species and genus in determining differences between existents, simply ‘Being is univocal’; that is, Being is said of all things in the same way. So Being cannot be a genus, since it can be said in the same way of existents that belong to different genera. Therefore, Being can be said of differences – for example, differences between genera – as positive existents in themselves, independent of genera: In effect, the essential in univocity is not that Being is said in a single and same sense, but that it is said, in a single and same sense, of all its individuating differences or intrinsic modalities [...] The essence of univocal being is to include individuating differences, whilst these differences do not have the same essence and do not change the essence of being – just as white includes various intensities, while remaining essentially the same white.19 Difference exists positively. It is not the negative result of oppositions and limits. The second argument that Deleuze must put forward is a deduction of the primacy of differentiation (‘individuating difference’) over identity: 18 Gilles Deleuze, Difference and Repetition p. 54. 19 Ibid. p 36. 210 Pli 9 (2000) “We must show not only how individuating difference differs in kind from specific difference, but primarily and above all how individuation properly precedes matter and form, species and parts, and every other element of the constituted individual.”20 The argument has two functions: it establishes the truth of the proposition on the univocity of Being for all existents and it proves the precedence of individuating difference. Firstly, Deleuze turns to Duns Scotus’ ontology and to his definition of two types of distinctions that depend on the univocity of Being. A formal distinction allows us to distinguish between different objects without having to suppose different identities, or ‘a numerical distinction’, and without having to suppose that these differences cannot be unified. Thus, we can understand differences in essence (thinking thing and extended matter, for instance). We can distinguish objects according to these essences (thinking animal and animal). But this does not mean that they cannot persist in one Being; on the contrary, Being must have all these attributes: “not only is the univocity of being […] extended in the univocity of its ‘attributes’, but, given his infinity, God can possess his formally distinct univocal attributes without losing anything of his unity.”21 A modal distinction is a distinction of variations in intensity of attributes in actual individuals; this means an individual may possess a given attribute to greater or lesser degrees. Again, the distinction is not dependent on differences between individuals, but in the perception of varying intensities of attributes: “These variations, like degrees of whiteness, are individuating modalities...” Formal and modal distinctions show how a univocal Being can be expressed as a differentiating factor in individuals. However, this does not prove that differentiation is primary. So, secondly, Deleuze turns to Spinoza and to his affirmation that “Univocal being [is] identical with unique, universal and infinite substance: it is proposed as Deus sive Natura.”22 The argument here depends on a counter to the common sense understanding of real and illusory. For Deleuze, real differences are differences of essences or attributes of a single substance, since it is only possible to establish an absolute distinction on the grounds of attributes because any two individuals either share attributes or not and, if they share them, then they cannot be fully distinguished. Furthermore, numerical distinctions are not real, since they depend on distinctions of degree of modes of attributes, that is, we can only distinguish between two 20 Ibid. p. 38. 21 Ibid. p. 39. 22 Ibid. p. 40. James Williams 211 individuals because of the intensity of their attributes. Attributes are different essences of a single infinite substance; modes of attributes are the different ways in which that substance can actually be expressed: “Any hierarchy or pre-eminence is denied in so far as substance is equally designated by all the attributes in accordance with their essence, and equally expressed by all the modes in accordance with their degree of power.”23 We can only understand difference on the grounds of essences and we can only feel difference on the grounds of intensity. For example, any part of Eisenman’s Rebstock site can only be really differentiated from others according to the intensity (mode) with which it expresses a given function (attribute) – ‘the limiting is stronger here’. Deleuze completes his argument by reversing the unity of attributes and modes in Being, understood as a single substance. Spinoza’s position still subsumes differentiation to identity, to the identity of God or nature. The problem here, is that Being is defined independently of modes, in terms of attributes – Being is the infinity of attributes – whereas modes are defined entirely in terms of attributes; they are the expression of a variation in an attribute. This leads to an imbalance in the ontology and to an inconsistency in terms of the founding proposition: Being is not said equally of all things, since it would appear that it is said only imperfectly of modes. However, according to Deleuze, the single substance, expressed in the proposition ‘Being is univocal’, is nothing other than an infinity of attributes expressed as modes: Substance must itself be said of the modes and only of the modes. Such a condition can be satisfied only at the price of a more general categorical reversal according to which being is said of becoming, identity of that which is different, the one of the multiple, etc.24 So the ontological proposition is not to be understood as the unity of modes in Being, but rather, as the affirmation of the differential quality of existence: Being is as an infinite variation of virtual attributes or Being is the expression of virtual attributes in actual intensities (the process of actualisation). Deleuze finds the best version of these statements in Nietzsche’s doctrine of eternal return. This does not allow for the return of identity, since this would ultimately come down to a final stasis, but must instead stand for the eternal return of differentiation: “Returning is being, 23 Ibid. p. 40. 24 Ibid. p. 40. 212 Pli 9 (2000) but only the being of becoming.”25 Thus Deleuze’s ontological argument for the primacy of differentiation allows for the conclusion: the real world is the world of virtual variations that underlie any illusory identity.26 From the point of view of architecture, the importance of this ontology is that it leads to an idea of aesthetic experience where any real experience is an experience of variations, as opposed to an experience of identity: There is a crucial experience of difference and a corresponding experiment; each time we find ourselves confronted or bound by a limitation or an opposition, we should ask what such a situation presupposes. It presupposes a swarm of differences, a pluralism of free, wild or untamed differences, a properly differential and original space and time...27 For example, a real experience of an entrance would be of an entering and an exiting with different degrees of intensity, and not of an entrance as such – this would merely be an illusion. So Deleuze proposes an aesthetic based on experimentation with the aim of uncovering the differential intensities that underlie any identity. His work on art and literature has never wavered from this early analysis in Difference and Repetition: “The identity of the object read really dissolves into divergent series defined by esoteric words, just as the identity of the reading subject is dissolved into the decentred circles of possible multiple readings.”28 Consequently, Tafuri’s criticism appears to be valid. Are not Deleuze’s view of creation and his critique of identity necessarily undifferentiated and chaotic, since they offer no values or measures beyond an endless uncovering of intensities? This seems to be implied by recent work on Deleuze and architecture by Elizabeth Grosz: “... Deleuze can be understood as the 25 Ibid. p. 41. See also Gilles Deleuze, Nietzsche et la philosophy (Paris: PUF, 1962) pp. 215-22. Trans. Hugh Tomlinson, Nietzsche and Philosophy (London: Athlone, 1983) pp. 186-94. 26 Deleuze follows and develops the main steps of these proofs throughout Difference and Repetition, for instance, in his analysis of time in terms of eternal return (pp. 125- 26). It is important to insist on his ontology and on his dependence on traditional philosophical argument in order to counter recent interpretations of his work as metaphysical fictions (see, Frédéric Gros, ‘Le Foucault de Deleuze: une fiction métaphysique’, Philosophie, 47, September 1995, pp. 53-63). 27 Difference and Repetition, p. 50. See also Daniel W. Smith ‘Deleuze’s theory of sensation: overcoming the Kantian duality’ in Paul Patton (ed.) Deleuze: a Critical Reader (London: Blackwell, 1996) pp 29-49, esp 49. 28 Ibid. p. 69. James Williams 213 philosopher who evacuates the inside (whether of a subject, an organism, or a text), forcing it to confront its outside, evacuating it and thereby unloosing its systematicity or organisation, its usual or habitual functioning, allowing a part, function, or feature to endlessly deflect, become, make.”29 How do we know which feature to explore? Where to begin ‘deflecting’? In what direction? And since the process is endless, why should we bother at all? III. The real, actual and virtual event In order to respond to these qualms, it is important to return to problematisation. For Eisenman, it allowed for a creation particular to the Frankfurt site through a combination of the ideas of figure and ground as processes of becoming rather than fixed limits. The main concept that allowed for this restriction of Deleuze’s ontology to specific considerations was the concept of the event. Indeed, it is a special definition of the event that allows Deleuze to bring problematisation, difference and creation together as a response to the threat of chaos and to the ‘loss of critical effectivity and acumen’. He is aware of the difficulties raised by Tafuri. These are summed up in an opposition drawn up between problems that remain undifferentiated, ones that leave their field utterly obscure, and differentiated problems that allow for distinct aspects of the field to appear. Deleuze contends that the second type of problem, though ‘unsolved’ and even insoluble, reveals the state of the world with precision and distinction: “[The ‘problematic’] designates precisely the objectivity of Ideas, the reality of the virtual. The problem as problem is completely determined: to the extent that it is related to its perfectly positive conditions, it is necessarily differentiated, even though it may not yet be ‘solved’...”30 However, is it the case that the chaotic state implied by his ontology can be interpreted in terms of this definition? In The Fold: Leibniz and the Baroque, Deleuze defines the key facets of his earlier ontology in terms of events in order to allow for specific problems to emerge. Within the terms of Difference and Repetition, this re-definition is somewhat difficult to 29 Elizabeth Grosz, ‘Architecture from the outside’, in Anyplace (Cambridge: MIT, 1995) pp. 14-23, esp. p. 23. To trace the sources for this view of Deleuze’s work on architecture see his Mille Plateaux (Paris: Minuit, 1980) pp. 388-9; 406-5. 30 Difference and Repetition, p. 280. 214 Pli 9 (2000) follow, since Deleuze follows a Leibnizian use of real (objective reality), possible, virtual and actual which comes into conflict with the definition of the virtual as real. Deleuze highlights the dangers of this situation in Difference and Repetition: The only danger in all this is that the virtual could be confused with the possible. The possible is opposed to real; the process undergone by the possible is therefore a ‘realisation’. By contrast, the virtual is not opposed to the real; it possesses a full reality by itself. The process it undergoes is that of actualisation.31 Realisation subjects the possible to a condition of identity: the real is established by resemblance. That which is perceived is accepted as real if an identity can be established with a concept judged to be well-defined according to common sense.32 However, this cannot be a condition for actualisation as differentiation, since it is exactly something that exceeds identification. This leads to Deleuze’s definition of the event. The event is not only an objective reality (this entrance), not only an actuality (this idea of entering, of exiting), but also that which can be distinguished from them in any given instance: every becoming that could have taken place with that event, “... what can be conveyed by all expressions, or what can be realised by all realisations, the Eventum tantum to which the body and soul attempt to be equal, but that never stops happening and that never ceases to await us...”33 The Deleuzian event is the association of two familiar definitions of the event (objective and ideal) with an unfamiliar definition in terms of a withdrawn virtual world presupposed by actualisation: “We can speak of the event only as already engaged in the soul that expresses it and in the body that carries it out, but we would be completely at a loss about how to speak without this withdrawn part.”34 This association of a well-defined objective reality and actual ideas of feelings with an underlying virtual world, defined as all possible attributes, seems to satisfy the contradictory demands of determination and indetermination required at the end of the last section. It is also consistent with Deleuze’s ontology: 31 Difference and Repetition, p. 211. 32 Gilles Deleuze, Le Pli: Leibniz et le baroque (Paris: Minuit, 1988) pp. 140-1. Trans. Tom Conley (London: Athlone, 1993) pp. 104-6. 33 Ibid. pp. 105-6. 34 Ibid. p. 106. James Williams 215 firstly, where the illusory objective reality is accompanied by an ideal actuality (in the sense where ‘entering’ would be an idea of a feeling – an intensity – rather than the feeling defined as an object); secondly, where any actualisation presupposes the virtual world of all possible attributes expressible by intensities. This means that Deleuze situates the objective conditions of an event and the ideas that accompany it within an extended world of every virtual event. The indication of that extended world is then the pure event in any event. His Spinozist ontology can be felt most strongly in this extension of the event (IP15. Whatever is, is in God, and nothing can be conceived without God.35) However, it would be wrong to suppose that this definition simply resolves the risk of a chaotic and undifferentiated philosophy. According to Deleuze’s ontology, events bring together differentiated object and intensities with the undifferentiated virtual world that they express. This allows him to ground his assertion that real problems cannot be solved objectively or ideally because all real problems come forth with events understood with their full extension or with the ‘pure’ event of the nonobjective and non-ideal virtual world. But doesn’t this extension plunge the differentiated into chaos? Even if Eisenman’s problem can be defined in terms of an objective site and in terms of a set of ideal intensities (the ideas that give importance to new ways of thinking about limits and oppositions in the ground figure relation), this precision is for nothing if he must also express Deleuze’s undifferentiated pure event. Again, Deleuze is aware of the recurring pitfalls: “We have ceaselessly invoked the virtual. In so doing, have we not fallen into the vagueness of a notion closer to the undetermined than to the determinations of difference?”36 What the event does allow for, though, is a new approach to the difficulty. The challenge is now: how can the full event (objective-ideal-virtual) be approached despite the undifferentiated nature of the virtual pure event? IV. Counter-effectuation Two considerations direct Deleuze’s response to these questions. First, the depth of the problem faced by his philosophy is not ontological, but rather creative. The event defined by Deleuze is not ontologically inconsistent, 35 Baruch Spinoza, The Ethics and Other Works (Princeton University Press, 1994), p. 94. 36 Difference and Repetition, p. 208. 216 Pli 9 (2000) but it may prohibit meaningful and effective actions. To act as if the pure event were unimportant would be to fall back into the ontological illusions that Deleuze attacks: the pure event matters because it guarantees the movement and extension hidden by identity and Being defined as stasis. However, how can one act meaningfully, that is, in a determinate fashion, without hiding the indeterminate pure event? Second, even if this creative imperative to take account of the pure event can be resolved technically, it still poses an ethical problem. If an openness to innovation, change and indetermination is to condition creative acts, will they not become endlessly destructive? Is Deleuze forced into an ethics of annihilation, where objective, scientifically determined worlds, and ideal passionately determined worlds are plunged into chaos for the sake of some meaningless virtual world? These considerations are taken into account in the practice of ‘countereffectuation’ developed in Deleuze’s The Logic of Sense. This book brings together a concern with meaning and Stoic morality and came out in the same year as Difference and Repetition; it provides a practical aesthetic and ethical foil to the theoretical arguments therein. The problem of creative action in the light of events is studied in depth from ‘series’ 20 to 25 of The Logic of Sense. In series 20, Deleuze begins by considering a problem germane to his own in Stoic ethics, how to will the event as such: “Stoic ethics is concerned with the event; it consists of willing the event as such, that is, of willing that which occurs insofar as it does occur.”37 This Stoic will towards the event reflects familiar difficulties, since their practical attitude towards the event has to bring together a physical understanding of the natural laws associated with every event with a different acceptance of the singularity of each event, seen as beyond interpretation, prediction and guidance. On the one hand, one should seek an understanding that allows general sense to be made of events and allows specific actions to be determined in terms of that understanding. On the other hand, the deepest understanding of events is exactly the opposite: physical knowledge can never approach the eternal truth of the pure event, which is revealed when we abandon the desire to control the flow of events. Deleuze has always identified death as the paradigm case of this opposition: 37 Gilles Deleuze, Logique du Sens (Paris: Minuit, 1969) p. 168. Trans. Mark Lester The Logic of Sense (London: Athlone, 1990) p. 143. James Williams 217 To know that we are mortal is an apodeictic knowledge, albeit empty and abstract; effective and successive deaths do not suffice in fulfilling this knowledge adequately, so long as one does not come to know dying as an impersonal event provided with an always open structure (where and when?).38 According to Deleuze, the Stoic solution to this paradox is to combine knowledge of the physical causes of general events with a feel for what makes each event singular in terms of that causality. We must understand general laws in order to be able to feel what makes each particular case exceptional. The practice that emerges from this combination is one of selection and affirmation: in order to will the event we must affirm what is singularly ours in any general course of events. That selection takes the form of a ‘counter-effectuation’ or a doubling of our singularity, of what in us exceeds any objective understanding. This re-enactment is then an expression of singularities, those movements within us which distinguish us from general, objective, representations. Underlying any given representation, there are singular processes of formation and deformation that make each event singular. The Stoic task is to detect and assume those processes by acting them out; this is an affirmation of difference, or more accurately, of differentiations. At first, this idea of selection and affirmation through acting out appears contrary to the traditional – limitative and passive – understanding of Stoic morality, where willing the event is associated with invulnerability, achieved through ‘autarchism’ and ‘malleability’.39 However, these functions are still present in Deleuze, as autarchism with respect to representation and objectivity, and malleability with respect to the ‘signs’ of our singularities. We must avoid the illusion of control in objective representations; we must let our real singularities guide our creative efforts. This counter-effectuation is a practice in harmony with Deleuze’s ontology since it reveals the limits of the objective and affirms singular differentiations in a creative act where these latter processes are played out again. The twin dangers of reducing those processes to general objective phenomena and of spinning off into a meaningless destruction are held at bay in their creative doubling or re-enactment: 38 Ibid. p. 145. 39 See Steven Luper, Invulnerability (Chicago: Open Court, 1996) pp. 87-101. 218 Pli 9 (2000) The eternal truth of the event is grasped only if the event is also inscribed in the flesh. But each time we must double this painful actualisation by a counter-actualisation which limits, moves and transfigures it […] to be the mime of what effectively occurs, to double the actualisation with a counter actualisation, the identification with a distance, like the true actor or dancer, is to give to the truth of the event the only chance of not being confused with its inevitable actualisation.40 Counter-effectuation is a determinate action, determined by the singular changes that occur to us, that stands in opposition to objective realisation and to meaningless annihilation. It is also an action that expresses the pure event by affirming that each event, though determined objectively and ideally, is open to endless ways of acting it out or of doubling it. Deleuze develops this point in series 25 of The Logic of Sense on countereffectuation and the univocity of Being: only by willing each event by creatively acting it out as it occurs does one express the univocity of Being as becoming. Counter-effectuation is therefore a positive practice that takes account of the fundamentally problematic and paradoxical nature of events without having to deny that nature. In his Rebstock project, Eisenman practices counter-effectuation by expressing that limits are the singularities of the site, the aspects that give the site its intensity and that can release becoming into the site. He criticises the ideas that have given limits identity – ground and figure – and sets the limits into motion by combining the ideas of ground and figure with the idea of an experience of spatio-temporal disturbance, associated with contemporary media. So each time we encounter a limit in the site, a border or an entrance, it does not provide a secure and final experience. Instead, the experience is diluted and transformed through the site and through the buildings with a repetition of forms and themes. What gave the site its identity, still does, but only as a becoming, a movement; it cannot be captured at any specific point by comparing the concept and fact of the limit. So the project forces us to experience well-determined and all important factors (limits and spatio-temporal flux) but only does so through an experience of becomings, of connectedness and of the destruction of identity. Its success as artistic counter-effectuation depends 40 The Logic of Sense, p. 161. Note the close accord between this passage and the much later work on Leibniz. Esistenza ed essendo -------------------------------------------------------------------------------- Fonte: Esistenza ed Essere da Esistenzialismo da Dostoyevsky a Sartre redatto da Gualtiero Kaufman pubblicarono in pieno. -------------------------------------------------------------------------------- Descartes, scrivendo che a Picot che tradusse i Principia Philosophiaeinto francesi, osservò: "Così l'intero della filosofia è come un albero: le radici sono la metafisica, il tronco è la fisica, ed i rami che pubblicano dal tronco sono tutte le altre scienze. . ." Conficcandosi a questa immagine, noi chiediamo: In che suolo faccia le radici dell'albero della filosofia hanno la loro presa? Fuori di che terra faccia il radice-e attraverso loro gli interi albero-ricevono i loro succhi che nutrono e forza? Che elemento, nascosto nella terra, entra e vive nelle radici che sostengono e nutrono l'albero? Cosa la base ed elemento della metafisica sono? Cosa la metafisica è, vide dalla sua terra? Cosa la metafisica è, a fondo? La metafisica pensa ad esseri come esseri. Dovunque la domanda si fa che cosa sono esseri, gli esseri come tale è in vista. La rappresentazione metafisica deve questa vista a luce di tho di Essere. La luce stessa, i.e., che che le esperienze così pensanti come leggero, non venga all'interno della serie di pensare metafisico; per - la metafisica rappresenta sempre solamente esseri come esseri. All'interno di questa prospettiva, il pensando metafisico fa, chiaramente, chieda sull'essere che è fonte di tho ed emettitore di questa luce. Ma la luce stessa è considerata sufficientemente illuminato appena noi riconosciamo che noi guardiamo attraverso lui quando noi guardiamo ad esseri. In maniera purchessia gli esseri sono interpretare-se come spirito, dopo che maniera di tho dello spiritualismo; o come questione e costringe, dopo la maniera di materialismo; o come divenendo e la vita, o l'idea, la volontà, sostanza, soggetto, o energeia; o come la ricorrenza eterna dello stesso evento - l'ogni volta, esseri come gli esseri appaiono nella luce di Essere. Dovunque la metafisica rappresenta esseri. Essendo è entrato nella luce. Essendo è arrivato in un stato di unconcealedness. Ma se e come Essendosi comporta tale unconcealedness, se e come si manifesta in, e come, la metafisica, resti oscuro. Essendo nella sua essenza di revelatory, i. e. nella sua verità, non è richiamato. Ciononostante, quando la metafisica dà risposte alla sua domanda riguardo ad esseri come così, la metafisica parla chiaro del revealedness inosservato di Essere. La verità di Essere potuta essere chiamata così la terra nella quale è tenuta la metafisica, come la radice dell'albero della filosofia e da che è nutrito. Perché la metafisica chiede su esseri come esseri, rimane concernito con esseri e non si dedica ad Essere come Essere. Come la radice dell'albero, spedisce ogni nutrimento ed ogni forza nel tronco ed i suoi rami. La radice ramifica fuori nel suolo per abilitare l'albero per scaturire dalla terra e così lasciarlo. L'albero della filosofia scaturisce dal suolo nel quale la metafisica è radicata. La terra è l'elemento nel quale vive la radice dell'albero, ma la crescita dell'albero non è mai capace di assorbire questo suolo in tale modo che sparisce nell'albero come parte dell'albero. Invece, le radici, in giù ai viticci più sottili, si perda nel suolo. La terra è macinata per le radici, e nella terra le radici si dimenticano nell'interesse dell'albero. Le radici ancora appartengono anche all'albero quando loro abbandonano loro, dopo una maniera, all'elemento del suolo. Loro dissipano loro ed il loro elemento sull'albero. Come radici, loro non si dedicano al suolo-a minimo non come se fosse la loro vita per crescere solamente in questo elemento e spargere fuori in lui. Presumibilmente, l'elemento non sarebbe lo stesso elemento uno se le radici non vivessero in lui. Metafisica, pertanto come rappresenta solamente esseri come esseri sempre, non richiami Essendosi. La filosofia non si concentra sulla sua terra. Lascia le sue terra-foglie esso per mezzo della metafisica sempre. Ed ancora non scappa mai la sua terra. Pertanto come un pensatore mette fuori per sperimentare la terra della metafisica, pertanto come lui tenta di richiamare la verità di Essersi invece di rappresentare soltanto esseri come esseri, il suo pensando ha in un senso lasciato la metafisica. Dal punto di vista della metafisica, così pensante ritorna in terra di tho della metafisica. Ma quello che ancora sembra terra da questo punto di vista è presumibilmente qualche cosa altro, una volta è sperimentato nei suoi propri termini - qualche cosa come ancora non detto secondo che l'essenza della metafisica, anche è qualche cosa altro e non la metafisica. Così pensante che richiama la verità di Essere è soddisfatto più con metafisica mera, essere sicuro; ma non oppone ed o pensa contro la metafisica. Ritornare alla nostra immagine, non rompe la radice della filosofia. Coltiva la terra ed ara il suolo per questa radice. Resti di metafisiche la base della filosofia. Comunque, la base di pensarlo non raggiunge. Quando noi pensiamo alla verità di Essere, la metafisica è superata. Noi non possiamo accettare più la richiesta della metafisica che si prende cura del coinvolgimento fondamentale in "Essere" e che determina decisivamente tutte le relazioni ad esseri come così. Ma questa "sopraffazione della metafisica" non abolisce la metafisica. Finché l'uomo rimane la base razionale animale lui è anche il metaphysicum animale. Finché l'uomo si capisce come l'animale razionale, la metafisica appartiene, come disse Kant, alla natura di uomo. Ma se il nostro pensando dovesse riuscire nei suoi sforzi di ritornare nella terra della metafisica, è probabile che aiuti bene provocare un cambio in natura umana, accompagnato da una trasformazione della metafisica. Se, come noi spieghiamo la domanda riguardo alla verità di Essere, noi parliamo della metafisica di sopraffazione, questo vuole dire: richiamando Essendosi. Tale richiamando va oltre la tradizione di dimenticare la terra della radice della filosofia. I pensanti tentarono in Essere ed il Time (1927) mette fuori sul modo di prepararsi ad una sopraffazione della metafisica, così capito. Comunque, che che i suggerimenti così pensante può essere solamente che che sarà richiamato. Che Essendosi e come Essendosi concerne il nostro pensando non dipenda al penso da solo nostro. Che Essendosi, e la maniera in che Essendosi, colpisce un uomo sta pensando, quello scova il suo pensando e lo mescola per sorgere da Essere stesso per rispondere e corrispondere ad Essere come così. Comunque, perché tale sopraffazione della metafisica dovrebbe essere necessaria? Il punto deve puntellare soltanto quella disciplina di filosofia che era fin qui la radice, o soppiantarlo con un ancora disciplina più di base? È una domanda di cambiare il sistema filosofico di istruzione? No. (?r siamo difficili per ritornare nella terra della metafisica per scoprire un fin qui presupposizione trascurata della filosofia, e con ciò mostrare che la filosofia non sta in piedi ancora su una fondazione incrollabile e perciò non può essere ancora la scienza assoluta? No. È qualche cosa altro quello è in pericolo con l'arrivo della verità di tho di Essere o il suo fallimento di arrivare: né è lo statale della filosofia né la filosofia stessa da solo, ma piuttosto la prossimità o distanza di quello da che la filosofia, pertanto come vuole dire la rappresentazione di esseri come così, riceve la sua natura e la sua necessità. Quello che sarà deciso meno u nulla che questo: inscatoli Essendosi, fuori della sua propria verità unica, provochi il suo coinvolgimento in natura umana; o può metafisica che gira suo indietro alla sua terra, prevenga ulteriormente che il coinvolgimento di Essere in uomo può generare una radianza fuori della molta essenza di questo coinvolgimento stesso radianza che porterebbe uomo ad appartenere ad Essere? Nelle sue risposte alla domanda riguardo ad esseri come così, la metafisica opera con una concezione precedente di Essere. Necessariamente e da adesso parla continuamente di Essere. Ma la metafisica non incita Essendo esso per parlare, per la metafisica non richiami Essere nella sua verità, né ricorda la verità come unconcealedness, né ricorda la natura di unconcealedness. Alla metafisica la natura della verità appare sempre solamente nella forma derivativa della verità di conoscenza e la verità di proposte che formulano la nostra conoscenza. Comunque, Unconcealedness sarebbe prima di ogni verità nel senso di veritas. È probabile che Alitheia sia la parola che offre un fin qui suggerimento inosservato riguardo alla natura di essewhich non è stato richiamato ancora. Se questo dovesse essere così, il pensare rappresentativo della metafisica certamente potrebbe arrivare poi mai a questa natura della verità, comunque zelantemente si dedicherebbe a studi storici della filosofia pre-socratica; per quello che è in pericolo qui non è della rinascita di pensare pre-socratico: alcuno tale tentativo sarebbe vano ed assurdo. Quello che è voluto è piuttosto del riguardo per l'arrivo del fin qui natura non espressa di unconcealedness, per lui è in questa forma che l'Essere si è annunciato. Nel frattempo la verità di Essere è rimasta nascosta dalla metafisica durante la sua storia lunga da Anaximander a Nietzsche. Chi la metafisica non lo richiama? È il fallimento di richiamarlo soltanto una funzione di qualche generi di pensare metafisico? O è esso una caratteristica essenziale del fato della metafisica che esso la propria terra l'elude perché nell'aumento di unconcealedness! il suo molto centro, vale a dire il concealedness sta via nel favore dell'evidente che quale appare nella forma di esseri? La metafisica parla continuamente comunque, e nei più vari modi di Essere. La metafisica dà, e sembra confermare, l'aspetto che chiede e risponde alla domanda riguardo ad Essere. Infatti, la metafisica non risponde mai alla domanda riguardo alla verità di Essere, per lui mai non fa questa domanda. La metafisica non fa questa domanda perché pensa ad Essere solamente rappresentando esseri come esseri. Vuole dire tutti gli esseri nell'insieme, anche se parla di Essere. Si riferisce ad Essere e vuole dire esseri come esseri. Dal suo inizio al suo completamento, le proposte della metafisica sono state comportate stranamente in una confusione di persistente di esseri ed Essere. Questa confusione, essere sicuro deve essere considerata un evento e non un errore mero. Non può da alcuni mezzi sia addebitato ad una negligenza mera di pensiero o una spensieratezza di espressione. Dovendo a questa confusione di persistente, il chieda che pose di metafisiche la domanda di Essere ci sbarca in errore assoluto. A causa della maniera nella quale pensa ad esseri, la metafisica pressocché sembra essere, senza saperlo la barriera che tiene uomo dal coinvolgimento originale di Essere in natura umana. Cosa se l'assenza di questo coinvolgimento e l'oblio di questa assenza determinasse l'età moderna ed intera? Cosa se l'assenza di essere abbandonato sempre più esclusivamente uomo ad esseri, lasciandolo desolato e lontano da alcun coinvolgimento di Essere nella sua natura, questo forsakenness stesso rimase velato? Cosa se questo il caso sia ed era stato per molto tempo ora il caso? Cosa se c'erano segnali che questo oblio ancora diverrà più decisivo nel futuro? Ci sarebbe ancora occasione per una persona pensierosa per darsi arrogante aera in prospettiva di questo prelevamento fatale con quale Essere ci presenta? Ci sarebbe ancora occasione, se questa dovesse essere la nostra situazione, ingannarsi con phantasms piacevole ed appagare, di tutte le cose, in un'esaltazione artificialmente indotta? Se l'oblio di Essere quale è stato descritto qui dovrebbe essere vero, non ci sarebbe causi abbastanza per un pensatore che ricorda Essere per sperimentare un orrore genuino? Cosa più inscatola il suo pensando faccia che a t sopporti in tema questo prelevamento fatale mentre prima di ogni rivestimento su all'oblio di Essere? Ma come potesse realizzare questo pensiero finché i suoi fatalmente accordarono tememmo sembra a lui nessuno più di un umore di depressione? Cosa fa tale tema che è destinato Essendo debba fare con psicologia o la psicoanalisi? Supponga che la sopraffazione della metafisica comportò lo sforzo per cominciare con un riguardo per l'oblio di Essere il tentativo di imparare a sviluppare tale riguardo per sperimentare questo oblio ed assorbire questo sperimenti nel coinvolgimento di Essere in uomo, e preservarlo là: poi, nell'angoscia dell'oblio di Essere, la domanda quello che è la metafisica?" diverrebbe bene la necessità più necessaria per pensiero. Così tutto dipende da questo: che il nostro pensando dovrebbe divenire più pensieroso nella sua stagione. Questo si realizza quando il nostro pensando, invece di perfezionare un grado più alto dell'esercizio è diretto verso un punto diverso di origine. Il pensante quale è posited da esseri come così, e perciò rappresentativo ed illuminante in così, deve essere soppiantato da un genere diverso di pensare quale è portato per passare Essendosi e, perciò, di risposta ad Essere. Tutti i tentativi sono futili quali cercano di creare quali resti pensando rappresentativo metafisico, e solamente metafisico, effettivo ed utile per azione immediata nella vita pubblica e di ogni giorno. Il più pensieroso il nostro pensando diviene ed il più adeguato è al coinvolgimento di Essere in lui, il più puro il nostro pensando vuole ipso standeo nell'azione del un'appropri a lui: richiamando quello che è voluto dire per lui ed in un senso, cosa già è voluto dire così. Ma che ancora richiama quello che è voluto dire? Uno fa invenzioni. Condurre il nostro pensando sul modo sul quale può trovare il coinvolgimento della verità di Essere in natura umana, aprire su un percorso per nostro pensando sul quale può ricordare Essendosi in suo fare che i pensanti tentarono in Essere ed il Time è in viaggio." Su questo modo-che è, nel servizio della domanda riguardo alla verità di Essere - diviene necessario a fermata e pensa a natura umana; per l'esperienza dell'oblio di Essere che non è menzionato specificamente perché doveva ancora essere dimostrato, comporta la congettura cruciale che in prospettiva dell'unconcealedness di Essere il coinvolgimento di Essere in natura umana è una caratteristica essenziale di Essere. Ma come poteva questa congettura che è sperimentata qui divenuta una domanda esplicita di fronte ad ogni tentativo era stata fatta per liberare la determinazione di natura umana dal concetto della soggettività e dal concetto della base razionale animale? Caratterizzare con un solo termine ambo il coinvolgimento di Essere in natura umana e la relazione essenziale di uomo alla franchezza ("là") di Essere come così, il nome di "essere là [Dasein]" fu scelto per quella sfera di essere in che bancarelle di uomo come uomo. Questo termine ebbe un lavoro, anche se in metafisica si usa intercambiabilmente con existentia, l'attualità, la realtà, e l'obiettività, ed anche se questo uso metafisico è sostenuto ulteriormente dal terreno di proprietà comune [il tedesco] l'espressione il "menschliches Dasein." Alcun tentativo, perciò di ri-pensare Essere ed il Time è contrastato finché uno è soddisfatto con l'osservazione che, in questo studio, il termine "essere è usato là" in luogo di "coscienza." Come se questa fosse semplicemente una questione di usare parole diverse! Come se non fosse quell'e solamente cosa in pericolo qui: vale a dire, trovare uomini per pensare al coinvolgimento di Essere in natura umana e così, dal nostro punto di vista, presentare di prima tutta un'esperienza di natura umana che può dimostrarsi sufficiente per dirigere la nostra indagine. Il termine "essere là" nessuno succede né il "oggetto" fa designò come "essendo succede là" quando noi parliamo di "coscienza." "Essendo nomi là" che che deve di tutto prima sia sperimentato, e di conseguenza il pensiero di, come un luogo vale a dire, l'ubicazione della verità di Essere. Quello che il termine "essere vuole dire in tutto il trattato su Essere là" ed il Time immediatamente (pagina 42) è indicato dalla sua frase di chiave introduttiva: "Il 'l'essenza' di essere là giace nella sua esistenza." [Das "Wesen" il des il liegt di Daseins in seiner Existenz.] Nella lingua della metafisica per essere sicuro, la "esistenza" di parola è un sinonimo di "essere là": ambo si riferiscono alla realtà di niente quello è vero, da Dio ad un grano di sabbia. Come lungo, perciò, come la frase citata è capito solamente superficialmente, la difficoltà è trasferita soltanto da una parola ad un altro, dal "essere a "esistenza là."" In B. & T. la termine "esistenza" è usata esclusivamente per l'essere di uomo. Una volta la "esistenza" è capita esattamente, la "essenza" di essere può essere richiamata là: nella sua franchezza, Essendosi manifestazioni e si cela, si produce e preleva; alla stessa durata, questa verità di Essere non si esaurisce nell'essere là, né l'inscatola semplicemente da alcuni mezzi si sia identificato con lui dopo la maniera della proposta metafisica: ogni obiettività è come così anche soggettività. La "esistenza" vuole dire cosa in B. & T.? La parola designa una maniera di Essere; specificamente, l'Essere di quegli esseri che stanno in piedi aperto per la franchezza di Essere nella quale loro stanno in piedi, sopportandolo. Questa "posizione che", questo durevole è sperimentato sotto il nome di "cura." All'essenza estatica di essere si è avvicinata da modo di cura là, e, la cura è sperimentata adeguatamente al contrario., solamente nella sua essenza estatica. "Sopportandolo, esperto in questa maniera, è l'essenza dell'ekstasiswhich deve essere afferrata da pensiero. L'essenza estatica di esistenza è capita perciò ancora inadeguatamente finché uno pensa a lui come "essendo di rilievo soltanto, interpretando il "fuori" come volendo dire "via da" l'interno di un'immanenza di coscienza e spirito. Per in questa maniera, l'esistenza ancora sarebbe capita nelle condizioni della "soggettività" e "sostanza"; mentre, infatti, il "fuori" dovrebbe essere capito nelle condizioni della franchezza di Essersi. La stasi dell'estatico consiste, strano come può suono-in lo stare in piedi nel "fuori" e "là" di unconcealedness nel quale Essersi è presente. Quello che è voluto dire da "esistenza" nel contesto di un'indagine dal quale è incitata, e diresse verso, la verità di Essere, può essere designato più una meraviglia dalla parola "instancy [Instandigkeit]." Noi dobbiamo pensare alla stessa durata, comunque di posizione nella franchezza di Essere, di sopportare e notevole questo posizione-in (cura), e di fuori-affrontare il massimo (Essendo verso morte); per lui è solamente insieme che loro costituiscono la piena essenza di esistenza. L'essere che esiste è uomo. Equipaggi da solo esiste. Le pietre sono, ma loro non esistono. Gli alberi sono, ma loro non esistono. I cavalli sono, ma loro non esistono. Gli angeli sono, ma loro non esistono. Dio è, ma lui non esiste. Il "equipaggiare di proposta esiste" da solo non voglia dire da alcuni mezzi che equipaggiano da solo è * davvero l'essere mentre tutti gli altri esseri sono aspetti irreali e meri o le idee umane. Il "equipaggiare di proposta esiste" vuole dire: l'uomo è che essere il cui Essere è distinto dall'aprire-posizione posizione-in nell'unconcealedness di Essere, da Essere, in Essere. La natura esistenziale di uomo è la ragione perché gli uomini possono rappresentare esseri come così, e perché ho possono essere consapevoli di loro. Ogni coscienza presuppone esistenza estaticamente intesa come l'essentia di uomo - essentia che vuole dire che come che l'uomo è pertanto presente come lui è uomo di j. Ma la coscienza non si fa crei la franchezza di esseri, né è esso coscienza che rende possibile l'uomo stare in piedi aperto per esseri. Dove e donde ed in che dimensione gratis poteva l'intenzionalità di mossa di coscienza, se instancy l'essenza di uomo non sia nel primo esempio? Quello che altro potrebbe essere il significato se qualcuno mai ha seriamente pensiero circa questo del parola sein nel [il tedesco] mette in parole Bewusstsein [la "coscienza"; letteralmente: "essendo consapevole"] e Selbstbewusstsein [il "imbarazzo"] se non designasse la natura esistenziale di quello che è in maniera di tho di esistenza? Essere un stessa per ammissione è una caratteristica della natura di quell'essere che esiste; ma l'esistenza non consiste nell'essere un stesso, né può essere definito in tali condizioni. Noi siamo affrontati col fatto che il pensando metafisico capisce il selfhood di uomo nelle condizioni di sostanza o - ed a fondo questo ammonta allo stesso nelle condizioni del soggetto. È per questa ragione che il primo modo che conduce via dalla metafisica alla natura esistenziale ed estatica di uomo deve condurre tramite la concezione metafisica di selfhood umano (B. & T., § § 63 e 64). La domanda riguardo ad esistenza è sempre comunque, giovevole a quella domanda che non è meno nulla che il tho solamente domanda di pensiero. Questa domanda, ancora essere spiegato concerne la verità di Essere come la terra nascosta di tutta la metafisica. Per questa ragione il trattato che cercò di aguzzare di nuovo il modo nella terra della metafisica non sopportò il titolo "Esistenza e Time", né "Coscienza e Time", ma Essendo e Time. Né questo titolo può essere capito come se fosse parallelo alle giustapposizioni consuete di Essendo e Divenire, mentre È e Sembrando, Essendo e Pensando, o Essendo e Deve. Per in tutto questo Essere di casi è limitato, come se Conveniente, Apparente, Pensante, e Deve non appartenne ad Essere, anche se è ovvio che loro non sono nulla e così appartengono ad Essere. In Essere e Time, l'Essere non è qualche cosa altro che il Time: Il "tempo" stato chiamato il primo nome della verità di Essere, e questa verità è la presenza di Essendo ed Essersi così. Ma perché "Time" e "Essere?" Richiamando gli inizi di storia quando essendo svelatosi nel pensante dei greci, si può mostrare che i greci dal molto inizio sperimentarono l'Essere esseri di d come la presenza del presente. Quando noi traduciamo einai come "essendo" la nostra traduzione ha ragione. Ancora noi sostituiamo soltanto uno messo di suoni per un altro. Appena noi c'esaminiamo diviene ovvio che noi né pensiamo einai, come sia, in greco né ha in mente un corrispondentemente concetto chiaro ed univoco quando noi parliamo di "essere." Cosa, poi stiamo dicendo quando invece di einai noi diciamo "essere", ed invece di "essere", einai ed esse? Noi non stiamo dicendo niente. I greci, latino, e parola Tedesca tutti rimangono ugualmente ottusi. Finché noi aderiamo all'uso consueto noi ci tradiamo soltanto come i pacemaker della più grande avventatezza che mai ha guadagnato valuta in pensiero umano e quale è rimasto dominante fino a che questo momento. Comunque, questo einai vuole dire: essere presente [l'anwesen; questa forma di verbo, in luogo del sein di anwesend" idiomatico" è la neologia di Heidegger]. Il vero essere di questo che è presenta [il das il dieses di Wesen Anwesens] è celato profondamente nei più primi nomi di Essere. Ma per noi einai ed ousia come parità - ed apousia vuole dire questo primo di tutto: nell'essere presente mosse là, tempo non riconosciuto e nascosto, presente e durata-in una parola, Time. Essendo come tale è così dovendo evidente a Time. Così il Time aguzza ad unconcealedness, i. e., la verità di Essere. Ma il Time al quale noi dovremmo pensare ecco non sperimentò attraverso la carriera di changeful di esseri. Il tempo evidentemente è di un complesso natura diversa che nessuno è stato ricordato da modo del concetto di tempo della metafisica né mai può essere richiamato così in. Così il Time diviene il primo nome che ancora sarà tenuto conto di della verità di Essere, quale sarà sperimentato ancora. Un suggerimento nascosto di Time non solo parla chiaro dei più primi nomi metafisici di Essere ma anche fuori del suo ultimo nome che è "la ricorrenza eterna degli stessi eventi." Attraverso l'epoca intera della metafisica, il Time è decisivamente presente nella storia di Essere, senza essere riconosciuto o pensò circa. A questo Time, lo spazio né è, co-ordinated né soltanto subordinò. Supponga uno tenta di fare una transizione dalla rappresentazione di esseri come tale a richiamando la verità di Being:. tale tentativo che comincia da questa rappresentazione ancora deve rappresentare, in un certo senso, la verità di Essere, anche; ed alcuno tale rappresentazione deve della necessità sia eterogeneo ed ultimamente, pertanto come è una rappresentazione, inadeguato per quello che sarà pensato. Questa relazione che viene fuori dalla metafisica e tenta di entrare nel coinvolgimento della verità di Essere in natura umana, è chiamato comprensione. Ma qui capendo è visto, alla stessa durata, dal punto di vista dell'unconcealedness di Essere. Capire è avanti una spinta di progetto ed estatico che vuole dire che sta in piedi nella sfera dell'aperto. La sfera che apre su come noi proiettiamo, in ordine che qualche cosa (Essendo in questo caso) può provarsi come qualche cosa (in questo caso, Essendo come esso nel suo unconcealedness), è chiamato il senso. (Cf. B. & T., p. 151) "Il senso di Essere" e "la verità di Essere" cattivo lo stesso. Ci permetta di supporre che il Time appartiene alla verità di Essere in un modo che ancora è celato: poi ogni progetto che tiene aperto la verità di Essere, mentre rappresentando un modo di capire Essere, deve guardare fuori in Time come l'orizzonte di alcuna possibile comprensione di Essere. (Cf. B. & T., § § 31-34 e 68.) La prefazione ad Essere e Time, sulla prima pagina del trattato fini con queste frasi: Fornire un'elaborazione concreta della domanda riguardo al senso di 'Essendo' è l'intenzione del trattato seguente. L'interpretazione di Time come l'orizzonte di ogni possibile tentativo di capire Essere è la sua meta provvisoria." Ogni filosofia è caduta nell'oblio di Essere quale ha, alla stessa durata, divenga e rimase la richiesta fatale su pensiero in B. & T.; e la filosofia non avrebbe potuto dare proprio una dimostrazione più chiara del potere di questo oblio di Essere che ci ha forniti dall'assicurazione sonnambula con la quale è passato dal vero e solamente domanda di B. & T.Ovvero, perciò, non una serie di malintesi di un libro ma il nostro abbandono di Essendo. Stati di metafisiche che che esseri sono come esseri. Offre un logos (asserzione) sull'outa (esseri). Il più tardi il "ontologia" di titolo caratterizza la sua natura, purché, chiaramente, che noi lo capiamo in concordanza col suo vero significato e non attraverso il suo significato scolastico e stretto. Mosse di metafisiche nella sfera del sui su: tratta con esseri come esseri. In questa maniera, la metafisica rappresenta sempre esseri come tale nella loro totalità; tratta col beingness di esseri (l'ousia di theon). Ma la metafisica rappresenta il beingness di esseri [muoia il des di Seiendheit Seienden] in una maniera duplice: nel primo luogo, la totalità di esseri come tale con un occhio ai loro tratti del volto più universali (koinon di katholou di ou;) ma alla stessa durata anche la totalità di esseri come tale nel senso del più alto e perciò essere divino (su katholon, akrotaton, theiou). Nella metafisica di Aristotele, l'unconcealedness di esseri come tale specificamente ha sviluppato in questa maniera duplice. Perché la metafisica rappresenta esseri come esseri, è, due-in-uno, la verità di esseri nella loro universalità e nell'essere più alto. Secondo la sua natura, è allo stesso ontologia di tempo nel senso più stretto e la teologia. Questa natura di ontotheological della filosofia corretto (psilosopsia di proti) è, senza dubbio, a causa del modo in che il su apre su in lui, vale a dire come 8v. Così il carattere teologico di ontologia non è soltanto a causa del fatto che la metafisica greca fu presa più tardi su e trasformò dalla teologia di ecclesiastico del Cristianesimo. Piuttosto è dovuto alla maniera in che gli esseri come gli esseri hanno dal molto disconcealed di inizio loro. Era questo unconcealedness di esseri che hanno offerto la possibilità per la teologia cristiana per prendere possesso della filosofia greca - se per migliore o per peggio può essere deciso dai teologi, sulla base della loro esperienza di quello che è cristiano; solamente loro dovrebbero ricordare quello che è scritto nella prima Epistola di Paul l'Apostolo ai corinzio: emoranen di ouhi" o theos stagnano kosmou di tou di sopsian; Dio non ha fatto la saggezza di questo mondo divenuta sciocchezza?" (Io Cor. 1:20) kosmou di tou di Thesposia [la saggezza di questo mondo], comunque, è che che, secondo 1: 22, zitousin di theEllines i greci cercano. Aristotele chiamate pari il psilosopsia di proti (filosofia corretto) piuttosto specificamente lo zitoumeni - quello che è cercato. La teologia cristiana creerà su un giorno per prendere la parola dell'apostolo seriamente la sua mente e così anche la concezione della filosofia come sciocchezza? Come la verità di esseri come così, la metafisica ha un carattere duplice. Comunque, la ragione per questo due-foldness faccia la sua origine da solo, resti ignoto alla metafisica; e questo non è incidente, né a causa della negligenza mera. La metafisica ha questo carattere duplice perché è quello che è: la rappresentazione di esseri come esseri. La metafisica ha nessuna alternativa. Metafisica che sono, è dalla sua molta natura esclusa dall'esperienza di Essere; per lui sempre rappresenta solamente esseri (su) con un occhio a quello che di Essere già si è manifestato come esseri (i su). Ma la metafisica non dà retta mai quello nel quale si è celato questo molto su pertanto come divenne evidente. Così il tempo venne quando divenne necessario per fare un tentativo fresco di afferrare da pensiero quello che è detto precisamente quando noi parliamo di onor usi la parola che "è" [il seiend]. Di conseguenza, la domanda riguardo al su fu reintrodotto in creatura umana pensando. (Cf. B. & T., prefazione.) Ma questa reintroduzione non è nessuna ripetizione mera della domanda Platonico-aristotelica; invece chiede circa che in che si cela il su. La metafisica è fondata su che che si cela qui finché studi di metafisiche il sui su. Il tentativo di chiedere di nuovo in quello che si cela qui cerca, dal punto di vista della metafisica, la base di ontologia. Perciò questo tentativo è chiamato, in Essere e Time (l3 di pagina) "ontologia fondamentale" [Fundamentalontologie]. Ancora questo titolo, come alcun titolo è visto presto per essere improprio. Dice che qualche cosa che ha ragione da sia sicuro, dal punto di vista della metafisica; ma precisamente per quella ragione sta fuorviando, per che questioni è il successo nella transizione dalla metafisica a richiamando la verità di Essere. Finché queste chiamate pensanti stesso "ontologia fondamentale" blocca ed oscura il suo proprio modo con questo titolo. Per quello che è il titolo che il "ontologia fondamentale" suggerisce, chiaramente che il tentativo di richiamare la verità di Essere-e non, come ogni ontologia, la verità di ancora (vedendo che stato chiamato "ontologia fondamentale") si essere-è qualche genere di ontologia. Infatti, il tentativo di richiamare la verità di Essere mette di nuovo fuori sul modo nella terra della metafisica, e col suo primo passo immediatamente lascia il reame di ogni ontologia. D'altra parte ogni filosofia che essenzialmente gira circa una concezione indiretta o diretta di resti di "trascendenza" della necessità un ontologia, se realizza una fondazione nuova di ontologia o se c'assicura che ripudia ontologia come un congelamento concettuale di sperimenti. Venendo dal costume antico di rappresentare esseri come così, i molto pensanti che hanno tentato di richiamare la verità di Essere furono impigliati in queste concezioni consuete. Sotto questo circostanze sembrerebbe che ambo per un orientamento preliminare e per prepararsi alla transizione da pensare rappresentativo ad un genere nuovo di richiami pensanti [andenkende di das Denken], che nulla potesse essere più necessario della domanda: Cosa la metafisica è? Lo spiegamento di questa domanda nel Ritratto seguente termina in un'altra domanda. Questo stato chiamato la domanda di base della metafisica: Perché è alcun essere a tutto e non piuttosto Nulla? Nel frattempo [siccome questa conferenza fu pubblicata nel 1929 prima], essere sicuro, le persone hanno discorso di nuovo ed avanti pressocché una grande quantità temuta ed il Nulla ambo di che è parlato di in questa conferenza. Ma uno non si è degnato mai ancora di chiedere a sé perché una conferenza che si muove dal pensare alla verità di Essere al Nulla, e poi tenta da là di pensare nella natura della metafisica, dovrebbe affermare che questa domanda è la domanda di base della metafisica. Come può aiutare sentendo sulla punta di lingua sua un'obiezione contro la quale è molto più pesante di tutte le proteste temè un lettore attento ed il Nulla? La finale domanda provoca l'obiezione che un'indagine che tenta di richiamare Essere da modo del Nulla ritorna nella fine ad una domanda riguardo ad esseri. In cima a quello, la domanda incassi pari nella maniera consueta della metafisica cominciando con una causale "Perché?" A questa estensione, poi il tentativo di richiamare Essere è ripudiato nel favore di conoscenza rappresentativa di esseri sulla base di esseri. Ed ancora fare peggio le questioni, la finale domanda è evidentemente la domanda che il metafisico che Leibniz ha posato nella sua Principes de la natura et de la grazia: Il di "Pourquoi y un quelque di plutot scelsero rien di que?" Fa la conferenza, poi cada corto della sua intenzione? Dopo tutto, questo sarebbe piuttosto possibile in prospettiva della difficoltà di effettuare una transizione dalla metafisica a qualche genere di pensare. La conferenza finisce chiedendo la domanda metafisica di Leibniz della causa suprema di tutte le cose che hanno essere? Perché, poi, il nome di Leibniz non è menzionato, come la decenza sembrerebbe richiedere? O la domanda si fa in un complesso senso diverso? Se non si riguarda esseri e chiede sulla loro prima causa fra tutti gli esseri, poi la domanda deve cominciare da che che non è un essere. E questo è precisamente quello che i nomi di domanda, e capitalizza la parola: il Nulla. Questo è il risuoli tema della conferenza. La richiesta sembra ovvia che la fine della conferenza dovrebbe essere pensata attraverso, per una volta, nella sua propria prospettiva che determina la conferenza intera. Quello che è stato chiamato la domanda di base della metafisica dovrebbe essere capito poi e chiederebbe di entrare condizioni di ontologia fondamentale come la domanda che viene fuori dalla terra della metafisica e come la domanda su questa terra. Ma se noi accordiamo questa conferenza che nella fine pensa in direzione di tho di propria preoccupazione distintiva sua, come siamo a sotto - n sostengono questa domanda? La domanda è: Perché è alcun essere a tutto e non piuttosto Nulla? Supponga che noi non rimaniamo all'interno della metafisica per chiedere di entrare metafisicamente la maniera consueta; supponga noi ricordiamo la verità di Essere fuori della natura e la verità della metafisica; è probabile che a questo sia chiesto come bene poi: Come occorse che gli esseri prendono dappertutto precedenza e richiesta di disposizione ad ogni "è" mentre che che non è un essere è capito come Nulla, sebbene sta Essendosi, e resti dimenticati? Come occorse che con Essere Esso realmente nulla è e che il Nulla realmente non è? È forse da questo che il come ancora la presunzione non scossa è entrata in tutta la metafisica che "Essendo" può essere preso semplicemente per concesso e che Nulla è fatto perciò più facilmente degli esseri? Quella è davvero la situazione riguardo ad Essere e Nulla. Se fosse diverso, poi Leibniz poteva wt hanno detto nello stesso luogo da modo di un chiarimento: Est di rien delle di macchina" più il semplice et più quelque di que facile scelsero." Per il nulla è più semplice e più facile che alcuna cosa]." Quello che è più enigmatico: quegli esseri sono, o quel Essere è? O uguaglia questa riflessione non riesca a portarci vicino a quel enigma che è accaduto con l'Essere di esseri? Purchessia la risposta può essere, il tempo sarebbe dovuto maturare nel frattempo per pensare attraverso la conferenza quello che è la Metafisica?" quale è stato sottoposto a così molti attacchi, dalla sua fine per una volta-da la sua fine e non da una fine immaginaria. ............................................... La meta è però l’elaborazione del problema dell’essere-sublyme. Lichtung-sublyme o Temporalità-sublime o «spazio libero del tempo» sublime in estasy, Lichtung und Anwesenheit, «Radura e Presenza» del sublyme nell'estasy sublyme: in Heidegger lo spazio non sarebbe bensì accadrebbe, l’ek-sistere si porrebbe come trascendenza sublime dello spazio in vista del mondo sublime è la continuità e differenza ontologica fra l’analitica esistenziale e l’ontologia del sublyme. Ma che cos’è il disvelarsi in estasy dell’essere-sublyme? Anzi che cos’è la gettanza dell’essere-sublyme nel sublime? È la gettatezza-della-verità della destinanza dell’essere nell’aletheia fondale, grund ed abgrund, del sublyme che si dà, si getta nella mondità. L’essere si eventua nel sublyme quale aletheia, disvelatezza dell’ontologia dell’essere, dell’esserci, dell’essere delle entità mondane, dell’interesserci, dell’interessere: tutte varietà compresenti nella gettatezza-del-sublyme quale aletheia ontologica dell’essere ontoikona, ontoimagine, ontoimago, ontopoiesis. Il sublime delle varietà topologiche della verità dell’essere si danno, si eventuano, si gettano quale fondale o fondamenta nel corso della sublymanza senza mai abbandonarla anche quando gli dei fuggono e il tramonto dell’occidente si secolarizza, per sempre il sublyme si getta intenzionalmente per essere contemplato dallo sguardo dell’esserci, dall’interesserci delle entità mondane clonanti: mai la verità tramonta, è sempre presente nel sublyme, nella sublymità al di là della storia, aldilà del bene e del male, aldilà delle entità klonate: è sempre in-essere-in-vista-della transcendenza sublime. Come mai solo il sublyme riesce a trascendere, o ad essere-in-vista-della-transcendenza dell'essere, o ad essere-in-vista-dell'essere dell'esserci quale dasein-analytik, o dell'essere-dell'ente nella sua purezza trascendente e quindi a trascendere sempre il corso della storia o della temporalità o dell’ontocronia? Tra le tante ipotesi quella più ontologica è la messa in cura della verità dell’essere quale contemplanza della curvatura dello spazio tempo del passato, memoria, del presente, relatività o interagenza, del futuro, eterno ritorno del sublime. Solo nel sublyme l’aletheia ontologica si cura da sé, si getta, si fonda e si cura senza gli dei fuggitivi, senza l’obsololescenza nihilista della tecnica klonante: giacchè l'intenzionalità del sublime si dà, si eventua quale transcendenza dell'essere-sempre-in-vista-dell'essere o dell'esserci o del non ente o del niente o del nulla o dell'abisso: ma si dà anche quale paradoxa giacchè l'intenzionalità del nulla è niente o meglio è il sublyme, quale transcendenza dell'intenzionalità del niente o dell'abisso o della singolarità abissale presente, passata e futura . L’essere nella gettatezza-della-sublymanza cura da sé l’essere-sublyme, senza la cura ontocronica o ermeneutica, anzi si cura senza l’epistemica ermeneutica, getta la sua cura della sua verità da sé quale interessere ontopico che abita poeticamente il vuoto cosmico o la radura ontologica quale gettanza dell'essere-in-vista-dell'essere-sublyme. È la sublymanza dell'essere-sempre-in-vista-dell'essere che ci viene-incontro in contrastanza, che si disvela per essere contemplata dall’interesserci, così si dà, si cura nella sua futura-anteriorità-gìà-stata e sempre ontologicamente presentemente assente o sempre in-vista-della-transcendenza. Nel suo essere già-stata si getta nell’ontokronia anche quale ob-getto, gegenstand, contr-ada, contra-stanza, contr-in-stanza, controistanza fondale che si getta allo sguardo sempre di fronte, quale gettanza della verità dell’interessere non contemplato dalla storia delle entità clonate, ma si dà quale evento dell'essere-in-vista-dell'essere. Il sublyme, la gettanza fondale della aletheia-interessere si dà e si cura da sé quale essere-sublyme o essere-gettatezza-del-sublyme e si eventua sempre quale ontologia dell’evento-verità, aldilà di tutte le interpretazioni infinite o delle clonazioni riproducibili, giacchè nel sublyme è in ekstasy o si getta, si dà, si cura l’evento della verità ontologica dell’interessere o dell’essere dell’aletheia o dell’essere-sublyme-della-verità-nella-physis. Anche quando gli dei fuggono dalla erhabene e la hrhabene non è più una entità mondana ontoteologica o quando si è abbandonati all’oblio dalla mondanità, anche allora la bellezza-sublyme si dà alla contemplanza, giacché la sua destinanza si getta e si cura da sé, si eventua nella physis-sublyme quale evento dell'essere-in-vista-dell'essere-sublyme nella verità ontologica. È la gestell della erhabene che si dà e si cura e si getta da sé: l’alterezza poietica nella radura della physis eventua l’evento della verità dell’essere-sublyme, ma discopre e dispiega nello stesso la destinanza sublime dell’aletheia dell’interessere: il sublyme è la gestell dell’essere-nella-physis, è l’alterezza della destinanza dell’evento della verità ontologica nella radura fondale, ove l’interessere possa abitare poeticamente, anzi l’essere in estasy lascia libertà d’essere al sublyme, ma nel contempo nell'essere-in-vista-dell'essere lascia libertà d’essere al mondo, lascia liberi gli dei di fuggire senza perdere la sua originalità, lascia libero il nihilismo della tecnica di clonarsi senza decostruirsi nella sua gestell, nella sua struttura ontologica, lascia libera alla mondanità il suo percorso e il suo tramonto, giacchè l’evento della sua libertà si getta e si cura quale libertà ontologica dell’essere-sublyme della verità-destinanza che si eventua nella physis-sublyme per lasciare libera la physis di esserci, anche quando gli dei fuggono e la tecnica si curi solo di klonare le entità mondane, giacchè è sempre l'essere-in-vista-dell'essere-sublyme. Anche quando il sublyme si sottrae per lasciare ampia libertà di dispiegamenti mondani delle entità epistemiche nella loro volontà di potenza imperativa, sia pure allora non fugge insieme agli dei ma abita dis-ascosto, assentemente presente l’essere-sublyme nella sua varietà d’essere-evento-della-verità, quale aletheia della destinanza della libertà, abita kriptato la varietà della curvatura immaginaria dello spazio-tempo o l'intenzionalità del nulla o dell'abisso. Il suo essere dis-ascosto si eventua nel sottrarsi, il porsi aldilà, è sempre l'essere-in-vista-dell'essere-sublyme quale gettanza o transcendenza sublime oltre il nihilismo della tecnica mondana, oltre il tramonto dei paradigmi epistemici ed ermeneutici per essere sublymanza ontologica dell’interessere-nella-physis-sublyme, quale intenzionalità del niente o del senza-fondo o della singolarità vuota attante nella sua vertigo. Il sublyme si eventua non solo nel fondale, nel grund quale ekstasy degli eventi della verità, ma nel contempo simultaneamente, anzi kairos-logicamente, nell’abgrund, quale essere-sempre-in-vista-dell'essere anche nell'assenza degli dei o là ove gli dei non hanno mai soggiornato e gli imperativi kategorici delle entità epistemiche non si sono mai avventurati, né il nihilismo della tecnica si è mai sospinto oltre, anzi l’abisso ontologico ha sempre diffuso il senso di timore del nulla o del niente, invece l’abisso è proprio l’assenza del non-ente, l’annichilirsi del nulla per lasciar liberi d’essere la mondità e l’esserci delle entità epistemicamente comprensibili. L’essere-sublyme dell’abisso, o l'intenzionalità del nulla o dell’ab-grund eventua l’ikona della radura ontologica quale ontopia dell’essere inenarrabile, inaudita, indicibile, indecidibile, mai completamente interpretabile, né epistemicamente fondabile nelle kategorie imperative della volontà di potenza della tecnica-klonica o della ermeneutica metafisica trascendentale pre-post-fenomenologica, giacchè lì è sempre l'essere-in-vista-dell'essere-sublyme quale transcendenza sublyme. Gli eventi o le intenzionalità della transcendenza o dell'essere-in-vista-dell’essere abisso ontologico della physis-sublyme disvelano la comprensione dell’essere sublyme, in attività dinamica sublime, in interagenza tra l’essere e la sua radura vuota ontopica quale memoria della curvatura infinitesima o quale presente dell'interagenza o quale futuro dell'infinito sublyme. Solo la erhabene, l'ekstasy dell’essere del sublyme consente all'essere-sempre-in-vista-dell'essere-sublyme di accogliere l’ascolto del sublyme che si getta nell’abisso della radura ontologica per gettare le fondamenta del fondale dell’essere-sublyme, quale ikona della physis-sublyme, del mondo, dell’interessere, dell’interesserci, dell’interagenza ontopica in transcendenza sublyme. Ma quella ikona non è mai epistemicamente presente, si disvela solo nel suo essere indisascosta o dis-ascosta: ontologicamente inaudita per i più ed indicibile quale intenzionalità del nulla abissale sempre in-vista-dell'essere: solo per il dasein presente evidentemente, solo l’interagenza del dasein-analytik consente all’evento dell’essere abissale di gettarsi nell’estasy dell’aletheia dell’essere-sublyme-sempre-in-vista-dell'essere. Solo il daseyn disvela il mistero o l’enigma del sublyme, giacchè è l'esserci che comprende l'essere-in-vista-dell'essere o in transcendenza sublyme: la sublymanza ama nascondersi o essere sempre indisascosta, ma nel medesimo istante, per paradosso epistemico o ermeneutico, l’essere-sublyme ama disvelarsi, ama discoprire la sua radura abissale, si dà sempre al di là quale essere-sempre-in-vista-della-physis-sublyme ontopica, la sua gestell ontokronokairoslogica o ontokairostopica. Solo così l’essere-sublyme si dispiega all’infinito nell’a-peiron, nel senza-limiti mondani, nel sub-lime, ma la sua gettanza fonda il fondale topologico, ontopico altrochè epocale ontocronico, si dà per raccogliersi-in-un-confine, si getta per eventuare la gestell, la struttura ontologica dell’interagenza con la physis: delimita la spazialità del sentiero ininterrotto della destinanza dell’essere configurazione ikonica della radura ontologica ove l’essere possa abitare poeticamente sempre in-vista-dell'essere-sublyme. Solo con l’essere-sublyme si eventua la disascosità dell’aletheia, mai adeguata onticamente o epistemicamente o ermeneuticamente, ma sempre sottratta all’evidenza della mondità, ma visibile alla contemplazione quale essere-in-vista-dell'essere, inaudita ma udibile, paradossale o eristica ma morfo-genica per la destinanza e l’interagenza dell’interessere e dell’interesserci. Lì in quel apparente paradosso o eristica epistemica o ermeneutica la verità stessa è dis-ascosta, anzi l’aletheia si disvela quale dis-verità o essere-sublyme della dis-aletheia dell’essere-sublyme, si discopre quale dis-invelamento della gestell-sublyme o struttura ontologica dis-invelata della dis-verità del sublyme essere-in-vista-dell'essere. La verità nel sublyme ci appare quale aletheia-della-dis-invelatezza-dell’essere, o meglio quale verità-dis-ascosta-della-dis-invelatezza dell’essere-sublyme, giacchè il sublyme ama la disinvelatezza, ma ama nel contempo la dis-ascosità della disvelatezza dell’aletheia dell’esseRe-in-vista-dell'essere-sublyme. Nella sua eristica epistemica ed ermeneutica del nascondersi e disvelarsi la disascosità della verità dell’essere-sublyme getta nella radura le fondamenta del sentiero della destinanza ontokronotopica, quale gestell dell’essere-sublyme o meglio nell’essere-sublyme è in estasy la verirà dis-ascosta della dis-in-velatezza o che nell’essere-sublyme vi è custodita e curata l’aletheia-dis-ascosta della dis-in-velatezza dell’essere-sublyme-in-vista-dell'essere. Quando si legge o si ascolta una poesia, quando si contempla una immagine nelle sue relativa varietà dimensionali palesi o nacoste, quando l’inaudito aleggia dalla voce dell’esserci dal talento geniale è in estasy la verità dis-ascosa della dis-in-velatezza dell’essere-sublyme ed è quell’aletheia che si disvela nella radura vuota e che traccia il sentiero ininterrotto della destinanza dell’interessere-in-vista-dell'essere-sublyme. L’interagenza e l’eristica di quella verità-dis-ascosità getta le fondamenta dell’epoca dell’imagine della mondità o della sua bellezza-sublyme o della sua classicità o della sua rinascenza o della sua surrealtà: la bellezza-sublyme è, sarà, fu la varietà della verità-dis-ascosità custodita e curata nell’estasy dell’essere-sublyme-in-vista-dell'essere. Quella interagenza consente al sublyme di essere-sublyme dall’esserci-sublyme-bellezza: o meglio solo quando la sublymanza è in estasy quale essere-verità-dis-ascosa della dis-in-velatezza, o che almeno quell’aletheia vi abiti poeticamente, solo allora la verità è sublyme e il sublyme è la verità dell’essere-sublyme-in-vista-dell'essere. Lì si dà il sublyme o il sublyme si dà quale estasy: l’origine o l’originalità del sublyme è il sublyme della verità dis-ascosa della dis-in-velatezza dell’essere-sublyme, custodita e curata nella radura ove si disveli la destinanza dell’interessere-in-vista-dell'essere. Si può intuire che la verità ontologica sia anche in estasy nella mitopoiesis o forse nel mito quale aletheia dell’essere-sublyme, almeno in apparenza; ma una più approfondita ermeneutica ontologica ci svela come non sia così semplice: nel mito la verità non è in estasy quale aletheia-in-dis-ascosità-dis-in-velatezza, ma quale verità-adeguatezza ontoteologica che conforti il sacro senza creare ermeneuche eristiche, anzi quella stabilità epistemica può dispiegare metafisiche influenti. La topologia del sublyme abissale, della fondatezza del sublyme , dell’aldilà quale sublyme-essere-in-vista-dell'essere:la storia del mito del sublyme o della musa sublime Kalypso è la storia dei luoghi del sublyme, la storia mitika del sublyme è la storia dell’Essere-sublyme, o dell’eterno ritorno del mito o della risonanza infinita dell’essere nel sublyme, nella latenza, custodita, curata per eventuarsi nella epokè mitica del sublyme-essere-in-vista-dell'essere. La storia del sublyme è la storia della radura dell’Essere, dell’Essere diradato, sgombro, libero d’Essere nell’abisso sublyme-essere-in-vista-dell'essere, senza nulla, senza niente, senza-fine, senza tramonto, senza eclisse. Nessuno è ancora stato libero di ricercare la storia dell’ontologia del sublyme-essere-in-vista-dell'essere, aldilà dell’ermeneutica teologica in transcendenza sublyme, oltre la metafisica nichilista kategorica, epistemica,paradigmatica. Non c’è né l’ontologia dell’essere-sublyme, né l’ontosofia del sublyme o la storia mitika del sublyme o il disvelarsi della musa del sublyme Kalypso quale esserci-in-vista-dell'essere. La storia del sublyme si fonda sulla storia sublime della libertà sublyme in transcendenza sublyme o nell'essere-in-vista dell'essere-in-libertà: senza esser liberi di contemplare il sublyme-essere-inv-ista-dell'essere, non c’è sublyme ma solo teocrazia o mitokrazia o trascendenza quale esserci in-vista-dell'ente: la storia sublime del sublyme-essere-in-vista-dell'essere è la storia sublyme della libertà d’Essere in presenza della contemplazione dell’Essere-in-vista-dell'essere-sublyme. Il sublyme c’è quando l’essere si dà dinanzi nella contemplazione dell’Essere-in-vista-dell'essere-evento che si eventui in transcendenza sublyme che si dà, si getta alla presenza nella radura, nella topologia dell’Essere, quale ontologia dell’Essere-in-vista-dell'essere-sublyme-poetante, il Gegengrundsein o costrastanza che si eventua nella ontovarietà della gettatezza del mito del sublime o musa sublyme in Kalypso è la radura poetante che custodisce, kriptata, latente la cura dell’Essere-in-vista-dell'essere-sublyme in transcendenza sublyme . I luoghi della Gegengrundsein sono gli spazi-sublymi kaosmici ove si getta dinanzi, in contrastanza davanti l’Essere-sublyme-in-vista-dell'essere: i luoghi del sublyme sono quelli che l’esserci si trova di fronte non ad un orizzonte del mondo, o ad una prospettiva mondana, o ad un tramonto o eclisse cosmici, ma quelli sublimi del l’Essere abitato poeticamente dall’orizzonte e dalla prospettiva dell’Essere senza-fine, senza declino,senza tramonto, senza eclisse, quale eterno ritorno della risonanza dell’Essere-sublyme-in-vista-dell'essere. Solo così si eventua l’epochè della sublymanza, non teokratica o mitokratica, della sublymità della Physis-sublyme. Tanto per essere rigorosi fino in fondo:il sublyme non è la topologia della teocrazia o della mitokrazia, né il sublyme è la singolarità nichilista cosmica del tempo immaginario, giacchè quelle suggestive topologie sono sempre kategorie della prospettiva del mondo tramontante mentre l’orizzonte dell’Essere-sublyme non si trova mai di fronte all’eclisse, al tramonto, alla fine della storia, del tempo, dello spazio, del kosmo è sempre in transcendenza sublime o in-vista-dell'essere-sublyme. Nel sublyme-essere-in-vista-dell'essere invece c’è l’eterno ritorno della differenza ontologica tra il il fenomeno e l'evento: non il nulla o il niente, ma l’Essere-sublyme-in-vista-dell'essere che ci viene in-contro, l’Essere-in-vista-dell'essere-sublyme che si getta alla presenza, in contrastanza per abitare l’Essere-sublyme che contempla la radura sublyme-dell'essere-in-vista. La storia sublime della sublymanza è la storia della differenza che si eventua nell’ontologia poetante, quale presenza che abita il luogo kaosmico. La storia sublime del sublyme è la storia dell’Essere-in-vista-dell'essere che contempla l’essere di fronte, quale presenza della radura, ove non ha mai abitato né l’entità, né l’Esserci, né la mondità, né la metafisica, né la teocrazia o mitokrazia, ma solo la risonanza dell’Essere-sublyme-in-vista-dell'essere che ci viene in-contro, in contrastanza quale eterno ritorno del sublyme-essere-in-vista. La storia mitika di Kalypso o del sublyme è la storia dalle origini del sublyme, per abitare i luoghi storici del sublyme, si eventua nella risonanza quale Essere-sublyme-in-vista-dell'essere, Essere divino che ci viene incontro, Essere che abita l’Essere, Essere che si incontra kriptato nell’Essere sublyme della diradanza sublyme. La topologia, il luogo ove l’Essere ci viene in-contro in-contrastanza e ci abita è il sublyme: la topologia del sublyme è la sublyme topologia della storia del sublyme: solo nella topologia del sublyme la storia si eventua quale storia del sublyme: giacchè solo lì è libera d’essere storia del sublyme e mai più storia della teocrazia o mitokrazia, storia metafisica della teologia teocratica, storia metafisica della teologia teocratica,storia della volontà di potenza della teocrazia, storia dell’etica teocratica. I luoghi ove il sublyme ci viene incontro, o dove l’essere in-contra l’essere che si eventua ed abita l’essenza del pensiero poetante, sono i luoghi del sublyme sacri, oscuri, misterici, kriptati, perché quella prossimità dell’essere con la sua ikona che si getta alla presenza e la abita è sublyme, nel senso di indicibile, inaudita contrastanza erystyka. Kalypso quale musa mitika del sublyme si dà sempre quale miraggio o aurora boreale iperborea, giammai epistemica dei paradigmi fisici cosmici: la sua storia sublyme è la storia degli spazi liberi, abitati solo dall’Essere che ci viene in-contro, quale sublyme senza-la-fine, mai nullità, e nel contempo contrastanza: Essere che si incontra nell’essere che si getta ed abita, nella contemplazione, l’Essere poetante. Le varietà degli eventi del venire incontro in-contrastanza dell’Essere sono infinite, indicibili, senza-fine, senza eclissi: perché i luoghi del sublyme sfuggono alla classificazione dell’imperativo kategorico del rigore razionale o della metafisica ideale nichilista, sinergetica, supersimmetrica,inferenziale,logistica,teocratica o mitokratica. Gli eventi del sublyme sono sempre in relatività con gli eventi e le ontovarietà dell’Essere che ci viene incontro, che si eventua quale libertà ontologica: si incontra l’Essere in contrastanza eristyka, si contempla la libertà d’essere kaosmica. I luoghi del sublyme sono gli spazi topologici ove l’Essere si dispone nella contemplazione, nell’ascolto,nella visione, nella sensibilità e nel pensiero poetante dell’Essere di fronte, dinnanzi, davanti che ci viene incontro in contrastanza eristika, nella sublymanza kaosmica. La storia sublyme è la storia delle radure, dei vuoti ontologici della sublymità, ove l’essere si eventua per essere contemplato e per abitare poeticamente l’essere di fronte, oltre che abitare poeticamente solo il mondo, la “Physis”, il kosmo. Quando un luogo, una radura, un vuoto sono abitate poeticamente dall’Essere che si getta e che viene in-contro all’Essere, si eventua il sublyme e la sua storia quale storia sublyme del sublime abitare poeticamente l’Essere poetante, in libertà, in verità, in prossimità con l’Essere-sublyme. La libertà di ricerca sulla storia sublyme della sublymanza si eventua nella storia dei luoghi del senso del sublyme, della sua essenza, della sua presenza qui ed aldilà del mondo quali luoghi del sublyme, anzi meglio la topologia del sublyme, lo spazio vuoto, la radura, lo spazio libero dalla mondità ove è custodito, curato, evocato e contemplato il sublyme: l’Essere che viene incontro per abitare poeticamente, non solo il mondo, ma l’ikona dell’Essere, l’essenza dell’Essere, l’Essere poetante, l’Essere ontologico, l’Essere-sublyme. Si eventua così nello spazio e nel tempo del mondo la differenza ontologica: si presenta la topologia dell’Essere-sublyme, di là e di qua della topologia fluttuante del mondo dell’Esserci, del mondo virtuale, del mondo immaginario, del mondo ontologico, del mondo poetante. Il mondo dell’Essere-sublyme si getta nella mondità anche quale mondo sublime, mondo caotico mondo cosmico, mondo caosmico, mondo onirico, mondo estatico e la sua influenza metafisica si dispiega nel mondo etico, epistemico, paradigmatico, ermeneutico, costituente, noetico. Quale fondamento della verità dell’Essere-sublyme la sua influenza dà senso al kaos, all’invisibile, all’indicibile, all’inaudito, all’assenza presente della sua sacralità provvidenziale: l’unica che ci possa salvare o curare nel mondo dell’aldilà, del bene e del male. La Topologia dell’essere-sublyme è la sua topologia animata dell’Essere animato che trascenda l’Esserci,ma non è l’Essere ontologico o poetante. Quelle ontovarietà dispiegano la complessità della fondatezza dell’Essere-sublyme nel mondo virtuale, animato, ontologico, immaginario, onirico, metafisico, sinergetico, supersimmetrico e disvelano quanta volontà di potenza ci sia nella storia sublime del sublyme. Volontà di potenza dell’eterno ritorno dell’Essere-sublyme, nell’epochè della storia dell’Esserci, ma pure volontà di influenza egemonica imperativa kategorica nella metafisica, ermeneutica, poetica, etica, estetica, epistemè, virtuale, immaginaria, onirica, estatica, mitica, magica. Nell’Essere-sublyme, l’Essere animato non si adegua, in verità né all’Esserci, né all’Essere ontologico o poetante. Nel mondo del sublyme il mondo animato non ritrova l’adeguatezza metafisica, epistemica, razionale, poetica, estetica, etica con il mondo dell’Esserci, né con l’Essere nel mondo cosmico, immaginario, virtuale, kaosmico. Ma quella differenza ontologica dell’adeguatezza non trascura l’ortogonalità influente della volontà di potenza metafisica della storia del sublyme, anzi la sua kategorica imperativa dà senso, identità, teocrazia storica e trascendenza o mitokrazia. L’Essere-sublyme, quale essere animato nel mondo sublime è la misura della completezza: del kosmo che c’è e del mondo che non c’è, o è invisibile, indicibile, inaudito, mitico, magico, estatico; l’Essere-sublime è anzi l’unico centro gravitazionale che dà senso, stabilità, pace, e soprattutto e per lo più dà l’impianto, la creazione, la Gestell al mondo dell’Esserci, dell’Esser qui, dell’Esser là, dell’Esser aldilà. La topologia del sublyme, quale storia del sublyme è la Gestell-sublyme del mondo e dell’Essere animato, quale Esserci che ci viene in-contro in contrastanza eristyka nella sua morfogenesi-sublyme di Essere animato: e perciò da contemplare e da venerare quale musa Kalypso. Giacchè solo quell’Essere è sublymanza della physis-sublyme che ci potrà salvare, o curare, o consolare, o guidare nel destino nella sorte, nell’avventura della storia del sublyme. La Topologia dell’Essere-sublyme è implementata nella bistabilità dei sentieri che si biforcano o che ritornano su di sè come in un nastro di Mobius: c’è la superficie della Gestell-sublyme fondante il mondo dell’Esserci, virtuale, trascendenza, immaginario, metafisico, etico, poetico, estetico, sinergetico, cosmico, epistemico, ermeneutico, ma c’è nel medesimo istante o in contrastanza eristica, quale eterno ritorno nella superficie supersimmetrica, l’Essere animato che ci viene incontro nel vuoto ontologico, nella radura libera dal nichilismo, nella singolarità kaosmica del nulla, quale Gestell-sublyme: contro-Essere, gegenstandsein, Essere che ci incontra e avviene, si getta nell’Essere così come nell’Esserci, per abitarvi con il senso del sublyme o dell’Essere animato o per abitare poeticamente le insenature di Kalypso. La storia del sublyme è stata, ed è,sempre interpretata quale volontà di potenza della metafisica imperativa influente: non c’è una storia poetante del sublyme, né una storia ontologica, né una storia sublyme, né una storia ontologica, né una storia sublime nel senso di Topologia del sublyme dell’Essere più che del mondo o della mondanità. Il futuro della libertà di ricerca della storia del sublyme si presenta nel plesso, o nel chiasma, dell’Essere storia della Gestell sublyme dell’Esserci e del mondo, e storia della sublymanza dell’Essere-sublyme che ci in-contra, che avviene in-contro, contrastanza quale risonanza dell’Essere-sublyme animato sempre, eternamente ritornante nell’aldiqua dall’aldilà sempre nell'essenza infinita della musa Kalypso. L’Esserci sublyme che ci viene in-contro, quale sublymanza è la donazione di misura o dismisura in arkè o in apeiron dell'archè quale infinito nella priorità, infinito nell'apriori: la smisurata topologica del sublyme e della storia del sublyme animato che abita poeticamente l’Essere-sublyme, oltre che il mondo e l’Esserci, si eventua quale instabilità del Kaos, miraggio ed aurora boreale di Kalypso, morfogenesi visibile dell’invisibile, koinè, linguaggio comune etico dell’indicibile, dell’inaudito, mistero dell’indecidibile, mistico svelato del sublyme eternamente ed infinitamente interpretato, ermeneutica del vuoto silenzio della singolarità del sublyme, quale storia del sublyme o del mito del sublyme della musa Kalypso. La storia dell’Essere-sublyme è la storia dell’abbandono e del naufragio dolcemente tempestoso, della kriptazione, della latenza, dell’oblio dell’Essere-sublyme ontologico nell’Essere animato: sia quale vivenza dell’Esserci, sia quale vivenza della mondanità eterna, infinita, mitica, indicibile, inaudita. L’Essere che vi viene in-contro o che si in-contra in contrastanza eristika incongruente è l’essere-sublyme-animato che dalla latenza kriptata, custodita, curata, della radura della Topologia dell’Essere, si eventua in estasy in contrastanza quale dismisura del tempo e dello spazio, dell’etica e dell’estetica, del kosmo e del Kaos, del bene e del male nell'ikona infinita della musa Kalypso quale apeiron nell'arkè o infinito nell'apriorità o estasy nella purezza. Ma quella gettatezza dell’Essere-sublyme non è semplicemente imperanza metafisica della volontà di potenza, quella è solo la sua metamorfosi teocratica o mitokratika, influente, altrimenti il sublime sarebbe solo una delle varietà ermeneutiche, epistemiche, estetiche,astronomiche . Kalypso quale apeiron-nell'arkè o infinity-nell'apriorità o evento nel mito è l’Esser gettati, quale sublymanza dell’Essere animato è dà stabilità e morfogenesi alla più complessa Ontoteologia o Teoontologia o mitologia del sublime. Aldilà del bene e del male, anzi quale fondatezza che eventua ora l’uno ora l’altro o annienta sia la singolarità, sia l’alterità, sia la completezza quale storia mitica in contrastanza che si getta, quale storia della musa sublyme che si presenta nell'ikona Kalypso sempre nella sua varietà ontoteologica influente che si dà, che ci viene in-contro, che si in-contra nei sentieri ininterrotti del sublyme, quale metastabilità del Kaos, miraggio aurorale iperborico e orizzonte prospettico cuspidale dell’Essere-sublyme-animato che dà senso all’Esserci, alla vivenza, alla creazione, alla mondità, all’aldilà, al mito del sublime. L’Essere-sublyme-animato che si in-contra si getta in contrastanza nell’Esserci, nel mondo, nella vivenza quale impianto dell'alterezza stabile della volontà di potenza ontodinamica dell’Essere-sublyme: è la Gestell-sublyme dell’Essere animato che ci viene in-contro quale ikona di Kalypso, non quella metafisica, o etica, o epistemica, ma quella metastabilità che annienta il Kaos, il nulla, il niente oltrechè l’Esserci preesistente, per fondare la Topologia del sublyme dal nulla, dall’invisibile, dall’inaudito, dal vuoto cosmico. La Topologia dell’Essere-sublyme che ci in-contra abita mistericamente il fondamento dell’Essere animato, dell’Esserci della vivenza del mondo: abita la stabilità della Gestell-sublyme quale venire in-contro della presenza che ci in-contra in contrastanza eistika nell’Essenza dell’Essere-sublyme. La stabilità dell’Essere animato è la storia del sublyme quale controkaos e risonanza che si presenta davanti, di fronte al Kaos per Essere Gestell-sublyme-topologica della radura, contrastanza ikonika del vuoto dell’invisibile, dell’indicibile, dell’inaudito quale Kalypso o apeiron-nell'arkè: la storia del sublyme è la storia dell’Essere di fronte al Kaos, quale Essere animato che ci viene in-contro e che si in-contra nella essenza della vivenza, dell’Esserci, della mondità in contrastanza eristika. La storia del sublyme è la storia della metastabilità iperbolika, ellittika, parabolika, metabolika dell’Essere sublyme-ellittiko, sublyme-iperboliko, sublyme-paraboliko, sublyme-metaboliko in estasy quale apeiron-nell'arkè ontodinamico animato che si presenta, si eventua, si in-contra nella fondatezza dell’Essere-sublyme, dell’Esserci-sublime quale vivenza-sublime, del mondo, dell’Essere transcendenza, aldilà. Il Metaodos-sublyme è il sentiero ininterrotto del sublyme: eterno ritorno della risonanza dell’Essere-sublyme che ci viene in-contro, e che si getta alla presenza dell’Essere-sublyme che si in-contra di fronte, dinnanzi, quale evento dell’Essere animato o mito autodinamico della musa Kalypso. Il gettarsi incontro nella metastabilità della presenza sia quale volontà di presenza o teocrazia o mitokrazia ,sia quale dono della dismisura del sublyme o Ontoteologia, è la storia del sublyme che dà senso all’imperanza kategorica del sublime Essere di fronte, davanti, incontro al Kaos del mondo in contrastanza eristika. Ma la sua presenza si eventua anche nel gettare nell’essenza del fondamento dell’Esserci-sublyme e della vivenza l’incontro dell’Essere animato, quale Topologia dell’Essere-sublyme o varietà dell’Essere ontologico quale apeiron-nell'arkè o infinity-nell'apriorità. La storia del sublyme sarà la storia dell’interfaccia, intervolto, contrastanza, interessere animato che ci viene incontro nel sentiero dell’Essere-sublyme. Il campo del sublyme è l’intervolto dell’interessere topologico animato quale contrastanza eristika. I sentieri del campo del sublyme sono la risonanza dell’eterno ritorno della storia del sublyme. Il campo sublyme è l’intervarietà della Topologia dell’Essere quale campo metamorfico che dà ortogonalità all’abisso, dà la visione dell’Essere animato all’invisibile, dà ascolto al silenzio inaudito, dà senso al sublyme: getta i sentieri dell’essere animato nell’Abgrund-sublyme, nel senza fondo delle fondamenta dell’Essere: il campo sublyme è la Gestell-sublyme dell’Abgrund-sublyme, l’impianto della metastabilità che s’eventua nei sentieri dell’abisso-sublyme. La storia del sublyme è la storia del campo sacro di Kalypso, quale intervarietà della topologia dell’essere animato o contrastanza eristika sublyme. Il campo sacro è la metastabilità-sublyme, la Gestell-sublyme dell’abisso, dell’Abgrund-sublyme, dell’interessere, dell’intervolto, dell’interfaccia ortogonale ab-scissa controstanza imperativa dell’aldilà che si eventua quale vuoto cosmico, radura dell’invisibile kalypso, silenzio dell’inaudito, indicibile sublyme della musa Kalypso. Il campo sacro del sublyme è la risonanza dell’eterno ritorno dell’Essere-kalypso animato che si getta nella storia quale storia del sublyme. Il campo sacro del mondo di kalypso è la Gestell-sublyme nell’Abgrund-sublyme, quale ortogonalità ab-scissa della controdanza imperativa senza fondo, senza fine, apeiron-nell'arkè, infinity-nell'apriory, transcendenza, nell’aldilà, oltre l’orizzonte, oltre il tramonto della storia, oltre la fine della storia, oltre l’eclisse del mondo della storia classica. Il campo sacro del sublyme, la Gestell-sublyme, l’impianto sublime ove l’Essere animato avviene, quale musa Kalypso si getta dall’aldilà, ci viene in-contro in contrastanza e si incontra nella sublymanza quale Essere aldilà, in transcendenza che si presenta di fronte, davanti, dinnanzi quale intervolto, dell’invisibile, indicibile, inaudito del sublyme nella volontà di potenza metafisica influente, nell’Etica, nell’Estetica, nella Noetica, nell’Ermeneutica. Il campo del sublyme-sacro di Kalypso si presenta sempre aldilà della semplice teocrazia o mitokrazia, quale volontà di potenza della metafisica ideale dell’aldilà, nella sua intervarietà di ontoteologia o Teontologia: evento che si incontra nei sentieri della gettatezza dell’interessere animato quale intervolto interimmagine dell’Abgrund-sublyme, dell’Essere abissale che si in-contra nella radura topologica, nel vuoto ontologico, cosmico, nelle singolarità nichiliste della cronotopia immaginaria o mito di Kalypso. La differenza ontologica tra il campo sacro della storia sublime e la storia classica del sublyme si eventua nella differenza tra la storia della volontà di potenza dell’Esserci metafisico e la storia della Topologia dell’Essere animato che ci viene incontro, che si in-contra in contrastanza eristika, di fronte quale sublymanza dell’aldilà, dell’abisso, quale matastabilità, Gestell dell’Abgrund-sublyme. La storia del campo sacro è la storia sublyme dell’immagine dell’Essere che ci in-contra di fronte: intervolto dell’immagine, Interimago in eristica contrastanza. Il campo del sublyme è l'imago-sublyme dell’abisso che ci sta sempre di fronte, ci abita e che ci in-contra quale aldilà. Ma il campo sacro del sublyme, si presenta anche quale metastabilità, impianto, struttura ontologica,in qualità di salvezza, cura, pensiero poetante del sublyme. La storia del campo sacro del sublyme è anche la storia dell’Essere-sublyme: solo nella sua varietà di imago-sublyme, di immagine dell’Essere animato, mai quale volontà di potenza della metafisica dell’immagine del mondo. Anzi il campo sacro del sublyme con la sua imago-sublyme influenza la mondità, mai può essere soggetto, giacchè la sua fondatezza si disvela sempre dalla metastabilità dell’abisso, dell’invisibile, dell’indicibile, dell’inaudito, dell’aldilà che si presentano di fronte, davanti, in-contro in contrastanza eristika alla mondanità, e si gettano nella sua fondatezza senza essere mai fondati. In quel senso il campo sacro del sublyme è libero, è più libero, dalle immagini del mondo: la storia del sublyme è la libertà dalla volontà di potenza della metafisica nichilista, della fine della storia; è più libera, giacchè abbandona le immagini del mondo per gettare in-contro le immagini dell’Essere-sublyme-animato. Il campo sublyme non è stato, e non sarà mai una nuova metafisica, se mai è la Teontologia, senza essere ontologica: si eventua invece quale alterità, senza essere differenza, e quale relatività senza essere dispiegamento. Il campo sacro del sublyme è la radura ove si getta e si incontra sempre di fronte l’evento dell’immagine dell’Essere animato. La storia del sublyme è la storia dell’accadere della presenza, volontà e potenza dell’immagine dell’Essere che si dispiega dall’abisso, dall’aldilà, dall’invisibile, dall’indicibile, dall’inaudito: che decostruisce il tempo e l’immagine del mondo, dell’Esserci, della metafisica imperante nichilista. Il campo sacro del sublyme crea lo spazio alla imago-sublyme che si eventua dalla metastabilità dell’Abgrund-sublyme, ma non dà fondatezza alla Grund-sublyme: si svela in-contro, in contrastanza, di fronte, in relatività, quale immagine dell’Essere mai fondata, né fondabile dalla immagine del mondo, o dell’Esserci, o della Physis: Teontologia della imago-sublyme quale intervolto, intervarietà della Ikona-sublyme del pensiero poetante. Il campo sacro della Physis-sublyme è la storia della differenza del venirci in-contro dell’Essere e del suo gettarsi nel mondo, nella Physis cosmica: in qualità di immagine dell’Essere che si eventua, quale Essere-sublyme animato metastabile dell’intervarietà dell’Abgrund-sublyme: nella sua varietà della semplice gettatezza nella storia dell’Esserci, o dell’Essere al mondo. Mai mondo nell’Essere o volontà d’Essere mondità dell’immagine dell’Essere. Daseyn-sublyme e imago-sublyme sono i sentieri del campo sacro del sublyme ove si eventua l’in-contro la sublymanza della Physis-sublyme-ontologica . Lì la risonanza dell’Essere che ci in-contra, dà senso alla Teontologia, quale alterità della metafisica nichilista, in relatività con l’ontologia poetante della Physis-sublyme . La storia di quell’in-contro si in-contra nella risonanza della storia del sublyme, quale storia dell’immagine d’Essere che si getta di fronte all’immagine del mondo o dell’Esserci: imago-sublyme che si getta in-contro al Daseyn-sublyme. Il campo sacro della Physis-sublyme è quella Topologia ove la storia sublyme si eventua quale imago-sublyme del Daseyn, ed anche dell’immagine del mondo, attraverso l’immagine dell’Essere animato in relatività con l’immagine dell’Essere che si getta dall’aldilà, dall’invisibile, dall’abisso, Abgrund-sublyme, indicibile, inaudito. Ma il campo della Physis-sublyme-ontologica è anche la Topologia metastabile della imago-abgrund-sublyme: immagine dell’abisso dell’Essere o dell’Essere abissale che si getta nella storia del sublyme. In qualità di imago-abgrund-sublyme il campo del sublyme si metastabilizza in imago-gestell-sublyme, ikona-sublyme della sua struttura ontologica, ove si eventua l’incontro tra l’Essere animato, imago-sublyme e l’immagine dell’Esserci. Il campo della Physis-sublyme è al tempo stesso stabile ed instabile:la sua stabilità è relativa all’Essere animato che si eventua quale essere-sublyme: dall’abisso dell’Essere ci viene incontro e in-contra l’Esserci ed il mondo, la Physis-sublyme e la sua struttura ontologica. E’ stabile nella Gestell-sublyme dell’immagine dell’Essere-sublyme ma instabile nell’Abgrund-sublyme intermittente la sublymanza, quale risonanza dell’Essere poetante della Physis-sublyme. L’anfibologia del campo sublyme dà alla sua Gestell-sublyme l’essenza della metastabilità in relatività con l’ontologia, quale Teontologia, in relatività con l’immagine dell’Esserci e del mondo quale teokrazia o mitokrazia della storia classica del sublyme. Quella differenza è essenziale, perché crea la biforcazione tra l’immagine della storia sublyme e l’immagine del mondo della storia della Physis-sublyme . Il sentiero nel campo sublyme dell’immagine della storia della Physis-sublyme è stato interrotto, giacchè la storia si è dispiegata quale immagine della volontà di potenza della metafisica o teocrazia. La Teontologia, quale immagine dell’Essere-sublyme che si getta nella immagine della storia del sublyme non è più presente né nel mondo, né nel sacro mondo, né nel mondo sacro, né nell’Esserci del sacro campo della Physis-sublyme . Solo la libertà di ricerca eventuerà nel futuro un’immagine della storia del sublyme quale gettatezza dell’Essere-sublyme-animato, che si disvela dall’abisso dell’aldilà. Solo così il campo sublyme della Physis quale campo animato dell’immagine o interimmagine della storia del sublyme eventua la storia del mondo animato, mentre fin’ora la storia del sublime si è presentata nell’interpretazione dell’immagine del mondo imperativa ed influente, quale volontà di potenza metafisica sull’immagine della storia della Physis-sublyme. Nella storia della Physis si eventua una interferenza: quale immagine della storia del campo sublyme che dà la misura non solo al mondo, all’immagine del mondo, all’Esserci, alla vivenza, al nulla ma anche purtroppo all’essenza fondamentale dell’Essere, la storia sublyme libera, esprime, disvela la verità, ma anche la occulta, la oblia, la kripta sotto la parvenza della cura, della latenza che custodisce conserva, accudisce, consacra e contempla. L’interferenza ontologica nella differenza ermeneutica del campo sublyme della Physis dà la dismisura della sua volontà di potenza imperativa kategorica, ma anche la valenza dell’Essere-sublyme quale sentiero, di libertà di svelatezza della libertà, di contemplaza che dekripti l’evento dell’incontro che ci incontra nel chiasma-sublyme dell’Esser animato, quali immagine in relatività con l’Essere ontologico. Quella interferenza che appare originariamente nel campo sublyme della Physis-sublyme, si eventua in altri campi quale la Psychè o la Physis o la koinè, disvela la differenza ontologica tra l’Essere-sé dell’Esserci nel mondo e l’esser-sé quale Sublymanza: nella storia del sublyme della Physis c’è sempre la trivarietà della Topologia dell’Essere: Seyn, Daseyn, sublyme ove l’Esserci o l’Essere è indeterminato, ma sempre in relatività quale sublymanza: Esserci sempre nell’Essere-sè e nell’Essere al di là da sé, senza-fine, senza paradossi di identità o di principi logici di contradizione, anzi quelle evenienze non fanno altro che confortare l’imperativo kategorico del campo sublyme della Physis. L’interferenza di quella presenza, nel campo sublyme-ontologico della storia della Physis-sublyme dà la dismisura dell’ indeterminatezza, dell’invisibile, dell’infinitesimale, dell’indicibile, dell’inaudibile, del bene e del male, della sublymanza dell’adilà del bene e del male, dell’aldilà del mondo e del nulla, dell’aldilà del tempo e dello spazio, dell’aldilà della cronaca e della storia mitika, dell’adilà dell’etica e dell’estetica, dell’aldilà della guerra e della pace. Nell’interferenza ontologica quelle varietà sono solo episodi eventuali dell’immagine del campo sublyme che dà la misura dell’Esserci quale Essere-sé nell’Essere animato nel mondo animato, nella Physis-sublyme-animata. La storia sublyme è creatrice di storia,non solo nel suo campo sublyme della Physis-sublyme, ma in generale e nel senso della globalità, quale evento della nuova libertà: libertà d’Essere animata in qualità di varietà sublyme: Esserci, Essere sublyme, Essere in relatività con l’Essere aldilà. La nuova libertà d’Essere animata è creatrice di storia del campo sublyme della Physis e ab-scissa in quello immaginario, virtuale, ortogonale, metafisico influente nichilista, decostruttivo, ermeneutico, epistemico, etico, estetico, sinergetico. Il campo sublyme quale storia sublyme della Physis sarà così il fondamento della nuova libertà: libertà d’Essere contemporaneamente, quale Sublymanza, Esserci, Essere alterità nell’aldilà, Essere sublyme dell’Essere animato. Il campo sublyme così è, non l’unico, ma il più evidente nella creazione della storia, sia Gestell, sia Gegen-Gestell: o meglio, e di più, è il Gegen-Stell: l’impianto della storia sublyme , struttura ontologica che ci viene incontro in contrastanza dall’adilà, dall’alterità, ma che ci in-contra nel sentiero dell’Essere animato. Il Gegen-Stell, la sua struttura ontologica, è la metastabilità che ci viene incontro, quale presenza che ci incontra nel campo sublyme per impedire il declino nel nulla, nel kaos, nell’abisso, quale Abgrund-sublyme. La storia sublyme che crea la storia dell’immagine del mondo, è la presenza metastabile dell’aldilà, dell’alterità che ci incontra sempre di fronte, in contrastanza eristika, per interferire nel declino, nel klinamen abissale della metafisica nichilista tramontante, eclissante. Ma affinchè appaia la presenza della storia del sublyme nel campo sublyme interferente non è sufficiente il sapere dell’Esserci e del mondo, ma indispensabile dispiegare il sapere dell’Essere animato che si eventua di fronte e ci incontra dall’alterità e dall’aldilà. Il campo sublyme si presenta nel mondo della storia solo attraverso il sapere del fondamento dell’Essere animato, il quale s’eventua sempre quale interferenza che ci incontra sempre di fronte, e viene ad abitare poeticamente il sublyme campo della storia dell’Essere animato. Solo il sapere dell’Essere consente di essere sempre di fronte ed incontro all’Essere-sublyme nell’equilibrio del campo sublyme, sempre contrastanza eristika, che consentirà di decostruire e creare il sentiero della storia della Physis-sublyme . Il sapere dell’Essere-sublyme si dispiega nel campo sublyme quale creazione della storia sublyme, che dà fondatezza, getta nel mondo e nell’immagine del mondo le verità dell’Essere-sublyme animato. Il sapere dell’Essere-sublyme che ci viene in-contro e ci incontra nel campo sublyme della Physis, quale sapere sublyme dell’Essere-sublyme animato, che getta nella storia mitika del sublyme la sua creatività, la sua verità, la sua missione dell’Esserci, la sua immagine del mondo. Quella sapienza sublyme dell’Essere sublymanza della Physis-sublyme che si eventua sempre di fronte, quale Essere-sublyme animato quale transcendenza della semplice volontà di potenza metafisica teokratica, o nichilista o sinergetica kosmica per dispiegare, nel campo sublyme che crea la storia sulla volontà di verità del sublyme, e sulla volontà animata, o volontà della storia sublyme. Mai sarà animata una nuova ontologia, ma è già trascendenza e tramonto della metafisica nichilista, epistemica, ermeneutica, paradigmatica che disvela l’immagine del mondo, quale creatività dell’immagine della storia della globalità del mondo. La volontà di verità sublyme fonda la Teontologia, quale sapere dell’Essere animato nel campo sacro del sublyme che crea la storia del sublyme e l’immagine della storia dell’Esserci globale del kosmo: la storia sublyme della Physis-sublyme dall'abgrund-sublyme. Il venir-fuori-dalla-velatezza è l’essere del sublyme, il disvelarsi di una nuova morfia della physis-sublyme, di una alterezza della natura animata dell’essere, di una autopoiesis dell’ikona della physis-sublyme dell’essere. L’ontologia del sublyme è l'ontopoiesis dell’immagine dell’essere nella physis, o morfia autopoietica quale supersimmetria dell’ikona della physis dell’essere-sublyme. Il disvelarsi dell’aletheia ontologica è il venire alla luce, il darsi alla luce, la gettanza che si dà alla luce nella radura vuota e libera dell' autopoiesis dell’ikona della physis dell’essere-sublyme, quale morfica ontopoiesis dell’immagine dell’essere nella physis-sublyme. Il venir fuori della disvelatezza discoprente l'autopoiesis dell’ikona della physis ontologica dell’essere-sublyme. È l'ontopoiesis della radura vuota, del luogo ove abita poeticamente l’essere che disvela l’ikona della physis o l’immagine dell’aletheia dell’essere, quale topologia poetante o quale ontopoiesis o quale ontoikona dell’essere nella physis-sublyme. È l’ontoykona dell’essere che getta le fondamenta, si getta e si de-costruisce nella radura luminosa della physis-sublyme e si eventua in morfie autopoitiche dell’immagine della physis dell’essere e si disvela all’esserci quale gegenstand, sempre di fronte, in contrastanza eristika dell’ikona ontologica della destinanza dell’essere-sublyme. L’ontoykona ama disvelarsi nella radura luminosa della physis dell’essere quale sublymanza del’esseRe-sublyme o per essere l’aletheia dell’essere quale evento nel sublyme. La sublymanza ama nascondersi nel sublyme dell’essere ontoykona della physis per eventuarsi quale svelatezza nel gegenstand della topologia autopoietica dell’immagine dell’essere-sublyme. Ma perché l’ontoykona si eventua sempre quale sublyme dell’essere più tosto che evento del nulla o del niente? Mha perché la differenza ontologica lascia all’epistemica la destinanza delle entità mondane e cura, e nel contempo custodisce l’aletheia della physis dell’essere quale ontopoietica ikonica della topologia ontologica dell’essere-sublyme. È la physis-sublyme che si eventua quale sublymanza sia nella ontocronia che nella ontokairosia: nell’ontocronia dell’essere dell’entità, nella ontokairosia dell’essere evento della singolarità originaria del sublyme. Spesso è compresente sia l’ontocronia della physis della mondità che l’ontokairosa singolarità dell’essere o meglio nel sublyme è assentemente presente l’una o presentemente presente l’altra nella stessa radura luminosa dell’onto-topia dell’essere sublymanza o ontopia-del-sublyme o ontopia dell’ikona o dell’imago dell’essere o topologia ontologica dell’onto-ikontopia. È quella la differenza ontologica della temporalità e autopoiesis del sublyme: mentre la ontocronia si eventua solo nella physis mondana o dell’esserci, l’ontokairosia si dà, si eventua solo nell’essere-sublyme. Attenzione qui si discopre la differenza anche nel sublimità fatta a mano, immagine o suono o voce che sia, il manufatto o analitika dell’esserci- ontokronia e quello dell’essere-ontokairosia: il primo si adegua alla temporalità delle entità mondane senza discoprirne l’ontologia della physis, la temporalità estatica invece disvela sempre e per sempre l’ontokairos dell’ontoykona dell’essere-sublyme-per-l’essere prima d’essere-sublime-per-il-mondo o essere-sublime-per-esserci; ah come si farà a comprendere? La sublimità per esserci o il-simbolo-per-la-mondanità privilegia sempre e comunque l’ontologia del presente: si adegua alla verità epistemica del mondo senza chiedere nulla di più, giacchè la sua ermeneutica è finita con l’ontokronia dell’ontica o dell’esser-solo-entità-del-mondo, anzi solo entità ontica di questo mondo senza alcuna onto-topia, ma solo u-topia o dis-topia. Lì l’essere-sublimità-per-essere è custodita nell’oblio o nascosta nella physis epistemica del mondo o nella mitica origine dell’esserci. Ma l’ontologia dell’ontopia dell’ontikona si sottrae dalla ontokronia per abitare poeticamente la radura luminosa della templata-ontokairosa dell’esere-sublyme-per-l’essere che si getta nella physis della mondità ma che si differenzia sempre nella sua interpretanza infinita, quale ermeneutica ontologica dell’essere sublyme. Qui l’impianto, la ge-stell dell’ontologia del sublyme si eventua sempre quale autopoiesi dell’ontoikona ontopica ontopoietica, anzi la gestell, la struttura ontologica, è l’ontikona templata dell’essere sublyme dell’esseRe, di più è la destinanza dell’ontopoiesis dell’ikona che apre il sentiero ininterrotto nella radura vuota ontologica. L’ontologia dell’essere-sublyme si disvela nell’essere-la-radura, lichthung-sein, quale gestell della radura della destinanza dell’essere: lì nella spazialità vuota la struttura ontologica dell’essere-sublyme soggiorna poeticamente quale ikona ontopica della ontokairosia. L’essere-la-radura quale destinanza sia del grund sia dell’abgrund dell’essere-sublyme, sia fondamento sia abisso dell’ontologia del sublyme: lì quel che appare quale eristica epistemica si eventua quale kaosmica-ontikona dell’aldiqua e dell’aldilà. Solo così si comprende l’originalità del sublyme, giacchè la sua destinanza ontologica non subisce mai l'autopoiesis epistemica dell’essere dell’ente perché quella eventualità si dispiega solo nell’ontokronia e mai nell’ontokarosia: può essere tangente alla tecnica, ma mai decostruire l’essere-sublymanza ontopica. Nell’origine del sublyme l’ontokairosia dell’ontoikona si eventua per sempre senza più essere ontokronia epistemica dell’essere-entità: la sublymanza non è più abbandonata dall’essere; gli dei sono fuggiti dalla sublimità ontoteologica, ma non l’essere della sublymanza quale ontikona della gestell ontologica. Perciò l’ontologia del sublyme non sarà mai una semplice estetica dell’esserci o dell’essere-entità ontokronica, giacchè i sensi sono dispiegamenti dell’esserci e possono solo percepire le entità ontiche, mai l’essere si disvela ai sensi sempre si discopre solo all’interessere ontokairoslogico. L’ontologia dell’essere-sublyme discopre la compresenza nella sublymanza dell’interagenza tra ontokronia e ontokronotopia: mentre nell’epistemica fisica esiste solo la kronotopia quantica dell’essere dell’ente, nell’essere-sublyme si eventua l’essere della ontologia kronotopica ikonica che dispiega l’ontocronia iconica già assentemente presente nell’ontocronia quantica. Nella physis c’è la destinanza dell’essere quale gestell-ontokronica la quale si dà sia nella gestell-ontologica, sia nella gestell-ontica, sia nella gestell-epistemica, sia in quella gestell-paradigmatica che dà fondatezza all’ontologica gestell-grund come alla gestell-abgrund, alla gestell-abissale, alla struttura ontologica dell’essere-sublyme nella gestell-destinanza della sublymanza. Ma perché? Forse l’ontologia della destinanza dell’essere-sublyme sconvolge la causalità epistemica della temporalità per eventuare sempre e in ogni luogo la gestell-ontokronotopica del destino della gestell-ikona o della gestell-imagine o gestell-imaginaria o gestell-imago nell’essere sublymanza dell’essere oltre che dell’esserci. Già altri hanno svelato l’interagenza del tempo-figura col tempo-immagine o dell’immagine-tempo o dell’imago-tempo qui si discoprirà l’ontologia dell’imagine-spazio-sublyme o dell’imagine-spaziotempo-sublyme o dell’imago-spaziotempo-sublyme fondanti lo spaziotempo-imagine-sublyme o lo spaziotempo-figura-sublyme o lo spaziotempo-imago-sublyme nella gestell-ontopoetica o nella gestell-poetante-pensante dell’essere-sublyme-ekstatiko. Lì l’ikona-tempo si disvela sempre nella sua qualità di ikona-spazio-tempo-sublyme, quale ikona spaziotemporale-sublyme dell’aletheia-tempo-sublyme o dell’aletheia-spaziotempo-sublyme disvelante sempre la gestell-aletheia-sublyme o gestell-verità-sublyme o la struttura ontologica della gestell-tecnica quale gestell-poiesis-sublyme o gestell-ontopoiesis della gestell-ontoteleologica della gestell-ikona dell’essere-sublime e non altro, ma che si dà quale fondatezza della destinanza epistemica dell’ontokronotopia. È la gestell-autopoietika dell’ontologia dell’essere-sublyme che si dà quale sublymanza eristika in contrastanza, dell’esserci che cura nella radura ontologica l’eventuarsi della gestell-ontopoietica. L’essere-sublyme è la dismisura di tutte le cose della mondanità, delle entità della mondità, dell’esserci, della presenza assentemente-presente, dell’essere nel mondo del sublime, dell’imagine dell’essere nella mondità, dell’imago dell’essere, dell’ikona dell’essere, della gestell della sublymanza, della struttura ontologica del sublyme. L’essere-sublyme è la dismisura, la destinanza ontokronotopica, in contrastanza, della gestell-sublyme, della struttura ontologica dell’essere-sublyme, dell’esserci quale gestell-imago-sublyme, della gestell-imagine-sublyme, della gestell-ikona-sublyme della gestell-poetante-pensante-sublyme. È la prova ontologica dell’esistenza del sublyme o meglio la prova ontologica dell’esistenza della gestell-sublyme, della struttuta ontologica dell’essere-sublyme. Non solo e non tanto quale prova ontologica dell’esistenza delle entità del sublime, o quale prova ontologica dell’epistemica o ermeneutica della sublimità, giacchè l’esserci nella mondità della sublimità è già presente nell’ontocronia del mondo, ma quale presenza ontokairosa della gestell-sublyme dell’esseRe: la sublymanza non è e non sarà mai solo l’ontica imagine del mondo ontocronico o utopico o distopico, ma sempre la gestell-ikona dell’essere ontocronotopia della ontokairostopia o ikonotopia dell’esseRe. La gestell-ikona non è più l’essere animato o l’esserci quale dasein-analytik, ma non è altrettanto l’essere inanimato delle imagini del mondo, se mai sarà per sempre l’essere dis-animato dis-animante l’ikona dell’essere-sublyme: senza essere anima o entità onteteologica o solo mitica o autopoietica, l’indeterminatezza sublyme dell’animato o dell’inanimato per essere dis-anima sublyme della struttura ontologica ontopoietica dell’imagine-dell’esseRe-sublyme. Ma che significa ikona dis-animata della gestell del sublyme? È l’ontologia dell’imagine del vuoto-sublyme, l’imagine della radura-sublyme o l’ikona del vuoto-sublyme o l’ikona della radura-sublyme che si dà nell’origine o nell’originalità della sublymanza quale ikona o imagine dell’essere libero, essere-in-estasy-katartika dalle entità ontiche della mondanità del nulla o del niente o del non-ente, quale ontologia della libertà dell’ikona ell’essere liberata dalle immagini del nulla o del niente o del nihilismo ontico delle varie volontà di potenza kategoriche dell’imperativo mondano epistemico delle entità del vuoto quantico. Solo l’imagine del vuoto consente all’essere d’abitare poeticamente la radura-gestell-ontopica: là l’imagine dell’essere si disvela libera quale dismisura della mondità ontocronotopica. Qui si discopre l’autentica ermeneutica ontologica della misura quale gestell-sublyme o gestell-autopoietica o struttura ontologica ontopoietica dell’ikona dell’essere, mentre la misura classica o simmetrica si adeguò all’imagine ontica della temporalità ontocronica. Solo la gestell-ikona disvela la destinanza della singolarità che si eventua nel sentiero ininterrotto nella radura fondale-gestell-sublyme. Lì l’aletheia della gestell-sublyme o la verità della struttura ontologica consente all’ikona d’essere-sublyme, consente alla verità di disvelarsi nella sublymanza quale evento della verità o evento dell’aletheia o evento della disvelatezza dell’ikona-gestell dell’esseRe-sublyme. La sublymità è la verità o meglio l’essere-sublyme è l’aletheia dell’ikona-gestell della destinanza dell’esseRe-sublyme. Mentre la verità epistemica o ermeneutica si adeguano alle verità ontiche delle entità kategoriche, la verità del sublyme disvela l’essere delle entità e non solo: la gestell-aletheia discopre l’ikona del vuoto-sublyme o l’imagine della radura ove possa abitare poeticamente l’essere ed ove possa aleggiare l’evento dell’aletheia-destinanza. Ma forse quel che è più rilevante qui ed ora è la sublymanza della verità dell’ikona dell’abisso, dell’imagine dell’abgrund dell’essere: la sublimità nella nostra epoca è innanzi tutto l’ontologia della gestell dell’ikona dell’abisso dell’esseRe-sublyme. Nel sublyme c’è una differenza ontologica e ontica della verità: c’è una verità epistemica fondata sui modelli della matesis, o sublime matematico e c’è una verità ermeneutica narrativa ed eterotopica o ontocronica: l’essere-sublyme eventua l’aletheia ontologica quale sublymanza dell’essere nel sublyme. C’è l’interessere tra le tre varietà di verità e c’è l’interesserci epistemico nel senso che tutte le varietà-verità si danno, si offrono alla mondità quale comprensione del mondo, dell’essere delle entità e prova ontologica o ontoteologica o ontoteleologica dell’esistenza dell’essere-sublymanza o dell’essere-sublyme, ma anche dell’esser-epistemè-del-sublime o dell’essere epistemica ontologica del sublime. Anzi solo la verità-sublyme discopre sia l’ermeneutica sia l’epistemica ontologica dell’essere sublyme dell’esseRe. Qualora si desideri comprendere anche l’essere sublime delle entità mondane è consentito anche privarsi dell’ontologia per affidarsi alla classica ermeneutica epistemica per discoprire solo le verità delle entità della mondanità. Ma che cos’è il mettersi in sublymanza dell’essere-sublyme? Anzi che cos’è la gettanza dell’essere-sublyme nella sublymanza? È la gettatezza-della-verità della destinanza sublyme dell’essere nell’aletheia fondale, grund ed abgrund, del sublyme che si dà, si getta nella mondità ontokronotopica. L’essere si eventua nel sublyme quale aletheia, disvelatezza dell’ontologia dell’essere, dell’esserci, dell’essere delle entità mondane, dell’interesserci, dell’interessere: tutte varietà compresenti nella gettatezza-del-sublyme quale aletheia ontologica dell’essere ontoikona, ontoimagine, ontoimago, ontopoiesis, autoevento, mitoevento, ontoevento. Il sublyme-estatiko-katartiko delle varietà topologiche della verità dell’essere si danno, si eventuano, si gettano quale fondale o fondamenta nel corso della sublymanza senza mai abbandonarla, anche quando gli dei fuggono e il tramonto dell’occidente si secolarizza, per sempre il sublyme si getta intenzionalmente per essere contemplato dallo sguardo dell’esserci, dall’interesserci delle entità mondane clonanti: mai la verità tramonta, è sempre presente nel sublyme, nella sublymanza al di là della storia, aldilà del bene e del male, aldilà delle entità klonate . Come mai solo il sublime riesce a trascendere il corso della storia o della temporalità o dell’ontocronia? Tra le tante ipotesi quella più ontologica è la messa in cura della verità dell’essere. Solo nel sublyme l’aletheia ontologica si cura da sé, si getta, si fonda e si cura senza gli dei fuggitivi, senza l’obsololescenza nihilista della tecnica klonante. L’essere nella gettatezza-della-sublymanza cura da sé l’essere-sublyme, senza la cura ontocronica o ermeneutica, anzi si cura senza l’epistemica ermeneutica e senza la tecnica klonante, getta la sua cura della sua verità da sé quale interessere ontopico che abita poeticamente il vuoto cosmico o la radura ontologica ontokronotopica. È l’essere sublyme che ci viene-incontro, in contrastanza eristica che si disvela per essere contemplatezza, così si dà, si cura nella sua futura-anteriorità-gìà-stata e sempre ontologicamente presentemente assente. Nel suo essere già-stata si getta nell’ontokronia anche quale ob-getto, gegenstand, contr-ada, contrastanza fondale che si getta allo sguardo sempre di fronte quale gettanza della verità dell’interessere non contemplato dalla storia delle entità clonate. Il sublyme , la gettanza fondale della aletheia-interessere si dà e si cura da sé, quale essere-sublyme o essere-gettatezza-del-sublyme e si eventua sempre quale ontologia dell’evento-verità, aldilà di tutte le interpretazioni infinite o delle clonazioni riproducibili, giacchè nel sublyme è in estasy o si getta, si dà, si cura l’evento della verità ontologica dell’interessere o dell’essere dell’aletheia o dell’essere-sublyme-della-verità-nella-physis. Anche quando gli dei fuggono dal sublime e la sublymanza non è più una entità mondana ontoteologica l'ontopoiesis-sublyme si dà alla contemplanza, giacché la sua destinanza si getta e si cura da sé, si eventua nella physis-sublyme quale evento della verità ontologica. È la gestell del sublyme che si dà e si cura e si getta da sé: l’alterezza poetante nella radura della physis-sublyme eventua l’autoevento della verità dell’essere-sublyme, ma discopre e dispiega anche la destinanza autopoietica dell’aletheia dell’interessere: il sublyme è la gestell dell’essere-nella-physis, è l’alterezza della destinanza dell’evento della verità ontologica nella radura fondale ove l’interessere possa abitare poeticamente, anzi l’essere in sublymanza lascia libertà d’essere al sublyme, lascia libertà d’essere al mondo, lascia liberi gli dei di fuggire senza perdere la sua originalità, lascia libero il nihilismo della tecnica di clonarsi senza decostruirsi nella sua gestell, nella sua struttura ontologica, lascia libera la mondanità nel suo percorso e nel suo tramonto, giacchè l’evento della sua libertà si getta e si cura quale libertà ontologica dell’essere-sublyme della verità-destinanza che si eventua nella physis-sublyme per lasciare libera la physis di esserci sia pure nell'eventualità che gli dei fuggano e la tecnica si curi solo di klonare le entità mondane. Anche quando il sublyme si sottrae per lasciare ampia libertà di dispiegamenti mondani delle entità epistemiche nella loro volontà di potenza imperativa, sia pure allora non fugge insieme agli dei ma abita dis-ascosto, assentemente presente l’essere-sublyme nella sua varietà d’essere-evento-della-verità quale aletheia della destinanza della libertà. Il suo essere dis-ascosto si eventua nel sottrarsi, il porsi aldilà, il gettarsi oltre il nihilismo della tecnica mondana, oltre il tramonto dei paradigmi epistemici ed ermeneutici per essere sublymanza ontologica dell’interessere-sublyme-nella-physis. Ma il sublyme si eventua non solo nel fondale, nel grund quale gettatezza degli ontoeventi della verità, e nel contempo simultaneamente, anzi kairos-logicamente, nell’abgrund, là ove gli dei non hanno mai soggiornato e gli imperativi kategorici delle entità epistemiche non si sono mai avventurati, né il nihilismo della tecnica si è mai sospinto oltre, anzi l’abisso ontologico ha sempre diffuso lì il senso di timore del nulla o del niente, invece l’abisso è proprio l’assenza del non-ente, l’annichilirsi del nulla per lasciar liberi d’essere la mondità e l’esserci delle entità epistemicamente comprensibili. L’essere-sublyme dell’abisso, dell’ab-grund eventua l’ikona della radura ontologica quale ontopia dell’essere inenarrabile, inaudita, indicibile, indecidibile, mai completamente interpretabile, né epistemicamente fondabile nelle kategorie imperative della volontà di potenza della klonica o della ermeneutica metafisica della trascendenza pre-post-fenomenologica. Per gli eventi dell’essere abisso ontologico della physis-sublyme c’è solo la comprensione dell’essere sublyme in ekstasy, in attività, in interagenza tra l’essere e la sua radura vuota ontopica. Solo il sublyme, l'ekstasy dell’essere del sublyme consente di accogliere l’ascolto del sublyme che si getta nell’abisso della radura ontologica per gettare le fondamenta del fondale dell’essere-sublyme quale ikona della physis-sublyme, del mondo, dell’interessere, dell’interesserci, dell’interagenza ontopica. Ma quella ikona non è mai epistemicamente presente, si disvela solo nel suo essere indisascosta o dis-ascosta ontologicamente inaudita per i più ed indicibile: solo all'esserci presente evidentemente, solo l’interagenza della dasein-analytik consente all’evento dell’essere abissale di gettarsi nell’ekstasy dell’aletheia dell’essere-sublyme. Solo il dasein disvela il mistero o l’enigma del sublyme-in-ekstasy: la sublymanza ama nascondersri o essere sempre indisascosta, ma nel medesimo istante, per paradosso epistemico o ermeneutico, l’essere-sublyme ama disvelarsi, ama discoprire la sua radura abissale, la sua physis ontopica, la sua gestell ontokronokairoslogica o ontokairostopica. Solo così l’essere-sublyme si dispiega all’infinito nell’a-peiron, nel senza-limiti mondani, nel sub-lime, nel senza-fine, quale autoevento o ontoevento, ma la sua gettanza fonda il fondale topologico, ontopico altrochè epocale ontocronico, si dà per raccogliersi-in-un-confine, si getta per eventuare la gestell, la struttura ontologica dell’interagenza con la physis-sublyme: delimita la spazialità del sentiero ininterrotto della destinanza dell’essere: configurazione ikonica della radura ontologica ove l’essere possa abitare poeticamente. Solo con l’essere-sublyme si eventua la disascosità dell’aletheia, mai adeguata onticamente o epistemicamente o ermeneuticamente, ma sempre sottratta all’evidenza della mondità, in contrastanza visibile alla contemplazione del dasein, inaudita ma udibile, paradossale o eristica ma morfo-genica per la destinanza e l’interagenza dell’interessere-sublyme e dell’interesserci-sublyme. Lì in quel apparente paradosso o eristica epistemica o ermeneutica la verità stessa è dis-ascosta, anzi l’aletheia si disvlela quale dis-verità o essere sublymanza della dis-aletheia dell’essere-sublyme, si discopre quale dis-invelamento della gestell-sublyme o struttura ontologica dis-invelata della dis-verità del sublyme. La verità nel sublyme ci appare quale aletheia-della-dis-invelatezza-dell’essere, o meglio quale verità-dis-ascosta-della-dis-invelatezza dell’essere-sublyme, giacchè il sublyme ama la disinvelatezza, ma ama anche la dis-ascosità della disvelatezza dell’aletheia dell’esseRe-sublyme. Nella sua eristica epistemica ed ermeneutica del nascondersi e disvelarsi la disascosità della verità dell’essere-sublyme getta nella radura le fondamenta del sentiero della destinanza ontokronotopica, quale gestell dell’essere-sublymanza del sublyme-in-ekstasy, o meglio nell’essere-sublymanza è in ekstasy sublyme la verirà dis-ascosta della dis-in-velatezza, o che nell’essere-sublymanza vi è custodita e curata l’aletheia-dis-ascosta della dis-in-velatezza dell’essere-sublyme. Quando si legge o si ascolta una poesia, quando si contempla una immagine o icona o imago nelle loro relative varietà dimensionali palesi o nacoste, quando l’inaudito aleggia dalla voce dell’esserci qual talento geniale è assentemente presente la verità dis-ascosa della dis-in-velatezza dell’essere-sublyme ed è quell’aletheia che si disvela nella radura vuota e che traccia il sentiero ininterrotto della destinanza dell’interessere. L’interagenza e l’eristica di quella verità-dis-ascosità getta le fondamenta dell’epoca dell’imagine della mondità o della sua bellezza o della sua classicità o della sua rinascenza o della sua surrealtà: la bellezza è, sarà, fu la varietà della verità-dis-ascosità custodita e curata nell’alterezza dell’essere-sublyme. Quella interagenza consente al sublyme di essere-sublymanza dall’esserci, o meglio solo quando il sublyme è sublymanza dell’essere-verità-dis-ascosa della dis-in-velatezza, o che almeno quell’aletheia vi abiti poeticamente, solo allora la verità è sublyme e la sublymanza è la verità dell’essere-sublyme. Lì si dà il sublyme o la sublymanza si dà quale sublyme: l’origine o l’originalità del sublyme è il sublyme della verità dis-ascosa della dis-in-velatezza dell’essere-sublyme, custodita e curata nella radura ove si disveli la destinanza dell’interessere-sublyme. Si può intuire che la verità ontologica sia anche in sublymanza nella mitopoiesis, o forse nel mito quale aletheia dell’essere-sublyme almeno in apparenza, ma una più approfondita ermeneutica ontologica ci svela come non sia così semplice: nel mito la verità non è in sublymanza quale aletheia-in-dis-ascosità-dis-in-velatezza, ma quale verità-adeguatezza ontoteologica in contrastanza con il sacro, senza che cioè si possano creare ermeneuche eristiche, anzi quella stabilità epistemica può dispiegare metafisiche influenti per la verità-epistemica o verità tecnica fondata sui modelli della matesis. Nella mitopoiesis invece si ascolta il sublyme della verità ontologica, la sola che consenta l’interagenza con l’essere-sublyme della verità, quale sublymanza dell’essere che eventui l’essere-sublyme in estasy. L’essere-sublyme eventua l’epistemica ontologica della tecnica, ma soprattutto discopre l’evento della aletheia-dis-ascosità, quale gestell-sublyme della destinamza dell’essere-sublyme dall’interagenza dell’esserci con la radura vuota e senza limiti, la radura sub-lime del fondale, ove l’interessere-sublyme possa soggiornare poeticamente, in sinestesia con l’evento della verità-disascosità-disvelatezza-dis-verità-dis-aletheia. Qui nella mitopoiesis, come mell’ontopoiesis, o nella poiesis stessa l’epistemica ontologica della verità si discopre quale in-disasconsità, ma anche quale dis-disascosità, meglio in aletheia e in dis-aletheia, in velatezza e disvelatezza indicibile, ma sempre sublymanza dell’essere-sublyme dell’interesserci con la physis-sublyme. Solo quando l’essere-sublyme custodisce e cura l’aletheia-disascosità si eventua l’attrazione verso l’alterezza dell’essere-sublyme, anzi è la verità-attanza che attira la contemplazione dell’esserci, è l’aletheia-attanza che discopre il sentiero ininterrotto della destinanza dell’essere-sublyme-dall’essere. Ontologia dell’essere-sublyme: ah la platonica ikona della temporalità quale ikona dinamica-qualitativa-sublyme dell’eternità o ikona ontodinamica-sublyme dell’apeiron o ikona ontodinamica-sublyme del dis-apeiron, o imago del dis-infinito, della dis-gestell-sublyme dell’essere-sublyme. Lì l’ontodinamica-qualitativa ikonica dell’essere -infinito si discopre quale imago ontodinamica-qualitativa dell’essere-sublyme o quale imagine ontodinamica-qualitativa dell’apeiron nell'arkè del pensiero primigenio sottratto alla mitopoiesis. Ma in origine l’ikona ontodinamica-qualitativa ontokronica si svela senza differenza ontologica, quale sublyme della mitopoiesis dell’apeiron dis-infinita, ove l’ikona del kairos si confonde con l’imagine della kronotopia infinita. Solo l’epistemica e l’ermeneutica creano la fissione o l'ab-scissa nella kronotopia, giammai l’essere-sublyme dell’esserci sottrae all’eternità divina della mitica musa Kalypso l’ikona-sublyme dell’ontodinamica-qualitativa-kronotopica. La frattalità ab-scissa dell’ikona ontodinamica-qualitativa della temporalità platonica differenzia ontologicamente l’epistemica e l’ermeneutica dall’ontopoietica dell’essere-sublyme dall’esserci, ma in origine ci fu una onto-topia della gestell-sublyme ove si eventuò l’epistemica e l’ermeneutica ontologica mai scomparsa nei dispiegamenti storici dell’essere-sublyme, anzi lì curata e custodita dalle incursioni della volontà di potenza imperativa dell’epistemica. Quella presenza incompente impera e sottrae, nel corso del tempo, l’ontopoietica epistemica dell’ontodinamica onto-poietica per attuare la morfogenesi della tecnica o dell’artigianato o del saper-fare mondano e klonante. O sottrae all’ikona dell’essere-sublymanza-dell’infinito l’ontodinamica-qualitativa-cronologica della frattalità ab-scissa della temporalità. Solo così l’epistemica e l’ermeneutica si dispiegano quali immagini della storia della mondità , ma quell’evento inaugura l’oblio dell’essere-sublymità-dall’essere, quale sublyme dell’essere per essere solo sublime della tecnica, prima, e della tecnica artigiana poi, ove l’ontodinamica-qualitativa-infinita dell’ikona si è dissipata, dissolta, dis-obliata: è l’oblio dell’essere-sublymità-dall’essere che si dà quale fondatezza della tecnica epistemica e tuttora, nel presente, impera per sottrarre tutta l’ontologia epistemica possibile dalla ontopoiesis dell’essere. Solo che nel corso del tempo l’essere-sublymità dall’essere non scompare totalmente, ma per fortuna si dis-oblia: si oblia nella tecnica epistemica per eventuarsi solo nell’ontologia-epistemica-ermeneutica dell’essere-sublymità-dall’essere. È il dis-oblio-sublyme della dis-verità o della dis-aletheia-sublyme che si dis-annichilisce, che si sottrae dal nichilismo della tecnica-epistemica per dis-gettarsi ancora quale dis-mittenza intermittente della sublymanza della verità ontologica dell’essere-sublyme-dell’essere. Quella dis-mittenza ama nascondersi nell’essere-sublymanza quale sublymità per sottrarre l’aletheia dall’oblio imperante della tecnica-epistemica clonante e per disvelare la dis-abissalità dell’essere-sublyme dall’essere ikona ontodinamica-qualitativa dell’ontokronotopia dis-infinita quale apeiron nell'arkè. Per sempre l’essere-sublyme dis-vuota, disgombra, dis-oblia , disattua, dis-opera, dismette, dis-aleggia , disvela l’ikona dell’essere-sublyme dall’immagine della tecnica imperativa influente, per disgettarsi quale dis-gegenstand dis-grund-sublyme, quale fondale intermittente della dis-mittenza dell’essere ikona del sublyme. È lì che la destinanza dell’essere-sublyme si disoblia per disgettarsi quala dis-mittenza dell’essere dis-estasy della disaletheia dell’epistemica-ontologica, aldilà dell’oblio imperante della tecnica-epistemè e non solo nell’estetica classica o nel sublime metafisico o nella surrealtà informale armonica o disarmonica o dissimmetrica, ma anche nell’epistemica ontologica della physis e della matesis quale disoblio della disgettanza della physis dell’essere. Qui si eventua una nuova differenza all’interno della stessa ontologia dell’essere, forse epigenica nella sublymanza dell’essere-sublyme, ma dispiegante la sua gestell anche nella tecnica epistemica o ermeneutica: oltre alla classica mitopoietica della verità o aletheia , nell’essere-sublyme si dà , si getta, si eventua la sublymanza della verità dell’essere, dell’aletheia dell’essere quale struttura ontologica del sublyme della radura, del kairos, poiesis, ontopoiesis, ikona, imagine, imago, kaosmos e della loro destinanza. Anzi il sublyme della verità getta le fondamenta della sublymanza della destinanza dell’essere, quale sentiero ininterrotto dell’essere che eventui ekstaticamente la gestell e la gegenstand, in sinestesia della physis del grund e dell’abgrund-sublyme. Per l’epistemica classica o anche per l’ermeneutica quella destinanza appare come se fosse un non-evento, ma può essere un dis-evento, un evento che non ci fu ma che creò l’evento dell’essere, così si dis-oblia anche nell’assenza dell’epistemica quale dis-epistemè, giacchè dis-abissa l’essere dall’essere in essere per essere destinanza dell’essere che crea la physis o la dis-eventua dal dis-nulla o dal dis-niente. Quell’evento è dis-epistemico solo perché si dis-abissa aldilà dell’epistemica della tecnica o dell’esserci giacché si dis-oblia sempre quale dis-ontica o dis-onteologica, sia pure quale dis-mito o quale perenne dis-contrastanza-eristica-in-sublymanza del sublyme; o meglio quando il sublyme si dà alla contemplazione epistemica l’essere si dis-eventua quale dis-mittenza per non soccombere al nichilismo clonante cronologico. L’essere-sublyme si dà in contrastanza sublyme proprio quando si eventua, giacchè si sottrae all’ontocronia del dicibile epistemico o ermeneutico o ontico o ontoteologico o onto-poietico: si dà alla physis quale dis-physis o meglio quale sublymanza non più della physis, e perciò appare inaudito, misterico, indicibile: l’essere del sublyme si dis-dice, disvela la sua dis-verità, dis-abissa la dis-aletheia, dis-oblia la destinanza nella dis-radura, nel dis-vuoto, nel dis-nulla. quell‘enigma trova una sua vivenza nell‘essere-per-la-morte del sublime, O essere-per-la-sublymanza-della-morte o essere per la dis-morte della dis-sublymità, o essere per la dis-sublymanza della dismorte quale morte del nulla o dismorte del disnulla. In quella essenza dell‘essere si eventua l‘ontologia del sublyme o la sua epigenesi E lì si svela anche l‘ontologia della poiesis o dell’ontopoiesis o della non-poiesis quale epigenesi della tecnica-epistemica. Per tale destinanza l‘ontologia dell‘ikona dell‘essere nel mondo pare possa essere fondata sulla dis-gestell del non-essere o dall‘essere solo per la morte o dal nulla o dal disnulla quale disarte della dis-poiesis, ossia della poiesis della dismorte della dis-sublymanza: quale sublyme katartiko che canta o compone il dis-mito della dis-musa Kalypso. Quell’ermeneutica eventua la destinanza ontologica della dis-ontica o dis-metafisica o dis-trascendenza o dis-ontologia dell‘immagine dell‘essere-nel-mondo, e quella dis-destinanza pare si possa fondare sull'essere-nihilista o sul dis-essere dis-nihilista. Può l'essere fondarsi sull'anti-essere o sul dis-essere-nel-dis-mondo, e la sublymanza fondarsi sulla non-sublimità o la dis-sublymità, o la poiesis sull'a-poiesis, o sulla dispoiesis o sul disnulla o sul disniente o sulla dismorte della dis-sublymanza o sul dis-gestell o dis-grund o dis-radura o dis-lichtung, può l'essere essere fondato dall'anti-essere o dal dis-essere o dis-dasein o dis-esserci o dis-interesserci o dal disinteressere o dalla disverità o dalla disaletheia o dall'essere-abissale o dall'essere-nell'abisso, abgrund che getta le fondamente e si getta quale fondatezza dell'essere o del sublyme o della sublimità d'essere l'ikona dell'essere-nella-mondità o della dis-sublymanza della dis-ikona o della dis-imago o della dis-imagine, nel cosmo, nel discosmo, nel caos, nel discaos, nel kaosmos, nel dis-kaosmos? Forse un dis-mito ci può salvare, o un dis-dio o Kalypso che dis-viene quale sublymanza gettata dell’essere del dis-nulla. E‘ solo l‘essere a gettare le fondamenta della destinanza o della dis-destinanza dell‘esserci o la salvezza della dis-destinanza del dis-esserci o dis-dasein trova l‘epigenesi nel mito o nel dismito ontoteologico-disontoteologico della bellezza-dis-bellezza simmetrica-disimmetrica quale dismisura che salverà la mondità dell‘esserci-disesserci-disdasein. L‘essere è gettato nel suo essere per la morte o per la dismorte del sublime o della dis-sublymanza: l‘essere-per-il-sublyme-dis-sublyme può salvare la bellezza nel suo declino verso l‘essere per la sua morte-dismorte, o simmetria-disimmetria o mito-dismito o bellezza-disbellezza. Solo così l‘essere ci può salvare o Kalypso ci possa salvare dal naufragio. Ci salverà, dalle crisi della storia o dal mito riemergente dell‘antilogos o dall‘angoscia per la morte dell‘arte o dell‘arte per la morte o dell‘essere per la morte, o dal disesserci per la dismorte. O ci salverà dall‘essere-nella-temporalità-della-morte-dismorte o del disnulla-disniente. Ah il tempo quale ikona-disicona, imago-disimago della dis-ontodinamica dell‘essere che si disvela al mondo-dismondo nella spazialità-dispaziale immaginaria-disimmaginaria del sublyme-dis-sublyme. Arte immaginaria o immagine-disimmagine del quale ikona-disicona immaginaria dell‘essere mondità-dismondità che salverà l‘esserci-disesserci-disdasein solo se l‘essere salverà il sublyme quale ikona immaginaria-disimmaginaria dell‘essere o dell‘esserci-disesserci o disinteresserci o disinteressere....... essere per la salvezza dell‘essere significa essere per la salvezza del sublyme..... Il dio-disdio che non muore mai ma che dismuore sempre perché disviene nella sublymanza del dismusagete del dismito delle dismuse non fugge mai, giacchè disfugge, o meglio è sempre in fuga dall’essere-disessere per essere evento-disevento della mondità-dismondità, e mai tramonta dopo il tramonto del mondo-occidente giacchè è sempre al tramonto quale mito-dismito dell’essere che non c’è mai più, ma che è sempre di fronte quale fondale gegenstand-disgegenstand: il sublyme salverà l’essere o l’esserci-disesserci-disdasein così come salvò il mito-dismito delle muse-dismuse degli dei-disdei in fuga-disfuga. Solo il mito-dismito del sublyme può salvare il mito delle muse-dismuse della poiesis-dispoiesis o dell’autopoiesis-ontopoiesis, il sublyme è anche la salvezza del musagete-dismusagete, quale essere-divinità-disdivinità o esserci-disesserci-disdasein che si dà al sublyme o che dà al sublyme la fondatezza del mito-dismito. l’essere-musagete-dismusagete-disdasein che si dà al sublyme del gettare-disgettare l’ikona-disikona-dell’essere-nel-mondo-dismondo: disvela l’immagine-disimmagine della mondanità-dismondanità quale ontologia dello spazio-dispazio-tempo-distempo immaginario-disimmaginario da abitare-disabitare poeticamente, quale ontopoiesis-disontopoiesis, ed essere la creazione del sublyme dell’essere. il sentiero-disentiero ininterrotto-disinterrotto dell’ontologia poetante-dispoetante del sublyme quale disvelatezza dell’ontopoiesis-disontopoiesis, oltrechè dell’autopoiesis-disautopoiesis si eventuò-diseventuò nell’intermittenza-dismittenza del pensiero poetante dell’essere-musagete-dismusagete o nel pensiero-poetante-pensante quale ikona-disikona della gettanza-disgettanza dell’essere. Dopo un millenario oblio nella radura-disradura ove si eventuò-dieventuò l’inter-essere-disinteressere poetante dell’’essere-musagete-dismusagete la sua erranza-diserranza nel sublyme è giunta-disgiunta nel tempo-distempo della sua sublime-disublime metastabilità-distabilità, nella struttura-distruttura ontologica dell’ontopoiesis-disontopoiesis. L’evento-disevento sarà lì nella pregnanza della radura-disradura quale ikona-disikona dell’essere-musagete..............ontologia del sublime si è in presenza dell'arkè o priorità di una tesi sul sublime , sorgente dalle lezioni kantiane del prof. s. g. Si delinea una gestell o struttura o impianto dell'opera sul sentiero di una analitica dell'esserci o dasein-analytik assentemente presente in kant per interpretare l'analitica della bellezza e l'analitica del sublime. Si approderà infine ad una ontologia del sublime o sublyme quale bellezza-sublime plotiniana o sublime-bellezza heideggeriana già compresenti nella prima ermeneutica del sublime longiniana o burkeiana. Si offrirà preliminarmente una panoramica delle contemplanze del sublime nella classicità quale sublime della mathesis o pitagorico o platonico eventuato già da anassimandro sia nell'apeiron sia nell'archè, quale sublime dei quanta infiniti o del senza-fine e del senza-limiti: presente nell'analitica kantiana quale sublime matematico o gegenstand sublime, ovvero quale entità sublime in trascendenza, presente solo nell'immaginazione della purezza sublime quale eccelsa e nobile magnanimità o magnitudine kolossale , sempre al dilà del sensibile e del percepibile. L'apeiron dei quanta però non è mai irreversibile: c'è sempre un senza fine infinitesimo o una abissalità senza fondale ove si eventui il sublime quale klinamen o ab-scissa dell'archè o dell'evento o ereignis. A quella visione quantica si aggiunse nel corso del tempo una dinamica del sublime interpretata dal pensiero della dynamis aristotelica, quale coercizione kategorica del panta-rei eraklitiano: qui la purezza è katarsi e la sua fenomenologia suscita quel sentimento o quella tensione o quella intermittenza che tanta fortuna avrà nel pensierò di burke e kant. Ma nessuno si è ancora chiesto del perchè esista una musa della bellezza e non c'è una musa del sublime. Forse il pensiero di plotino ci viene in soccorso per delineare nel mito di Kalypso la disvelatezza del mito del sublime, quale bellezza in estasy instabile, fluttuante, assentemente presente o che si sveli solo nell'infinito o nel senza-fine o nell'abisso del senza-entità dell'etere o che aleggi sempre entousiasta nell'eventuarsi sempre ab-scissa dell'essere-sublyme. Le interpretazioni dell'estetica kantiana presenti nelle lezioni e nella poetica narrativa givoniana quell'eventuarsi gettano nel pensiero della mondità. Quel che seguirà è intriso di quella pregnanza e salienza.. . modelli della matesis, c’è una verità ermeneutica narrativa ed eterotopica o ontocronica, invece l’essere-sublime eventua l’aletheia ontologica quale sublymanza dell’essere nel sublyme. C’è l’interessere tra le tre varietà di verità e c’è l’interesserci epistemico nel senso che tutte le varietà-verità si danno, si offrono alla mondità quale comprensione del mondo, dell’essere delle entità e prova ontologica o ontoteologica o ontoteleologica dell’esistenza dell’essere-sublyme , ma anche dell’esser-epistemè-del-sublyme o dell’essere epistemica ontologica del sublyme. Anzi solo la verità ekstatika del sublyme discopre sia l’ermeneutica sia l’epistemica ontologica dell’essere sublyme dell’esseRe. Qualora si desideri comprendere anche l’essere sublyme delle entità mondane è consentito anche privarsi dell’ontologia per affidarsi alla classica ermeneutica epistemica per discoprire solo le verità delle entità della mondanità. Ma che cos’è il mettersi in estasy dell’essere-sublyme? Anzi che cos’è la gettanza dell’essere-sublyme nel sublime? È la gettatezza-della-verità della destinanza templata dell’essere nell’aletheia fondale, grund ed abgrund, del sublyme che si dà, si getta nella mondità ontokronotopica. L’essere si eventua nel sublyme quale aletheia, disvelatezza dell’ontologia dell’essere, dell’esserci, dell’essere delle entità mondane, dell’interesserci, dell’interessere: tutte varietà compresenti nella gettatezza-del-sublyme quale aletheia ontologica dell’essere ontoikona, ontoimagine, ontoimago, ontopoiesis. Il sublime delle varietà topologiche della verità dell’essere si danno, si eventuano, si gettano quale fondale o fondamenta nel corso della sublymanza senza mai abbandonarla anche quando gli dei fuggono e il tramonto dell’occidente si secolarizza, per sempre il sublyme si getta intenzionalmente per essere contemplato dallo sguardo dell’esserci, dal musagete, dall’interesserci delle entità mondane della tecnè clonante: mai la verità tramonta, è sempre presente nel sublyme, nella sublymità al di là della storia, aldilà del bene e del male, aldilà delle entità klonate della tecnè. Come mai solo il sublyme riesce a trascendere il corso della storia o della temporalità o dell’ontocronia? Tra le tante ipotesi quella più ontologica è la messa in cura della verità dell’essere. Solo nel sublyme l’aletheia ontologica si cura da sé, si getta, si fonda e si cura senza gli dei fuggitivi, senza più il musagete preda dell’oblio dei tempi-mala-tempora o del destino cinico e barale, senza l’obsololescenza nihilista della tecnica klonante. L’essere nella gettatezza-della-sublymanza cura da sé l’essere-sublyme, senza la cura ontocronica o ermeneutica, anzi si cura senza l’epistemica ermeneutica e senza la tecnè klonante, getta la sua cura della sua verità da sé quale interessere ontopico che abita poeticamente il vuoto cosmico o la radura ontologica ontokronotopica. È la sublymanza che ci viene-incontro, che si disvela per essere contemplata dall’interesserci dei musageti, così si dà, si cura nella sua futura-anteriorità-gìà-stata e sempre ontologicamente presentemente assente. Nel suo essere già-stata si getta nell’ontokronia anche quale ob-getto, gegenstand, contr-ada, fondale che si getta allo sguardo sempre di fronte quale gettanza della verità dell’interessere non contemplato dalla storia delle entità clonate della tecnè. Il sublyme, la gettanza fondale della aletheia-interessere si dà e si cura da sé quale essere-sublyme o essere-gettatezza-del-sublyme e si eventua sempre quale ontologia dell’evento-verità, aldilà di tutte le interpretazioni infinite o delle clonazioni riproducibili, giacchè nel sublyme è in ekstasy o si getta, si dà, si cura l’evento della verità ontologica dell’interessere o dell’essere dell’aletheia o dell’essere-sublyme-della-verità-nella-physis. Anche quando gli dei fuggono della erhabene e la herabnen non è più una entità mondana ontoteologica o quando il musagete è abbandonato all’oblio dalla mondanità, anche allora la templata-sublyme si dà alla conteplanza, giacché la sua destinanza si getta e si cura da sé, si eventua nella physis quale evento della verità ontologica. È la gestell della erhabene che si dà e si cura e si getta da sé: l’istallarsi poeticamente nella radura della physis eventua l’evento della verità dell’essere-sublyme, ma discopre e dispiega anche la destinanza templata dell’aletheia dell’interessere: il sublyme è la gestell dell’essere-nella-physis, è l’istallarsi della destinanza dell’evento della verità ontologica nella radura fondale ove l’interessere possa abitare poeticamente, anzi l’essere in estasy lascia libertà d’essere al sublyme, ma anche lascia libertà d’essere al mondo, lascia liberi gli dei di fuggire senza perdere la sua originalità, lascia libero il nihilismo della tecnica di clonarsi senza decostruirsi nella sua gestell, nella sua struttura ontologica, lascia libera alla mondanità il suo percorso e il suo tramonto, giacchè l’evento della sua libertà si getta e si cura quale libertà ontologica dell’essere-sublyme della verità-destinanza che si eventua nella physis per lasciare libera la physis di esserci anche quando gli dei fuggono e la tecnè si cura solo di klonare le entità mondane. Anche quando il sublyme si sottrae per lasciare ampia libertà di dispiegamenti mondani delle entità epistemiche nella loro volontà di potenza imperativa, anche allora non fugge insieme agli dei ma abita dis-ascosto, assentemente presente l’essere-sublyme nella sua varietà d’essere-evento-della-verità quale aletheia della destinanza della libertà. Il suo essere dis-ascosto si eventua nel sottrarsi, il porsi aldilà, il gettarsi oltre il nihilismo della tecnè mondana, oltre il tramonto dei paradigmi epistemici ed ermeneutici per essere sublymanza ontologica dell’interessere-nella-physis. Ma il sublyme si eventua non solo nel fondale, nel grund quale ekstasy degli eventi della verità, ma anche nel contempo simultaneamente, anzi kairos-logicamente, nell’abgrund, là ove gli dei non hanno mai soggiornato e gli imperativi categorici delle entità epistemiche non si sono mai avventurati, né il nihilismo della tecnè si è mai sospinto oltre, anzi l’abisso ontologico ha sempre diffuso il senso di timore del nulla o del niente, invece l’abisso è proprio l’assenza del non-ente, l’annichilirsi del nulla per lasciar liberi d’essere la mondità e l’esserci delle entità epistemicamente comprensibili. L’essere-sublyme dell’abisso, dell’ab-grund eventua l’ikona della radura ontologica quale ontopia dell’essere inenarrabile, inaudita, indicibile, indecidibile, mai completamente interpretabile, né epistemicamente fondabile nelle categorie imperative della volontà di potenza della tecnè-klonica o della ermeneutica metafisica trascendentale pre-post-fenomenologica. Per gli eventi dell’essere abisso ontologico della physis c’è solo la comprensione dell’essere sublyme, in attività, in interagenza tra l’essere e la sua radura vuota ontopica. Solo la erhabene, l'ekstasy dell’essere del sublyme consente al musagete di accogliere l’ascolto del sublyme che si getta nell’abisso della radura ontologica per gettare le fondamenta del fondale dell’essere-sublyme quale ikona della physis, del mondo, dell’interessere, dell’interesserci, dell’interagenza ontopica. Ma quella ikona non è mai epistemicamente presente, si disvela solo nel suo essere indisascosta o dis-ascosta ontologicamente inaudita per i più ed indicibile: solo al musagete presente evidentemente, solo l’interagenza del musagete consente all’evento dell’essere abissale di gettarsi nell’estasy dell’aletheia dell’essere-sublyme. Solo il musagete disvela il mistero o l’enigma del sublyme: la sublymanza ama nascondersri o essere sempre indisascosta, ma nel medesimo istante, per paradosso epistemico o ermeneutico, l’essere-sublyme ama disvelarsi, ama discoprire la sua radura abissale, la sua physis ontopica, la sua gestell ontokronokairoslogica o ontokairostopica. Solo così l’essere-sublyme si dispiega all’infinito nell’a-peiron, nel senza-limiti mondani, nel sub-lime, ma la sua gettanza fonda il fondale topologico, ontopico altrochè epocale ontocronico, si dà per raccogliersi-in-un-confine, si getta per eventuare la gestell, la struttura ontologica dell’interagenza con la physis: delimita la spazialità del sentiero ininterrotto della destinanza dell’essere configurazione ikonica della radura ontologica ove l’essere possa abitare poeticamente. Solo con l’essere-sublyme si eventua la disascosità dell’aletheia, mai adeguata onticamente o epistemicamente o ermeneuticamente, ma sempre sottratta all’evidenza della mondità, ma visibile alla contemplazione del musagete, inaudita ma udibile, paradossale o eristica ma morfo-genica per la destinanza e l’interagenza dell’interessere e dell’interesserci. Lì in quel apparente paradosso o eristica epistemica o ermeneutica la verità stessa è dis-ascosta, anzi l’aletheia si disvela quale dis-verità o essere opera della dis-aletheia dell’essere-sublyme, si discopre quale dis-inveramento della gestell-sublyme o struttura ontologica dis-inverata della dis-verità del sublyme. La verità nel sublyme ci appare quale aletheia-della-dis-invelatezza-dell’essere, o meglio quale verità-dis-ascosta-della-dis-inleratezza dell’essere-sublyme, giacchè il sublyme ama la disinvelatezza, ma ama anche la dis-ascosità della disvelatezza dell’aletheia dell’esseRe. Nella sua eristica epistemica ed ermeneutica del nascondersi e disvelarsi la disascosità della verità dell’essere-sublyme getta nella radura le fondamenta del sentiero della destinanza ontokronotopica, quale gestell dell’essere-sublyme o meglio nell’essere-sublyme è in estasy la verirà dis-ascosta della dis-in-velatezza o che nell’essere-sublyme vi è custodita e curata l’aletheia-dis-ascosta della dis-in-velatezza dell’essere-sublyme. Quando si legge o si ascolta una poesia, quando si contempla una immagine nelle sue relativa varietà dimensionali palesi o nacoste, quando l’inaudito aleggia dalla voce dell’esserci dal talento geniale del musagete è in estasy la verità dis-ascosa della dis-in-velatezza dell’essere-sublyme ed è quell’aletheia che si disvela nella radura vuota e che traccia il sentiero ininterrotto della destinanza dell’interessere. L’interagenza e l’eristica di quella verità-dis-ascosità getta le fondamenta dell’epoca dell’imagine della mondità o della sua bellezza o della sua classicità o della sua rinascenza o della sua surrealtà: la bellezza è, sarà, fu la varietà della verità-dis-ascosità custodita e curata nell’estasy dell’essere-sublyme. Quella interagenza consente al sublyme di essere-sublyme dall’esserci-musagete o meglio solo quando la sublymanza è in estasy quale essere-verità-dis-ascosa della dis-in-velatezza o che almeno quell’aletheia vi abiti poeticamente, solo allora la verità è sublyme e il sublyme è la verità dell’essere-sublyme. Lì si dà il sublyme o il sublyme si dà quale estasy: l’origine o l’originalità del sublyme o del musagete è il sublyme della verità dis-ascosa della dis-in-velatezza dell’essere-sublyme, custodita e curata nella radura ove si disveli la destinanza dell’interessere. Si può intuire che la verità ontologica sia anche in opera nella mitopoiesis o forse nel mito quale aletheia dell’essere-sublyme almeno in apparenza, ma una più approfondita ermeneutica ontologica ci svela come non sia così semplice: nel mito la verità non è in estasy quale aletheia-in-dis-ascosità-dis-in-velatezza, ma quale verità-adeguatezza ontoteologica che conforti il sacro senza creare ermeneuche eristiche, anzi quella stabilità epistemica può dispiegare metafisiche influenti..........topologia del sublyme abissale,della fondatezza del sublyme ,dell’aldilà quale sublyme:la storia del mito del sublyme è la storia dei luoghi del sublyme,la storia mitika del sublyme è la storia dell’Essere-sublyme,o dell’eterno ritorno del mito o della risonanza infinita dell’essere nel sublyme,nella latenza,custodita,curata per eventuarsi nella epokè mitica del sublyme. La storia del sublyme è la storia della radura dell’Essere, dell’Essere diradato,sgombro,libero d’Essere nell’abisso sublyme, senza nulla, senza niente, senza-fine, senza tramonto, senza eclisse. Nessuno è ancora stato libero di ricercare la storia dell’ontologia del sublyme, aldilà dell’ermeneutica teologica, oltre la metafisica nichilista kategorica, epistemica,paradigmatica. Non c’è né l’ontologia dell’essere-sublyme, né l’ontosofia del sublyme o la storia mitika del sublyme. La storia del sublyme si fonda sulla storia sublime della libertà:senza esser liberi di contemplare il sublyme, non c’è sublyme ma solo fondamentalismo teologico, teocrazia:la storia sublime del sublyme è la storia sublyme della libertà d’Essere in presenza della contemplazione dell’Essere divinità. Il sublyme c’è quando l’essere si pone dinanzi nella contemplazione dell’Essere che si dà, si getta alla presenza nella radura, nella topologia dell’Essere, quale ontologia dell’Essere poetante, il Gegengrundsein che si eventua nella ontovarietà della gettatezza del mito è la radura poetante che custodisce, kriptata, latente la cura dell’Essere. I luoghi della Gegengrundsein sono gli spazi kaosmici ove si getta dinanzi,davanti l’Essere-sublyme: i luoghi del sublyme sono quelli che l’esserci si trova di fronte non ad un orizzonte del mondo, o ad una prospettiva mondana, o ad un tramonto o eclisse cosmici, ma quelli sublimi del l’Essere abitato poeticamente dall’orizzonte e dalla prospettiva dell’Essere senza-fine, senza declino,senza tramonto, senza eclisse, quale eterno ritorno della risonanza dell’Essere-sublyme. Solo così si eventua l’epochè della sublymanza, non teokratica, della sublymità della Physis. Tanto per essere rigorosi fino in fondo:il sublyme non è la topologia della teocrazia, né il sublyme è la singolarità nichilista cosmica del tempo immaginario, giacchè quelle suggestive topologie sono sempre kategorie della prospettiva del mondo tramontante mentre l’orizzonte dell’Essere-sublyme non si trova mai di fronte all’eclisse, al tramonto, alla fine della storia, del tempo, dello spazio, del kosmo. Nel sublyme invece c’è l’eterno ritorno della differenza ontologica tra il il fenomeno e l'evento: non il nulla o il niente, ma l’Essere che ci viene in-contro, l’Essere che si getta alla presenza, per abitare l’Essere che contempla la radura sublyme. La storia sublime della sublymanza è la storia della differenza che si eventua nell’ontologia poetante, quale presenza che abita il luogo kaosmico. La storia sublime del sublyme è la storia dell’Essere che contempla l’essere di fronte, quale presenza della radura, ove non ha mai abitato né l’entità, né l’Esserci, né la mondità, né la metafisica, né la teocrazia, ma solo la risonanza dell’Essere che ci viene in-contro, quale eterno ritorno del sublyme. La storia mitika del sublyme è la storia dalle origini del sublyme, tanto per abitare i luoghi storici del sublyme, si eventua nella risonanza quale Essere-sublyme, Essere divino che ci viene incontro, Essere che abita l’Essere, Essere che si incontra kriptato nell’Essere sublyme della diradanza sublyme. La topologia, il luogo ove l’Essere ci viene in-contro e ci abita è il sublyme: la topologia del sublyme è la sublyme topologia della storia del sublyme: solo nella topologia del sublyme la storia si eventua quale storia del sublyme: giacchè solo lì è libera d’essere storia del sublyme e mai più storia della teocrazia, storia metafisica della teologia teocratica, storia metafisica della teologia teocratica,storia della volontà di potenza della teocrazia, storia dell’etica teocratica. I luoghi ove il sublyme ci viene incontro, o dove l’essere in-contra l’essere che si eventua ed abita l’essenza del pensiero poetante, sono i luoghi del sublyme sacri, oscuri, misterici, kriptati, perché quella prossimità dell’essere con la sua ikona che si getta alla presenza e la abita è sublyme, nel senso di indicibile, inaudita ........ dai paradigmi fisici cosmici, la storia del sublyme è la storia degli spazi liberi, abitati solo dall’Essere che ci viene in-contro, quale sublyme senza-la-fine, mai nullità, e nel contempo:Essere che si incontra nell’essere che si getta ed abita, nella contemplazione, l’Essere poetante. Le varietà del venire incontro dell’Essere sono infinite, indicibili, senza-fine, senza eclissi: perché i luoghi del sublyme sfuggono alla classificazione dell’imperativo kategorico del rigore razionale o della metafisica ideale nichilista, sinergetica, supersimmetrica,inferenziale,logistica,teocratica. Gli eventi del sublyme sono sempre in relatività con gli eventi e le ontovarietà dell’Essere che ci viene incontro, che si eventua quale libertà ontologica: si incontra l’Essere, si contempla la libertà d’essere kaosmica. I luoghi del sublyme sono gli spazi topologici ove l’Essere si dispone nella contemplazione, nell’ascolto,nella visione, nella sensibilità e nel pensiero poetante dell’Essere di fronte, dinnanzi, davanti che ci viene incontro, nella sublymanza kaosmica. La storia sublyme è la storia delle radure, dei vuoti ontologici della sublymità, ove l’essere si eventua per essere contemplato e per abitare poeticamente l’essere di fronte, oltre che abitare poeticamente solo il mondo, la “Physis”, il kosmo. Quando un luogo, una radura, un vuoto sono abitate poeticamente dall’Essere che si getta e che viene in-contro all’Essere, si eventua il sublyme e la sua storia quale storia sublyme del sublime abitare poeticamente l’Essere poetante, in libertà, in verità, in prossimità con l’Essere-sublyme. La libertà di ricerca sulla storia sublyme della sublymenza si eventua nella storia dei luoghi ordinari del senso del sublyme, della sua essenza, della sua presenza qui ed aldilà del mondo quali luoghi del sublyme, anzi meglio la topologia del sublyme, lo spazio vuoto, la radura, lo spazio libero dalla mondità ove è custodito, curato, evocato e contemplato il sublyme: l’Essere che viene incontro per abitare poeticamente, non solo il mondo, ma l’ikona dell’Essere, l’essenza dell’Essere, l’Essere poetante, l’Essere ontologico, l’Essere-sublyme. Si eventua così nello spazio e nel tempo del mondo la differenza ontologica: si presenta la topologia dell’Essere-sublyme, di là e di qua della topologia fluttuante del mondo dell’Esserci, del mondo virtuale, del mondo immaginario, del mondo ontologico, del mondo poetante. Il mondo dell’Essere-sublyme si getta nella mondità anche quale mondo sublime, mondo caotico mondo cosmico, mondo caosmico, mondo onirico, mondo estatico e la sua influenza metafisica si dispiega nel mondo etico, epistemico, paradigmatico, ermeneutico, costituente, noetico. Quale fondamento della verità dell’Essere-sublyme la sua influenza dà senso al kaos, all’invisibile, all’indicibile, all’inaudito, all’assenza presente della sua sacralità provvidenziale: l’unica che ci possa salvare o curare nel mondo dell’aldilà, del bene e del male. La Topologia dell’essere-sublyme è la sua topologia animata dell’Essere animato che trascende l’Esserci,ma non è l’Essere ontologico o poetante. Quelle ontovarietà dispiegano la complessità della fondatezza dell’Essere-sublyme nel mondo virtuale, animato, ontologico, immaginario, onirico, metafisico, sinergetico, supersimmetrico e disvelano quanta volontà di potenza ci sia nella storia sublime del sublyme. Volontà di potenza dell’eterno ritorno dell’Essere-sublyme, nell’epochè della storia dell’Esserci, ma anche volontà di influenza egemonica imperativa kategorica nella metafisica, ermeneutica, poetica, etica, estetica, epistemè, virtuale, immaginaria, onirica, estatica, mitica, magica. Nell’Essere-sublyme, l’Essere animato non si adegua, in verità né all’Esserci, né all’Essere ontologico o poetante. Nel mondo del sublyme il mondo animato non ritrova l’adeguatezza metafisica, epistemica, razionale, poetica, estetica, etica con il mondo dell’Esserci, né con l’Essere nel mondo cosmico, immaginario, virtuale, kaosmico. Ma quella differenza ontologica dell’adeguatezza non trascura l’ortogonalità influente della volontà di potenza metafisica della storia del sublyme, anzi la sua kategorica imperativa dà senso, identità, teocrazia storica e trascendenza. L’Essere-sublyme, quale essere animato nel mondo sublime è la misura di tutto: del kosmo che c’è e del mondo che non c’è, o è invisibile, indicibile, inaudito, mitico, magico, estatico; l’Essere-sublime è anzi l’unico centro gravitazionale che dà senso, stabilità, pace, e soprattutto e per lo più dà l’impianto, la creazione, la Gestell al mondo dell’Esserci, dell’Esser qui, dell’Esser là, dell’Esser aldilà. La topologia del sublyme, quale storia del sublyme è la Gestell-sublyme del mondo e dell’Essere animato, quale Esserci che ci viene in-contro nella sua morfogenesi-sublyme di Essere animato: e perciò da contemplare e da venerare. Giacchè solo quell’Essere è sublymanza della physis che ci potrà salvare, o curare, o consolare, o guidare nel destino nella sorte, nell’avventura della storia del sublyme. La Topologia dell’Essere-sublyme è implementata nella bistabilità dei sentieri che si biforcano: c’è la superficie della Gestell-sublyme fondante il mondo dell’Esserci, virtuale, trascendenza, immaginario, metafisico, etico, poetico, estetico, sinergetico, cosmico, epistemico, ermeneutico, ma c’è, quale eterno ritorno nella superficie supersimmetrica,l’Essere animato che ci viene incontro nel vuoto ontologico, nella radura libera dal nichilismo, nella singolarità kaosmica del nulla, quale Gestell-sublyme: contro-Essere, Essere che ci incontra e avviene,si getta nell’Essere ma anche nell’Esserci, per abitarvi con il senso del sublyme o dell’Essere animato. La storia del sublyme è stata, ed è,sempre interpretata quale volontà di potenza della metafisica imperativa influente: non c’è una storia poetante del sublyme, né una storia ontologica, né una storia sublyme, né una storia ontologica, né una storia sublime nel senso di Topologia del sublyme dell’Essere più che del mondo o della mondanità. Il futuro della libertà di ricerca della storia del sublyme si presenta nel plesso, o nel chiasma, dell’Essere storia della Gestell sublyme dell’Esserci e del mondo, e storia della sublymanza dell’Essere-sublyme che ci in-contra, che avviene in-contro, quale risonanza dell’Essere animato sempre, eternamente ritornante nell’aldiqua dall’aldilà. L’Esserci sublyme che ci viene in-contro, quale sublymanza è la donazione di misura, la misurata topologica del sublyme e della storia del sublyme animato che abita poeticamente l’Essere, oltre che il mondo e l’Esserci, si eventua quale instabilità del Kaos, morfogenesi visibile dell’invisibile, koinè, linguaggio comune etico dell’indicibile, dell’inaudito, mistero dell’indecidibile, mistico svelato del sublyme eternamente ed infinitamente interpretato, ermeneutica del vuoto silenzio della singolarità del sublyme, quale storia del sublyme. La storia dell’Essere-sublyme è la storia dell’abbandono, della kriptazione, della latenza, dell’oblio dell’Essere ontologico nell’Esser animato: sia quale vivenza dell’Esserci, sia quale vivenza della mondanità eterna, infinita, mitica, indicibile, inaudita. L’Essere che vi viene in-contro o che si in-contra è l’essere animato che dalla latenza kriptata, custodita, curata, della radura della Topologia dell’Essere, si eventua imperativamente quale misura del tempo e dello spazio, dell’etica e dell’estetica, del kosmo e del Kaos, del bene e del male. Ma quella gettatezza dell’Essere-sublyme non è semplicemente imperativo metafisico della volontà di potenza quella è solo la sua metamorfosi teocratica, influente, altrimenti il sublime sarebbe solo una delle varietà ermeneutiche, epistemiche, estetiche,astronomiche .........l’Esser gettati, quale sublymanza dell’Essere animato dà stabilità alla più complessa Ontoteologia o Teoontologia. Aldilà del bene e del male, anzi quale fondatezza che eventua ora l’uno ora l’altro o annienta sia l’unità, sia l’alterità, la storia che si getta, quale storia del sublyme si presenta sempre nella sua varietà ontoteologica influente che si dà, che ci viene in-contro, che si in-contra nei sentieri ininterrotti del sublyme, quale metastabilità del Kaos, orizzonte prospettico dell’Esser animato che dà senso all’Esserci, alla vivenza, alla creazione, alla mondità, all’aldilà. L’Essere animato che si in-contra si getta nell’Esserci, nel mondo, nella vivenza quale impianto imperativo stabile della volontà di potenza dell’Essere-sublyme: è la Gestell-sublyme dell’Essere animato che ci viene in-contro, non quella metafisica, o etica, epistemica, ma quella metastabilità che annienta il Kaos, il nulla, il niente oltrechè l’Esserci preesistente, per fondare la Topologia del sublyme dal nulla, dall’invisibile, dall’inaudito, dal vuoto cosmico. La Topologia dell’Essere-sublyme che ci in-contra abita mistericamente il fondamento dell’Esser animato, dell’Esserci della vivenza del mondo: abita la stabilità della Gestell-sublyme quale venire in-contro della presenza che ci in-contra nell’Essenza dell’Essere-sublyme. La stabilità dell’Esser animato è la storia del sublyme quale controkaos e risonanza che ci presenta davanti, di fronte al Kaos per Essere Gestell-sublyme-topologica della radura, del vuoto dell’invisibile, dell’indicibile, dell’inaudito: la storia del sublyme è la storia dell’Esser di fronte al Kaos, quale Essere animato che ci viene in-contro e che si in-contra nella essenza della vivenza, dell’Esserci, della mondità. La storia del sublyme è la storia della metastabilità iperbolika, ellittika, parabolika, metabolika dell’Esser animato che si presenta, si eventua, ci in-contra nella fondatezza dell’Essere, dell’Esserci quale vivenza, del mondo, dell’Essere aldilà. Il Metaodos-sublyme è il sentiero ininterrotto del sublyme: eterno ritorno della risonanza dell’Essere che ci viene in-contro, e che si getta alla presenza dell’Essere che si in-contra di fronte, dinnanzi, quale evento dell’Essere animato. Il gettarsi incontro nella metastabilità della presenza sia quale volontà di presenza o teocrazia,sia quale dono della misura del sublyme o Ontoteologia, è la storia del sublyme che dà senso all’imperativo kategorico del sublime Essere di fronte, davanti, incontro al Kaos del mondo. Ma la sua presenza si eventua anche nel gettare nell’essenza del fondamento dell’Esserci e della vivenza l’incontro dell’Essere animato, quale Topologia dell’Essere o varietà dell’Essere ontologico. La storia del sublyme sarà la storia dell’interfaccia, intervolto, interessere animato che ci viene incontro nel sentiero dell’Essere. Il campo del sublyme è l’intervolto dell’interessere topologico animato. I sentieri del campo del sublyme sono la risonanza dell’eterno ritorno della storia del sublyme. Il campo sublyme è l’intervarietà della Topologia dell’Essere quale campo metamorfico che dà ortogonalità all’abisso, dà la visione dell’Essere animato all’invisibile, dà ascolto al silenzio inaudito, dà senso al sublyme: getta i sentieri dell’essere animato nell’Abgrund-sublyme, nel senza fondo delle fondamenta dell’Essere: il campo sublyme è la Gestell-sublyme dell’Abgrund-sublyme, l’impianto della metastabilità che s’eventua nei sentieri dell’abisso. La storia del sublyme è la storia del campo sacro, quale intervarietà della topologia dell’essere animato. Il campo sacro è la metastabilità, la Gestell dell’abisso, dell’Abgrund-sublyme, dell’interessere, dell’intervolto, dell’interfaccia ortogonale imperativo dell’aldilà che si eventua quale vuoto cosmico, radura dell’invisibile, silenzio dell’inaudito, indicibile. Il campo sacro del sublyme è la risonanza dell’eterno ritorno dell’Essere animato che si getta nella storia quale storia del sublyme. Il campo sacro del mondo è la Gestell nell’Abgrund-sublyme, quale ortogonalità imperativa senza fondo nell’aldilà, oltre l’orizzonte, oltre il tramonto della storia, oltre la fine della storia, oltre l’eclisse del mondo della storia classica. Il campo sacro del sublyme, la Gestell-sublyme, l’impianto sublime ove l’Essere animato avviene, si getta dall’aldilà, ci viene in-contro e si incontra nella sublymanza quale Essere aldilà che si presenta di fronte, davanti, dinnanzi quale intervolto, dell’invisibile, indicibile, inaudito del sublyme nella volontà di potenza metafisica influente, nell’Etica, nell’Estetica, nella Noetica, nell’Ermeneutica. Il campo del sublyme-sacro si presenta sempre aldilà della semplice teocrazia, quale volontà di potenza della metafisica ideale dell’aldilà, nella sua intervarietà di ontoteologia o Teontologia: evento che si incontra nei sentieri della gettatezza dell’interessere animato quale intervolto interimmagine dell’Abgrund-sublyme, dell’Essere abissale che si in-contra nella radura topologica, nel vuoto ontologico, cosmico, nelle singolarità nichiliste della cronotopia immaginaria. La differenza ontologica tra il campo sacro della storia sublime e la storia classica del sublyme si eventua nella differenza tra la storia della volontà di potenza dell’Esserci metafisico e la storia della Topologia dell’Essere animato che ci viene incontro, che si in-contra, di fronte quale sublymanza dell’aldilà, dell’abisso, quale matastabilità, Gestell dell’Abgrund-sublyme. La storia del campo sacro è la storia sublyme dell’immagine dell’Essere che ci in-contra di fronte: intervolto dell’immagine, Interbild. Il campo del sublyme è la Bild-sublyme dell’abisso che ci sta sempre di fronte, ci abita e che ci in-contra quale aldilà. Ma il campo sacro del sublyme, si presenta anche quale metastabilità, impianto, struttura ontologica,in qualità di salvezza, cura, pensiero poetante del sublyme. La storia del campo sacro del sublyme è anche la storia dell’Essere-sublyme: solo nella sua varietà di Bild-sublyme, di immagine dell’Essere animato, mai quale volontà di potenza della metafisica dell’immagine del mondo. Anzi il campo sacro del sublyme con la sua Bild-sublyme influenza la mondità, mai può essere soggetto, giacchè la sua fondatezza si disvela sempre dalla metastabilità dell’abisso, dell’invisibile, dell’indicibile, dell’inaudito, dell’aldilà che si presentano di fronte, davanti, in-contro alla mondanità, e si gettano nella sua fo ndatezza senza essere mai fondati. In quel senso il campo sacro del sublyme è libero, è più libero, dalle immagini del mondo: la storia del sublyme è la libertà dalla volontà di potenza della metafisica nichilista, della fine della storia; è più libera, giacchè abbandona le immagini del mondo per gettare in-contro le immagini dell’Essere-sublyme-animato. Il campo sublyme non è stato, e non sarà mai una nuova metafisica, se mai è la Teontologia, senza essere ontologica: si eventua invece quale alterità, senza essere differenza, e quale relatività senza essere dispiegamento. Il campo sacro del sublyme è la radura ove si getta e si incontra sempre di fronte l’evento dell’immagine dell’Essere animato. La storia del sublyme è la storia dell’accadere della presenza, volontà e potenza dell’immagine dell’Essere che si dispiega dall’abisso, dall’aldilà, dall’invisibile, dall’indicibile, dall’inaudito: che decostruisce il tempo e l’immagine del mondo, dell’Esserci, della metafisica imperante nichilista. Il campo sacro del sublyme crea lo spazio alla Bild-sublyme che si eventua dalla metastabilità dell’Abgrund-sublyme, ma non dà fondatezza alla Grund-sublyme: si svela in-contro, di fronte, in relatività, quale immagine dell’Essere mai fondata, né fondabile dalla immagine del mondo, o dell’Esserci, o della Physis: Teontologia della Bild-sublyme quale intervolto, intervarietà della Ikona-sublyme del pensiero poetante. Il campo sacro della Physis-sublyme è la storia della differenza del venirci in-contro dell’Essere e del suo gettarsi nel mondo, nella Physis cosmica: in qualità di immagine dell’Essere che si eventua, quale Essere animato metastabile dell’intervarietà dell’Abgrund-sublyme: nella sua varietà della semplice gettatezza nella storia dell’Esserci, o dell’Essere al mondo. Mai mondo nell’Essere o volontà d’Essere mondità dell’immagine dell’Essere. Daseyn-sublyme e Bild-sublyme sono i sentieri del campo sacro del sublyme ove si eventua l’in-contro la sublymanza della Physis-sublyme-ontologica . Lì la risonanza dell’Essere che ci in-contra, dà senso alla Teontologia, quale alterità della metafisica nichilista, in relatività con l’ontologia poetante della Physis-sublyme . La storia di quell’in-contro si in-contra nella risonanza della storia del sublyme, quale storia dell’immagine d’Essere che si getta di fronte all’immagine del mondo o dell’Esserci: Bild-sublyme che si getta in-contro al Daseyn-sublyme. Il campo sacro della Physis-sublyme è quella Topologia ove la storia sublyme si eventua quale Bild-sublyme del Daseyn, ed anche dell’immagine del mondo, attraverso l’immagine dell’Essere animato in relatività con l’immagine dell’Essere che si getta dall’aldilà, dall’invisibile, dall’abisso, Abgrund-sublyme, indicibile, inaudito. Ma il campo della Physis-sublyme-ontologica è anche la Topologia metastabile della Bild-abgrund-sublyme: immagine dell’abisso dell’Essere o dell’Essere abissale che si getta nella storia del sublyme. In qualità di Bildabgrund-sublyme il campo del sublyme si metastabilizza in Bild-gestell-sublyme, ikona-sublyme della sua struttura ontologica, ove si eventua l’incontro tra l’Essere animato, Bild-sublyme e l’immagine dell’Esserci. Il campo della Physis-sublyme è al tempo stesso stabile ed instabile:la sua stabilità è relativa all’Essere animato che si eventua quale essere-sublyme: dall’abisso dell’Essere ci viene incontro e in-contra l’Esserci ed il mondo, la Physis-sublyme e la sua struttura ontologica. E’ stabile nella Gestell-sublyme dell’immagine dell’Essere-sublyme ma instabile nell’Abgrund-sublyme intermittente la sublymanza, quale risonanza dell’Essere poetante della Physis-sublyme. L’anfibologia del campo sublyme dà alla sua Gestell-sublyme l’essenza della metastabilità in relatività con l’ontologia, quale Teontologia, in relatività con l’immagine dell’Esserci e del mondo quale teokrazia della storia classica del sublyme. Quella differenza è essenziale, perché crea la biforcazione tra l’immagine della storia sublyme e l’immagine del mondo della storia della Physis-sublyme . Il sentiero nel campo sublyme dell’immagine della storia della Physis-sublyme è stato interrotto, giacchè la storia si è dispiegata quale immagine della volontà di potenza della metafisica o teocrazia. La Teontologia, quale immagine dell’Essere-sublyme che si getta nella immagine della storia del sublyme non è più presente né nel mondo, né nel sacro mondo, né nel mondo sacro, né nell’Esserci del sacro campo della Physis-sublyme . Solo la libertà di ricerca eventuerà nel futuro un’immagine della storia del sublyme quale gettatezza dell’Essere-sublyme-animato, che si disvela dall’abisso dell’aldilà. Solo così il campo sublyme della Physis quale campo animato dell’immagine o interimmagine della storia del sublyme eventua la storia del mondo animato, mentre fin’ora la storia del sublime si è presentata nell’interpretazione dell’immagine del mondo imperativa ed influente, quale volontà di potenza metafisica sull’immagine della storia della Physis-sublyme. Nella storia della Physis si eventua una interferenza: quale immagine della storia del campo sublyme che dà la misura non solo al mondo, all’immagine del mondo, all’Esserci, alla vivenza, al nulla ma anche purtroppo all’essenza fondamentale dell’Essere, la storia sublyme libera, esprime, disvela la verità, ma anche la occulta, la oblia, la kripta sotto la parvenza della cura, della latenza che custodisce conserva, accudisce, consacra e contempla. L’interferenza ontologica nella differenza ermeneutica del capo sublyme della Physis dà la misura della sua volontà di potenza imperativa kategorica, ma anche la valenza dell’Essere-sublyme quale sentiero, di libertà di svelatezza della libertà, di contemplazione che dekripta l’evento dell’incontro che ci incontra nel chiasma-sublyme dell’Esser animato, quali immagine in relatività con l’Essere ontologico. Quella interferenza che appare originariamente nel campo sublyme della Physis-sublyme, ma anche si eventua in altri campi quale la Psychè o la Physis o la koinè, disvela la differenza ontologica tra l’Essere-sé dell’Esserci nel mondo e l’esser-sé quale Sublymanza: nella storia del sublyme della Physis c’è sempre la trivarietà della Topologia dell’Essere: Seyn, Daseyn, sublyme ove l’Esserci o l’Essere è indeterminato, ma sempre in relatività quale sublymanza: Esserci sempre nell’Essere-sè e nell’Essere al di là dal sé, senza-fine, senza paradossi di identità o di principi logici di contradizione, anzi quelle evenienze non fanno altro che confortare l’imperativo kategorico del campo sublyme della Physis. L’interferenza di quella presenza, nel campo sublyme-ontologico della storia della Physis-sublyme dà la misura dell’ indeterminatezza, dell’invisibile, dell’infinitesimale, dell’indicibile, dell’inaudibile, del bene e del male, ma anche della sublymanza dell’adilà del bene e del male, dell’aldilà del mondo e del nulla, dell’aldilà del tempo e dello spazio, dell’aldilà della cronaca e della storia mitika, dell’adilà dell’etica e dell’estetica, dell’aldilà della guerra e della pace. Nell’interferenza ontologica quelle varietà sono solo episodi eventuali dell’immagine del campo sublyme che dà la misura dell’Esserci quale Essere-sé nell’Essere animato nel mondo animato, nella Physis-sublyme-animata. La storia sublyme è creatrice di storia,non solo nel suo campo sublyme della Physis-sublyme, ma in generale e nel senso della globalità, quale evento della nuova libertà: libertà d’Essere animata in qualità di varietà sublyme: Esserci, Essere sublyme, Essere in relatività con l’Essere aldilà. La nuova libertà d’Essere animata è creatrice di storia del campo sublyme della Physis, ma anche di quello immaginario, virtuale, ortogonale, metafisico influente nichilista, decostruttivo, ermeneutico, epistemico, etico, estetico, sinergetico. Il campo sublyme quale storia sublyme della Physis sarà così il fondamento della nuova libertà: libertà d’Essere contemporaneamente, quale Sublymanza, Esserci, Essere alterità nell’aldilà, Essere sublyme dell’Essere animato. Il campo sublyme così è, non l’unico, ma il più evidente nella creazione della storia, sia Gestell, sia Gegen-Gestell: o meglio, e di più, è il Gegen-Stell: l’impianto della storia sublyme , struttura ontologica che ci viene incontro dall’adilà, dall’alterità, ma che ci in-contra nel sentiero dell’Essere animato. Il Gegen-Stell, la sua struttura ontologica, è la metastabilità che ci viene incontro, quale presenza che ci incontra nel campo sublyme per impedire il declino nel nulla, nel kaos, nell’abisso, quale Abgrund-sublyme. La storia sublyme che crea la storia dell’immagine del mondo, è la presenza metastabile dell’aldilà, dell’alterità che ci incontra sempre di fronte, per interferire nel declino, nel klinamen abissale della metafisica nichilista tramontante, eclissante. Ma affinchè appaia la presenza della storia del sublyme nel campo sublyme interferente non è sufficiente il sapere dell’Esserci e del mondo, ma indispensabile dispiegare il sapere dell’Essere animato che si eventua di fronte e ci incontra dall’alterità e dall’aldilà. Il campo sublyme si presenta nel mondo della storia solo attraverso il sapere del fondamento dell’Essere animato, il quale s’eventua sempre quale interferenza che ci incontra sempre di fronte, e viene ad abitare poeticamente il sublyme campo della storia dell’Essere animato. Solo il sapere dell’Essere consente di essere sempre di fronte ed incontro all’Essere-sublyme nell’equilibrio del campo sublyme che consentirà di decostruire e creare il sentiero della storia della Physis-sublyme . Il sapere dell’Essere-sublyme si dispiega nel campo sublyme quale creazione della storia sublyme, che dà fondatezza, getta nel mondo e nell’immagine del mondo le verità dell’Essere animato. Il sapere dell’Essere-sublyme che ci viene in-contro e ci incontra nel campo sublyme della Physis, quale sapere sublyme dell’Essere animato, che getta nella storia mitika del sublyme la sua creatività, la sua verità, la sua missione dell’Esserci, la sua immagine del mondo. Quella sapienza sublyme dell’Essere sublymanza della Physis-sublyme che si eventua sempre di fronte, quale Essere animato trascendenza la semplice volontà di potenza metafisica teokratica, o nichilista o sinergetica kosmica per dispiegare, nel campo sublyme che crea la storia sulla volontà di verità del sublyme, e sulla volontà animata, o volontà della storia sublyme. Mai sarà animata una nuova ontologia, ma è già trascendenza e tramonto della metafisica nichilista, epistemica, ermeneutica, paradigmatica che disvela l’immagine del mondo quale creatività dell’immagine della storia della globalità del mondo. La volontà di verità sublyme fonda la Teontologia, quale sapere dell’Essere animato nel campo sacro del sublyme che crea la storia del sublyme e l’immagine della storia dell’Esserci globale del kosmo: la storia sublyme della Physis-sublyme dall'abgrund-sublyme...... ..…il venir-fuori-dalla-velatezza è l’essere del sublyme, il disvelarsi di una nuova morfia della physis, di una sagomatura della natura animata dell’essere, di una templarità dell’ikona della physis dell’essere. L’ontologia del sublyme è la templarità dell’immagine dell’essere nella physis, o morfia templare quale supersimmetria dell’ikona della physis dell’essere. Il disvelarsi dell’aletheia ontologica è il venire alla luce, il darsi alla luce, la gettanza che si dà alla luce nella radura vuota e libera della templarità dell’ikona della physis dell’essere, quale morfica templare dell’immagine dell’essere nella physis. Il venir fuori della disvelatezza discoprente la templarità dell’ikona della physis ontologica dell’essere. È la templarità della radura vuota, del luogo ove abita poeticamente l’essere che disvela l’ikona della physis o l’immagine dell’aletheia dell’essere, quale topologia poetante o quale ontopoiesis o quale ontoikona dell’essere nella physis. È l’ontoykona dell’essere che getta le fondamenta, si getta e si de-costruisce nella radura luminosa della physis e si eventua in morfie templari dell’immagine della physis dell’essere e si disvela all’esserci quale gegenstand, sempre di fronte, dell’ikona ontologica della destinanza dell’essere. L’ontoykona ama disvelarsi nella radura luminosa della physis dell’essere quale sublymanza del’esseRe o per essere l’aletheia dell’essere quale evento nel sublyme. La sublymanza ama nascondersi nel sublyme dell’essere ontoykona della physis per eventuarsi quale svelatezza nel gegenstand della topologia templare dell’immagine dell’essere. Ma perché l’ontoykona si eventua sempre quale sublyme dell’essere più tosto che evento del nulla o del niente? Mha perché la differenza ontologica lascia all’epistemica la destinanza delle entità mondane e cura, custodisce l’aletheia della physis dell’essere quale templarità ikonica della topologia ontologica dell’essere. È la physis templata che si eventua quale sublymanza sia nella ontocronia che nella ontokairosia: nell’ontocronia dell’essere dell’entità, nella ontokairosia dell’essere evento della singolarità originaria del sublyme. Spesso è compresente sia l’ontocronia della physis della mondità che l’ontokairosa singolarità dell’essere o meglio nel sublyme è assentemente presente l’una o presentemente presente l’altra nella stessa radura luminosa dell’onto-topia dell’essere sublymanza o ontopia-del-sublyme o ontopia dell’ikona o dell’imago dell’essere o topologia ontologica dell’onto-ikontopia. È quella la differenza ontologica della temporalità e templaticità del sublyme: mentre la ontocronia si eventua solo nella physis mondana o dell’esserci, l’ontokairosia si dà, si eventua solo nell’essere-sublyme. Attenzione qui si discopre la differenza anche nel sublimità fatta a mano, immagine o suono o voce che sia, il manufatto o analitika dell’esserci- ontokronia e quello dell’essere-ontokairosia: il primo si adegua alla temporalità delle entità mondane senza discoprirne l’ontologia della physis, la temporalità templata invece disvela sempre e per sempre l’ontokairos dell’ontoykona dell’essere-sublyme-per-l’essere prima d’essere-sublime-per-il-mondo o essere-sublime-per-esserci…ah come si farà a comprendere? La sublimità per esserci o il-sibòime-per-la-mondanità privilegia sempre e comunque l’ontologia del presente: si adegua alla verità epistemica del mondo senza chiedere nulla di più, giacchè la sua ermeneutica è finita con l’ontokronia dell’ontica o dell’esser-solo-entità-del-mondo, anzi solo entità ontica di questo mondo senza alcuna onto-topia, ma solo u-topia o dis-topia. Lì l’essere-sublimità-per-essere è custodita nell’oblio o nascosta nella physis epistemica del mondo o nella mitica origine dell’esserci. Ma l’ontologia dell’ontopia dell’ontikona si sottrae dalla ontokronia per abitare poeticamente la radura luminosa della templata-ontokairosa dell’esere-sublyme-per-l’essere che si getta nella physis della mondità ma che si differenzia sempre nella sua interpretanza infinita, quale ermeneutica ontologica dell’essere sublyme per l’essRe. Qui l’impianto, la ge-stell dell’ontologia del sublyme si eventua sempre quale templarità dell’ontoikona ontopica ontopoietica, anzi la gestell, la struttura ontologica, è l’ontikona templata dell’essere sublyme dell’esseRe, di più è la destinanza dell’ontopoiesis dell’ikona che apre il sentiero ininterrotto nella radura vuota ontologica. L’ontologia dell’essere-sublyme si disvela nell’essere-la-radura, lichthung-sein, quale gestell della radura della destinanza dell’essere: lì nella spazialità vuota la struttura ontologica dell’essere-sublyme soggiorna poeticamente quale ikona ontopica della ontokairosia. L’essere-la-radura quale destinanza sia del grund sia dell’abgrund dell’essere-sublyme, sia fondamento sia abisso dell’ontologia del sublyme: lì quel che appare quale eristica epistemica si eventua quale kaosmica-ontikona dell’aldiqua e dell’aldilà. Solo così si comprende l’originalità del sublyme, giacchè la sua destinanza ontologica non subisce mai la dettattura epistemica dell’essere dell’ente perché quella eventualità si dispiega solo nell’ontokronia e mai nell’ontokarosia: può essere tangente alla tecnè, tecnica, ma mai decostruire l’essere-sublymanza ontopica. Nell’origine del sublyme l’ontokairosia dell’ontoikona si eventua per sempre senza più essere ontokronia epistemica dell’essere-entità: la sublymanza non è più abbandonata dall’essere…gli dei sono fuggiti dalla sublimità ontoteologica, ma non l’essere della sublymanza quale ontikona della gestell ontologica. Perciò l’ontologia del sublyme non sarà mai una semplice estetica dell’esserci o dell’essere-entità ontokronica, giacchè i sensi sono dispiegamenti dell’esserci e possono solo percepire le entità ontiche, mai l’essere si disvela ai sensi sempre si discopre solo all’interessere ontokairoslogico. L’ontologia dell’essere-sublyme discopre la compresenza nella sublymanza dell’interagenza tra ontokronia e ontokronotopia: mentre nell’epistemica fisica esiste solo la kronotopia quantica dell’essere dell’ente, nell’essere-sublyme si eventua l’essere della ontologia kronotopica ikonica che dispiega l’ontocronia iconica già assentemente presente nell’ontocronia quantica. Nella physis c’è la destinanza dell’essere quale gestell-ontokronica la quale si dà sia nella gestell-ontologica, sia nella gestell-ontica, sia nella gestell-epistemica, sia in quella gestell-paradigmatica che dà fondatezza all’ontologica gestell-grund come alla gestell-abgrund, alla gestell-abissale, alla struttura ontologica dell’essere-sublyme nella gestell-destinanza della sublymanza. Ma perché? Forse l’ontologia della destinanza dell’essere-sublyme sconvolge la causalità epistemica della temporalità per eventuare sempre e in ogni luogo la gestell-ontokronotopica del destino della gestell-ikona o della gestell-imagine o gestell-imaginaria o gestell-imago nell’essere sublymanza dell’essere oltre che dell’esserci. Già altri hanno svelato l’interagenza del tempo-figura col tempo-immagine o dell’immagine-tempo o dell’imago-tempo qui si discoprirà l’ontologia dell’imagine-spazio o dell’imagine-spaziotempo o dell’imago-spaziotempo fondanti lo spaziotempo-imagine o lo spaziotempo-figura o lo spaziotempo-imago nella gestell-ontopoetica o nella gestell-poetante-pensante dell’essere-sublyme-ekstatiko. Lì l’ikona-tempo si disvela sempre nella sua qualità di ikona-spazio-tempo, quale ikona spaziotemporale dell’aletheia-tempo o dell’aletheia-spaziotempo disvelante sempre la gestell-aletheia o gestell-verità o la struttura ontologica della gestell-tecnè quale gestell-poiesis o gestell-ontopoiesis della gestell-ontoteleologica della gestell-ikona dell’essere-sublime e non altro, ma che si dà quale fondatezza della destinanza epistemica dell’ontokronotopia. È la gestell-templata dell’ontologia dell’essere-sublyme che si dà quale sublymanza del musagete, dell’esserci che cura nella radura ontologica l’eventuarsi della gestell-ontopoietica. L’essere-sublyme è la misura di tutte le cose della mondanità, delle entità della mondità, dell’esserci, della presenza assentemente-presente, dell’essere nel mondo del sublime, dell’imagine dell’essere nella mondità, dell’imago dell’essere, dell’ikona dell’essere, della gestell della sublymanza, della struttura ontologica del sublyme. L’essere-sublyme è la misura, la destinanza ontokronotopica, del musagete, della gestell-musagete, della struttura ontologica dell’esser-musagete, dell’esserci quale musagete della gestell-imago, della gestell-imagine, della gestell-ikona della gestell-poetante-pensante. È la prova ontologica dell’esistenza del sublyme o meglio la prova ontologica dell’esistenza della gestell-sublyme, della struttuta ontologica dell’essere-sublyme. Non solo e non tanto quale prova ontologica dell’esistenza delle entità del sublime, o quale prova ontologica dell’epistemica o ermeneutica della sublimità, giacchè l’esserci nella mondità della sublimità è già presente nell’ontocronia del mondo, ma quale presenza ontokairosa della gestell-templata dell’esseRe: la sublymanza non è e non sarà mai solo l’ontica imagine del mondo ontocronico o utopico o distopico, ma sempre la gestell-ikona dell’essere ontocronotopia della ontokairostopia o ikonotopia dell’esseRe. La gestell-ikona non è più l’essere animato o l’esserci del musagete, ma non è altrettanto l’essere inanimato delle imagini del mondo, se mai sarà per sempre l’essere dis-animato dis-animante l’ikona dell’essere: senza essere anima o entità onteteologica o solo mitica o ematopoietica, l’indeterminatezza dell’animato o dell’inanimato per essere dis-anima della struttura ontologica ontopoietica dell’imagine-dell’esseRe. Ma che significa ikona dis-animata della gestell del sublyme? È l’ontologia dell’imagine del vuoto, l’imagine della radura o l’ikona del vuoto o l’ikona della radura che si dà nell’origine o nell’originalità della sublymanza quale ikona o imagine dell’essere libero, essere-in-estasy-katartika dalle entità ontiche della mondanità del nulla o del niente o del non-ente, quale ontologia della libertà dell’ikona ell’essere liberata dalle immagini del nulla o del niente o del nihilismo ontico delle varie volontà di potenza kategoriche dell’imperativo mondano epistemico delle entità del vuoto quantico. Solo l’imagine del vuoto consente all’essere d’abitare poeticamente la radura-gestell-ontopica: là l’imagine dell’essere si disvela libera quale misura della mondità ontocronotopica. Qui si discopre l’autentica ermeneutica ontologica della misura quale gestell-templata o gestell-templare o struttura ontologica template dell’ikona dell’essere, mentre la misura classica o simmetrica si adeguò all’imagine ontica della temporalità ontocronica. Solo la gestell-ikona disvela la destinanza della singolarità che si eventua nel sentiero ininterrotto nella radura fondale-gestell. Lì l’aletheia della gestell o la verità della struttura ontologica consente all’ikona d’essere-sublyme, ma anche consente alla verità di disvelarsi nella sublymanza quale evento della verità o evento dell’aletheia o evento della disvelatezza dell’ikona-gestell dell’esseRe. La sublymità è la verità o meglio l’essere-sublyme è l’aletheia dell’ikona-gestell della destinanza dell’esseRe. Mentre la verità epistemica o ermeneutica si adeguano alle verità ontiche delle entità kategoriche, la verità del sublyme disvela l’essere delle entità e non solo: la gestell-aletheia discopre l’ikona del vuoto o l’imagine della radura ove possa abitare poeticamente l’essere ed ove possa aleggiare l’evento dell’aletheia-destinanza. Ma forse quel che è più rilevante qui ed ora è la sublymanza della verità dell’ikona dell’abisso, dell’imagine dell’abgrund dell’essere: la sublimità nella nostra epoca è innanzi tutto l’ontologia della gestell dell’ikona dell’abisso ell’esseRe......................................... c’è una differenza ontologica nell’ontica della verità: c’è una verità epistemica fondata sui modelli della matesis, c’è una verità ermeneutica narrativa ed eterotopica o ontocronica, invece l’essere-sublyme eventua l’aletheia ontologica quale sublymanza dell’essere nel sublyme. C’è l’interessere tra le tre varietà di verità e c’è l’interesserci epistemico nel senso che tutte le varietà-verità si danno, si offrono alla mondità quale comprensione del mondo, dell’essere delle entità e prova ontologica o ontoteologica o ontoteleologica dell’esistenza dell’essere-sublymanza o dell’essere-sublyme, ma anche dell’esser-epistemè-del-sublime o dell’essere epistemica ontologica del sublime. Anzi solo la verità-sublyme discopre sia l’ermeneutica sia l’epistemica ontologica dell’essere sublyme dell’esseRe. Qualora si desideri comprendere anche l’essere sublime delle entità mondane è consentito anche privarsi dell’ontologia per affidarsi alla classica ermeneutica epistemica per discoprire solo le verità delle entità della mondanità. Ma che cos’è il mettersi in sublymanza dell’essere-sublyme? Anzi che cos’è la gettanza dell’essere-sublyme nella sublymanza? È la gettatezza-della-verità della destinanza templata dell’essere nell’aletheia fondale, grund ed abgrund, del sublyme che si dà, si getta nella mondità ontokronotopica. L’essere si eventua nel sublyme quale aletheia, disvelatezza dell’ontologia dell’essere, dell’esserci, dell’essere delle entità mondane, dell’interesserci, dell’interessere: tutte varietà compresenti nella gettatezza-del-sublyme quale aletheia ontologica dell’essere ontoikona, ontoimagine, ontoimago, ontopoiesis, autoevento, mitoevento, ontoevento. Il sublyme-estatiko-katartiko delle varietà topologiche della verità dell’essere si danno, si eventuano, si gettano quale fondale o fondamenta nel corso della sublymanza senza mai abbandonarla, anche quando gli dei fuggono e il tramonto dell’occidente si secolarizza, per sempre il sublyme si getta intenzionalmente per essere contemplato dallo sguardo dell’esserci, dal musagete, dall’interesserci delle entità mondane della tecnè clonante: mai la verità tramonta, è sempre presente nel sublyme, nella sublymanza al di là della storia, aldilà del bene e del male, aldilà delle entità klonate della tecnè. Come mai solo il sublime riesce a trascendere il corso della storia o della temporalità o dell’ontocronia? Tra le tante ipotesi quella più ontologica è la messa in cura della verità dell’essere. Solo nel sublyme l’aletheia ontologica si cura da sé, si getta, si fonda e si cura senza gli dei fuggitivi, senza più il musagete preda dell’oblio dei tempi-mala-tempora o del destino cinico e barale, senza l’obsololescenza nihilista della tecnica klonante. L’essere nella gettatezza-della-sublymanza cura da sé l’essere-sublyme, senza la cura ontocronica o ermeneutica, anzi si cura senza l’epistemica ermeneutica e senza la tecnè klonante, getta la sua cura della sua verità da sé quale interessere ontopico che abita poeticamente il vuoto cosmico o la radura ontologica ontokronotopica. È l’essere sublyme che ci viene-incontro, che si disvela per essere contemplatezza dei musageti, così si dà, si cura nella sua futura-anteriorità-gìà-stata e sempre ontologicamente presentemente assente. Nel suo essere già-stata si getta nell’ontokronia anche quale ob-getto, gegenstand, contr-ada, fondale che si getta allo sguardo sempre di fronte quale gettanza della verità dell’interessere non contemplato dalla storia delle entità clonate della tecnè. Il sublyme , la gettanza fondale della aletheia-interessere si dà e si cura da sé quale essere-sublyme o essere-gettatezza-del-sublyme e si eventua sempre quale ontologia dell’evento-verità, aldilà di tutte le interpretazioni infinite o delle clonazioni riproducibili, giacchè nel sublyme è all’opera o si getta, si dà, si cura l’evento della verità ontologica dell’interessere o dell’essere dell’aletheia o dell’essere-sublyme-della-verità-nella-physis. Anche quando gli dei fuggono dal sublime e la sublymanza non è più una entità mondana ontoteologica o quando il musagete è abbandonato all’oblio dalla mondanità, anche allora la templata-sublyme si dà alla conteplanza, giacché la sua destinanza si getta e si cura da sé, si eventua nella physis quale evento della verità ontologica. È la gestell del sublyme che si dà e si cura e si getta da sé: l’istallarsi poeticamente nella radura della physis eventua l’evento della verità dell’essere-sublyme, ma discopre e dispiega anche la destinanza templata dell’aletheia dell’interessere: il sublyme è la gestell dell’essere-nella-physis, è l’istallarsi della destinanza dell’evento della verità ontologica nella radura fondale ove l’interessere possa abitare poeticamente, anzi l’essere in sublymanza lascia libertà d’essere al sublyme, ma anche lascia libertà d’essere al mondo, lascia liberi gli dei di fuggire senza perdere la sua originalità, lascia libero il nihilismo della tecnica di clonarsi senza decostruirsi nella sua gestell, nella sua struttura ontologica, lascia libera alla mondanità il suo percorso e il suo tramonto, giacchè l’evento della sua libertà si getta e si cura quale libertà ontologica dell’essere-sublyme della verità-destinanza che si eventua nella physis per lasciare libera la physis di esserci anche quando gli dei fuggono e la tecnè si cura solo di klonare le entità mondane. Anche quando il sublyme si sottrae per lasciare ampia libertà di dispiegamenti mondani delle entità epistemiche nella loro volontà di potenza imperativa, anche allora non fugge insieme agli dei ma abita dis-ascosto, assentemente presente l’essere-sublyme nella sua varietà d’essere-evento-della-verità quale aletheia della destinanza della libertà. Il suo essere dis-ascosto si eventua nel sottrarsi, il porsi aldilà, il gettarsi oltre il nihilismo della tecnè mondana, oltre il tramonto dei paradigmi epistemici ed ermeneutici per essere sublymanza ontologica dell’interessere-nella-physis. Ma il sublyme si eventua non solo nel fondale, nel grund quale setzen degli eventi della verità, ma anche nel contempo simultaneamente, anzi kairos-logicamente, nell’abgrund, là ove gli dei non hanno mai soggiornato e gli imperativi kategorici delle entità epistemiche non si sono mai avventurati, né il nihilismo della tecnè si è mai sospinto oltre, anzi l’abisso ontologico ha sempre diffuso il senso di timore del nulla o del niente, invece l’abisso è proprio l’assenza del non-ente, l’annichilirsi del nulla per lasciar liberi d’essere la mondità e l’esserci delle entità epistemicamente comprensibili. L’essere-sublyme dell’abisso, dell’ab-grund eventua l’ikona della radura ontologica quale ontopia dell’essere inenarrabile, inaudita, indicibile, indecidibile, mai completamente interpretabile, né epistemicamente fondabile nelle kategorie imperative della volontà di potenza della tecnè-klonica o della ermeneutica metafisica trascendentale pre-post-fenomenologica. Per gli eventi dell’essere abisso ontologico della physis c’è solo la comprensione dell’essere sublyme in ekstasy, in attività, in interagenza tra l’essere e la sua radura vuota ontopica. Solo il sublyme, l'ekstasy dell’essere del sublyme consente al musagete di accogliere l’ascolto del sublyme che si getta nell’abisso della radura ontologica per gettare le fondamenta del fondale dell’essere-sublyme quale ikona della physis, del mondo, dell’interessere, dell’interesserci, dell’interagenza ontopica. Ma quella ikona non è mai epistemicamente presente, si disvela solo nel suo essere indisascosta o dis-ascosta ontologicamente inaudita per i più ed indicibile: solo al musagete presente evidentemente, solo l’interagenza del musagete consente all’evento dell’essere abissale di gettarsi nell’ekstasy dell’aletheia dell’essere-sublyme. Solo il musagete disvela il mistero o l’enigma del sublyme-in-ekstasy: la sublymanza ama nascondersri o essere sempre indisascosta, ma nel medesimo istante, per paradosso epistemico o ermeneutico, l’essere-sublyme ama disvelarsi, ama discoprire la sua radura abissale, la sua physis ontopica, la sua gestell ontokronokairoslogica oontokairostopica. Solo così l’essere-sublyme si dispiega all’infinito nell’a-peiron, nel senza-limiti mondani, nel sub-lime, nel senza-fine, quale autoevento o ontoevento, ma la sua gettanza fonda il fondale topologico, ontopico altrochè epocale ontocronico, si dà per raccogliersi-in-un-confine, si getta per eventuare la gestell, la struttura ontologica dell’interagenza con la physis: delimita la spazialità del sentiero ininterrotto della destinanza dell’essere: configurazione ikonica della radura ontologica ove l’essere possa abitare poeticamente. Solo con l’essere-sublyme si evntua la disascosità dell’aletheia, mai adeguata onticamente o epistemicamente o ermeneuticamente, ma sempre sottratta all’evidenza della mondità, ma visibile alla contemplazione del musagete, inaudita ma udibile, paradossale o eristica ma morfo-genica per la destinanza e l’interagenza dell’interessere e dell’interesserci. Lì in quel apparente paradosso o eristica epistemica o ermeneutica la verità stessa è dis-ascosta, anzi l’aletheia si disvlela quale dis-verità o essere sublymanza della dis-aletheia dell’essere-sublyme, si discopre quale dis-inveramento della gestell-sublyme o struttura ontologica dis-inverata della dis-verità del sublyme. La verità nel sublyme ci appare quale aletheia-della-dis-inveratezza-dell’essere, o meglio quale verità-dis-ascosta-della-dis-inveratezza dell’essere-sublyme, giacchè il sublyme ama la disinveratezza, ma ama anche la dis-ascosità della disvelatezza dell’aletheia dell’esseRe. Nella sua eristica epistemica ed ermeneutica del nascondersi e disvelarsi la disascosità della verità dell’essere-sublyme getta nella radura le fondamenta del sentiero della destinanza ontokronotopica, quale gestell dell’essere-sublymanza del sublyme-in-ekstasy o meglio nell’essere-sublymanza è in ekstasy sublyme la verirà dis-ascosta della dis-in-veratezza, o che nell’essere-sublymanza vi è custodita e curata l’aletheia-dis-ascosta della dis-in-veratezza dell’essere-sublyme. Quando si legge o si ascolta una poesia, quando si contempla una immagine nelle sue relativa varietà dimensionali palesi o nacoste, quando l’inaudito aleggia dalla voce dell’esserci dal talento geniale del musagete è assentemente presente la verità dis-ascosa della dis-in-veratezza dell’essere-sublyme ed è quell’aletheia che si disvela nella radura vuota e che traccia il sentiero ininterrotto della destinanza dell’interessere. L’interagenza e l’eristica di quella verità-dis-ascosità getta le fondamenta dell’epoca dell’imagine della mondità o della sua bellezza o della sua classicità o della sua rinascenza o della sua surrealtà: la bellezza è, sarà, fu la varietà della verità-dis-ascosità custodita e curata nell’opera dell’essere-sublyme. Quella interagenza consente al sublyme di essere-sublymanza dall’esserci-musagete o meglio solo quando il sublyme è sublymanza dell’essere-verità-dis-ascosa della dis-in-veratezza o che almeno quell’aletheia vi abiti poeticamente, solo allora la verità è sublyme e la sublymanza è la verità dell’essere-sublyme. Lì si dà il sublyme o la sublymanza si dà quale sublyme: l’origine o l’originalità del sublyme o del musagete è il sublyme della verità dis-ascosa della dis-in-veratezza dell’essere-sublyme, custodita e curata nella radura ove si disveli la destinanza dell’interessere. Si può intuire che la verità ontologica sia anche in sublymanza nella mitopoiesis o forse nel mito quale aletheia dell’essere-sublyme almeno in apparenza, ma una più approfondita ermeneutica ontologica ci svela come non sia così semplice: nel mito la verità non è in sublymanza quale aletheia-in-dis-ascosità-dis-in-veratezza, ma quale verità-adeguatezza ontoteologica che conforti il sacro senza creare ermeneuche eristiche, anzi quella stabilità epistemica può dispiegare metafisiche influenti per la verità-epistemica o verità tecnica fondata su modelli della matesis. Nella mitopoiesis invece il musagete ascolta il sublyme della verità ontologica la sola che gli consenta l’interagenza con l’essere-sublyme della verità quale sublymanza dell’essere che eventui l’essere-sublyme dal musagete. L’essere-sublyme eventua l’epistemica ontologica della tecnè, ma soprattutto discopre l’evento della aletheia-dis-ascosità quale gestell della destinamza dell’essere-sublyme dall’interagenza dell’esserci con la radura vuota e senza limiti, la radura sub-lime del fondale ove l’interessere possa soggiornare poeticamente in sinestesia con l’evento della verità-disascosità-disvelatezza-dis-verità-dis-aletheia. Qui nella mitopoiesis come mell’ontopoiesis o nella poiesis stessa l’epistemica on tologica della verita si discopre quale in-disasconsità, ma anche quale dis-disascosità, meglio in aletheia e in dis-aletheia, in velatezza e disvelatezza indicibile ma sempre sublymanza dell’essere-sublyme dell’interesserci con la physis. Solo quando l’essere-sublyme custodisce e cura l’aletheia-disascosità si eventua l’attrazione verso l’opera dell’essere-sublyme, anzi è la verità-attanza che attira la contemplazione dell’esserci, è l’aletheia-attanza che discopre il sentiero ininterrotto della destinanza d ell’essere-sublyme-dall’essere. Ontologia dell’essere-sublyme.......... ah la platonica ikona della temporalità quale ikona dinamica dell’eternità o ikona ontodinamica dell’apeiron o ikona ontodinamica del dis-apeiron, del dis-infinito, della dis-gestell dell’essere-sublyme. Lì l’ontodinamica ikonica dell’essere -infinito si discopre quale imago ontodinamica dell’essere-sublyme o quale imagine ontodinamica dell’apeiron del pensiero primigenio sottratto alla mitopoiesis. Ma in origine l’ikona ontodinamica ontokronica si svela senza differenza ontologica quale sublyme della mitopoiesis del l’apeiron dis-infinita, ove l’ikona del kairos si confonde con l’imagine della kronotopia infinita. Solo l’epistemica e l’ermeneutica creano la fissione nella kronotopia, giammai l’essere-sublyme dell’esserci quale musagete che sottrae all’eternità divine delle mitiche muse l’ikona dell’ontodinamica kronotopica. La frattalità del’ikona ontodinamica della temporalità platonica differenzia ontologicamente l’epistemica e l’ermeneutica dall’ontopoietica dell’essere-sublyme dall’esserci del musagete, ma in origine ci fu una onto-topia della gestell ove si eventuò l’epistemica e l’ermeneutica ontologica mai scomparsa nei dispiegamenti storici dell’essere-sublyme, anzi lì curata e custodita dalle incursioni della volontà di potenza imperativa dell’epistemica ontologica. Quella presenza incompente impera e sottrae nel corso del tempo l’ontopoietica epistemica dell’ontodinamica onto-poietica per attuare la morfogenesi della tecnica o dell’artigianato o del saper-fare mondano e klonante. O sottrae all’ikona dell’essere-sublymanza-dell’infinito l’ontodinamica cronologica della frattalità temporale. Solo così l’epistemica e l’ermeneutica si dispiegano quali immagini della storia della mondità , ma quell’evento inaugura l’oblio dell’essere-sublymità-dall’essere quale sublyme dell’essere per essere solo sublime della tecnè, prima, e della tecnica artigiana poi, ove l’ontodinamica infinita dell’ikona si è dissipata, dissolta, dis-obliata: è l’oblio dell’essere-sublymità-dall’essere che si dà quale fondatezza della tecnè epistemica e tuttora, nel presente impera per sottrarre tutta l’ontologia epistemica possibile dalla ontopoiesis dell’essere. Solo che nel corso del tempo l’essere-sublymità dall’essere non scompare totalmente, ma per fortuna si dis-oblia: si oblia nella tecnè epistemica per eventuarsi solo nell’ontologia-epistemica-ermeneutica dell’essere-sublymità-dall’essere. È il dis-oblio della dis-verità o dell’a dis-aletheia che si dis-annichilisce, che si sottrae dal nichilismo della tecnica-epistemica per dis-gettarsi ancora quale dis-mittenza intermittente della sublymanza della verità ontologica dell’essere-sublyme-dell’essere. Quella dis-mittenza ama nascondersi nell’essere-sublymanza quale sublymità per sottrarre l’aletheia dall’oblio imperante della tecnè-epistemica clonante e per disvelare la dis-abissalità dell’essere-sublyme dall’essere ikona ontodinamica dell’ontokronotopia dis-infinita. Per sempre l’essere-sublyme dis-vuota, disgombra, dis-oblia , disattua, dis-opera, dismette, dis-aleggia , disvela l’ikona dell’essere dall’immagine della tecnè imperativa influente, per disgettarsi quale dis-gegenstand dis-grund, quale fondale intermittente della dis-mittenza dell’essere ikona del sublyme. È lì che la destinanza dell’essere-sublyme si disoblia per disgettarsi quala dis-mittenza dell’essere dis-opera della disaletheia dell’epistemica-ontologica aldilà dell’oblio imperante della tecnè-epistemè e non solo nell’estetica classica o nel sublime metafisico o nella surrealtà informale armonica o disarmonica o dissimmetrica, ma anche nell’epistemica ontologica della physis e della matesis quale disoblio della disgettanza della physis dell’essere. Qui si eventua una nuova differenza all’interno della stessa ontologia dell’essere, forse epigenica nella sublymanza dell’essere-sublyme, ma dispiegante la sua gestell anche nella tecnè epistemica o ermeneutica: oltre alla classica messa in opera della verità o aletheia , nell’essere-sublyme si dà , si getta, si eventua la sublymanza della verità dell’essere, dell’aletheia dell’essere quale struttura ontologica del sublyme della radura, del kairos, poiesis, ontopoiesis, ikona, imagine, imago, kaosmos e della loro destinanza. Anzi il sublyme della verità getta le fondamenta della sublymanza della destinanza dell’essere quale sentiero ininterrotto dell’essere che eventui ekstaticamente la gestell e la gegenstand, ma anche la physis del grund e dell’abgrund. Per l’epistemica classica o anche per l’ermeneutica quella destinanza appare come se fosse un non-evento, ma può essere un dis-evento, un evento che non c’è ma che creò l’evento dell’essere che si dis-oblia anche nell’assenza dell’epistemica quale dis-epistemè, giacchè dis-abissa l’essere dall’essere in essere per essere destinanza dell’essere che crea la physis o la dis-eventua dal dis-nulla o dal dis-niente. Quell’evento è dis-epistemico solo perché si dis-abissa aldilà dell’epistemica della tecnè o dell’esserci o del musagete giacché si dis-oblia sempre quale dis-ontica o dis-onteologica, ma anche quale dis-mito o dis-arte o dis-opera quale perenne dis-messa-in-sublymanza del sublyme o meglio quando il sublyme si dà alla contemplazione epistemica l’essere si dis-eventua quale dis-mittenza per non soccombere al nichilismo clonante cronologico. L’essere-sublyme si dis-istalla proprio quando si eventua giacchè si sottrae all’ontocronia del dicibile epistemico o ermeneutico o ontico o ontoteologico o onto-poietico: si dà alla physis quale dis-physis o meglio quale sublymanza non più della physis, e perciò appare inaudito, misterico, indicibile: l’essere del sublyme si dis-dice, disvela la sua dis-verità, dis-abissa la dis-aletheia, dis-oblia la destinanza nella dis-radura, nel dis-vuoto, nel dis-nulla. quell‘enigma trova una sua vivenza nell‘essere-per-la-morte del sublime, O essere-per-la-sublymanza-della-morte o essere per la dis-morte della dis-sublymità, o essere per la dis-sublymanza della dismorte quale morte del nulla o dismorte del disnulla. In quella essenza dell‘essere si eventua l‘ontologia del sublyme o la sua epigenesi E lì si svela anche l‘ontologia della poiesis o dell’ontopoiesis o della non-poesie quale epigenesi della tecnè-epistemica. Per tale destinanza l‘ontologia dell‘ikona dell‘essere nel mondo pare possa essere fondata sulla dis-gestell del non-essere o dall‘essere solo per la morte o dal nulla o dal disnulla quale disarte della dis-poiesis, ossia della poiesis della dismorte della dis-sublymanza: quale sublyme katatiko del dis-musagete che canta o compone il dis-mito delle dis-muse. Quell’ermeneutica eventua la destinanza ontologica della dis-ontica o dis-metafisica o dis-trascendenza o dis-ontologia dell‘immagine dell‘essere-nel-mondo, e quella dis-destinanza pare si possa fondare sull‘essere-nihilista o sul dis-essere dis-nihilista. Può l‘essere fondarsi sull‘anti-essere o sul dis-essere-nel-dis-mondo, E la sublymanza fondarsi sulla non-sublimità o la dis-sublymità o la poiesis sull‘a-poiesis, o sulla dispoiesis o sul disnulla o sul disniente o sulla dismorte della dis-sublymanza o sul dis-gestell o dis-grund o dis-radura o dis-lichtung, può l‘essere essere fondato dall‘anti-essere o dal disessere o dis-dasein o dis-esserci o dis-interesserci o dal disinteressere o dalla disverità o dalla disaletheia o dall‘essere-abissale o dall‘essere-nell‘abisso, abgrund che getta le fondamente e si getta quale fondatezza dell‘essere o del sublyme o della sublimità d‘essere l‘ikona dell‘essere-nella-mondità o della dis-sublymanza della disikona o della dis-imago o della dis-imagine, nel cosmo, nel discosmo, nel caos, nel discaos, nel kaosmos, nel dis-kaosmos? Forse un dis-mito ci può salvare, o un dis-dio che dis-viene quale sublymanza gettata dell’essere del dis-nulla. E‘ solo l‘essere a gettare le fondamenta della destinanza o della dis-destinanza dell‘esserci o la salvezza della disdestinanza del disesserci o disdasein trova l‘epigenesi nel mito o nel dismito ontoteologico-disontoteologico della bellezza-dis-bellezza simmetrica-disimmetrica quale misura che salverà la mondità dell‘esserci-disesserci-disdasein. L‘essere è gettato nel suo essere per la morte o per la dismorte del sublime o della dis-sublymanza: l‘essere-per-il-sublyme-dis-sublyme può salvare l‘arte-disarte nel suo declino verso l‘essere per la sua morte-dismorte, o simmetria-disimmetria o mito-dismito o bellezza-disbellezza. Solo così l‘essere ci può salvare. Ci salverà, dalle crisi della storia o dal mito riemergente dell‘antilogos o dall‘angoscia per la morte dell‘arte o dell‘arte per la morte o dell‘essere per la morte, o dal disesserci per la dismorte. O ci salverà dall‘essere-nella-temporalità-della-morte-dismorte o del disnulla-disniente. Ah il tempo quale ikona-disicona, imago-disimago della dis-ontodinamica dell‘essere che si disvela al mondo-dismondo nella spazialità-dispaziale immaginaria-disimmaginaria del sublyme-dis-sublyme. Arte immaginaria o immagine-disimmagine del quale ikona-disicona immaginaria dell‘essere mondità-dismondità che salverà l‘esserci-disesserci-disdasein solo se l‘essere salverà il sublyme quale ikona immaginaria-disimmaginaria dell‘essere o dell‘esserci-disesserci o disinteresserci o disinteressere....... essere per la salvezza dell‘essere significa essere per la salvezza del sublyme..... Il dio-disdio che non muore mai ma che dismuore sempre perché disviene nella sublymanza del dismusagete del dismito delle dismuse non fugge mai, giacchè disfugge, o meglio è sempre in fuga dall’essere-disessere per essere evento-disevento della mondità-dismondità, e mai tramonta dopo il tramonto del mondo-occidente giacchè è sempre al tramonto quale mito-dismito dell’essere che non c’è mai più, ma che è sempre di fronte quale fondale gegenstand-disgegenstand: il sublyme salverà l’essere o l’esserci-disesserci-disdasein così come salvò il mito-dismito delle muse-dismuse degli dei-disdei in fuga-disfuga. Solo il mito-dismito del sublyme può salvare il mito delle muse-dismuse della poiesis-dispoiesis o dell’autopoiesis-ontopoiesis, il sublyme è anche la salvezza del musagete-dismusagete, quale essere-divinità-disdivinità o esserci-disesserci-disdasein che si dà al sublyme o che dà al sublyme la fondatezza del mito-dismito. l’essere-musagete-dismusagete-disdasein che si dà al sublyme del gettare-disgettare l’ikona-disikona-dell’essere-nel-mondo-dismondo: disvela l’immagine-disimmagine della mondanità-dismondanità quale ontologia dello spazio-dispazio-tempo-distempo immaginario-disimmaginario da abitare-disabitare poeticamente, quale ontopoiesis-disontopoiesis, ed essere la creazione del sublyme dell’essere. il sentiero-disentiero ininterrotto-disinterrotto dell’ontologia poetante-dispoetante del sublyme quale disvelatezza dell’ontopoiesis-disontopoiesis, oltrechè dell’autopoiesis-disautopoiesis si eventuò-diseventuò nell’intermittenza-dismittenza del pensiero poetante dell’essere-musagete-dismusagete o nel pensiero-poetante-pensante quale ikona-disikona della gettanza-disgettanza dell’essere. Dopo un millenario oblio nella radura-disradura ove si eventuò-dieventuò l’inter-essere-disinteressere poetante dell’’essere-musagete-dismusagete la sua erranza-diserranza nel sublyme è giunta-disgiunta nel tempo-distempo della sua sublime-disublime metastabilità-distabilità, nella struttura-distruttura ontologica dell’ontopoiesis-disontopoiesis. L’evento-disevento sarà lì nella pregnanza della radura-disradura quale ikona-disikona dell’essere-musagete-dismusagete che si dà-disdà alla luce e che dà-disdà luce al sentiero-disentiero topologico-distopologico dell’essere immaginario-disimmaginario cosmico-discosmico. Quale radura-disradura vuota-disvuota e libera, sgombrata-disgombrata dalle scorie temporali e spirituali, si disvelerà sia nella tecnè-distecnè dell’autopoiesis-disautopoiesis, sia nella epistemè-disepistemè o nell‘ontologia epistemica-disepistemica, L’essere-musagete-dismusagete fonda-disfonda e dà-disdà senso-disenso alla sublymanza, quale sublime-disublime estasi-disestasi del pensiero-poetante-pensante della topologia-distopologia fluttuante-disfluttuante dell’interessere-disinteressere. l’oblio-disoblio si dis-oblia mentre intraprende-disintraprende il sentiero-disentiero interrotto-ininterrotto e ascolta-disascolta la visione-disvisione dell’ikona-disikona che parla-disparla tra gli interstizi dell’intermittenza-dismittenza dell’essere-poetante-dispoetante. Il sentiero-disentiero, il meta-odos-dis-odos-dismetaodos, che ha condotto l’essere-musagete-dismusagete verso la radura-disradura ama-disama kriptarsi-diskriptarsi nel sublyme........ è chiaro che l’evento-disevento dell’essere-sublyme disvleli la verità-disverità del paradigma-disparadigma dell’epistemica-disepistemica. Può esserci-disesserci una ontologia epistemica-disepistemica che eventui paradigmi-disparadigmi della verità-disverità? Nell’evento del sublyme il musagete-dismusagete evoca le dismuse del dismito degli dei-disdei, l’epistemè ha annichilito l’influenza dell’atetheia-disaletheia mitopoietica-dismitopoietica con intenzionalità assolute, totali, fondamentali, perciò la verità disepistemica può apparire stravagante. Ma una più attenta riflessione inerente l’ontologia degli eventi della physis-disphysis disvela l’indeterminatezza dei paradigmi-disparadigmi nelle dimensioni infinitesime prossime al vuoto quantista........ qui però si vorrà disvelare l’ontologia dis-epistemica del sublyme prima dell’evento della tecnè-epistemica e dell’evento-disevento della post-tecnè-disepistemica. Già aleggia nell’ontologia del presente l’evento-disevento della post-tecnica-disepistemè emergente dall’ontologia della matesis-distatesi dei modelli della physis-disphysis supersimmetrica-disimmetrica, ma nel sublyme il dis-evento-disepistemico si svela da sempre quale disaletheia della disphysis contemplata dal dismusagete dismitopoietico che non trema di fronte alla fuga degli dei-disdei. Il dismusagete non si sente abbandonato dalla fuga degli dei perché la disverità ontologica disepistemica si discopre quale disgegenstand, quale dis-fondale della radura-disradura ove si possa abitare-disabitare poeticamente senza la salvezza degli dei fuggitivi, ma con la cura delle muse-dismuse assentemente sempre presenti. Sarà la-sublymanza-disepistemica ad eventuare una nuova meta-epistemica o meglio a disvelare l’onto-epistemica dell’essere? Nessuno prima del presente ha disvelato la differenza ontologica dell’epistemè anche perché la matesis e la metafisica della physis hanno gettato l’oblio dell’epistemica, ma in origine si disvelò sia l’onto-epistemè che l’eu-epistemè della verità nell’essere-sublyme quale sublymanza del musagete-dismusagete in risonanza della disgettanza delle onto-morfie delle muse-dismuse: in quell’evento si discoprì la bellezza del sublime essere più vigente di quella manifesta, o meglio la bellezza dell’essere essere più ontomorfica di quella delle entità o della superentità o della mondità o dell’esserci. L’epistemè scelse la bellezza del mondo la dismittenza del sublyme si eventuò sempre più quale bellezza dell’essere: quella ontomorfia sarà contemplata e com-presa dall’ontoepistemica o dall’euepistemè. La differenza ontologica nell’epistemè discoprì l’eristica epistemica o l’isteresi epistemologica della loro destinanza: l’una si svelò quale erranza dell’altra, l’una gettò nell’oblio l’altra: la sublymanza si eventuò quale essere erranza dell’epistemè-tecnè, e l’epistemica si discoprì quale erranza dell’esserci del musagete contemplante solo le muse giacchè anche gli dei sono fuggiti. Si disvelò così l’erranza dell’essere nell’essere-sublyme l’oblio dell’essere nella tecnè-epistemica, ma quell’evento discoprì anche la diradanza dell’essere, dell’essere vuota nullità per l’epistemè e dell’essere vuota radura ove si possa abitare poeticamente anche quando la destinanza degli dei li porta alla fuga e le muse sono più libere nella loro disvelatezza delle risonanze musagetiche. Lì nella diradanza della radura-disradura si cura l’abisso dell’essere dis-diradanza ontomorfica com-presa solo con l’ontoepistemica o l’euepistemica dell’essere-sublymanza-della-dismittenza-del-sublyme. In quell’essere per la destinanza nella diradanza dell’essere si eventuò l’ontomorfia dell’essere per la verità o la morfogenesi dell’essere nella verità o essere per l’aletheia o essere nell’aletheia o essere-per-il-sublyme o essere-nel-sublyme più che esserci nella tecnè-epistemè. È l’increspatura ontologica della diradanza che disvela l’essere dall’oblio, dal suo essere stato un essere-nel nulla o un essere-nel-niente, o meglio l’essere stato compreso quale essere-del-nulla o essere-del-niente o solo essere dell’ente o della superentità. L’ikona dell’essere si dis-oblia dal suo essere-del-nihil o essere del nihilismo o essere per il nihilismo per disgettarsi quale ontoikona e ontomorfia dell’essere-nella-physis-dell’essere e perciò com-preso dall’ontoepistemica dell’essere sublymanza d’essere. La luce dell’essere si disvelò dal dis-oblio per essere com-presa quale divelanza della luce dell’essere, non del niente o del non-ente o dell’entità o dell’esserci o della tecnè-epistemica-ontica o della superentità ontoteologica. Anzi la fuga degli dei lasciò libertà d’essere alla diradanza dell’essere, alla risonanza delle muse, alla contemplanza del musagete, ma soprattutto lasciò alla destinanza dell’essere di essere nella libertà o di essere per la libertà della dismittenza del sublyme quale ontomorfia-compresa-dall’ontoepistemica o epistemè ontologica dell’imagine dell’essere nella radura o l’ikona dell’essere nella diradanza quale imago dell’essere-radura-disradura o ontikona dell’essere-diradanza-disdiradanza. Quella sua gestell o struttura ontomorfica si dis-oblia per essere nella physis, per essere della physis dell’essere ed essere al mondo quale essere-sublymità dall’essere che si getta nel suo mondo ontologico prima d’essere mondità ontoepistemica o mondanità dell’epistemè-tecnè. È la singolarità della luce sublime della diradanza che si dis-oblia o si dis-abissa, quale ontomorfia dell’ikona dell’essere-sublyme della morphysis, della morfogenesi della physis, dell’ontogenesi dell’essere-physis da contemplare e com-prendere con l’ontoepistemè del sublyme: la luccicanza della vuova diradanza che si dà, si getta quale sacra luce misterica dell’essere-sublymanza dall’essere-sublyme, quale immagine in essere dell’imagine dell’essere o ikona dell’essere o imagine per l’essere o imago dall’essere o imagine sull’essere-in-essere-compresa-dall’essere: epistemè in essere dell’essere epistemica dell’essere o ontoepistemica dell’essere-sublyme quale essere oltre il nulla, oltre il niente, oltre il non-ente, oltre l’entità, oltre la morte dell’esserci, oltre il nihilismo della tecnè-epistemica, al di là del tempo, essere aldilà, essere l’aldilà, essere nell’aldilà, essere per l’aldilà: essere la poiesis, essere nella poiesis, essere della poiesis. Solo così l’essere non è più una delle tante storie del nulla o del niente o del non-ente come ci hanno tramandato gli epistemici, ma si disvela quale storia in essere dell’essere-sublyme ad immagine dell’essere, o dell’immaginario dell’essere quale ontologia immaginaria o ontoepistemica immaginaria, aldilà del vuoto ontologico. È il dis-oblio della destinanza dell’essere poetante che disvela, contempla e com-prende la physis poetante, la libertà poetante, la mitopoiesis poetante, l’arte poetante della verità poetante o della aletheia poetante, l’ontomorfia poetante, pensiero poetante dell’essere-sublyme quale intermittenza dell’essere e mai più intermittenza del nulla. In origine la dismittenza-intermittenza del’essere si dis-oblia quale intermittenza del vuoto, della radura vuota, sgombrata, della diradanza che si increspa da sé e che si dà, si getta quale intermittenza dell’esserci o dismittenza-intermittenza del musagete-dismusagete o ex-stasi ontologica o estasi ontoepistemica che com-prende la risonanza delle muse-dismuse anche quando gli dei sono in fuga-disfuga dalla physis e dall’aldilà, dalla spazialità e dall’ontocronia............. si disvela così l’essere in estasi dell’essere, quale ontologia dell’estasi dell’essere-sublime dell’estasi-sublime-dell’essere. È l’eventuarsi dal nulla, dalla radura vuota e libera, dalla diradanza della disgettanza estatica sub-lime dell’essere-sublymanza-dall’essere-ad-imagine-dell’essere ontomorfia che si decripta dopo essere stato kriptato nel nulla, nel niente, nel non-ente, nelle entità, nelle superentità ontoteologiche. Fin allora l’essere fu assentemente presente quale niente o quale nulla ove abita l’essere kriptato, obliato: il nulla quale esserci kriptato, il nulla quale evento kriptato dell’essere. Il dis-oblio dell’essere-sublyme o si eventua quale autoevento imaginario della dismittenza-intermittente dell’estasi dell’essere-in-essere singolarità imaginaria dell’ontogenesi ontomorfica dell’ontikona. L’essere che è sempre e c’è sempre e mai diviene o s-viene o dis-viene o interviene o previene o conviene o avviene o perviene, si dà, si getta, si dis-abissa, si dis-oblia quale sublyme in essere nella sublymanza in risonanza dell’essere-in-estasi-immaginaria. La sublymanza è l’estasi ex-statica dell’essere imaginario, dell’essere poetante che contempla l’estasi dell’essere e com-prende l’ikona del dis-oblio, della de-criptanza dell’essere, della decostruzione del nulla, del niente-oblio, dell’entità ontica, delle superentità ontoteologiche: lì ove l’essere si kripta lì si dekripta, lì ove la verità dell’essere si è kriptata, lì si decripta quale essere-in-verità o essere-la-verità-dell’essere-sublyme, o essere-la-disvelatezza-dell’essere-sublyme-che-si-dà quale sublyme-che-si-eventui dall’essere che eventua la verità dell’essere come essere-sublyme. Nell'eventuare il sublyme l’essere libera dalle entità-tecnè l’ikona della disvelatezza dell’aletheia della physis-sublyme... vivenza nell‘essere-per-il-sublyme....... O essere-per-il-sublyme-della-morte o essere per la dis-morte del sublyme o essere per il sublyme della dismorte quale morte del nulla o dismorte del disnulla. In quella essenza dell‘essere si eventua l‘ontologia del sublyme o la sua epigenesi. E lì si svela anche l‘ontologia della poiesis o dell’ontopoiesis o della non-poesie quale epigenesi della tecnè-epistemica. Per tale destinanza l‘ontologia dell‘ikona dell‘essere nel mondo pare possa essere fondata sulla dis-gestell del non-essere o dall‘essere solo per la morte o dal nulla o dal disnulla quale sublyme della dis-poiesis ossia della poiesis della dismorte del sublyme: quale sublymanza del dis-musagete che canta o compone il dis-mito delle dis-muse. Quell’ermeneutica eventua la destinanza ontologica della dis-ontica o dis-metafisica o dis-trascendenza o dis-ontologia dell‘immagine dell‘essere-nel-mondo, e quella dis-destinanza pare si possa fondare sull‘essere-nihilista o sul dis-essere dis-nihilista. Può l‘essere fondarsi sull‘anti-essere o sul dis-essere-nel-dis-mondo. E il sublyme fondarsi sulla sublymanza ekstatika o la poiesis sull‘a-poiesis o sulla dispoiesis o sul disnulla o sul disniente o sulla katarsy sublyme o sul dis-gestell o dis-grund o dis-radura o dis-lichtung, può l‘essere essere fondato dall‘anti-essere o dal disessere o dis-dasein o dis-esserci o dis-interesserci o dal disinteressere o dalla disverità o dalla disaletheia o dall‘essere-abissale o dall‘essere-nell‘abisso, abgrund che getta le fondamente e si getta quale fondatezza dell‘essere o del sublyme o della sublymanza ekstatika d‘essere l‘ikona dell‘essere-nella-mondità o della sublymanza della disikona o della dis-imago o della dis-imagine, nel cosmo, nel discosmo, nel caos, nel discaos, nel kaosmos, nel dis-kaosmos? Forse un dis-mito ci può salvare, o un dis-dio che dis-viene quale sublymanza ekstatika gettata dell’essere del dis-nulla. E‘ solo l‘essere a gettare le fondamenta della destinanza o della dis-destinanza dell‘esserci o la salvezza della disdestinanza del disesserci o disdasein e così trova l‘epigenesi nel mito o nel dismito ontoteologico-disontoteologico della bellezza-dis-bellezza simmetrica-disimmetrica quale misura che salverà la mondità dell‘esserci-disesserci-disdasein. L‘essere è gettato nel suo essere per la morte o per la dismorte del sublyme : l‘essere-per-il-sublyme può salvare il sublyme nel suo declino verso l‘essere per la sua morte-dismorte, o simmetria-disimmetria o mito-dismito o bellezza-disbellezza. Solo così l‘essere ci può salvare, Ci salverà, dalle crisi della storia o dal mito riemergente dell‘antilogos o dall‘angoscia per la morte del sublime o della sublimità per la morte o dell‘essere per la morte, o dal disesserci per la dismorte. O ci salverà dall‘essere-nella-temporalità-della-morte-dismorte o del disnulla-disniente. Ah il tempo quale ikona-disicona, imago-disimago della dis-ontodinamica dell‘essere che si disvela al mondo-dismondo nella spazialità-dispaziale immaginaria-disimmaginaria del sublyme. Sulymanza immaginaria o immagine-disimmagine del sublyme quale ikona-disicona immaginaria dell‘essere mondità-dismondità che salverà l‘esserci-disesserci-disdasein solo se l‘essere salverà la sublymità quale ikona immaginaria-disimmaginaria dell‘essere o dell‘esserci-disesserci o disinteresserci o disinteressere....... essere per la salvezza dell‘essere significa essere per la salvezza del sublyme. Il dio-disdio che non muore mai ma che dismuore sempre perché disviene nel sublyme del dismusagete del dismito delle dismuse non fugge mai, giacchè disfugge, o meglio è sempre in fuga dall’essere-disessere per essere evento-disevento o autoevento ekstatiko o ontoevento della mondità-dismondità, e mai tramonta dopo il tramonto del mondo-occidente giacchè è sempre al tramonto quale mito-dismito dell’essere che non c’è mai più, ma che è sempre di fronte quale fondale gegenstand-disgegenstand: il sublyme salverà l’essere o l’esserci-disesserci-disdasein così come salvò il mito-dismito delle muse-dismuse degli dei-disdei in fuga-disfuga: Solo il mito-dismito del sublyme può salvare il mito delle muse-dismuse della poiesis-dipoiesis o dell’autopoiesis-ontopoiesis, il sublyme è anche la salvezza del musagete-dismusagete, quale essere-divinità-disdivinità o esserci-disesserci-disdasein che si dà al sublyme o che dà al sublyme la fondatezza del mito-dismito........ l’essere-musagete-dismusagete-disdasein che si dà al sublyme del gettare-disgettare l’ikona-disikona-dell’essere-nel-mondo-dismond disvela l’immagine-disimmagine della mondanità-dismondanità quale ontologia dello spazio-dispazio-tempo-distempo immaginario-disimmaginario da abitare-disabitare poeticamente quale ontopoiesis-disontopoiesis, ed essere il sublyme dell’essere...... il sentiero-disentiero ininterrotto-disinterrotto dell’ontologia poetante-dispoetante del sublyme quale disvelatezza dell’ontopoiesis-disontopoiesis, oltrechè dell’autopoiesis-disautopoiesis, si eventuò-diseventuò nell’intermittenza-dismittenza del pensiero poetante dell’essere-musagete-dismusagete o nel pensiero-poetante-pensante quale ikona-disikona della gettanza-disgettanza dell’essere. Dopo un millenario oblio nella radura-disradura ove si eventuò-dieventuò l’inter-essere-disinteressere poetante dell’’essere-musagete-dismusagete la sua erranza-diserranza nel sublyme è giunta-disgiunta nel tempo-distempo della sua sublime-disublime metastabilità-distabilità nella struttura-distruttura ontologica dell’ontopoiesis-disontopoiesis. L’evento-disevento sarà lì nella pregnanza della radura-disradura quale ikona-disikona dell’essere-musagete-dismusagete che si dà-disdà alla luce e che dà-disdà luce al sentiero-disentiero topologico-distopologico dell’essere immaginario-disimmaginario cosmico-discosmico. Quale radura-disradura vuota-disvuota e libera, sgombrata-disgombrata dalle scorie temporali e spirituali, si disvelerà sia nella tecnè-distecnè dell’autopoiesis-disautopoiesis, sia nella epistemè-disepistemè o nell‘ontologia epistemica-disepistemica, L’essere-musagete-dismusagete fonda-disfonda e dà-disdà senso-disenso al sublyme, quale sublime-disublime estasi-disestasi del pensiero-poetante-pensante della topologia-distopologia fluttuante-disfluttuante dell’interessere-disinteressere....... l’oblio-disoblio si dis-oblia mentre intraprende-disintraprende il sentiero-disentiero interrotto-ininterrotto e ascolta-disascolta la visione-disvisione dell’ikona-disikona che parla-disparla tra gli interstizi dell’intermittenza-dismittenza dell’essere-poetante-dispoetante. Il sentiero-disentiero, il meta-odos-dis-odos-dismetaodos, che ha condotto l’essere-musagete-dismusagete verso la radura-disradura ama-disama kriptarsi-diskriptarsi nel sublyme....... è chiaro che l’evento-disevento dell’essere sublyme disvleli la verità-disverità del paradigma-disparadigma dell’epistemica-disepistemica. Può esserci-disesserci una ontologia epistemica-disepistemica che eventui paradigmi-disparadigmi della verità-disverità? Nell’evento del sublyme il musagete-dismusagete evoca le dismuse del dismito degli dei-disdei, l’epistemè ha annichilito l’influenza dell’atetheia-disaletheia mitopoietica-dismitopoietica con intenzionalità assolute, totali, fondamentali, perciò la verità disepistemica può apparire stravagante. Ma una più attenta riflessione inerente l’ontologia degli eventi della physis-disphysis disvela l’indeterminatezza dei paradigmi-disparadigmi nelle dimensioni infinitesime prossime al vuoto quantista..... qui però si vorrà disvelare l’ontologia dis-epistemica del sublyme prima dell’evento della tecnè-epistemica e dell’evento-disevento della post-tecnè-disepistemica. Già aleggia nell’ontologia del presente l’evento-disevento della post-tecnica-disepistemè emergente dall’ontologia della matesis-distatesi dei modelli della physis-disphysis supersimmetrica-disimmetrica, ma nel sublyme il dis-evento-disepistemico si svela da sempre, quale disaletheia della disphysis contemplata dal dismusagete dismitopoietico che non trema di fronte alla fuga degli dei-disdei. Il dismusagete non si sente abbandonato dalla fuga degli dei perché la disverità ontologica disepistemica si discopre quale disgegenstand, quale dis-fondale della radura-disradura ove si possa abitare-disabitare poeticamente senza la salvezza degli dei fuggitivi, ma con la cura delle muse-dismuse assentemente sempre presenti. Sarà la sublymanza-disepistemica ad eventuare una nuova meta-epistemica o meglio a disvelare l’onto-epistemica dell’essere? Nessuno prima del presente ha disvelato la differenza ontologica dell’epistemè, anche perché la matesis e la metafisica della physis hanno gettato l’oblio dell’epistemica, ma in origine si disvelò sia l’onto-epistemè che l’eu-epistemè della verità nell’essere-sublyme del musagete-dismusagete in risonanza della disgettanza delle onto-morfie delle muse-dismuse: in quell’evento si discoprì la bellezza del sublime essere più vigente di quella manifesta, o meglio la bellezza dell’essere essere più ontomorfica di quella delle entità o della superentità o della mondità o dell’esserci. L’epistemè scelse la bellezza del mondo la dismittenza del sublime si eventuò sempre più quale bellezza dell’essere: quella ontomorfia sarà contemplata e com-presa dall’ontoepistemica o dall’euepistemè. La differenza ontologica nell’epistemè discoprì l’eristica epistemica o l’isteresi epistemologica della loro destinanza: l’una si svelò quale erranza dell’altra, l’una gettò nell’oblio l’altra: il sublyme si eventuò quale essere erranza dell’epistemè-tecnè, e l’epistemica si discoprì quale erranza dell’esserci del musagete contemplante solo le muse, giacchè anche gli dei sono fuggiti. Si disvelò così l’erranza dell’essere nell’essere-sublyme e l’oblio dell’essere nella tecnè-epistemica, ma quell’evento discoprì anche la diradanza dell’essere, dell’essere vuota nullità per l’epistemè e dell’essere vuota radura ove si possa abitare poeticamente anche quando la destinanza degli dei li porta alla fuga e le muse sono più libere nella loro disvelatezza delle risonanze musagetiche. Lì nella diradanza della radura-disradura si cura l’abisso dell’essere dis-diradanza ontomorfica com-presa solo con l’ontoepistemica o l’euepistemica dell’essere-sublyme-dismittenza-del-sublyme. In quell’essere per la destinanza nella diradanza dell’essere si eventuò l’ontomorfia dell’essere per la verità o la morfogenesi dell’essere nella verità o essere per l’aletheia o essere nell’aletheia o essere-per-il-sublyme o essere-nel-sublyme più che esserci nella tecnè-epistemè. È l’increspatura ontologica della diradanza che disvela l’essere dall’oblio, dal suo essere stato un essere-nel nulla o un essere-nel-niente, o meglio l’essere stato compreso quale essere-del-nulla o essere-del-niente o solo essere dell’ente o della superentità. L’ikona dell’essere si dis-oblia dal suo essere-del-nihil o essere del nihilismo o essere per il nihilismo per disgettarsi quale ontoikona e ontomorfia dell’essere-nella-physis-dell’essere e perciò com-preso dall’ontoepistemica dell’essere sublymanza d’essere. La luce dell’essere si disvelò dal dis-oblio per essere com-presa quale divelanza della luce dell’essere, non del niente o del non-ente o dell’entità o dell’esserci o della tecnè-epistemica-ontica o della superentità ontoteologica. Anzi la fuga degli dei lasciò libertà d’essere alla diradanza dell’essere, alla risonanza delle muse, alla contemplanza del musagete, ma soprattutto lasciò alla destinanza dell’essere di essere nella libertà o di essere per la libertà della dismittenza del sublyme quale ontomorfia-compresa-dall’ontoepistemica o epistemè ontologica ell’imagine dell’essere nella radura o l’ikona dell’essere nella diradanza quale imago dell’essere-radura-disradura o ontikona dell’essere-diradanza-disdiradanza. Quella sua gestell o struttura ontomorfica si dis-oblia per essere nella physis, per essere della physis dell’essere ed essere al mondo quale essere sublyme dell’essere che si getta nel suo mondo ontologico prima d’essere mondità ontoepistemica o mondanità dell’epistemè-tecnè. È la singolarità della luce sublime della diradanza che si dis-oblia o si dis-abissa quale ontomorfia dell’ikona dell’essere-sublyme della morphysis, della morfogenesi della physis, dell’ontogenesi dell’essere-physis da contemplare e com-prendere con l’ontoepistemè del sublyme: la luccicanza della vuova diradanza che si dà, si getta quale sacra luce misterica dell’essere-sublyme, quale immagine in essere dell’imagine dell’essere o ikona dell’essere o imagine per l’essere o imago dall’essere o imagine sull’essere-in-essere-compresa-dall’essere: epistemè in essere dell’essere epistemica dell’essere o ontoepistemica dell’essere-sublyme quale esser oltre il nulla, oltre il niente, oltre il non-ente, oltre l’entità, oltre la morte dell’esserci, oltre il nihilismo della tecnè-epistemica, al di là del tempo, essere aldilà, essere l’aldilà, essere nell’aldilà, essere per l’aldilà: essere la poiesis, essere nella poiesis, essere della poiesis. Solo così l’essere non è più una delle tante storie dl nulla o del niente o del non-ente come ci hanno tramandato gli epistemici, ma si disvela quale storia in essere dell’essere-sublyme-dell’essere ad immagine dell’essere, o dell’immaginario dell’essere quale ontologia immaginaria o ontoepistemica immaginaria, aldilà del vuoto ontologico. È il dis-oblio della destinanza dell’essere poetante che disvela, contempla e com-prende la physis poetante, la libertà poetante, la mitopoiesis poetante, il sublyme poetante della verità poetante o della aletheia poetante, l’ontomorfia poetante, pensiero poetante dell’essere-sublyme quale intermittenza dell’essere e mai più intermittenza del nulla. In origine la dismittenza-intermittenza dell’essere si dis-oblia quale intermittenza del vuoto, della radura vuota, sgombrata, della diradanza che si increspa da sé e che si dà, si getta quale intermittenza dell’esserci o dismittenza-intermittenza del musagete-dismusagete o ex-stasi ontologica o estasi ontoepistemica che com-prende la risonanza delle muse-dismuse, anche quando gli dei sono in fuga-disfuga dalla physis e dall’aldilà, dalla spazialità e dall’ontocronia....... si disvela così l’essere in estasi dell’essere, quale ontologia dell’estasi dell’essere-sublime dell’estasi-sublime-dell’essere. È l’eventuarsi dal nulla, dalla radura vuota e libera, dalla diradanza della disgettanza estatica sub-lime dell’essere-sublyme-dell’essere-ad-imagine-dell’essere: ontomorfia che si decripta dopo essere stata kriptata nel nulla, nel niente, nel non-ente, nelle entità, nelle superentità ontoteologiche. Fin allora l’essere fu assentemente presente quale niente o quale nulla ove abita l’essere kriptato, il nulla quale esserci kriptato, il nulla quale evento kriptato dell’essere. Il dis-oblio dell’essere-sublyme o si crea quale evento imaginario della dismittenza-intermittente dell’estasi dell’essere-in-essere, singolarità imaginaria dell’ontogenesi ontomorfica dell’ontikona. L’essere che è sempre e c’è sempre e mai diviene o s-viene o dis-viene o interviene o previene o conviene o avviene o perviene, si dà, si getta, si dis-abissa, si dis-oblia, quale sublymanza messa in essere nel sublyme in risonanza dell’essere-in-estasi-immaginaria........il sublyme è l’estasi ex-statica dell’essere imaginario, dell’essere poetante che contempla l’estasi dell’essere e com-prende l’ikona del dis-oblio, della de-criptanza dell’essere, della decostruzione del nulla, del niente-oblio, dell’entità ontica, delle superentità ontoteologiche: lì ove l’essere si kripta lì si dekripta, lì ove la verità dell’essere si è kriptata, lì si decripta quale essere-in-verità o essere-la-verità-dell’essere-sublyme, o essere-la-disvelatezza-dell’essere-sublyme-che-si-dà, quale sublymanza creata dall’essere che eventua la verità dell’essere come essere-sublyme. Nel creare-il-sublyme l’essere libera dalle entità-tecnè l’ikona della disvelatezza dell’aletheia della physis-in-essere prima d’essere criptata nell’ente o nel non-ente, o nel niente o nel nulla o nell’epistemica mondana. L’essere-portato-alla-luce nell’essere-creato-dall’essere è la dismittenza della verità-portata-alla-luce o aletheia decriptata quale ontikona dell’essere che si getta dinanzi a sé, si dà quale estasi dell’essere-sublyme. Il lasciar essere il sublyme è il lasciar essere-in-essere la verità dell’essere, la disvelatezza della physis, l’alethaia che ci com-prende e ci fa com-prendere quale ontoepistemica della destinanza dell’essere-sublyme. .. .....la platonica ikona della temporalità quale ikona dinamica dell’eternità o ikona ontodinamica dell’apeiron o ikona ontodinamica del dis-apeiron, del dis-infinito, della dis-gestell dell’essere sublyme. Lì l’ontodinamica ikonica dell’essere -infinito si discopre quale imago ontodinamica dell’essere sublyme o quale imagine ontodinamica dell’apeiron del pensiero primigenio sottratto alla mitopoiesis. Ma in origine l’ikona ontodinamica ontokronica si svela senza differenza ontologica quale sublymanza dalla mitopoiesis del l’apeiron dis-infinita, ove l’ikona del kairos si confonde con l’imagine della kronotopia infinita. Solo l’epistemica e l’ermeneutica creano la fissione nella kronotopia, giammai l’essere-sublyme dell’esserci quale musagete che sottrae all’eternità divine delle mitiche muse l’ikona dell’ontodinamica kronotopica. La frattalità del’ikona ontodinamica della temporalità platonica differenzia ontologicamente l’epistemica e l’ermeneutica dall’ontopoietica dell’essere-sublime dall’esserci del musagete, ma in origine ci fu una onto-topia della gestell ove si eventuò l’epistemica e l’ermeneutica ontologica mai scomparsa nei dispiegamenti storici dell’essere-sublyme, anzi lì curata e custodita dalle incursioni della volontà di potenza imperativa dell’epistemica ontologica. Quella presenza incompente impera e sottrae nel corso del tempo l’ontopoietica epistemica dell’ontodinamica onto-poietica per attuare la morfogenesi della tecnica o dell’artigianato o del saper-fare mondano e klonante. O sottrae all’ikona dell’essere-sublymanza-dell’infinito l’ontodinamica cronologica della frattalità temporale. Solo così l’epistemica e l’ermeneutica si dispiegano quali immagini della storia della mondità , ma quell’evento inaugura l’oblio dell’essere-sublymità-dall’essere quale sublymanza dell’essere per essere solo sublime della tecnè, prima, e della tecnica artigiana poi, ove l’ontodinamica infinita dell’ikona si è dissipata, dissolta, dis-obliata: è l’oblio dell’essere-sublymanza dall’essere sublyme che si dà quale fondatezza della tecnè epistemica e tuttora, nel presente impera per sottrarre tutta l’ontologia epistemica possibile dalla ontopoiesis dell’essere. Solo che nel corso del tempo l’essere-sublimità dall’essere non scompare totalmente, ma per fortuna si dis-oblia: si oblia nella tecnè epistemica per eventuarsi solo nell’ontologia-epistemica-ermeneutica dell’essere-sublimità dall’essere. È il dis-oblio della dis-verità o dell’a dis-aletheia che si dis-annichilisce, che si sottrae dal nichilismo della tecnica-epistemica per dis-gettarsi ancora quale dis-mittenza intermittente della messa in sublymanza della verità ontologica dell’essere-sublime dell’essere. Quella dis-mittenza ama nascondersi nell’essere-sublymanza quale sublymità per sottrarre l’aletheia dall’oblio imperante della tecnè-epistemica clonante e per disvelare la dis-abissalità dell’essere-sublymanza dall’essere ikona ontodinamica dell’ontokronotopia dis-infinita. Per sempre l’essere-sublymanza in ekstasy dis-vuota, disgombra, dis-oblia , disattua, dis-opera, dismette, dis-aleggia , disvela l’ikona dell’essere dall’immagine della tecnè imperativa influente, per disgettarsi quale dis-gegenstand dis-grund, quale fondale intermittente della dis-mittenza dell’essere ikona del sublime in dis-sublymanza. È lì che la destinanza dell’essere-sublymanza in dis-sublymità si disoblia per disgettarsi quale dis-mittenza dell’essere dis-sublymanza della disaletheia dell’epistemica-ontologica aldilà dell’oblio imperante della tecnè-epistemè e non solo nell’estetica classica o nel sublime metafisico o nella surrealtà informale armonica o disarmonica o dissimmetrica, ma anche nell’epistemica ontologica della physis e della matesis quale disoblio della disgettanza della physis dell’essere. Qui si eventua una nuova differenza all’interno della stessa ontologia dell’essere, forse epigenica nella messa in sublymanza del dis-sublyme dell’essere-dis-sublimità ekstatika, instabilità dis-sublimante, ma dispiegante la sua gestell anche nella tecnè epistemica o ermeneutica: oltre alla classica sublymanza ekstatica della verità o aletheia , nell’essere-sulyme si dà , si getta, si eventua la sublymanza ekstatika del dis-sublyme della verità dell’essere, dell’aletheia dell’essere quale struttura ontologica della sublymanza della radura, del kairos, poiesis, ontopoiesis, ikona, imagine, imago, kaosmos e della loro destinanza. Anzi la sublymanza ekstatika della verità getta le fondamenta della dis-sublymanza della destinanza dell’essere quale sentiero ininterrotto dell’essere che dis-sublima la gestell e la gegenstand, ma anche la physis del grund e dell’abgrund. Per l’epistemica classica o anche per l’ermeneutica quella destinanza appare come se fosse un non-evento, ma può essere un dis-evento, un evento che non c’è ma che creò l’evento dell’essere che si dis-oblia anche nell’assenza dell’epistemica quale dis-epistemè, giacchè dis-abissa l’essere dall’essere in essere per essere destinanza dell’essere che crea la physis o la dis-eventua dal dis-nulla o dal dis-niente. Quell’evento è dis-epistemico solo perché si dis-abissa aldilà dell’epistemica della tecnè o dell’esserci o del musagete giacché si dis-oblia sempre quale dis-ontica o dis-onteologica, ma anche quale dis-mito o dis-arte o dis-sublime, quale perenne dis-sublymanza ekstatika del sublime o meglio quando la sublymanza si dà alla contemplazione epistemica l’essere si dis-eventua quale dis-mittenza per non soccombere al nichilismo clonante cronologico. L’essere-sublime si dis-istalla proprio quando si eventua giacchè si sottrae all’ontocronia del dicibile epistemico o ermeneutico o ontico o ontoteologico o onto-poietico: si dà alla physis quale dis-physis o meglio quale sublymanza non più della physis, e perciò appare inaudito, misterico, indicibile: l’essere del sublime si dis-dice, disvela la sua dis-verità, dis-abissa la dis-aletheia, dis-oblia la destinanza nella dis-radura nel dis-vuoto nel dis-nulla….. quell‘enigma trova una sua vivenza nell‘essere-per-la-morte del sublime…. O essere-per-la-sublymanza-della-morte o essere per la dis-morte della dis-sublymità o essere per la dis-sublymanza della dismorte quale morte del nulla o dismorte del disnulla. In quella essenza dell‘essere si eventua l‘ontologia del sublime o la sua epigenesi E lì si svela anche l‘ontologia della poiesis o dell’ontopoiesis o della non-poesia quale epigenesi della tecnè-epistemica. Per tale destinanza l‘ontologia dell‘ikona dell‘essere nel mondo pare possa essere fondata sulla dis-gestell del non-essere o dall‘essere solo per la morte o dal nulla o dal disnulla quale dis-sublime della dis-poiesis ossia della poiesis della dismorte della dis-sublymanza: quale sublymanza ekstatika che si eventui dal dis-musagete che canta o compone il dis-mito delle dis-muse. Quell’ermeneutica eventua la destinanza ontologica della dis-ontica o dis-metafisica o dis-trascendenza o dis-ontologia dell‘immagine dell‘essere-nel-mondo, e quella dis-destinanza pare si possa fondare sull‘essere-nihilista o sul dis-essere dis-nihilista. Può l‘essere fondarsi sull‘anti-essere o sul dis-essere-nel-dis-mondo, E la sublymanza fondarsi sulla non sublymità o la dis-sublymanza o la poiesis sull‘a-poiesis o sulla dispoiesis o sul disnulla o sul disniente o sulla dismorte della dis-sublymità o sul dis-gestell o dis-grund o dis-radura o dis-lichtung, può l‘essere essere fondato dall‘anti-essere o dal dis-essere o dis-dasein o dis-esserci o dis-interesserci o dal dis-interessere o dalla dis-verità o dalla dis-aletheia o dall‘essere-abissale o dall‘essere-nell‘abisso, abgrund che getta le fondamente e si getta quale fondatezza dell‘essere o della sublymanza o della sublimità d‘essere l‘ikona dell‘essere-nella-mondità o della dis-sublymanza della disikona o della dis-imago o della dis-imagine, nel cosmo, nel discosmo, nel caos, nel discaos, nel kaosmos, nel dis-kaosmos? Forse un dis-mito ci può salvare, o un dis-dio che dis-viene quale sublymanza ekstatika gettata dell’essere del dis-nulla. E‘ solo l‘essere a gettare le fondamenta della destinanza o della dis-destinanza dell‘esserci o la salvezza della disdestinanza del disesserci o disdasein trova l‘epigenesi nel mito o nel dismito ontoteologico-disontoteologico della bellezza-dis-bellezza simmetrica-disimmetrica quale misura che salverà la mondità dell‘esserci-disesserci-disdasein. L‘essere è gettato nel suo essere per la morte o per la dismorte del sublime o della dis-sublyme: l‘essere-per-il-sublyme-dis-sublyme può salvare la-sublymanza-dis-sublyme nel suo declino verso l‘essere per la sua morte-dismorte, o simmetria-disimmetria o mito-dismito o bellezza-disbellezza. Solo così l‘essere ci può salvare, Ci salverà, dalle crisi della storia o dal mito riemergente dell‘antilogos o dall‘angoscia per la morte del sublyme o della sublymanza per la morte o dell‘essere per la morte, o dal disesserci per la dismorte, O ci salverà dall‘essere-nella-temporalità-della-morte-dismorte o del disnulla-disniente. Ah il tempo quale ikona-disicona, imago-disimago della dis-ontodinamica dell‘essere che si disvela al mondo-dismondo nella spazialità-dispaziale immaginaria-disimmaginaria del-sublyme-dis-sublyme. Sublymanza immaginaria o immagine-disimmagine del sublime quale ikona-disicona immaginaria dell‘essere mondità-dismondità che salverà l‘esserci-disesserci-disdasein solo se l‘essere salverà il sublyme quale ikona immaginaria-disimmaginaria dell‘essere o dell‘esserci-disesserci o disinteresserci o disinteressere…….essere per la salvezza dell‘essere significa essere per la salvezza del-sublyme-dis-sublyme. Il dio-disdio che non muore mai ma che dismuore sempre perché disviene nella dis-sublymanza ekstatika del dis-sublime del dismusagete del dismito delle dismuse non fugge mai, giacchè disfugge, o meglio è sempre in fuga dall’essere-disessere per essere evento-disevento della mondità-dismondità, e mai tramonta dopo il tramonto del mondo-occidente giacchè è sempre al tramonto quale mito-dismito dell’essere che non c’è mai più, ma che è sempre di fronte quale fondale gegenstand-disgegenstand: la-sublymanza-dis-sublyme salverà l’essere o l’esserci-disesserci-disdasein così come salvò il mito-dismito delle muse-dismuse degli dei-disdei in fuga-disfuga: Solo il mito-dismito del-sublyme-dis-sublyme può salvare il mito delle muse-dismuse della poiesis-dipoiesis o dell’autopoiesis-ontopoiesis, è la salvezza del musagete-dismusagete, quale essere-divinità-disdivinità o esserci-disesserci-disdasein che si dà al sublime e dà al sublyme la fondatezza del mito-dismito. l’essere-musagete-dismusagete-disdasein che si dà alla sublymanza ekstatika del gettare-disgettare l’ikona-disikona-dell’essere-nel-mondo-dismondo: disvela l’immagine-disimmagine della mondanità-dismondanità quale ontologia dello spazio-dispazio-tempo-distempo immaginario-disimmaginario da abitare-disabitare poeticamente quale ontopoiesis-disontopoiesis, ed essere la creazione del sublyme dell’essere…….. il sentiero-disentiero ininterrotto-disinterrotto dell’ontologia poetante-dispoetante del sublyme quale disvelatezza dell’ontopoiesis-disontopoiesis oltrechè dell’autopoiesis-disautopoiesis si eventuò-diseventuò nell’intermittenza-dismittenza del pensiero poetante dell’essere-musagete-dismusagete o nel pensiero-poetante-pensante quale ikona-disikona della gettanza-disgettanza dell’essere. Dopo un millenario oblio nella radura-disradura ove si eventuò-dieventuò l’inter-essere-disinteressere poetante dell’’essere-musagete-dismusagete la sua erranza-diserranza nel sublyme è giunta-disgiunta nel tempo-distempo della sua sublime-disublime metastabilità-distabilità nella struttura-distruttura ontologica dell’ontopoiesis-disontopoiesis. L’evento-disevento sarà lì nella pregnanza della radura-disradura quale ikona-disikona dell’essere-musagete-dismusagete che si dà-disdà alla luce e che dà-disdà luce al sentiero-disentiero topologico-distopologico dell’essere immaginario-disimmaginario cosmico-discosmico. Quale radura-disradura vuota-disvuota e libera, sgombrata-disgombrata dalle scorie temporali e spirituali, si disvelerà sia nella tecnè-distecnè dell’autopoiesis-disautopoiesis, sia nella epistemè-disepistemè o nell‘ontologia epistemica-disepistemica, L’essere-musagete-dismusagete fonda-disfonda e dà-disdà senso-disenso alla sublymanza, quale sublime-disublime estasi-disestasi del pensiero-poetante-pensante della topologia-distopologia fluttuante-disfluttuante dell’interessere-disinteressere…… l’oblio-disoblio si dis-oblia mentre intraprende-disintraprende il sentiero-disentiero interrotto-ininterrotto e ascolta-disascolta la visione-disvisione dell’ikona-disikona che parla-disparla tra gli interstizi dell’intermittenza-dismittenza dell’essere-poetante-dispoetante. Il sentiero-disentiero, il meta-odos-dis-odos-dismetaodos, che ha condotto l’essere-musagete-dismusagete verso la radura-disradura ama-disama kriptarsi-diskriptarsi nella sublymanza. È chiaro che l’evento-disevento dell’essere sublyme disvleli la verità-disverità del paradigma-disparadigma dell’epistemica-disepistemica. Può esserci-disesserci una ontologia epistemica-disepistemica che eventui paradigmi-disparadigmi della verità-disverità? Nell’evento del sublyme il musagete-dismusagete evoca le dismuse del dismito degli dei-disdei, l’epistemè ha annichilito l’influenza dell’atetheia-disaletheia mitopoietica-dismitopoietica con intenzionalità assolute, totali, fondamentali, perciò la verità disepistemica può apparire stravagante. Ma una più attenta riflessione inerente l’ontologia degli eventi della physis-disphysis disvela l’indeterminatezza dei paradigmi-disparadigmi nelle dimensioni infinitesime prossime al vuoto quanta……….. qui però si vorrà disvelare l’ontologia dis-epistemica del sublyme prima dell’evento della tecnè-epistemica e dell’evento-disevento della post-tecnè-disepistemica. Già aleggia nell’ontologia del presente l’evento-disevento della post-tecnica-disepistemè emergente dall’ontologia della matesis-distatesis dei modelli della physis-disphysis supersimmetrica-disimmetrica, ma nel sublyme il dis-evento-disepistemico si svela da sempre quale disaletheia della disphysis contemplata dal dismusagete dismitopoietico che non trema di fronte alla fuga degli dei-disdei. Il dismusagete non si sente abbandonato dalla fuga degli dei perché la disverità ontologica disepistemica si discopre quale disgegenstand, quale dis-fondale della radura-disradura ove si possa abitare-disabitare poeticamente senza la salvezza degli dei fuggitivi, ma con la cura delle muse-dismuse assentemente sempre presenti. Sarà la-sublymità-disepistemica ad eventuare una nuova meta-epistemica o meglio a disvelare l’onto-evento del sublime o l’autoevento ekstatiko del sublime quale ontoeventy dell’essere-sublyme?eventua alla presenza ontoepistemica del musagete-dismusagete in estatica con-templatezza della ontorisonanza-ontoprevisione delle muse-dismuse-attanziali e seducenti, anzi ontoattanti e introducenti l’ontoducenza della destinanza dell’essere-sublyme-dell’essere e giammai sublime dell’ente o del non-ente o del niente o del nulla: giacchè lì si eventua l’ontovisione dell’essere, la visione ontologica dell’essere-sublyme, la risonanza ontologica dell’aletheia dell’essere compresa solo dall’ontorisonanza del musagete mitico-dismitico-ontopoietico. L’epistemica o l’ontica o l’ontoteologia negano l’evidenza di quella comprensione, negano l’esistenza dell’ontovisione e ontosonanza dell’essere, giacchè per loro l’unica visione possibile è quella della mondità: la visione della mondanità è la sola realtà plausibile, anche nella visione clonante dei mondi possibili virtuali o immaginari: esiste per loro l’unica visione del mondo senza l’essere, senza essere o esserci alterità, ma la messa-dismessa in sublymanza della verità nell’essere-sublyme ci svela l’esistenza della visione dell’essere, dell’interesserci, dell’interessere-disinteressere. La visione della mondità vuota giacchè gli dei sono fuggiti è una visione della vivenza dis-ontoteologica e perciò onto-visione dell’esserci del musagete in ontosonanza con le muse-dismuse senza più dei-disdei fuggenti-disfuggenti. Ma gli dei-disdei fuggitivi-disfuggitivi non portano con sé la verità dell’essere o il canto dell’essere o l’ikona dell’essere o la poiesis dell’essere o il mito dell’essere o la gestell dell’essere, anzi quelle varietà dell’essere si sottraggono, non fuggono insieme agli dei, ma soggiornano poeticamente con le muse-dismuse in ontosonanza con la vivenza del musagete-dismusagete che cura la verità dell’essere giammai fuggita attraverso l’onto-visione dell’essere opera d’arte mai fuggita con gli dei, ma che continua ad abitare poeticamente la radura-disradura dell’essere. Gli dei sono fuggiti dal mondo, dalla verità, dal mito, dall’epistemè, dall’esserci, dalle ikone, giammai sono fuggenti dall’essere, giacchè l’essere è indifferente di fronte all’evento della fuga-disfuga degli dei-disdei e non si lascia influenzare dalla loro fuga, infatti gli dei non sono fuggiti e mai possono fuggire dall’essere. Anzi l’essere non fugge mai dal mondo e men che mai dal mondo degli dei o dagli stessi dei-disdei, giacchè l’essere fonda il mondo e la mondità degli dei in fuga-disfuga. Tant’è che con la sua ontovisione-ontosonanza-ontopoetante imaginaria si dà e dà alla luce o si dà e dà al mondo gli dei classici o mitici o ontoteologici o eventuali o morti-risorti o immaginari, si dà e si lascia fuggire gli dei mitopoietici o si lascia sfuggire gli dei-disdei in fuga-disfuga, ma mette in sublymanza, dismette, crea l’attanza intermittente della sublymità dell’essere sublyme della creatività dell’essere-sacro, dell’essere-divino, dell’essere il dio-infuga-disfuga dal mondo e dal mito e dalla verità epistemica-disepistemica. L’essere si getta, si dà, disgetta nella mondità il sublyme dell’ontorisonanza-ontovisione-ontopoetante-ontoimaginaria che crea l’ontologia mitopoietica dell’evento post-mortem del divino, dell’evento del dio-che-viene-dal-nulla, dell’eterno ritorno degli dei fuggenti-disfuggenti, qui s’eventua l’ikonopoiesis o l’ikonopoietica dell’essere che si dà quale essere-del-sacro, essere-del-divino, essere-della-mitopoiesis degli dei-disdei in fuga-disfuga nel loro eterno ritorno nella sublymità del musagete-dismusagete. È la dis-apparenza dell’apparenza, il venire alla luce dell’essere che non c’era più, o che si kriptò nel sublyme, per esserci aldilà dell’apparenza epistemica, quale dis-apparenza ontologica dell’ikonapoiesis dell’essere nella sua qualità d’essere sublyme che consente l’ontovisione dell’essere. Gli dei-disdei fuggenti-disfuggenti o fuggitivi-disfuggitivi sono fuggiti dalla mondità e forse anche dalla mondanità, ma mai sono fuggiti-fuggenti dall’essere, giacchè l’essere non si lascia sfuggire gli dei e gli dei non possono fuggire dal loro essere e forse neanche dal loro esserci: l’essere non fugge né dagli dei, né dalla mondità sacra degli dei, né dalla physis degli dei, né dalla gestell o gegenstand divina, né dalla comprensione epistemica o ermeneutica o mitopoietica o epistemologica degli dei fuggenti-fuggitivi-abbandonanti l’esserci del musagete. Anzi è l’essere che fonda e getta il mondo-degli-dei-disdei, si dà per dare alla luce l’ikonapoiesis trascendente l’ikonoclastia dell’apparenza divina fuggente-disfuggente, lascia fuggire gli dei classici o mitopoietici o gli idola bruciati dall’ikonoclastia mondana per dismettere, mettere in sublymanza il sublyme della creatività dell’essere in essere ikonapoiesis, il sublyme dell’incessante creazione degli dei quale sublymità dell’essere che getta nella mondità la sublymanza dell’onto-risonanza della dis-apparenza poetante imaginaria, la quale sempre crea-discrea l’ikonapoiesis-post-ikonoclastia della re-esistenza, re-surrezione, eventuale degli dei che vengono dal nulla, dell’eterno ritorno degli dei-disdei fuggenti-fuggitivi. È l’ikonapoiesis-post-ikonoclasta che si dà quale essere-sublyme-del-sacro-essere, dell’essere-divino-essere, della mitopoiesis della dis-apparenza-post-apparenza degli dei-disdei-post-ikonoclastia-ikonopoitica del sublyme che si disvela quale ontovisione della verità dell’essere-sublymanza-sacra. Gli dei hanno abbandonato l’apparenza mondana per abitare divinamente il mito post-ikonoclasta per essere solo mitopoiesis archeologica, ma non hanno più soggiornato nella radura-diradanza dell’essere: lì nell’abisso-disabisso della spazialità vuota ove l’essere si eventua per abitare la mondità non c’è la presenza-assenza, né l’apparenza-dis-apparenza degli dei-disdei fuggenti-fuggitivi, ma solo l’ontopoiesis o ikonapoiesis-post-ikonoclasta dell’ontosonanza-ontovisiva dell’essere. Per tali eventi l’essere non si sente abbandonato, non avverte l’apparenza-dis-apparenza dell’abbandono, anzi si lascia o lascia che dei abbandonino la mondità per rifugiarsi nel mito-post-ikonoclasta, né l’essere si rivela soccombente dinnanzi alla furia catastrofica e decostruente dell’ikonoclastia mitica dell’apparenza dell’ente-sacro, anzi è indifferente di fronte agli eventi del nihilismo-ikonoclasta attuato dalla tecnè-epistemica-mitoklastica, giacchè la sua ikonopoiesis-post-iconoclasta si dà, si eventua sulle ceneri degli eventi-ikonoclasti-mitoclasti delle entità-sacre-mondane o della mondanità. L’essere ikonapoiesis-post-ikonoclastia della mitopoiesis-post-iconoclasta si eventua anche quando gli dei sono scomparsi, o la loro apparenza è dis-apparenza, o sono fuggiti-disfuggiti dinnanzi alla volontà di potenza iconoclasta o mitoclasta della tecnica ontoteologica, o la loro fuga-disfuga sia approdata nel regno del mito per sottrarsi alla furia decostruttrice dell’iconoclastia o mitoclastia dell’epistemè-tecnè, anche dopo tutti quei possibili e plausibili eventi ed anche quando l’essenza del sacro e del divino si presenti nell’apparenza-dis-apparenza dell’eterno ritorno dell’ikonoclastia o della mitoclastia, anche allora l’essere si dis-oblia con indifferenza nella ikonapoiesis-post-iconoclastia, nell’ontosonanza dell’onto-apparenza-dis-apparenza, nell’ontovisione delle muse-dismuse dell’essere e dell’interessere, della mitopoiesis-post-mitoklastia per soggiornare quale essere-sublyme del musagete-dismusagete e per eventuarsi quale verità ikonopoietica-post-iconoclasta dell’essere, quale aletheia-disaletheia dell’ikonapoiesis-post-iconoclasta della sublymanza dell’essere-sublyme o della dismessa ikonopoietica-post-ikonoclastica della sublymità dell’essere. Per tali e tanti eventi ontologici o per tale destinanza-post-mito-iconoclasta anche quando la sublymità è abbandonata dagli dei-disdei in fuga-disfuga per apparenza-destinanza iconoclasta o mitoclasta o ontoteologica o epistemica, l’essere non si cura o è indifferente o cura la sua passione per l’indifferenza per quella fuga-disfuga e quindi mai abbandona la verità ontologica del sublyme, giacchè la sua ikonapoiesis-post-iconoclasta non è mai scalfita dal nihilismo dell’iconoclastia-mitoclastia epistemica della tecnè dell’apparenza ontica e mondana. Anche quando la sublymanza viene decostruita dalla tecnica-epistemica-ikonoclasta-mitoclasta la sua ikonapoiesis si eventua nell’erranza dell’ontosonanza e nell’ontovisione ematopoietica dell’ontopoiesis o imagopoiesis dell’aletheiapoiesis: giacchè è l’ikonapoiesis dell’aletheiapoiesis della mitopoiesis che si eventua nella gestell del sublyme, anche quando gli dei-disdei ontoteologici sono fuggiti-disfuggiti e la sublymanza fu ed è stata preda dell’ikonoclastia e mitoclastia della tecnica-epistemica ontica e mondana. Anzi proprio quando impera nel sublime e nella pro-gettualità la tecnè-epistemica-virtuale-ikonoclasta sopratutti allora si dà, c’è, ilya, l’eterno ritorno dell’aletheiapoiesis nella sua ontosonanza-ontovisiva-ontoprogettuale-post-ikonklasta del musagete-postmitoklasta contemplante l’ikonopoiesis delle muse-dismuse-postmuseklaste ontopoietiche-postmitoklaste e mitopoietiche-postikonoklaste. L’ikonapoiesis dell’aletheiapoiesis è quella che resta-invisible, disapparenza-della-apparenza, è l’esserci-mai-visto, mai-visibile, mai-udibile, mai-dicibile di fronte alla furia nihilista dell’ikonoclastia e mitoclastia evidente dopo la fuga ontoteologica degli dei-disdei o dinnanzi all’imperativo della volontà di potenza della tecnè-epistemica-iconoclasta-mitoclasta: lì nell’epoca della sua morte irreversibile c’è il suo eterno ritorno, lì ove si celebra la sua assenza ontoteologica c’è la sua presenza ontologica-postepistemica-post-tecnè. L’ontologia della verità del sublyme .................................... lì si eventua, lì nella prossimità-disallontanante o nella disallontananza-prossimante, lì nel vuoto kaos-kosmico lasciato in eredità dagli dei fuggitivi-fuggenti, lì nella radura-diradanza si dà quale gestell-postikonoklasta-che-resta-invisibile-inaudita-indicibile, mai-vista, mai-sentita, mai-detta, ontovisione mai-visibile allo sguardo paradigmatico ontoteologico ed epistemico, ontosonanza mai prima d’allora risuonante che si discopre solo alla presenza della con-temperanza del musagete-postmitoklasta e postikonoklasta-ontopoietico dell’aletheiapoiesis ikonopoietica delle muse-postmuse. L’ikonapoiesis custodisce l’enigma del sublyme, cura e krypta l’indicibile.................. del sublyme, svela alla mondità e all’esserci l’evento dell’essere-sublyme del musagete-sempre-postepistemico-postikonoclasta-postmitoclasta-postmuse che getta e progetta l’aldilà in con-temperanza dell’ontovisione delle muse-dismuse-postmuse-dell’essere, dell’interesserci-postinteresserci, dell’interessere-postinteressere: o con più pregnanza all’essere-che-resta-invisibile o all’essere-che-resta-inaudito o all’essere-che-resta-indicibile o che fin allora era-invisibile, era-inaudito, era-indicibile, e che si disveli lì ed aldilà in essere che si eventui nell’ontosonanza e ontovisione dell’ontikona o nell’ikonapoiesis o nell’imagopoetante dell’essere musa delle post-muse-in-essere-sublyme............ Lì in quell’essere-per-la-fine dell’arte o con-figura-disfigura-postfigura delle configurazioni postikonoklaste o in quell’essere-per-la-fine-dell’essere che è ancora invisibile-inaudito-indicibile-abissale-kaosmico si disveli l’evento dell’essere per la fine della morte o dell’essere per la fine della morte-del-sublyme............quale ikonapoetante dell’essere per la vivenza dell’essere o dell’essere per la vivenza dell’essere-sublymanza-postikonoklasta-post-mitoklasta o dell’essere per la vivenza del sublyme post-muse o dell’essere per la vivenza della verità nella sublymanza dell’essere sublymità del musagete-postmitoklasta in contemplanza delle muse-dismuse-postmuse dell’essere. Lì si dà l’evento della com-prensione dell’essere quale ontoepistemica dell’essere-verità-del sublyme, lì si getta il pro-getto ontologico dell’ikonapoiesis-postikonoklasta-postmitoklasta dell’essere-sublyme-della-verità-dell’essere, dell’essere-sublyme-dell’aletheia-dell’essere, dell’essere-sublyme-della-disvelanza-dell’essere. È il pro-getto ontologico dell’essere che si eventui quando gli dei-disdei abbandonano la mondità e la mondanità e l’esserci e l’essere nel mondo per fuggire-disfuggire nel mito o nell’iconoclastia, lì nel medesimo istante l’essere abbandonato dagli dei abbandona gli dei alla loro destinanza ontopoietica per lasciare libertà d’essere alla disvelatezza dell’origine del sublyme, per essere solo sublymanza dell’essere e mai più solo sublyme contemplante gli dei in fuga-disfuga ontoteologici, iconoclasti, idola della mondanità. Lì l’essere abbandona gli dei ed è abbandonato dagli dei, ma in quella diradanza vuota, in quella radura-diradanza s’eventua il progetto ontologico dell’essere sublymanza dell’essere: il sublyme consente l’onto-visione e l’ontosonanza dell’essere, quale ontologia del sublyme dell’essere-che-mai-non-c’è, ma che c’è sempre e sempre ci sarà .....quale sublyme....maginario dell’Essere: quale Ontologia o Ontoepistemica Immaginaria. È il dis-oblio della Destinanza dell’Essere Poetante che disvela, contempla e com-prende la Physis, la Mitopoiesis, il sublyme della Verità-Aletheia poetanti, l’Ontomorfia Poetanti: il Pensiero Poetante dell’ “Essere-sublyme”, quale Intermittenza dell’Essere e mai più Intermittenza del Nulla. Ontologia dis-epistemica dell’ "Essere-sublyme" In origine, la dismittenza Intermittenza dell’Essere si disoblia quale Intermittenza del Vuoto, della Diradanza che si dà, si getta quale Intermittenza dell’Esserci o ex-stasi ontologica o estasi ontoepistemica che com-prende la Risonanza delle muse, anche quando gli dei sono in fuga dalla Physis, dalla spazialità e dall’Ontocronia. Si disvela così l’essere in estasi dell’essere, quale Ontologia dell’estasi dell’ “Essere-sublyme”. È l’eventuarsi dal Nulla, dalla Radura vuota e libera, dalla Diradanza della DisGettanza estatica sub-lime dell’“Essere-sublyme”-dall’essere-ad-imagine-dell’Essere, Ontomorfia che si decripta dopo essere stata criptato nel Nulla, nel Niente, nel Non-Ente, nelle Entità. Fin allora l’essere fu assentemente presente quale Niente o Nulla ove abita l’essere criptato, obliato: il Nulla quale esserci criptato, quale evento criptato dell’Essere. L’Essere che è sempre e mai interviene o previene si dà, si getta, si dis-abissa, si dis-oblia quale sublyme in Essere nel sublyme in Risonanza dell’Essere in-estasi-Immaginaria. La sublymanza è l’estasi ex-statica dell’Essere Imaginario e Poetante che com-prende l’Icona del dis-oblio, della de-criptanza dell’Essere, della decostruzione del Nulla, dell’Entità Ontica. Lì ove l’Essere si cripta, lì si decripta; lì ove la Verità dell’Essere si è criptata, lì si decripta quale Essere-la-verità-dell’Essere-sublyme, o Essere la disvelatezza dell’Essere-sublyme-che-si-dà quale sublymanza dall’Essere che eventua la Verità dell’Essere come Essere-del-sublyme. Nel sublyme, l’Essere libera, dalle Entità-Technè, l’Icona della Disvelatezza dell’Aletheia della Physis-in-essere, prima d’essere criptata nell’Ente o nel Non-Ente, o nel Niente o nel Nulla o nell’Epistemica Mondana. L’essere-portato-alla-luce nell’Essere-sublymanza-dall’Essere è la DisMittenza della Verità-portata-alla-luce o Aletheia decriptata quale Onticona dell’Essere che si getta dinanzi a sé, si dà quale estasi dell’Essere-sublyme. Il lasciar essere sublyme è il lasciar Essere-in-Essere la Verità dell’Essere, la Disvelatezza della Physis, l’Aletheia che ci com-prende e ci fa com-prendere quale Ontoepistemica della Destinanza dell’Essere. L’Essere-sublyme è l’accadere dell’Essere-Aletheia-disaletheia, com-prensibile solo con l’Ontoepistemè o l’Ontologia-Epistemica, giacchè l’Epistemè-Technè si è indirizzata verso l’adeguatezza dell’Ontica. L’ “Essere-sublyme” si Ad-Getta nella Mondità per risplendere di Risonanza Immaginaria e Poetante. Anzi l’Ontopoiesis, quale Pre-gettanza della verità o Pregettanza della Dis-mittenza dell’Aletheia si dà, o dà la libertà d’essere, ad una Gettanza, ad un Getto che eventui la prossimità, ma anche la lontananza dagli dei presenti o fuggitivi, per Dis-Gettarsi solo quale Ontologia dell’Essere che Pre-Getta l’Essere e Ad-Getta l’Essere nella Gettatezza del sublyme. L’Ontopoiesis progettante, Dis-Gettante, Pre-Gettante e Ad-Gettante sublyma la Risonanza del dicibile, ma Getta anche nella Mondità l’indicibile, la vuota Radura, la Lichtung sgombra ove l’Essere si possa Ad-Gettarsi, Pre-Gettarsi, Pro-Gettarsi, Dis-Gettarsi per fondare e intraprendere, la Destinanza del sublyme, ancora nascosta a sé, ma che già c’è quale Pre-Getto che fonda la Fondatezza dell’Essere-sublyme e che proviene dal Nulla, dal Non-Ente, dalla vuota Radura Pre-Gettata dall’Essere. Così il sublyme lascia che si origini la verità e l’Aletheia lascia che si origini il sublyme, solo così l’Essere-sublyme prepara lo spazio libero alla Comprensione ed all' Ontoepistemica dell’Essere, il Pensiero Poetante della Poiesis. Holderlin, nella sua Ontopoiesis, com-prese l’Ontoepistemè, quale pensiero che abita poeticamente lo spazio della Radura creata dalla Dismittenza del sublyme in prossimità e in lontananza degli dei in fuga. La Metafisica classica decretò la morte del sublime solo perché gli dei fuggirono da quella per dispiegare il sublime della morte degli dei e della loro Verità Ontoteologica. Nel presente è l’Epistemica-Technè che decreta la morte del sublyme, giacchè non più adeguata alla Verità Epistemica o Ermeneutica: la sua Aletheia si discopre sempre all’infinito o con una Destinanza, Morfogenesi ed Epigenesi infinite prossime alla Physis dell’Apeiron, prossime e in lontananza alla Ontologia della Physis, quale Messa-in-forma-in-morfia della Dismittenza del sublyme. La Messa-in-Morfia è una Dismessa-in-Morfia dell’Ontomorfia dell’Ontopoiesis Ontoepistemica quale Gestell-Morfia dell’Essere sublyme. Nel presente quella Gestell-Morfia si dà in Form-Attanza dell’ “Essere-sublyme”, nell’Epistemica Virtuale invece appare quale formattazione, ma è in origine la Morf-Attanza della Gestell-Morfia, della Struttura Ontologica della Icona-morfica dell’Essere-sublyme-che-si-dà quale Form-Attanza-della-Verità. C’è qui un’Isteresesi: l’attrazione della verità verso il sublyme e l’Attanza seducente dell’Essere-sublyme dell’Aletheia, per Pre-Gettarsi nella Morfattanza della Destinanza dell’Essere. È l’Evento della Gestell-Morfia quale Gestell-Attanza della Gestell-Icona dell’Essere che si dà quale senso della Dismittenza dell’ “Essere-sublyme”, che si dà alla luce o dà all’essere-la-luce o si dà quale Essere-nella-luce-dell’ “Essere-sublyme” dall’Essere. Il Pensiero Poetante si eventua sempre quale Ontoepistemica-Disepistemica, giacchè Dis-Getta sempre la Dis-Verità della Dis-Morfia dell’Essere Gestell-Morfia della Destinanza della Formattanza Templata del sublyme. Forse solo nell’Intermittenza dell’Essere-sublyme l’Ontologia Epistemica si eventua quale Ontoepistemica-Metaepistemica-Euepistemica dell’Essere e perciò com-prende l’Ontologia Meta-Ontoermeneutica dell’essere Dismittenza del sublyme. Mentre l’Epistemica-Technè discopre solo una Varietà della Verità, l’Ontoepistemica-disepistemica dell’“Essere-sublyme” dis-vela le Infinite Varietà Ontoermeneutiche-Disermeneutiche dell’Aletheia. È l’Essere che eventua la verità Ontoepistemica-Disepistemica quale sublymanza, Ontomittenza, della comprensione delle infinite Varietà dell’Aletheia Ontoermeneutica: il sublyme si com-prende e ci com-prende. Ma, nel com-prenderci, comprende sia l’Essere delle Entità Mondane Epistemiche della Technè, sia l’Esserci-Disdasein, l’Interesserci Disinteresserci, l’Interessere-Disinteressere. È l’Ontoepistemica-Disepistemica dell’Imagine-Disimagine-Imago-Disimago, dell’Icona che si discopre, giacchè l’Epistemè-Technè ha gettato l’oblio sulla loro Ontogenesi-Morfogenesi per lasciare affermare solo la comprensione della Volontà di Potenza Imperativa della figura della Gestalt, degli ideali epistemici, della Morfologia delle Entità Mondane. Quel che può essere più importante, sarà il disvelarsi dell’Essere-nella-Verità quale Essere-la-Verità per Essere per la Verità dell’ ”Essere sublyme” dell’Essere-in-Verità Ontoepistemica dell’Essere-nell’Epistemè quale Essere-per-l’Epistemè. L’Icona Ontodinamica dell’Essere può essere com-presa solo dall'ekstasy e dalla Dismittenza del sublyme. L’Ontoepistemica non si svelò mai nel Pensiero e nell'Ontologia classici,men che mai nell’Epistemologia Ermeneutica, giacchè si è sempre conservata criptata e custodita nell’Essere sublyme. Forse si è voluta sottrarre dalla Mondità dell’Esserci Technè-Epistemica per custodirsi quale Disgettanza dell’Ontoepistemè della Verità dell’Essere che consente la com-prensione e contemplazione del sublyme dell’Aletheia dell’Essere nell'ekstasy dell’Essere-sublyme. Solo con l’eventuarsi del Pensiero Poetante si consentì all’Ontoepistemica d’essere com-presa anche dall’Esserci-Pensante oltre che dal Musagete. Nella nuova epochè dell’Ontoepistemè, la com-prensione dell’Essere-sublyme è consentita proprio dalla sublymanza dell’Ontoepistemica nelle sublymità com-prese e contemplate dal Pensiero Poetante Pensante. Il dis-oblio dell’Ontoepistemica consente l’insorgere di una nuova Meta-Epistemè-Technè quale nuova Metafisica-Technè o in continuità con quella? Qui ed ora il disoblio dell’Ontoepistemè non ha ancora consentito nessuna Meta-Epistemologia-Ermeneutica giacchè la com-prensione dell’Essere sublyme non si lascia irretire nel fondamentalismo metafisico epistemologico ermeneutico, neanche dalla sua Immagine Mondana della MetaEpistemica. Forse la com-prensione dell’Essere dell’Ente potrà dispiegarsi anche nella possibile MetaEpistemè: qualora l’Onticona si sottragga dalla Mondità. È possibile che, in futuro, l’Esserci Pensante possa dispiegare la Meta-Epistemica quale trascendenza della Metafisica Ermeneutica Epistemologica. Nel corso della temporalità, la MetaEpistemica non si è mai disvelata o si è discoperta assentemente presente solo nell’Esserci Pensante del Pensiero Poetante quale com-prensione dell’Essere dell’Entità del sublyme gettato dai Musageti nella Metamorfosi Iconica della Dismittenza dell’Essere sublyme. È possibile che la MetaEpistemica consenta la sublymanza di un nuovo Meta-Paradigma Epistemico-Ermeneutico: quale comprensione dell’Esserci della Verità della messa in evidenza dell’Essere dell’Ente nella Mondità e Mondanità del sublyme. Si pensa alla nuova forma Ontodinamica dell’Ontoimagine, anche nella sua Essenza Frattale o infinitesima-infinita-asintotica prossima alla Quantica kronotopia planckyana. Forse da lì potrà sorgere una nuova Meta-Epistemica della Technè epocale, tale da consentire l’emergere di un Meta-Paradigma che discopra la com-prensione dell’Essere dell’Entità, aldilà della classica metafisica-ermeneutica-epistemica. Ma è un evento ancora ancorato nel Pensiero dell’Essere. Qui si disvelerà, invece, l’Ontoepistemica che c’è già, consentita dalla sublymanza della Verità-Disverità dell’Essere sublyme, la quale si dis-oblia solo nella Dis-Gettanza, Dis-Mittenza Intermittente dell’Essere-sublyme del Musagete. Anzi quella con-templanza-comprensiva è l’Ontoepistemica della Risonanza delle muse abbandonate dagli dei, ma sempre ritrovate dall’Ontologia Epistemica del Musagete. Né il Pensiero Classico, né l’Ontologia Classica heideggeriana hanno disvelato quell’oblio disoblio, né la Meta-Epistemologia Quantica o frattale,probabilmente egemone nel futuro sapere della Volontà di Potenza Imperativa, discoprirà o dispiegherà. Solo nell’Ontologia Poetante della Disgettanza Intermittente dell’”Essere-sublyme” si dis-oblierà la com-prensione dell’Essere sublyme quale Ontoepistemè della Mathesis e della Physis. Peraltro l’Ontoepistemica della Physis, quale com-prensione dell’Essere attraverso la Dismittenza del sublyme, è già presente. Cè già la MetaEpistemica dell’Ontocronia Imaginaria o la MetaEpistemica del Vuoto Quantico che dà alla luce la Cronotopia Immaginaria. Si è già oltre l’Epistemologia classica, grazie alla presenza del Meta-Paradigma della Physis Quantica del Vuoto Immaginario, Morfogenesi della Mathesis Negativa o Immaginaria, quale possibile MetaParadigma della MetaEpistemica futura. Però l’Ontoepistemica si dispiegherà solo quale com-prensione della Physis e della Mathesis Ontoparadigmatica, ma mai esisterà un Paradigma Ontologico per disvelare l’Essere sublyme. Giammai un Ontoparadigma potrà irretire il libero dispiegarsi del dis-oblio del sublyme della Verità-Disverità nell’Essere sublyme. Infatti l’Ontologia del sublyme, della Dismittenza del sublyme è sempre Dis-Epistemica: il Musagete comprende poeticamente Dis-Epistemicamente; giammai cerca di affermare o imporre imperativamente un MetaParadigma per la comprensione della Physis e della Mathesis. L’Ontoepistemica si disvelerà probabilmente nella com-prensione della Radura-Ontopologica: quale Ontologia dell’Essere disgombra dalla Technè-Epistemica, e libera per accogliere l’Evento della Dismittenza dell’Essere. C’è un’Ontosonanza e un’Ontovisione che si eventua alla presenza Ontoepistemica del Musagete. L’Ontovisione dell’Essere è la Visione Ontologica dell’Essere-sublyme, la Risonanza Ontologica dell’Aletheia dell’essere compresa solo dall’Ontorisonanza del Musagete. Gli dei fuggitivi non portano con sé la Verità dell’Essere o il canto dell’Essere o la Poiesis dell’Essere o il mito o la Gestell dell’Essere, anzi quelle Varietà dell’Essere si sottraggono e soggiornano poeticamente con le muse in Ontosonanza con la vivenza del Musagete. Il Musagete cura la Verità dell’Essere attraverso l’Ontovisione dell’Essere sublyme, mai fuggita con gli dei e che continua ad abitare poeticamente la Radura dell’Essere. Gli dei sono fuggiti dal mondo, dalla Verità, dall’Epistemè, dall’Esserci, giammai sono fuggenti dall’Essere, giacchè l’Essere è indifferente di fronte alla fuga degli dei. L’Essere non fugge mai dal mondo e men che mai dal mondo degli dei o dagli stessi dei, giacchè l’Essere fonda il Mondo e la Mondità degli dei in fuga. Tant’è che con la sua Ontovisione-Ontosonanza-Ontopoetante Imaginaria si dà e dà alla luce o si dà e dà al mondo gli dei classici o mitici o ontoteologici o immaginari. Ancora: getta in n estasy, Dismette, crea l’Attanza Intermittente dell’Essere sublyme della creatività,dell’essere il dio-in fuga dal mondo e dal mito e dalla Verità Epistemica-Disepistemica. L’Essere si getta, si dà,nella Mondità sublyme dell’Ontorisonanza Ontovisione-Ontopoetante-Ontoimaginaria che eventua l'autoevento o l'ontoevento dell’Ontologia Mitopoietica dell’evento del dio-che-viene-dal-nulla, dell’eterno ritorno degli dei fuggenti. Qui s’eventua l’Iconapoiesis o l’Iconapoietica dell’essere che si dà quale Essere della Mitopoiesis degli dei in fuga, nel loro eterno ritorno nel sublyme del Musagete. Ma la sublymità della verità nell’Essere-sublyme ci svela l’esistenza della visione dell’Essere, dell’Interesserci-Interessere. L’Epistemica o l’Ontica o l’Ontoteologia negano l’evidenza di quella comprensione, negano l’esistenza dell’Ontovisione e Ontosonanza dell’Essere, giacchè per loro l’unica visione possibile è quella della Mondità: sola realtà plausibile,anche nella visione clonante dei mondi possibili virtuali o immaginari: esiste per loro l’unica visione del mondo senza l’Essere, senza Essere o Esserci Alterità o autoeventi o mitoeventi o ontoeventi...... . ..Comment évaluer musicalement les théories mathématiques de la musique ? L’exemple de la théorie de Mazzola Séminaire Musique et Mathématiques (Ens, 16 avril 2005) François Nicolas Résumé On rappellera qu’une certaine mathématique joue un rôle nécessaire dans l’intellectualité musicale. On distinguera à ce titre deux affinités électives (partages d’écriture et de souci logique) et une raisonance privilégiée (le musicien est à l’école de la mathématique en matière de théorisation) parmi les différentes manières musiciennes de se mettre à l’écoute de la mathématique. On interrogera alors la situation singulière où le musicien est confronté à des théories mathématiques de la musique : comment évaluer musicalement de telles théories, en particulier ces théories mathématiques qui formalisent des théories musiciennes « naïves » ? Même si le musicien, contrairement au mathématicien, soutient que théories musiciennes et mathématiques ne commutent pas, une théorie mathématique de la musique peut stimuler le musicien, entre autres par des extensions humoristiques et des intensions ironiques. On examinera sous cesdifférents angles la théorie mathématique de G. Mazzola — The Topos of Music —, tout spécialement ses théorisations du contrepoint, de la modulation et du geste. On conclura sur l’intérêt pour le musicien pensif d’une singulière figure subjective de mathématicien qu’on proposera de nommer intellectualité mathématique et dont on esquissera les principales caractéristiques. Enregistrement : http://www.diffusion.ens.fr/index.php?res=conf&idconf=642 Plan I. Le rôle nécessaire d'une certaine mathématique dans l'intellectualité musicale.................. 2 I.1. Trois sortes de raisonances.............................................................................................. 2 I.2. Rapports non symétriques................................................................................................ 2 · Remarque..................................................................................................................... 2 I.3. Les affinités électives entre pensée musicale et pensée mathématique.............................. 2 I.3.a Nombres et figures ?................................................................................................... 2 · Nombres....................................................................................................................... 2 · Figures......................................................................................................................... 2 I.3.b Écriture et logique !.................................................................................................... 2 · Écritures....................................................................................................................... 2 · Logiques....................................................................................................................... 2 · Deux vulgarisations...................................................................................................... 3 · Égalité de pensée.......................................................................................................... 3 I.4. La raisonance privilégiée par intellectualité musicale...................................................... 3 I.4.a Rappels....................................................................................................................... 3 · Intellectualité musicale................................................................................................. 3 · Trois dimensions........................................................................................................... 3 I.4.b Le principe du contemporain...................................................................................... 3 · Deux exemples.............................................................................................................. 4 I.4.c Se mettre à l’école de la manière mathématique de théoriser....................................... 4 I.5. Autres raisonances possibles avec les mathématiques....................................................... 4 I.5.a I. Les deux affinités électives...................................................................................... 4 · Écritures....................................................................................................................... 4 · Logiques....................................................................................................................... 4 I.5.b II. La raisonance privilégiée....................................................................................... 4 · Ce que veut dire théoriser............................................................................................. 4 I.5.c III. Les autres raisonances possibles............................................................................ 4 · Penser la musique avec les mathématiques.................................................................... 4 I.6. Au total............................................................................................................................ 4 II. Un problème particulier....................................................................................................... 4 II.1. Rappel : différents types de théories musicales................................................................. 4 II.1.a Différentes types......................................................................................................... 4 II.1.b Différents sens de « théorie de la musique »................................................................ 4 · « La musique » ne voudra pas dire la même « chose ».................................................. 4 · « Théorie » ne voudra pas dire la même « chose »........................................................ 4 · ni non plus « de »......................................................................................................... 5 II.1.c Remarque sur la dissymétrie........................................................................................ 5 II.2. Premier éclairage – Un étagement non commutatif de théories....................................... 5 II.2.a Théorie d’un modèle.................................................................................................. 5 II.2.b Théorie formelle d’une théorie naïve.......................................................................... 5 · Premier résultat, première question............................................................................... 5 II.2.c Un pas de plus : non-commutativité............................................................................ 5 · Détaillons….................................................................................................................. 5 · Objection et réponse..................................................................................................... 5 · Revenons à nos deux subjectivités................................................................................. 5 II.3. Deux stimulations pour le musicien................................................................................. 6 II.3.a Les extensions humoristiques...................................................................................... 6 · Remarque..................................................................................................................... 6 · Exemples ?................................................................................................................... 6 II.3.b Des intensions ironiques ?........................................................................................... 6 · Exemples ?................................................................................................................... 6 II.3.c Évaluation musicienne du caractère fructueux de la théorie........................................ 6 III. La théorie mathématicienne de la musique par Mazzola..................................................... 6 III.1. Théorie mathématique et pas seulement mathématisée.................................................... 6 III.1.a Une théorie mathématisée de la musique..................................................................... 6 III.1.b Une théorie mathématique de la musique.................................................................... 6 III.1.c Triplet objet-logique-stratégie..................................................................................... 6 III.2. Théorie mathématique de théories musiciennes naïves..................................................... 7 III.2.a Isomorphisme Riemann-Fux....................................................................................... 7 III.2.b Intérêt pour le musicien ?............................................................................................ 7 III.3. Quatre exemples.............................................................................................................. 7 III.3.a La formalisation mathématique des fonctions harmoniques......................................... 7 · Pourquoi alors privilégier la bande de Möbius plutôt que le cylindre ?........................ 7 III.3.b La formalisation mathématique du contrepoint........................................................... 7 III.3.c La formalisation mathématique de la modulation........................................................ 8 · Cadence....................................................................................................................... 8 · Modulation................................................................................................................... 8 · Intérêt pour le musicien ?............................................................................................. 8 III.3.d La formalisation mathématique du geste..................................................................... 8 · Commutativité mathématicienne.................................................................................... 8 · Non-commutativité musicienne...................................................................................... 9 III.4. Thèse : la musique est intrinsèquement non-commutative.............................................. 10 IV. Une nouvelle figure de mathématicien et des raisonances d’un type nouveau................... 10 IV.1. Une intellectualité mathématique................................................................................... 10 IV.1.a Caractéristiques......................................................................................................... 10 IV.1.b Antécédents ?............................................................................................................ 10 IV.1.c Analogies avec intellectualité musicale ?................................................................... 10 IV.2. Raisonances entre intellectualités musicale et mathématique ?...................................... 10 IV.3. Deux compréhensions duales de la musique.................................................................. 10 I. Le rôle nécessaire d'une certaine mathématique dans l'intellectualité musicale I.1. Trois sortes de raisonances Il y a trois sortes de raisonances entre musique et mathématiques : 1) deux affinités « électives » entre pensée musicale et pensée mathématique ; 2) une raisonance privilégiée par l’intellectualité musicale se mettant à l’école de la pensée mathématique ; 3) d’autres raisonances possibles, pour « penser la musique avec les mathématiques » (c’est-à-dire quand l’intellectualité musicale se met à l’écoute de la pensée mathématique). I.2. Rapports non symétriques Noter : ces rapports ne sont pas symétriques. Je traite ici des raisonances de la mathématique avec la musique, c’est-à-dire des rapports où les mathématiques font vibrer la musique, et je laisse aux mathématiciens (cf. le thème de cette année : les mathématiciens et la musique) le soin de déterminer la capacité éventuelle de la musique de faire vibrer les mathématiques… · Remarque Cf. cette remarque, d’évidence, mais frappante : il n’existe pas de théorie musicale de la mathématique. Peut-il en exister une ? Est-ce l’ouverture de ce nouveau chantier que Guerino Mazzola va nous annoncer aujourd’hui ? I.3. Les affinités électives entre pensée musicale et pensée mathématique À quoi tiennent-elles ? I.3.a Nombres et figures ? On pose souvent que ces affinités tiennent aux nombres et aux figures, c’est-à-dire à ce qui constituerait les deux objets mathématiques par excellence. · Nombres Cf. Pythagore. D’où une arithmétisation de la musique qui faisait l’admiration du théologien. Rappelons-nous St Thomas donnant à la théologie la musique pour modèle en raison de sa docilité devant l’arithmétique : « La doctrine sacrée est une science. Mais, parmi les sciences, il en est de deux espèces. Certaines s’appuient sur des principes connus par la lumière naturelle de l’intelligence : telles l’arithmétique, la géométrie et autres semblables. D’autres procèdent de principes qui sont connus à la lumière d’une science supérieure : comme la perspective de principes reconnus en géométrie, et la musique de principes qu’établit l’arithmétique. Or, c’est de cette dernière façon [hoc modo] que la théologie est une science. Elle procède en effet de principes connus à la lumière d’une science supérieure, qui n’est autre ici que la science même de Dieu et des bienheureux. Et comme la musique s’en remet aux principes qui lui sont livrés par l’arithmétique, ainsi la doctrine sacrée accorde foi aux principes révélés par Dieu. » [1] — Leçon ? Quand les nombres et l’arithmétique font la mathématique, la musique est subalternée à la mathématique. · Figures Cf. Descartes : Compendium Musicæ (1618) Rappel : Descartes est parti d’un étonnement philosophique devant le fait que l’ordre musical des consonances ne suivait pas (plus ?) l’ordre arithmétique des nombres entiers. Ainsi la tierce supplantait la quarte dans l’ordre des consonances (après l’unisson, l’octave et la quinte). Or l’intervalle de tierce est attaché au nombre 5/4 quand l’intervalle de quarte l’est au nombre 4/3 (la quinte à 3/2 et l’octave à 2/1). Ainsi il est légitime de mettre en parallèle les deux séries de nombres et d’intervalles suivantes : 1 Unisson 1/1 2 Octave 2/1 3 Quinte 3/2 4 Quarte 4/3 5 Tierce majeure (do-mi) 5/4 6 tierce mineure (mi-sol) 6/5 7 petite tierce mineure (sol-si b) 7/6 8 Grande seconde majeure (si b – do) 8/7 9 Seconde majeure (do-ré) 9/8 10 petite seconde majeure (ré-mi) 10/9 … … … 16 seconde mineure (si-do) 16/15 La quarte précédait la tierce jusqu’au XII° siècle, respectant ainsi l’ordre arithmétique. Or à partir du XIII°, la tierce est passée devant la quarte, tordant ainsi l’ordre numérique et affirmant une autonomie des lois musicales par rapport aux lois arithmétiques. Pour Descartes, ceci est un évènement qui doit mobiliser la philosophie. Pour rendre raison philosophique à ce nouvel ordre musical, Descartes va déployer un jeu de figures, en réévaluant les résonances du point du partage du monocorde : Il va, à partir de là, être amené à dualiser l’espace du monocorde, et ainsi à métaphoriser spatialement un partage entre certitude et doute. [2] — Leçon ? Quand les figures et la géométrie font la mathématique, la musique n’est plus subalterne à la mathématique mais à la physique mathématisée. I.3.b Écriture et logique ! Ma position s’oppose à ces deux types d’explication. Je tiens que la mathématique ne se caractérise pas par des objets particuliers (et donc pas plus par les nombres que par les figures [3], mais par la nature ontologique de sa pensée. Je pose que les affinités électives de la musique avec les mathématiques tiennent non à des objets particuliers mais à un double partage en matière de mode de pensée : 1) un partage d’écriture, c’est-à-dire d’une manière de penser à la lettre ; 2) un partage de souci logique. Je tiens alors que ces affinités ne disposent nullement la musique en position subalterne par rapport à la mathématique ou à d’autres sciences, mais en égalité de pensées. · Écritures Il y a un partage d’écriture entre musique et mathématiques. La musique est le seul art à s’être doté d’une écriture (solfège) propre. Cf. rôle considérable de cela pour doter la musique d’une consistance de monde [4]. Cf. élément moteur pour étonner Descartes et par là impulser sa philosophie ; son Abrégé de musique est ainsi constellé d’exemples musicaux tel celui-ci : De même l’écriture mathématique est l’écriture des sciences, de la physique en particulier qui n’a pas d’écriture propre… — Remarque Il faut en ce point différencier matériau et matière : la musique a rapport privilégié à la physique de part le caractère acoustique de son matériau (et aussi de part les corps qu’elle met en jeu) mais la pensée musicale entre en raisonance avec la pensée mathématique de part sa matière proprement littérale : les deux pensent « à la lettre ». · Logiques Il y a un souci logique en partage entre musique et mathématiques. La logique musicale n’est pas isomorphe à la logique mathématique. Par bien des aspects, on pourrait soutenir qu’elle lui est orthogonale, au niveau en tous les cas des grands principes logiques : identité, contradiction, tiers-exclus. Le souci logique commun se matérialise ainsi en un partage de la déduction (partage désignant ici à la fois le commun et la séparation) qui donne d’un côté le développement musical, de l’autre la démonstration mathématique. — Trois instances logiques en musique… Plus généralement, la logique en musique tresse trois instances, non une seule : — L’écriture comme instance logique du monde de la musique : c’est elle qui conditionne formellement la cohérence de ce monde singulier. Elle occupe à mon sens la position du classifieur de sous-objets W dans le topos de la musique… — La dialectique comme instance logique des pièces de musique : c’est elle qui conditionne formellement la consistance d’une pièce, la possibilité de son unité — voir la « logique musicale » au sens plus étroit présenté ci-dessus : celle du développement… —. — La stratégie comme instance logique d’une œuvre singulière : c’est elle qui conditionne formellement l’insistance de cette œuvre, la possibilité qu’elle soutienne un projet musical propre d’un bout à l’autre de la pièce de musique qu’elle est également. La logique en musique opère ainsi à la fois · comme cohérence d’écriture du monde, · comme consistance dialectique des pièces, · comme insistance stratégique de chaque œuvre. · Deux vulgarisations Le partage d’écriture et de souci logique entre musique et mathématiques se vérifie en ceci qu’elles partagent également les mêmes modes de vulgarisation, si l’on définit la vulgarisation comme une manière de présenter des résultats musicaux ou mathématiques en faisant l’économie de leur structure écrite comme de leur déploiement logique : · Égalité de pensée Au titre de ces affinités électives, en matière donc de partage d’écritures et de soucis logiques, la musique n’est pas subalterne de la mathématique ; mieux : musique et mathématique sont à égalité de pensée. I.4. La raisonance privilégiée par intellectualité musicale Elle touche à la dimension proprement théorique de l’intellectualité musicale. I.4.a Rappels · Intellectualité musicale C’est le travail spécifique du musicien pensif (différent du musicien-artisan et du musicien anti-intellectualité musicale) pour dire la musique qu’il fait. Les différences entre ces trois types de musiciens se font sur une base subjective. Elles ne concernent pas directement leurs œuvres musicales. L’intellectualité musicale naît très précisément après 1750 (grand tournant dans l’histoire de la musique, une fois la tonalité musicalement fondée, par un double geste théorique et compositionnel : la même année, 1722 : Traité de l’harmonie de Rameau et Clavier bien tempéré – premier livre - de Jean-Sébastien Bach) à l’occasion de la Querelle des Bouffons (à partir de 1752) : c’est Rameau qui, le premier, l’engage. · Trois dimensions Je distingue trois dimensions dans l’intellectualité musicale : · critique des œuvres musicales · théorie de la consistance musicale (de ses lois) : « monde de la musique », ou « langage musical » · esthétique de son époque (du contemporain, de l’esprit du temps). Plus précisément, ces dimensions peuvent être nommées comme · généalogie critique des œuvres, · archéologie théorique du monde (ou langage) musical, · historicité esthétique de l’époque. Ces trois dimensions peuvent être représentées comme un triangle : mieux, comme un trièdre : mieux encore comme un nœud borroméen : L’intellectualité musicale de Boulez est l’emblème du pôle critique, celle de Rameau du Pôle théorique, celle de Wagner du pôle esthétique et celle de Schoenberg occupe plutôt le centre de gravité général des intellectualités musicales : I.4.b Le principe du contemporain Un des trois manières de nouer ce nœud, celle où l’esthétique noue critique et théorique, concerne ce que j’appelle le principe du contemporain et qui énonce ceci : pour qu’une théorie de la musique contemporaine soit musicienne [5], il lui faut être une théorie contemporaine. C’est-à-dire qu’on ne peut théoriser la musique contemporaine de manière pertinente pour une intellectualité musicale que si la manière de théoriser est elle-même contemporaine. Le « contemporain » indexe ici ce que j’appelle esthétique c’est-à-dire la contemporanéité instaurée par une époque de la pensée. · Deux exemples · Pour Rameau, une théorie de la nouvelle musique tonale doit être une théorie cartésienne de la musique. · Pour Boulez, une théorie du nouveau langage musical sériel doit être une théorie axiomatisée et formalisée de la musique. I.4.c Se mettre à l’école de la manière mathématique de théoriser Cette dimension théorique de l’intellectualité musicale instaure à ce titre une raisonance privilégiée avec les mathématiques car la mathématique peut servir au musicien pensif de modèle en matière de théorisation. Il s’agit pour le musicien moins de prendre appui sur une théorie mathématique donnée (la théorie de l’intégration par exemple) que sur une manière mathématique de théoriser. Bref, l’appui relève plus ici de la logique mathématique que de la mathématique proprement dite. Pour situer cette raisonance dans son contexte, je soutiens qu’il y a trois raisonances privilégiées de l’intellectualité musicale, liées à ses trois dimensions : la poésie (pour la critique), la mathématique (pour le théorique) et la philosophie (pour l’esthétique). I.5. Autres raisonances possibles avec les mathématiques C’est ce que j’appellerai « penser la musique avec les mathématiques » ou mettre l’intellectualité musicale à l’écoute de la pensée mathématique (elle est à l’école proprement dite pour ce qui concerne la théorisation). Cf. la liste de dix-sept thèmes, donnée en février, que je reclasserai et trierai ainsi : I.5.a I. Les deux affinités électives · Écritures 8. Penser l’écriture et la lettre musicales avec l’écriture et la lettre mathématiques · Logiques 1. Penser la logique musicale (et donc l’articulation raison/calcul) avec la logique mathématique 14. Penser le style diagonal de pensée avec la procédure diagonale de Cantor I.5.b II. La raisonance privilégiée · Ce que veut dire théoriser 2. Penser le « avec » avec la théorie des modèles 10. Penser le monde de la musique avec la théorie des topos I.5.c III. Les autres raisonances possibles · Penser la musique avec les mathématiques 3. Penser la perception musicale avec la théorie des pavages 4. Penser l’audition avec la théorie de l’intégration 5. Penser l’écoute musicale avec la théorie de la différenciation 6. Penser l’écoute à l’œuvre avec les jeux mathématiques de taquins 7. Penser les modalités de l’entendre avec les théories mathématiques de l’intrinsèque et de l’extrinsèque 9. Penser l’articulation musicale entre écriture et écoute avec l’articulation mathématique (de la théorie) des ensembles et (de la théorie) des catégories 11. Penser la composition musicale avec les théories mathématiques du local et du global 12. Penser l’entre-œuvres des concerts avec la théorie des catégories 13. Penser la combinatoire musicale avec l’algèbre 15. Penser le temps musical avec la théorie des équations différentielles (cf. A. Lautman) 16. Penser la nature musicale avec la théorie des ordinaux et cardinaux (cf. A. Badiou) 17. Penser les rapports de l’œuvre à son matériau avec la théorie des nombres surréels (cf. A. Badiou) I.6. Au total Raisonances Elles portent sur Elles rapprochent : deux affinités électives écritures & soucis logiques Mêmes types de matières (littérales) ou manières de penser (« à la lettre ») Mêmes soucis des formes (logiques) de la pensée pensées musicale & mathématique une raisonance privilégiée ce que veut dire théoriser L’intellectualité musicale se met « à l’école » de la pensée mathématique intellectualité musicale (pensée musicienne) & pensée mathématique autres raisonances possibles [ divers ] L’intellectualité musicale se met « à l’écoute » de la pensée mathématique II. Un problème particulier Que se passe-t-il maintenant pour le musicien pensif quand les mathématiques se présentent sous cette forme singulière d’une théorie mathématique… de la musique ? Ou encore : qu’est-ce que le musicien pensif peut penser pour son compte subjectif propre avec une théorie mathématique de la musique ? Mon hypothèse est que le musicien pensif (celui qui déploie une intellectualité musicale) se trouve ici proprement encombré d’une telle théorie mathématique de la musique, ne sachant pas plus en faire qu’un sauvage ne le sait le faire d’une caméra… II.1. Rappel : différents types de théories musicales II.1.a Différentes types « Théorie musicale », c’est-à-dire « théorie de la musique » se dit en différents sens, si bien qu’il y a différents types de théorie musicale : Dans le cas précis de l’intellectualité musicale, je parlerai plutôt de dimension théorique que de théorie proprement dite. Ex. Boulez : il y a sens à parler de la dimension théorique de sa pensée plutôt qu’à proprement parler de sa théorie musicale (qui reste inaboutie, indéfiniment avortée en 1963…). II.1.b Différents sens de « théorie de la musique » Dans chaque cas, « théorie de la musique » ne voudra pas dire la même chose car · « La musique » ne voudra pas dire la même « chose » Le plus souvent, une théorie mathématique de la musique est une théorie non des œuvres musicales mais de telle ou telle structure musicale : échelle (cf. Broué), tempérament (cf. Hellegourach), canons (cf. Andreatta). Ici la musique est essentiellement un squelette et une tuyauterie… C’est aussi pour cela que Boulez parle du mathématicien comme occupant pour le musicien la place… du plombier : « Ne comprenant pas exactement ce que les musiciens réclament d’eux, ne voyant pas quel serait le possible terrain d’efforts communs, bien des scientifiques se récusent à l’avance, ne considérant que l’absurde de la situation : en somme, un mage étant réduit à quémander les services d’un plombier ! Si, de surcroît, le mage estime que lui suffisent les services du plombier, la confusion est totale. » (Leçons de musique, 1976, p. 62) Pour l’intellectualité musicale, une théorie musicale doit être, pour des raisons essentielles, normée par les œuvres, lesquelles sont à la fois la base et le sommet du monde de la musique. La musique, donc, a ici pour cœur et poumons les œuvres. C’est pour cela que, du point d’une intellectualité musicale, théorique et critique doivent être noués (et qu’elles le sont par l’esthétique…). · « Théorie » ne voudra pas dire la même « chose » Exemple : les théories musiciennes se présentent pour la logique contemporaine comme théories « naïves » (ni axiomatisées ni formalisées) et se distinguent de théories « formelles » et ce même si la théorie musicienne s’est mise, comme dans le cas de Boulez, à l’école de la théorisation mathématique. · ni non plus « de » Exemple : pour une théorie mathématique de la musique, la particule « de » désigne le rapport à un objet. C’est un génitif objectif : une mathématisation de la musique, c’est une extension ou une application de la pensée mathématique sur la musique. Pour une théorie musicienne de la musique, le même génitif est essentiellement en intériorité et de type subjectif : il s’agit toujours, peu ou prou, d’une manière pour la musique de se théoriser via le musicien, de se ressaisir théoriquement par l’intermédiaire du musicien. II.1.c Remarque sur la dissymétrie Existe-t-il une théorie musicale de la mathématique ?! Pas à ma connaissance ! Ce qui relève, une fois de plus, la dissymétrie fondamentale des rapports entre musique et mathématiques, dissymétrie dont il n’y aurait pas de sens à se plaindre ; ni d’ailleurs à s’en réjouir : la pensée et l’intellectualité musicales ne sont ici ni victimes des mathématiques ( !) ni volontairement serviles à leur égard. * Comment s’approprier musicalement une telle théorie mathématique de la musique ? Cela n’a rien d’évident : d’ailleurs les musiciens ne se précipitent guère pour se l’approprier… D’où mes nombreuses discussions avec Guerino Mazzola, en particulier sur ce que veut dire « musique » en toute cette affaire, aussi bien pour le dire musicien (ses leçons) que pour le faire musicien (son concert free jazz…). Comment le musicien se repère-t-il dans ce grand écart entre une théorie de la musique à la lettre mathématique et une pratique de la musique attachée au corps du musicien ? Comment l’intellectualité musicale peut-elle s’orienter face à une musique saisie dans une très étrange pince : celle · de la lettre mathématique (où le diagramme mathématique remplace la partition musicale), · d’un corps physiologique (où le geste du musicien remplace la trace sonore du corps à corps [6]). II.2. Premier éclairage – Un étagement non commutatif de théories Pour m’« orienter dans la pensée », je propose de formaliser — de « diagrammatiser » — ainsi ce qui à mes yeux constitue un problème (mais n’en constitue sans doute pas un aux yeux de Guerino Mazzola). II.2.a Théorie d’un modèle Diagrammatisons cela ainsi : Rappel : un intérêt capital de la théorie est ici de produire des enchaînements déductifs (entre A et B) là où le modèle (musical) n’en comporte pas : il y a au mieux des successions, mais pas de déductions explicites dans le modèle. Le modèle musical est constitué d’un champ de « choses » plus ou moins structuré : des objets harmoniques, ou rythmiques, ou instrumentaux… II.2.b Théorie formelle d’une théorie naïve En général, une théorie mathématique de la musique va s’édifier en prenant pour modèle un champ musical déjà structuré selon ce qu’on appellera une théorie musicienne « naïve ». D’où le schème étagé suivant : qui, dans notre situation, signifie ceci : Ainsi l’intellectualité musicale du musicien transforme un développement musical en déduction musicienne, et la théorie mathématique transforme cette déduction musicienne « naïve » en démonstration. · Premier résultat, première question Premier résultat : le musicien, réfléchissant sur les œuvres et leurs développements, bâtit des déductions (voir la place décisive de cette catégorie dans l’intellectualité musicale de Boulez). Le mathématicien, lui, réfléchissant sur les développements musicaux et les déductions musiciennes, bâtit des démonstrations mathématiques. Le mathématicien offre ainsi au musicien pensif une nouvelle manière de circuler de a à b et même de a à ß. Comment le musicien va-t-il pouvoir se rapporter à ces nouvelles flèches ? Vont-elles constituer pour lui de nouvelles déductions ? II.2.c Un pas de plus : non-commutativité Pour examiner cela, enrichissons et simplifions notre diagramme : P et Q ne désignent pas ici les flèches composées F°f et g°G mais les éventuelles formalisations mathématiques directes (c’est-à-dire ne passant pas la théorie naïve) des choses musicales a et ß. La théorie mathématique construit donc une nouvelle flèche G°D°F entre a et b. Appelons-la un déploiement. Que faire musicalement d’un tel déploiement ? Ma thèse fondamentale est la suivante : pour le musicien, ce diagramme ne commute pas alors que le désir du mathématicien est par contre que ce diagramme commute. D’où une première très forte dissonance entre désirs musicien et mathématicien. Ce discord s’écrira précisément ainsi : La thèse musicienne sera que déduction musicienne [d] et interprétation°démonstration°formalisation mathématiques [G°D°F] ne commutent pas. · Détaillons… Qu’en est-il pour l’éventuelle commutation du reste du diagramme ? — g°d°f / g°G°D°F°f ? Formellement, si f est un épimorphisme et g un monomorphisme, on peut déduire de d?G°D°F que g°d°f?g°G°D°F°f. Qu’est-ce que cela veut dire ? Que même si déduction musicienne et démonstration-déploiement mathématiques conduisent bien au même objet musical ß, leurs « logiques » (le sens de l’enchaînement qu’elles conçoivent) restent cependant de natures différentes. — g°d°f / Q°D°P ? Il y a ici encore moins de raison pour que ces deux flèches composées soient identiques et que les logiques ou sens des enchaînements soient isomorphes. · Objection et réponse On peut objecter que la commutativité catégorielle concerne des diagrammes où deux couples de morphismes convergent sur le même objet : donc plutôt que Je soutiendrai que le digramme déduit des précédents par « interprétation » de A en a (et non plus par « formalisation » de a en A) ne commute pas: Le point de partage se concentre en effet sur l’hétérogénéité radicale des « morphismes » d et D qui interdit qu’ils puissent commuter. · Revenons à nos deux subjectivités Le désir mathématicien est tout au contraire que le diagramme précédent commute. Tendons un peu plus le partage des subjectivités : · l’intérêt pour un musicien d’un tel diagramme est qu’il ne commute pas ; · à l’inverse, ce qui intéresse un mathématicien dans un tel diagramme, c’est sa part qui commute ou peut commuter. Pour cela, le mathématicien va faire « comme si » les différentes flèches étaient composables, donc « comme si » les différences de « nature » entre flèches pouvaient s’éponger par composition commutative. J’oppose à cela la thèse que, par-delà leurs affinités naturelles, par-delà affinités et raisonances diverses, musique et mathématique à proprement parler ne composent pas, sont incomposables. II.3. Deux stimulations pour le musicien II.3.a Les extensions humoristiques L’intérêt pour le musicien d’une telle théorie mathématicienne va tenir à tout autre chose qu’à une pseudo-commutativité. Elle va tenir à la capacité de cette théorie mathématique de générer de nouvelles structures musicales, mathématiquement isomorphes et musicalement hétéromorphes. Cf. Ici, tout l’intérêt de la théorie mathématique tient pour le musicien non plus à une commutativité mais à la nature de l’objet musical g ainsi mathématiquement engendré. La question pour le musicien va alors prendre la forme suivante : Soit : comment évaluer musicalement le rapport inattendu déployé par les mathématiques entre g et ß (via un rapport entre c et b) ? À quel titre musical g « développe »-t-il ß ? Puis-je théoriser ce développement musical par une « déduction » musicienne d’ entre c et b ? L’évaluation musicienne de la théorie mathématique va donc se faire au niveau des résultats : par évaluation de la qualité musicale des extensions proposées par la théorie en question. Ici la mathématique fournit l’occasion de rapprochements musicaux inattendus. Appelons cela la dimension proprement humoristique (pour le musicien) des théories mathématiques de la musique puisqu’il s’agit de rapprocher des lointains. · Remarque Guerino thématise cela mathématiquement comme explicitation de la fibre (à gauche) créatrice d’un voisinage (à droite) d’un point-image a(a) : · Exemples ? On va trouver de nombreux exemples de telles extensions humoristiques dans la théorie mazzolienne. II.3.b Des intensions ironiques ? D’où immédiatement la question duale : y aurait-il de même pour le musicien une dimension ironique des théories mathématiques de la musique qui cette fois éloigne les proches, qui instaure une distance de pensée au plus près? Bref, au lieu d’extensions humoristiques, les théories mathématiques de la musique peuvent-elles fournir au musicien des intensions ironiques ? Que serait-ce formellement ? La situation de départ du musicien serait cette fois celle-ci : celle d’une égale proximité de ß à a et g. L’intervention de la théorie mathématique aurait désormais pour effet de déployer un espace intérieur entre ß et g, en sorte de révéler une distance au lieu même d’une apparente proximité : Pour le musicien, il s’avèrerait donc que la proximité entre ß et g n’est peut-être pas celle qu’il pensait, qu’en fait g ne suit pas ß comme ß suit a, bref que le développement a sauté inopinément des étapes et que la véritable déduction musicienne devrait concevoir c comme étant quatre fois plus loin de b que jusque-là considéré. D’où une intension ironique. · Exemples ? La théorie mazzolienne de la cadence à mon sens suggère cette direction… II.3.c Évaluation musicienne du caractère fructueux de la théorie Dans les deux cas — extension humoristique et intension ironique — le musicien évalue la théorie mathématique au regard de ses fruits musicaux pour lui musicien. III. La théorie mathématicienne de la musique par Mazzola III.1. Théorie mathématique et pas seulement mathématisée Donnons de tout ceci des exemples concrets à partir de la théorie mazzolienne de la musique, théorie qui relève clairement du type mathématique (plutôt que musicien) des théories musicales. Un symptôme très patent du caractère proprement mathématicien de cette théorie est qu’elle ne vise pas qu’à éclairer la musique mais également à développer les mathématiques pour elles-mêmes. Les mathématiques, dans cette théorie, se déploient en-soi et pas seulement « pour la musique ». Ceci est tout à l’honneur mathématique de ce travail mais crée des difficultés supplémentaires pour le musicien qui s’y intéresse. Précisons : il s’agit bien ici d’une théorie mathématique de la musique et pas simplement d’une théorie mathématisée. III.1.a Une théorie mathématisée de la musique Une théorie mathématisée de la musique est une théorie de la musique qui est mathématiquement formalisée, comme il existe par exemple des théories mathématisées de l’économie, ou de la circulation des trains, etc. Cette formalisation est alors stratégiquement ordonnée aux fins du modèle retenu. III.1.b Une théorie mathématique de la musique Une théorie mathématique de la musique est aussi mathématiquement formalisé mais, cette fois, les fins sont pour bonne part proprement mathématiciennes : on part ici du domaine musical pour examiner les problèmes mathématiques qu’il est susceptible de susciter. Il s’agit désormais moins de partir de problèmes musicaux (à résoudre mathématiquement parce qu’on ne saurait pas les résoudre musicalement) que de problématiser mathématiquement des pratiques et théories musiciennes en sorte de générer des problèmes proprement mathématiques. III.1.c Triplet objet-logique-stratégie La distinction précédente suggère ainsi qu’il faudrait distinguer les types de théorie, non seulement par leur compréhension propre de « l’objet-musique » mais aussi par leurs visées stratégiques propres : il est clair qu’une théorie sociologique de la musique, par exemple a des visées plus sociologiques que musicales (d’où qu’elle n’apprenne à peu près rien sur les œuvres musicales). Ainsi une théorie Xienne de la musique se caractériserait par le croisement d’un type Xien de consistance discursive (tenant à la discipline de pensée considérée), d’une caractérisation Xienne de son objet et d’un type Xien de stratégie. Ou encore : la nature particulière (mathématique, musicienne, sociologique…) d’une théorie musicale se donnerait dans le triplet d’une consistance, d’un objet et d’une stratégie. III.2. Théorie mathématique de théories musiciennes naïves Autre trait remarquable : la théorie mathématique de Mazzola formalise des théories musiciennes existantes plutôt que la matière musicale proprement dite. III.2.a Isomorphisme Riemann-Fux Ex. Fux et Riemann. D’où un résultat intéressant — qui intéresse essentiellement la musicologie historique — : les théories de Riemann et Fux sont isomorphes (au titre, non trivial, de leurs dichotomies consonances-dissonances [7]). Cette théorie mathématique unifie ainsi deux types de théories musiciennes selon le diagramme suivant : La théorisation dégage ici des enchaînements inattendus entre théories naïves. C’est un exemple de ce que j’appelle l’humour mathématique : quand le musicalement lointain est mathématiquement rapproché. III.2.b Intérêt pour le musicien ? L’intérêt de tout ceci pour le musicien est de dégager la cohérence sous-jacente de ses théories naïves. Mais il n’y a pas ici de conséquences pratiques immédiates car ces pratiques musicales (du contrepoint et de l’harmonie tonale) sont depuis longtemps obsolètes pour la création artistique. III.3. Quatre exemples Prélevons quatre exemples dans cette théorie de Mazzola : · sa formalisation des fonctions harmoniques, · sa formalisation du contrepoint, · sa formalisation de la modulation, · sa formalisation du geste. III.3.a La formalisation mathématique des fonctions harmoniques On a, grâce à une triangulation des fonctions tonales, le ruban suivant : Rappel : I a deux notes communes avec III et VI, et une note commune avec V et IV. Mazzola choisit de privilégier de couper ce ruban au milieu et de recoller I-III par une torsion (d’où le ruban de Möbius) [8] : Mais on pourrait tout aussi bien le recoller deux fois plus loin, sans torsion cette fois (on aurait alors un cylindre). · Pourquoi alors privilégier la bande de Möbius plutôt que le cylindre ? Ma compréhension est la suivante. — La formalisation en bande de Möbius est privilégiée par Mazzola pour des raisons proprement mathématiques : économie formelle de signes [9]. C’est en fait cette économie formelle qui conduit à désorienter la polarité grave/aigu essentielle pour le musicien : elle suppose au départ une indifférence à l’ordre des fonctions harmoniques — elle traitera par exemple les deux fonctions I et V comme un ensemble {I, V} sans distinguer alors I-V de V-I (ce qui d’un point de vue musical est bien sûr tout à fait différent : ouverture/cadence, tension/détente…) —. C’est donc bien parce que cette « orientation » musicale déterminante (selon l’ordre temporel de la succession) est effacée au principe même de la formalisation mathématique retenue que cette formalisation boucle le ruban en bande de Möbius et retrouve ensuite innocemment la propriété globale de désorientation qu’elle a implicitement introduite en son point de départ. — La formalisation en cylindre rend mieux compte de la réalité harmonique d’un point de vue musical ; le cylindre suggère ainsi, à le parcourir de droite à gauche, l’enchaînement des fonctions suivantes, où l’ordre temporel est évidemment déterminant : III.3.b La formalisation mathématique du contrepoint Cf. le tore des tierces [10] : Cf. les dichotomies consonances-dissonances : K={0, 3, 4, 7, 8, 9} et D={1, 2, 5, 6, 10, 11} : La théorie mazzolienne du contrepoint (plus exactement de la théorie fuxienne du contrepoint) me semble plus fructueuse musicalement que la théorie mazzolienne de l’harmonie (c’est-à-dire de la théorie riemanienne de l’harmonie). Pourquoi ? Parce que dans le cas du contrepoint la logique mathématicienne adoptée s’éloigne moins de la logique musicienne tant en matière d’objet que de stratégie. En effet, 1) la formalisation du contrepoint « respecte » plus l’orientation musicale du grave vers l’aigu (qui est au principe du rapport dissymétrique entre cantus firmus et déchant) :Mazzola part ici [11] d’un intervalle orienté en sorte de correctement formaliser le contrepoint à deux voix (de différencier donc cantus firmus et déchant par une paire ordonnée où les deux termes ne commutent pas…) quand, au contraire, la formalisation mathématique du « ruban harmonique » (en bande de Möbius plutôt qu’en cylindre) impose une désorientation du matériau harmonique (désorientation découlant d’une indifférence à l’ordre successif, au principe pourtant des fonctions harmoniques considérées) ; 2) la stratégie guidant la formalisation du contrepoint semble guidée par deux idées : — unifier théories musiciennes de l’harmonie et du contrepoint ; — généraliser les lois musiciennes du contrepoint à d’autres « échelles ». Ces deux visées stratégiques, quoique mathématiciennes, s’avèrent cependant rester « parallèles » à des visées plus proprement musiciennes. · La première est un rapprochement humoristique entre théories naïves éloignées. · La seconde ouvre à la possibilité d’extensions humoristiques du contrepoint : Quel est alors rapport musical entre les deux contrepoints ?! Où l’on retrouve ce problème, musicalement bien connu : d’un point de vue musical, tout peut se déduire de tout [12], car la déduction musicale n’a pas la rigueur formelle de la démonstration mathématique. Où la « génétique » et la « poïétique » s’avèrent ici de peu d’intérêt : le chemin qui a permis d’aboutir à B à partir de A n’est pas forcément pertinent pour décrire les rapports entre A et B, comme le montre l’exemple élémentaire suivant (autre manière, au demeurant, de souligner que tout ceci ne commute guère…) : Où l’on retrouve ce fait que la commutation mathématique (égalité des deux membres de l’équation) ne s’accorde guère à une non-commutation musicienne (les rapports musicaux en deux objets d’une partition ne sont que très vaguement « explicités » par la manière dont le compositeur les a engendrés). III.3.c La formalisation mathématique de la modulation Mazzola part de la théorisation (naïve) schoenberguienne des modulations (Harmonielehre, 1911), en trois moments : neutralisation, accord-pivot sur les degrés modulants, confirmation cadencielle [13]. Dans la théorie de Mazzola, une modulation est alors la dotation du diagramme suivant [14] : où k est une des 5 « cadences » envisageables [15] entre deux tonalités : II-III, II-V, III-IV, IV-V, VII. · Cadence La catégorie de cadence est ici très abstraite de sa réalité musicale : une tonalité (majeure) est vue comme une simple échelle diatonique qu’un seul accord (VII° degré) suffit à identifier statiquement. Ici la cadence est une « représentation résumée de la tonalité » [16]. Elle est mathématiquement traitée comme une fonction du type « formule cadentielle = f(tonalité) » [17]. Elle n’est pas traitée dynamiquement mais comme un ensemble dont l’ordre est indifférent : IV-VºV-IV [18]. Or, musicalement, la catégorie de cadence est essentiellement dynamique : si une tonalité est musicalement identifiée par un accord, c’est plutôt par la septième de dominante (V7) que par VII qui, musicalement, est tout au contraire l’accord vague par excellence (septième diminuée). — Intérêt proprement musical ? En ce point, il faudrait explorer plus avant cette théorie de la cadence pour en exhausser le potentiel sans doute d’intension ironique… · Modulation En conséquence, la catégorie même de modulation est ici assez distante de sa réalité musicale. C’est ce qui aboutira à exhausser mathématiquement, dans l’opus 106 de Beethoven, certaines « modulations » dites « catastrophiques » [19] : G. Mazzola thématise mathématiquement ces « modulations » en les attachant à des « cadences » (au sens toujours mathématique du terme) très particulières. Où l’on retrouve ce problème récurrent : des mêmes mots — ici « cadence », « modulation » — nomment des choses très différentes dans le cadre d’une théorie musicienne et d’une théorie mathématique de la musique. C’est bien sûr normal, mais cela implique une très grande attention dans l’interprétation ultérieure des énoncés. On constate alors une différence d’accents significatifs : par exemple, pour l’analyse musicienne du schéma global des tonalités, à la limite peu importe comment Beethoven module de E en A mais pour le mathématicien, ici ce n’est plus le cas puisque l’analyse va distinguer minutieusement modulations « quantiques » et modulations autres. · Intérêt pour le musicien ? De nouvelles extensions humoristiques ! Voir ainsi la « démonstration » mathématique qui conduit à la « déduction » musicienne et au « développement » musical suivant : III.3.d La formalisation mathématique du geste · Commutativité mathématicienne Guerino Mazzola privilégie une formalisation (commutative) du geste physiologique du musicien : Mais de quelle musique s’agit-il exactement ici ? Quel rapport musical y a-t-il entre la musique mathématiquement formalisée à gauche et la musique improvisée attachée à un corps de musicien à droite ? Il ne s’agit pas de dresser ici l’objection obscurantiste opposant la mort du formel à la vie du corporel. Il s’agit tout au contraire de ne pas s’enfermer dans une dichotomie où il y aurait d’un côté une structure mathématique, obsessionnellement construite, et de l’autre un corps musicien, hystériquement livré en garant de la musicalité. À nouveau, l’hypothèse commutative est au principe de cette démarche mathématicienne : il s’agit de formaliser mathématiquement les structures musicales de la partition puis les structures du corps physiologique du musicien pour en déduire ses mouvements aptes à matérialiser l’exécution (et pourquoi pas l’interprétation) de la partition de départ. Au total, la composition de ce parcours doit équivaloir à une flèche directe (celle du bas entre la partition et le corps de Gould dans le diagramme suivant) : Je remarquerai cependant qu’on n’a pas ici à proprement parler un corps musical c’est-à-dire le corps physique du piano — sa table d’harmonie —vibrant sous l’effet du corps à corps, rayonnant et projettant dans un lieu la trace sonore de ce corps à corps. Je pose, en effet, que la musique transite par un corps à corps (« corps-accord » [20]) sans s’y attacher car la musique me semble un art de l’écoute plutôt qu’un art du jeu (qu’un art du corps-accord) : la musique procède essentiellement d’une écoute de la trace d’un corps-accord. Si l’on veut formaliser le geste musical en musicien, il nous faudrait donc procéder autrement. · Non-commutativité musicienne Concernant le geste, je diagrammatiserai ainsi une conception plus proprement musicienne : — Remarques · Le rapport de la partition au corps du musicien n’est pas univoque, fonctionnel, car la partition a pour cœur une écriture musicale qui n’est pas une tablature. La partition ne prescrit donc pas directement un geste du musicien. · Le jeu musicien consiste à accorder son corps à un corps instrumental situé dans une salle. Le jeu est une opération qui convolue un instrument situé et un musicien. · Le résultat du jeu est un son rayonné par le corps-accordé dans un lieu architectural. · On n’écoute pas le corps du musicien. Concernant le corps instrumental, on l’entend certes mais on ne l’écoute pas ; ce que l’on écoute, c’est la trace du corps-accord dans un son situé. · L’écoute n’est donc écoute ni du musicien, ni de l’instrument, ni du lieu, ni même du jeu mais plutôt de la trace de ce jeu dans un lieu. · Écouter, c’est déconvoluer en sorte de dégager à l’intérieur du son (musical) la trace (du corps-accordé dans le lieu) et de séparer cette trace du déchet musical. La trace s’affirme par soustraction du déchet. · Corrolaire : le musicien est le déchet de la musique. La vision de l’auditeur doit aider à déconvoluer la trace du déchet, non conduire à s’attacher unilatéralement au corps du musicien en train de jouer… — Thèse Je tiens que dans ce diagramme rien ne commute. En particulier on a : injection ? écoute°adresse°rayonnement ! Plus techniquement, les « convolutions » du diagramme précédant ne sont pas des sommes ou coproduits, et la partition n’y est pas un produit. On n’a donc pas le diagramme suivant qui schématise le désir mathématicien d’une commutation généralisée : Détaillons. — La partition Pour un mathématicien : Pour un musicien : La partition n’est pas produit, limite du diagramme {musicien, instrument}. Le diagramme avec le fichier Midi ne commute pas. — Le corps-accord Pour un mathématicien : Pour un musicien : Le corps-accord n’est pas somme (coproduit), colimite du diagramme {musicien, instrument}. Le diagramme avec Modalys ne commute pas. — La spatialisation Pour un mathématicien : Pour un musicien : La spatialisation n’est pas somme (coproduit), colimite du diagramme {instrument, salle}. Le diagramme avec la WFS ne commute pas. III.4. Thèse : la musique est intrinsèquement non-commutative Au total, non seulement musique et mathématiques ne commutent pas mais en musique, il n’y aurait guère de commutation. Soit la nouvelle thèse radicale suivante : la musique est intrinsèquement non-commutative. On serait donc bien face à deux types différents d’appréhension du phénomène musical — un type mathématicien et un type musicien — et les opérations propres à chacun de ces types ne composeraient pas ensemble, ne commuteraient pas. À bien y regarder, si musique et mathématique peuvent d’ailleurs raisonner ensemble (et ce, par-delà les applications bien compréhensibles de l’ontologie à toute ontique), c’est précisément parce qu’elles ne peuvent composer leurs matières mais simplement s’entrechoquer, se frotter l’une à l’autre sans que leurs matières propres se mélangent, se mixent. IV. Une nouvelle figure de mathématicien et des raisonances d’un type nouveau IV.1. Une intellectualité mathématique Je tiendrai, par ailleurs, que Mazzola s’emploie non seulement à établir une théorie mathématique de la musique mais aussi quelque chose que je propose d’appeler une intellectualité mathématique. IV.1.a Caractéristiques Une intellectualité mathématique se caractériserait par : · un souci de thématiser les mathématiques qu’on fait ; · un souci des raisonances mathématiques avec d’autres pensées (et pas seulement de leurs applications) ; · la nature même du travail intellectuel : être à la fois plongé dans les mathématiques et en léger surplomb sur les mathématiques, se tenir au bord du travail du mathématicien, à la frontière des mathématiques. · une manière d’introjecter dans la mathématique la réflexion (ou pensée de la pensée) mathématique, une manière donc de se délimiter à l’écart de l’épistémologie (comme l’intellectualité musicale peut le faire à l’égard de la musicologie ou de l’esthétique académique), une manière de déployer une pensitivité mathématicienne donc. IV.1.b Antécédents ? Date de naissance ? Grandes figures ? · Henri Poincaré (1854-1912), Hermann Weyl (1885-1955) · Cas particuliers : les logiciens (Cantor, Gödel…), Grothendieck (intellectualité a posteriori) · Aujourd’hui : Alain Connes, René Guitart… IV.1.c Analogies avec intellectualité musicale ? Trois pôles comme en musique ? Avec la philosophie, avec la musique (& les arts) et avec la physique (& les autres sciences) ? Je me lance : Nouage borroméen ?… IV.2. Raisonances entre intellectualités musicale et mathématique ? La raisonance avec l’intellectualité mathématique de Mazzola dépasse donc largement l’intérêt musicien pour sa théorie mathématique de la musique. Cette théorie alimente il est vrai le musicien en nouvelles réflexions, en une nouvelle compréhension des théories musiciennes naïves, en extensions humoristiques, en intensions ironiques, etc. Mais faire entrer en raisonance une intellectualité musicale avec cette intellectualité mathématique n’est pas se cantonner à tout cela : c’est également faire en sorte que ces deux types radicalement différents d’intellectualité se frottent l’une à l’autre, comme on frotte un silex contre un autre, non pour les mélanger mais pour faire jaillir quelques étincelles aptes à alimenter le feu de la pensée. IV.3. Deux compréhensions duales de la musique Ainsi se sont implicitement frottées dans cet exposé deux catégories, à la fois très proches et cependant radicalement disjointes : la catégorie mathématique de topos (centrale dans la théorie mazolienne) et la catégorie musicienne de monde (centrale dans ma propre intellectualité musicale). Je soutiens que la musique est un monde à mesure de ce qu’elle est comme un topos (analogie) quand Guerino Mazzola soutient à l’inverse que la musique est un topos, et peut-être m’accorderait-il alors que c’est pour cela que l’on pourrait en dire qu’elle est comme un monde… Plus encore, la musique pour moi est un monde essentiellement non-commutatif quand elle est, pour Mazzola, un topos truffé de commutativités. D’où la nature très particulière du dialogue entre musicien et mathématicien pensifs, qui tentent de s’entendre tout en évoluant dans des espaces duaux et qui, finalement, communiquent par résonances de coups frappés de l’extérieur sur la membrane enveloppant chacun des deux espaces de pensée. ––––––– -------------------------------------------------------------------------------- [1] [Sicut musica credit principia sibi tradita ab arithmetico, ita sacra doctrina credit principia revelata sibi a Deo] (La théologie ; Question 1, article 2, page 24) [2] Sur tout ceci, voir mon cours (Ens, 2004-2005) sur l’intellectualité musicale : www.entretemps.asso.fr/Nicolas/IM, en particulier les 2° et 3° leçons. [3] et ce même si, bien sûr, la mathématique pense avec une acuité sans égale nombres et figures. [4] Cf. ma conférence (2002) à l’Ehess… [5] et nourrisse donc la généalogie critique des œuvres [6] ou le « corps-accord », selon la judicieuse formule de Charles Alunni [7] The topos of music, p. 635… [8] The topos of music, p. 322 [9] Où l’on pourrait rappeler (voir mon exposé en février 2005) que la musique a moins « peur » des réduplications et des risques de redondance que la mathématique : voir par exemple ce qu’il en est des redondances au principe de l’écriture musicale… [10] The topos of music, p. 620 [11] Cf. The Topos of Music, p. 619 [12] Boulez rappelle constamment ce point dans ses Leçons de musique… [13] The topos of music, p. 565 [14] Pour l’opération de symétrie dans la modulation, voir The topos of music, p. 567 [15] The topos of music, p. 554 [16] The topos of music, p. 551 [17] The topos of music, p. 551 [18] The topos of music, p. 554 [19] Il est vrai que G. Mazzola reprend ici un terme avancé par le musicologue Jürgen Uhde en commentaire de l’analyse de l’opus 106 faite par Erwin Ratz (The topos of music, p. 605) qui y distingue harmoniquement un monde et un anti-monde… [20] Je dois à Charles Alunni cette formulation, tout à fait éclairante. Albert Einstein è stato, allo stesso tempo, uno del \founding genera "ed uno dei critici più serii dei meccanici di quantum. Una critica rigorosa della teoria è stata sviluppata in un articolo celebrato, scritto insieme con Podolsky e Rosen, dove uno dei paradossi teoretici di quantum più famoso (nel \EPR-paradosso chiamato gergo") è stato presentato per il tempo del ¯rst. Ci è qualche cosa di paradossale nella storia di questo paradosso. La maggior parte delle caratteristiche che Einstein Podolsky e Rosen avevano descritto poichè le conseguenze negative della teoria di quantum, più tardi, sono state convertite in vantaggi teoretici e pratici, anche dal punto di vista tecnologico. Dobbiamo soltanto pensare che il teleportation, il calcolo di quantum ed il cryptogra-phy di quantum usino sistematicamente, in un senso positivo, alcuni fenomeni caratteristici di quantum che solitamente sono denominati EPR-situazioni. Ora stiamo cominciando a capire come l'intrico mysterious di quantum (che rappresenta la caratteristica più intrigante delle EPR-situazioni) può anche essere applicato ad un'analisi convenzionale di alcuni fenomeni semantici caratteristici, dove le funzioni holistic e contestuali svolgono un ruolo relativo. In che misura è ragionevole ed interessante per applicare alcune idee generali che presentano "nel mondo \far di quantum per ricostruire formalmente le strutture semantiche profonde quelle composizioni underly musicali? _ noi prov e d alcun risposta questo problema. 1. Einstein ed il \musicality "dei meccanici Albert Einstein di quantum ha osservato una volta che ci è qualche cosa di musicale nella struttura dei meccanici di quantum. Che cosa il fisico grande, che ha gradito giocare il violino, realmente ha significato da questa osservazione in qualche modo mysterious? L'atteggiamento del Einstein nei confronti della teoria di quantum (quarto) è stato, in un senso, paradossale. Infatti, Einstein è stato allo stesso tempo, uno del \found-ing generano "ed uno dei critici più serii della teoria. Mentre la sua idea circa il musicality del quarto non è ben nota, una citazione il suo \I celebrato di reclamo non può credere spesso che il dio stia giocando i dadi ". Una critica rigorosa del quarto è stata sviluppata in un articolo celebrato, scritto insieme con Podolsky e Rosen, descrizione meccanica di quantum \Can della realtà è considerato completo?" Ciò è la carta in cui uno dei paradossi teoretici di quantum più famoso (nel \EPR-paradosso chiamato gergo") è stato presentato per il tempo del ¯rst. Ci è qualche cosa di paradossale nella storia di questo paradosso. La maggior parte delle caratteristiche che teoria di quantum di parole e di frasi chiave di Einstein, calcolo di quantum, musica. 1 2 M. L. DALLA CHIARA, il R GIUNTINI ED E. NEGRI Podolsky e Rosen aveva descritto poichè le conseguenze negative del quarto, più tardi, sono state convertite in vantaggi teoretici e pratici, anche dal punto di vista tecnologico. Dobbiamo soltanto pensare che il teleportation, il calcolo di quantum ed il cryptography di quantum usino sistematicamente, in un senso positivo, alcuni fenomeni caratteristici di quantum che solitamente sono denominati EPR-situazioni. Oltre le intenzioni degli autori, l'EPR-articolo ha stimolato un giro \epistemological genuino ", forzante li discutere, secondo le nuove modalità, alcuni problemi cruciali della teoria di conoscenza: il rapporto fra un oggetto d'osservazione e un oggetto osservato, le nozioni di oggetto fisico e della proprietà fisica, le intero-parti di rapporto per gli oggetti fisici, la struttura di spazio-tempo ed il ruolo della probabilità. Ora stiamo cominciando a capire come l'intrico mysterious di quantum (che rappresenta la caratteristica più intrigante delle EPR-situazioni) può anche essere applicato ad un'analisi convenzionale di alcuni fenomeni semantici caratteristici, dove le funzioni holistic e contestuali svolgono un ruolo relativo. Come è ben noto, le teorie semantiche tradizionali, basate su logica classica, sono \desperately "analitiche ed antiholistic. Un principio di base in queste teorie è un composizionalità-presupposto, secondo cui il significato di tutta l'espressione compound è determinato dai significati delle relative parti. Ancora, i significati sono supposti sempre per essere precisi e non-ambigui. Di conseguenza, la semantica classica risulta essere appena applicabile ad un'analisi convenzionale sufficiente dei linguaggi naturali o delle lingue dell'arte, dove il contextuality e l'ambiguità sembrano rappresentare le caratteristiche essenziali. Il formalismo quantum-teoretico, invece, provoca alcuna caratteristica impigliata dichiara di conoscenza dove le nostre informazioni sul tutto determinano le nostre informazioni sulle parti. E la procedura non può, essere invertita generalmente: cioè è impossible da ricostruire le informazioni globali come combinazione pura di informazione parziali sugli elementi componenti. In che misura è ragionevole ed interessante per applicare alcune idee generali che presentano "nel mondo \far di quantum per ricostruire formalmente le strutture semantiche profonde quelle composizioni underly musicali? _ noi prov e d alcun risposta questo problema. 2. Il EPR-paradosso più dei di±culties logici del quarto dipende da un con°ict non risolto fra due postulati di base della teoria: l'SchrÄodinger-equazione ed il crollo del von Neumann dell'onda funzionano. Consideri una particella (dica un elettrone) che si evolve durante l'tempo-intervallo [ t0; il T1 ] e suppone che, al tempo iniziale t0, un osservatore si è associato al nostro della particella dato dichiara, che riassume le sue informazioni (lei) sull'oggetto in esame. In tal caso, l'SchrÄodinger-equazione determina un \history unico ", di cui può essere rappresentato come sequenza dichiara della nostra particella. DALLA TEORIA di QUANTUM A MUSICA 3 che cosa è esattamente un dichiarare di data particella? Nella situazione più felice, un dichiarare può corrispondere ad una conoscenza massima non-contradittoria. Ciò significa che uno sta occupandosi di una conoscenza che non può essere estendere costantemente alle informazioni più precise (nella lingua della teoria). Neppure una mente omniscient ipotetica non ha potuto conoscere più. Informazione di questo genere sono denominati solitamente, sia in classico che nella fisica di quantum, pura dichiara. Dichiara rappresentare la conoscenza non-massima preferibilmente sono denominati miscele (o mescolato dichiara). Nel formalismo matematico della teoria di quantum, sia pura che mixed dichiara sono identi¯ed con alcuni generi speciali di oggetti astratti, quel \live "in uno spazio astratto che rappresenta l'ambiente \mathematical" per il sistema di quantum in esame. Tecnicamente, questi spazi sono denominati spazi di Hilbert (esempi speciali degli spazi di vettore basati sull'insieme di tutti i numeri complessi). In questa struttura, pura dichiara (indicato solitamente da jÃi, j'i...) sono vettori particolari quel \live "in uno spazio di Hilbert conveniente H. Diverso di puro classico dichiara, quantum dichiara sono essenzialmente logicamente incompleto. Per, un puro dichiara jÃi semanticamente non decide tutte le proprietà fisiche che possano tenere per il sistema descritto da jÃi. In conseguenza del principio di incertezza del Heisenberg, molte proprietà sono necessariamente indeterminate. Su questa base, la storia di data particella durante l'tempo-intervallo [ t0; il T1 ] può essere rappresentato come sequenza di dichiara (che può essere pura o mixed): (s(t0); : : : ; s(t1)); dove s(t0) rappresenta il dichiarare al tempo iniziale t0, mentre s(t1) è il dichiarare al T1 di tempo di ¯nal. Ora consideri una proprietà P che può tenere per la particella sotto ricerca. Per esempio, la particella potrebbe essere un elettrone e la P potrebbe rappresentare il valore del \the della proprietà per la rotazione di quantità nel senso di x è su ". Supponga che durante l'intervallo [ t0; T1 ] che l'osservatore sceglie esaminare se i satis¯es della particella la proprietà P che è indecisa per l'iniziale dichiari s(t0). Allora, presto dopo la misura, il dichiarare s(t0) sarà ridotto dal crollo della funzione dell'onda ad un nuovo dichiara s¤(t1), che decide se la P o il relativo not-P di negazione tiene. Tutto questo provoca la nuova storia: (s¤(t0); : : : ; s¤(t1)); dove ogni elemento è determinato dal ¯nal dichiara s¤(t1) e dall'SchrÄodinger-equazione applicata a questa dichiari (dal tempo attuale verso il passato). Uno ottiene, in questo modo, una pluralità di \histories ", che non è facile da interpretare da un punto di vista intuitivo. Ora proveremo ed illustreremo il EPR-paradosso in un senso semplice, usando una descrizione metaforica (che conserverà la struttura logica della discussione). Il paradosso si riferisce ad una situazione fisica particolare che coinvolge due particelle di quantum (opinione, due elettroni), che saranno denominate Sarah e 4 M. L. DALLA CHIARA, R GIUNTINI ED E. NEGRI Susan nel quadro della nostra metafora. Supponiamo che i due oggetti si sono interagiti nel passato e sono separati da tempo t0. Uno sta occupandosi di una separazione forte di \very "(spazio-come): cioè Sarah e Susan non possono scambiare alcun segnale durante l'tempo-intervallo che stiamo facendo riferimento a. Due osservatori Oswald ed Oscar stanno osservando Sarah e Susan, rispettivamente. Siamo interessati in un accoppiamento delle quantità fisiche incompatibili, indicato da P e da Q, che non possono essere misurate simultaneamente, dal principio di incertezza del Heisenberg (per esempio, la rotazione di quantità nel senso di x e la quantità filano nel senso di y). In nostra metafora, possiamo immaginare che la P rappresenta il capelli-colore, mentre la Q rappresenta il occhio-colore. Sia le quantità P che la Q possono presupporre soltanto due valori possibili: + (posi-tive) e ¡(negativo). Di conseguenza, otteniamo due accoppiamenti delle proprietà possibili (P+; P¡) e (Q+;Q¡) (opinione, (capelli scuri, capelli chiari) e (occhi scuri, occhi chiari)). A causa dell'interazione passata, ci è una correlazione forte fra Sarah e Susan, che interessa i valori delle quantità allo studio: Veri¯es P+ di Sarah (Susan) [ ha capelli scuri ] se e soltanto se veri¯es P¡di Susan (Sarah) [ ha capelli chiari ]. Un rapporto simile tiene per l'accoppiamento Q+, Q¡(occhi scuri di eyes/light). Supponga che al tempo iniziale t0 le due quantità di P e Q sono completamente indeterminate sia per Sarah che per Susan. Presto prima del T2 di tempo (nell'intervallo [ T1; il T2 ]) Oswald decide misurare la quantità P, scoprente che Sarah è P+ [ ha capelli scuri ]. Nella metafora, Oswald potrebbe prendere il o® del cappello del Sarah, scoprente che ha capelli scuri (figura 1). Figura 1 quindi, a causa della correlazione fra Sarah e Susan, Oswald sa, senza avere in tutto il senso si è interagita con Susan, che Susan è P¡[ ha capelli chiari ]. Allo stesso tempo, supponiamo che l'altro osservatore Oscar non ha realizzato alcuna misura (non ha preso il o® del cappello del Susan o di vetro del Susan). Una domanda si pone: come determinare il \true del Susan e del Sarah DALLA TEORIA di QUANTUM A MUSICA 5 dati storici "durante l'tempo-intervallo [ t0; T2 ]? Per Sarah, la risposta più naturale sembra essere la seguenti: la sua storia è determinata dal dichiarare-sequence (sa(t0); sa(t1); sa(t2)); da dove sa(t1) è ottenuto sa(t0) dall'applicazione dell'SchrÄodinger-equazione, mentre sa(t2) è ottenuto dal crollo della funzione dell'onda. La proprietà P+, cui è indeterminato per dichiara sa(t0) e sa(t1), è decisa per dichiara sa(t2) (perché Oswald ha scoperto che Sarah ha capelli scuri). Che cosa circa Susan? A vista del ¯rst, due dati storici di®erent sembrano essere legittimi. Il ¯rst uno è la storia che è \seen "da Oscar, che non ha realizzato alcuna misura: (su(t0); su(t1); su(t2)); dove tutto dichiara sono determinati dall'SchrÄodinger-equazione e dove in qualunque momento nelle proprietà P+ e la e P¡sia indeciso. Quello secondo è la storia che è \imagined "da Oswald, che (misurante quantità P su Sarah) conosce che quello al T2 Susan di tempo è P¡[ ha capelli chiari ]. Di conseguenza, la storia immaginata da Oswald sarà la seguenti: (su(t0); su(t1); su¤(t2)); dove il ¯nal dichiara su¤(t2), verificato dal crollo della funzione dell'onda, decide che Susan è P¡(ha capelli chiari). È ragionevole per chiedere (come a volte facciamo nella realtà): quale è la storia del \true "di Susan? Il concetto di storia del \true "risulta profondamente essere collegato con il realtà-principio critico, che rappresenta l'ipotesi filosofica principale della EPR-discussione. Il principio è formulato come segue: Se, senza in qualunque senso che disturba il sistema, possiamo predire con la certezza (cioè, con la probabilità uguale ad unità) il valore di una quantità fisica, quindi esiste un elemento della realtà che corrisponde a quella quantità fisica. Apparentemente, il principio di realtà propone uno stato su±cient affinchè una proprietà fisica sia considerato obiettiva (cioè indipendente da azione di qualsiasi osservatore). Chiediamo: P¡(avendo capelli chiari) rappresenta una proprietà obiettiva per Susan? Una risposta positiva a questo problema sembra essere justi¯ed dal realtà-principio unito con un'località-ipotesi, secondo cui nessun in°uence di superluminal è ammesso. Susan non può essere disturbato tramite alcun'azione realizzata da un osservatore lontano come Oswald (dal località-principio). Di conseguenza, dal realtà-principio, P¡rappresenta una proprietà obiettiva per Susan. Possiamo ora usare una discussione counterfactual (basata su un'implicazione di cui l'antecedente è falso). Durante l'intervallo di tempo [ T1; il T2 ], Oswald potrebbe scegliere misurare la quantità Q anziché la quantità P. Di conseguenza, la seguente implicazione counterfactual deve essere corretta: 6 M. L. DALLA CHIARA, R GIUNTINI ED E. NEGRI Should Oswald ha scelto misurare la Q, allora Q+ o Q¡sarebbero una proprietà obiettiva per Susan al T2 di tempo. Tuttavia, dal de¯nition dell'obiettività, le proprietà obiettive del Susan non possono essere determinate dalle scelte del Oswald (che dipendono dalla sua volontà libera). Quindi, ci verifichiamo: Una [ P¡e Q+ ] o [ P¡e Q¡] è una proprietà obiettiva per Susan al T2 di tempo. Questa conclusione è justi¯ed dal carattere obiettivo della proprietà P¡e da un principio logico naturale che si concilia a cui la congiunzione di due proprietà obiettive è una proprietà obiettiva. A questo punto, la discussione invoca un'altra ipotesi importante, la totalità fisica del quarto, formulata da Einstein, da Podolsky e da Rosen come segue: Ogni elemento della realtà fisica deve avere controparti nella teoria fisica. In altre parole: se la teoria è fisicamente completa, quindi tutte le proprietà obiettive (espresse nella lingua della teoria) dovrebbero essere re°ected da un certo corrispondere puro dichiara. Quindi, in particolare, ci dovrebbe essere un puro dichiara di Susan che assegna la probabilità 1 ad una delle due proprietà seguenti: 1) [ P¡e Q+ ] [ capelli chiari ed occhi scuri ]; 2) [ P¡e Q¡] [ occhi chiari della luce e dei capelli ]. Tuttavia questo risultato contraddice il principio di incertezza: le due quantità di P e Q sono incompatibili; conseguentemente, nessun dichiari può assegnare un valore preciso agli entrambo. Abbiamo ottenuto, in questo modo, una contraddizione convenzionale che sembra mettere in questione la solidità logica dei meccanici di quantum. È possibile ostruire la derivazione di un tal paradosso? La prova di una contraddizione in una teoria dello scienti¯c è, in un senso, simile alla scoperta di un omicidio nel quadro di una storia detective. Ed ogni soluzione che è proposta per evitare la contraddizione svolge il ruolo di un detectivo che identi¯es l'assassino. Naturalmente, come accade nelle storia detective, inoltre paradossi dello scienti¯c provochi generalmente le soluzioni possibili di®erent. Nel caso della EPR-discussione "le ipotesi possibilmente \guilty sono: 1) il realtà-principio; 2) il località-principio; 3) il totalità-principio fisico. Ogni soluzione è caratterizzata da una scelta di®erent di alcune ipotesi colpevoli. Einstein, Podolsky e Rosen non hanno avuti dubbi: l'ipotesi, quella deve essere rifiutata, è il totalità-principio fisico. Infatti, la versione originale della EPR-discussione è stata presentata come un genere di prova dalla contraddizione di cui la conclusione era: Il quarto è fisicamente incompleto. Cioè il puro dichiara della teoria non rappresenta un massimo delle informazioni; uno sta occupandosi DALLA TEORIA di QUANTUM ALLA MUSICA 7 di un genere di informazione statistici, quello è abbastanza simile al dichiara dei meccanici statistici classici. L'articolo "può descrizione quantum-meccanica della realtà essere considerato completo?", conclude come segue: Mentre abbiamo dimostrato così che la funzione dell'onda non fornisce una descrizione completa della realtà fisica, a sinistra apriamo la domanda di se o una non tal descrizione esiste. Crediamo, tuttavia, che una tal teoria sia possibile. Tuttavia, questa conclusione contiene un errore \logical ". Infatti, la EPR-discussione dimostra soltanto l'incompatibilità logica fra il quarto ed i nostri tre principii generali, senza forzarli scegliere un'ipotesi \guilty particolare ". Ci sono altre soluzioni legittime, che fanno le scelte di®erent. Per esempio, la soluzione proposta da Niels Bohr e dalla \Copenhagen-scuola "è basata sul rifiuto del realtà-principio. Secondo Bohr, non è ragionevole parlare dei \elements della realtà ", perché tutte le proprietà degli oggetti fisici devono essere descritte come rapporti. Nei nostri giorni, molti eruditi sono per le soluzioni basate su un rifiuto del località-principio. In questa prospettiva, l'azione ha effettuato da Oswald nell'intervallo [ T1; il T2 ] risulta avere un in°uence fisico di \genuine "su Susan, nonostante spazio-come la separazione. Tuttavia, questo risultato non implica la possibilità di trasmissione del segnale da Oswald a Oscar durante l'intervallo [ T1; T2 ]. Di conseguenza, non ci è con°ict fra la non-località di quantum e la relatività speciale (che era preoccupazione di base del Einstein). È possibile recuperare, in questo modo, il unicity di storia del Susan? La domanda non ammette una risposta facile. In 1985, la metà un di secolo dopo comparire dell'EPR-articolo, soltanto Nathan Rosen era ancora viva. Un certo numero di congressi sono stati organizzati per celebrare la scoperta del paradosso famoso; ed a volte l'\honor-ospite "era, naturalmente, Rosen. Come l'uomo di \third "del terzetto ha considerato dopo la EPR-discussione, anni ¯fty? La seguente citazione rappresenta una testimonianza interessante: Ai tempi della scrittura della carta da EPR ho accosentito con la credenza espressa all'estremità che una teoria completa è possibile. Gli anni da allora ¯fty hanno passato e la fisica è cambiato notevolmente. Negli ultimi anni i dubbi hanno presentato nella mia mente se una teoria sarà trovata in avvenire che sarà completa secondo i test di verifica della carta e sarà corretta nel dare l'accordo con l'osservazione. Quindi è duro credere che una teoria sia trovata che sarà completa, basato sul test di verifica di un elemento della realtà, usato nella carta. Può anche essere che in avvenire le teorie fisiche descrivano la realtà nei termini di®erent da quelle a cui ora ac-customed. questo significa che la carta da EPR è inutile? Penso non. La carta ha condotto alla moltissima discussione 8 M. L. DALLA CHIARA, il R GIUNTINI ED il E. NEGRI che ha contribuito a chiarire i concetti fisici. Gradisco credere che questo abbia contribuito, se in una piccola misura, al progresso di physics.[2 ] 3. l'interazione fra gli oggetti reali e possibili il comportamento sconosciuto degli oggetti di quantum ha cambiato alcune idee generali circa l'interazione fra che cosa esiste e che cosa potrebbe esistere. Nel quadro della semantica classica, gli oggetti reali e possibili sono stati distinti acutamente: l'insieme di tutti gli oggetti reali è stato descritto come sottoinsieme adeguato classico (senza i bordi sfocati) del codice categoria di tutti gli oggetti possibili. La logica di Quantum (generata da Birkho® e da von Neumann come astrazione naturale dal formalismo matematico della teoria di quantum) è, a tale riguardo, liberale del \more ": le esistenze reali dipendono generalmente dalle esistenze virtuali! Come notato dal filosofo e dal W.O.Quine logician, il concetto tradizionale di oggetto fisico tende a \evaporate "nella fisica moderna. Tutta la ricerca logica circa il problema di esistenza naturalmente è interessata dell'analisi semantica del quanti¯er existential (9), che si comporta di®erently nei logics di®erent. Nel discutere queste domande, è utile riferirsi ad un genere riuscito e °exible di semantica che è stata chiamata la semantica possibile del mondo. L'idea intuitiva di base è molto semplice e va di nuovo a Leibniz. Supponiamo che il mondo reale (indicato da W) è correlato con un certo numero di situazioni alternative, anche denominate mondi possibili. Naturalmente, il mondo reale in se rappresenta un esempio di un mondo possibile. La correlazione fra i mondi solitamente è denominata rapporto di accessibilità. Da un punto di vista intuitivo, un mondo W1 è accessibile ad un altro mondo W2, quando W2 rappresenta un'alternativa ragionevole per W1. Nonostante la relativa funzione metaphysical, la semantica possibile del mondo ammette un'interpretazione fisica abbastanza naturale e può essere applicata a logica di quantum. L'idea intuitiva di base è la seguente: tutto il mondo possibile rappresenta la conoscenza di un osservatore circa un oggetto di quantum (dica un elettrone o un fotone). Quindi può essere rappresentato matematicamente come un possibile dichiara dell'oggetto in esame. Che cosa circa il significato di quantum del rapporto di accessibilità? Matematicamente, due puri dichiarano jÃi ed il j'i è accessibile quando sono non-ortogonali nello spazio astratto H, in cui tutto il puro dichiara \live ". Ciò corrisponde al seguente rapporto fisico: jÃi è accessibile al j'i quando jÃi può essere trasformato nel j'i dopo le prestazioni di una misura riguardo ad una quantità fisica che può essere misurata sul sistema. Il dichiarare-transformation jÃi 7! il j'i (indotto tramite la misura) è determinato dal crollo della funzione dell'onda. Per capiamo l'interpretazione fisica del quanti¯er existential quantum-logico, richiamo del ¯rst che nella maggior parte dei logics il quanti¯er existential (9) è una generalizzazione della disgiunzione (_). come esempio, lasciato DALLA TEORIA di QUANTUM A MUSICA 9 che noi pensiamo all'universo umano originale rappresentato dall'insieme di cui gli unici elementi sono Adam e vigilia. In questo universo, la frase existential là esiste qualcuno che abbia mangiato la mela sia chiaramente equivalente alla frase disgiuntiva o Adam o la vigilia ha mangiato la mela. Naturalmente, nella cassa del nostro universo umano attuale, usando le frasi disgiuntive (con circa 6 miliardi dei membri) anziché le frasi existential sarebbe abbastanza poco pratico! Inoltre nella logica di quantum, il quanti¯er existential 9q è una generalizzazione della disgiunzione quantum-logica _ q. La verità-condizione per le frasi disgiuntive è la seguente: La frase A o B è ALLINEARE nel mondo reale W (j=W A _ la q B) se e soltanto se per qualunque mondo possibile W1 accessibile al W esiste un mondo possibile W2 accessibile a W1 tali che A è allineare in W2 o in B è allineare in W2. Apparentemente, la verità ed il falsity nel mondo reale essenzialmente dipendono da che cosa accade in altri mondi possibili. Di conseguenza, una disgiunzione può essere allineare (nel mondo reale) anche se entrambi i membri sono indeterminati. Così comportamento semantico, che può comparire facie di prima in qualche modo sconosciuto, sembra a re°ect abbastanza buono un certo numero di situazioni concrete di quantum. Infatti, nel quantum la teoria una sta occupandosi spesso delle alternative che semanticamente sono determinate ed allineare, mentre entrambi i membri sono, in linea di principio, indeterminato. 4. Due-fenda l'esperimento uno degli esperimenti fondamentali dei meccanici di quantum, l'fend-esperimento due, spesso è stato descritto come genere di crucis di experimentum per logica di quantum. Uno sta occupandosi di un risultato intrigante che R. Feynman (nelle sue conferenze celebrate su fisica) ha commentato come segue: È tutto abbastanza mysterious. Ed il più che lo guardate, più mysterious sembra. Per capire, da un punto di vista intuitivo, perchè due-fenda l'esperimento sembra così \mysterious ", noi seguirà una descrizione divertente che può essere trovata nel libro Alice nella terra di Quantum. Un allegory di fisica di Quantum da R. Gilmore. Durante la sua corsa fantastica con i misteri del mondo di quantum, Alice arriva alla stanza di Gedanken, in cui tutti gli pensiero-esperimenti diventano reali. In primo luogo il meccanico classico illustra due-ha feso l'esperimento, per mezzo di una pallottola-pistola. La sua "pistola \classical comincia a ¯ring un certo numero di pallottole. La maggior parte di loro o® di gemito in tutti i sensi; ma alcuni di 10 M. L. DALLA CHIARA, il R GIUNTINI ED il E. NEGRI loro passano tramite uno schermo con due fessure (opinione ha feso 1 ed ha feso 2) e ¯nally ha colpito la parete (davanti lo schermo), ogni un contrassegno preciso andante. Il con¯guration di ¯nal dei contrassegni sulla parete provoca un modello cumulativo tipico, rappresentante la probabilità che una pallottola generica raggiunge una data regione della parete (figura 2). Figura 2. Da R. Gilmore, Alice nella terra di Quantum. Un allegory di fisica di Quantum. Il meccanico classico spiega a Alice: il \Since entrambe le fessure è aperto, le pallottole possono passare con uno fese, in modo da la distribuzione generale è data dalla somma delle probabilità che abbiamo ottenuto per le due fessure da sè, poiché le pallottole devono passare con una o l'altra. Non possono passare con entrambi, sapete." Presto dopo, il meccanico di Quantum fa un esperimento simile, per mezzo di una pistola di elettrone. Il e®ect è completamente di®erent: un modello di interferenza libero compare, abbastanza simile a che cosa sarebbe il caso in un fluttu-fenomeno (figura 3). Il meccanico di Quantum spiega: \There vedete un e®ect libero di interferenza. Con uno feso da solo avremmo visto che la distribuzione diminuirebbe uniformemente ad il uno o il altro lato, molto come le pallottole. In questo caso, vedete che, quando ci sono due fessure aperte, le ampiezze dalle due fessure stanno interferendo e stanno producendo i picchi e le depressioni evidenti nella distribuzione di probabilità. Il comportamento degli elettroni è abbastanza di®erent da quello delle pallottole del mio amico." DALLA TEORIA di QUANTUM A Figura 3 di MUSICA 11. Da R. Gilmore, Alice nella terra di Quantum. Un allegory di fisica di Quantum. il \I non capisce che - dice Alice - significate che ci sono tanti elettroni che passano in qualche modo con quello gli elettroni che passano attraverso un foro stanno interferendo con quei che passino con l'altro?" \No. Per niente - risposte il meccanico di Quantum - il e®ect di interferenza funziona anche quando ci è in qualunque momento soltanto un elettrone presente dentro. Un elettrone da sè può mostrare l'interferenza. Può passare attraverso entrambe le fessure ed interferire con se." \But che è silly! - grida Alice - un elettrone non può passare attraverso entrambe le fessure. Come il meccanico classico detto, non è appena ragionevole." Dirige rapidamente la luce verso le due fessure: il \I può vedere gli elettroni mentre passano attraverso le fessure ed esso è giusti ho detto che deve essere. Ogni passa con appena uno feso." "Aha! - risposte il meccanico di Quantum - ma avete osservato per vedere che cosa sta accadendo al modello di interferenza? I e®ects di interferenza accadono soltanto quando non ci è senso che potreste conoscere che quale hanno feso l'elettrone è andato attraverso. Se o non voi sappia non importa. Così vedete, quando ci è interferenza che sembra come se ogni elettrone stia passando attraverso entrambe le fessure. Se provate e controllo su questo che ¯nd che gli elettroni passano con uno fesi, ma allora l'interferenza sparisce. Non potete vincere!". Apparentemente, il caso del modello di interferenza, presentante quando non c'è nessun'osservazione possibile, provoca un comportamento quantum-logico tipico del connettivo o. La disgiunzione: L'elettrone ha passato attraverso la fessura 1 12 M. L. DALLA CHIARA, il R GIUNTINI ED il E. NEGRI o l'elettrone ha passato attraverso la fessura 2 è allineare. Allo stesso tempo, entrambi i membri della disgiunzione sono indeterminati e conseguentemente non allineare. Quando, invece, osservare è possibile (anche se nessun osservatore reale sta osservando), il modello di interferenza sparisce ed il connettivo o si comporta secondo logica classica. La verità della disgiunzione o l'elettrone ha passato attraverso la fessura 1 o l'elettrone ha passato attraverso la fessura 2 implica che ogni elettrone avesse passato attraverso una fessura determinata pozzo. 5. I calcolatori di Quantum e Gestalt-pensare abbastanza interessante, calcolatori di quantum provocano una situazione che è abbastanza simile a che cosa accade in due-ha feso l'esperimento: il parallelismo forte, caratteristico dei calcolatori di quantum, essenzialmente è basato sui percorsi virtuali, che un calcolatore di quantum può seguire allo stesso tempo. La realtà, in un senso, è impigliata con la possibilità. Il calcolo di Quantum recentemente ha suggerito certe nuove forme di logica di quantum (denominata logics di calcolo di quantum), dove i significati delle frasi sono identi¯ed con le quantità delle informazioni di quantum. Ciò fornisce un formalismo matematico per una teoria astratta dei significati che possono essere applicati per studiare i generi di®erent di fenomeni semantici dove holis-tic, contestuale ed i modelli gestaltic svolgono un ruolo essenziale (dai linguaggi naturali alle composizioni musicali). Come è la percezione ben nota e umana come pensare sembra essere essenzialmente synthetic. Non percepiamo mai un oggetto esplorandolo punto da punto. Preferibilmente formiamo subito un gestalt, cioè un'idea globale di esso. L'attività razionale, pure, sembra essenzialmente essere basata sui modelli gestaltic. Gestalt-pensare non può essere rappresentato adeguatamente nel quadro della semantica classica, che è basicamente analitica e composizionale: il significato di un'espressione compound è determinato sempre dai significati delle relative parti. Allo stesso tempo, i significati sono non-ambigui e taglienti. Tutto questo rende la semantica classica appena applicabile ad un'analisi sufficiente dei linguaggi naturali e dei contesti artistici, dove le caratteristiche holistic ed ambigue sembrano svolgere un ruolo relativo. Come esempio signi¯cant, potremmo riferirsi al verse di ¯nal del poem L'In¯nito da Giacomo Leopardi: E 'l dolce naufragar del m'µe nella cavalla di questo (e nella sommersione in questo mare è dolce a me). Questo verse è stato paragonato alle ultime parole di Isolde nel und Isolde di Tristan del Wagner: ertrinken, versinken, unbewusst, lust del hÄochste! DALLA TEORIA di QUANTUM A MUSICA 13 in Leopardi (ma, in un senso simile, anche in Wagner), il risultato poetic sembra essenzialmente essere collegato con il seguente rapporto semantico: i significati delle espressioni componenti \naufragar "(annegandosi), \dolce" (dolce), \mare "(mare) non corrispondono qui ai significati più comuni. A proposito, non ci è mare in Recanati, villaggio natale del Leopardi a che il poem si riferisce. Tuttavia i significati usuali delle nostre espressioni sono in qualche modo presenti ed ambiguamente correlati con i significati metaforici che sono evocati dal poem intero. Inutile per dire, questo rappresenta una situazione semantica abbastanza tipica nella poesia. 6. I logics di calcolo di Quantum nella semantica dei logics che di calcolo di quantum le seguenti circostanze sono satis¯ed: 1) i significati globali (che possono corrispondere ad un gestalt) sono intrinsecamente vaghi, perché lasciano semanticamente indeciso molte proprietà relative degli oggetti in esame; 2) tutto il significato globale determina alcuni significati parziali, che sono generalmente più vaghi di quello globale; 3) i significati (Gestalten) possono essere rappresentati generalmente come superpositions di altri significati, possibilmente associati ai probabilità-valori; 4) i significati (come Gestalten), si occupano di come oggetti intrinsecamente dinamici. In questa struttura, il significato di tutta la frase è identi¯ed con una quantità delle informazioni di quantum: un sistema dei qubits o, più generalmente, una miscela dei sistemi dei qubits (anche denominati qumix). Che cosa è un qubit? Da un punto di vista intuitivo, un qubit può essere considerare come la variante di quantum della nozione classica della punta. Come è ben noto, nella teoria di informazioni classica, un bit misura le informazioni che sono trasmesse (o sono ricevuto), ogni volta che una sceglie un elemento da un insieme che consiste di due elementi (per esempio, dall'insieme che consiste della risposta SÌ e del NO. di risposta, o dall'insieme che consiste del numero 1 e del numero 0). Nelle informazioni di quantum, si non può riferirsi generalmente alle risposte precise (come lo SÌ o NESSUN). La risposta tipica è rappresentata da un quantum forse, quella può essere descritta come superposition di quantum della risposta SÌ e del NO. di risposta. Usando la \ket-notazione del Dirac "ad un modo non tecnico, possiamo scrivere la forma generale di un qubit come segue: jQUBITi = jNOai + jYESbi dove: il ² a è numero (complesso) che determina la probabilità di NO, ² b di a è numero (complesso) di a che determina la probabilità di SÌ. I numeri a e b sono denominati solitamente ampiezze di quantum. 14 M. L. DALLA CHIARA, R GIUNTINI ED E. NEGRI From il punto di vista fisico, un qubit possono essere considerare come il puro dichiarano di singola particella, mentre un sistema dei qubits di n (anche denominati quregister) corrisponde al dichiarare di un sistema compound che consiste delle particelle di n. L'idea è che una singola particella (come un elettrone) può trasportare fisicamente la informazione-quantità rappresentata da un qubit. Per trasportare le informazioni immagazzinate dai qubits di n abbiamo bisogno, naturalmente, di un sistema compound che consiste delle particelle di n. Dal punto di vista matematico, i qubits sono vettori particolari quel \live "in uno spazio di Hilbert bidimensionale. Quindi, la forma matematica di un qubit è scritta solitamente come segue: jÃi = aj0i + bj1i; dove jÃi, j0i e j1i sono vettori (di cui la lunghezza è 1) in uno spazio di Hilbert bidimensionale. Da un punto di vista intuitivo, il vettore j0i rappresenta il NO. di risposta, mentre il vettore j1i rappresenta la risposta SÌ. Che cosa circa i sistemi dei qubits di n (n-quregisters)? Come abbiamo visto, un n-quregister è un possibile dichiara di un sistema compound, consistendo delle particelle di n. L'ambiente matematico per un tal sistema può essere rappresentato come prodotto speciale (denominato prodotto del tensore) degli spazi bidimensionali di n Hilbert. Su questa base, il rappresentante matematico di un n-quregister è identi¯ed con un unità-vettore di un tal spazio del prodotto (di cui la dimensione dipende da n). Ora abbozzeremo l'idea intuitiva di base della semantica di calcolo di quantum. Il punto di partenza è rappresentato dal seguente presupposto: una conoscenza memorizzata da un qumix può essere espressa linguisticamente da una frase di una lingua adatta L. Accordingly, tutta l'interpretazione semantica della L assocerà a qualunque ® di frase un ® del ½ del qumix che rappresenta il relativo significato informativo: ® 7! ® del ½: allo stesso tempo, i connettivi logici della lingua (come non e, o...) sono interpretati come cancelli logici di quantum: funzionamenti speciali (denominati funzionamenti unitari di quantum) che trasformano i qumixes nei qumixes in un senso rovesciabile. I \lives del ® del ½ del qumix (che rappresenta il significato del ®)"in uno spazio di Hilbert di cui la dimensione dipende dalla forma logica di ®. gli esempi più semplici delle frasi sono frasi atomiche, quella non possono essere decomposti nelle frasi più elementari (come, per esempio, \7 è dispari"). Di conseguenza, il significato di tali sentenzia \live "nello spazio di Hilbert più semplice: lo spazio bidimensionale (dove tutti i qubits sono individuati). Casi molecolari del whit una n di frase delle frasi atomiche (per esempio, \7 è dispari e 8 sono uniformi ", dove la n = 2) può essere considerare come una descrizione linguistica di un sistema fisico compound che consiste delle particelle di n. Infatti, abbiamo bisogno delle particelle di n per trasportare le informazioni che sono espresse dalla nostra frase molecolare. Su questa base, è naturale supporre che il significato di tali \lives di frase "in a DALLA TEORIA di QUANTUM allo prodotto-spazio di MUSICA 15, di cui la dimensione dipende da n. Quindi, la complessità logica di una frase è misurata dal numero di frasi atomiche che accadono in esso. E tutta la frase determina uno spazio di Hilbert particolare, quello rappresenta il relativo ambiente semantico. Come abbiamo visto, il ® del ½ del qumix (che rappresenta il significato del ® di frase) corrisponde ad un possibile dichiara di un sistema fisico (che trasporta le informazioni espresse da ®). in questa struttura, è abbastanza naturale applicare le regole statistiche della teoria di quantum che ci permettono di calcolare per c'è ne dichiarano e per tutta la proprietà fisica la probabilità che un sistema fisico in quanto dichiara i satis¯es che proprietà. Come previsto il genere di proprietà che risulta essere relativa per gli obiettivi informativi è rappresentato dalla verità-proprietà, che può occuparsi formalmente come "di proprietà fisica \normal (come \moving alla velocità chiara" o \being situato in una data spazio-regione"). Su questa base, tutto il ½ del qumix ha un prob(½) bene determinato di valore di probabilità. Da un punto di vista intuitivo, il prob(½) di numero rappresenta la probabilità che le informazioni memorizzate da ½ sono allineare. Come esempio, supponga che siamo nella situazione più semplice dove il nostro ½ del qumix sia un singolo qubit, avente la forma standard: jÃi = aj0i + bj1i: In tal caso, la probabilità che le informazioni memorizzate da jÃi sono allineare è determinata dall'ampiezza la b (il \companion "della punta j1i, rappresentante la risposta SÌ). Più precisamente, il prob(½) è identi¯ed con il numero jbj2 (il modulo quadrato di b). 7. Calcoli di Quantum ed alberi epistemic di quantum come rappresentare i calcoli di quantum? Come abbiamo visto, l'equazione generale che descrive lo sviluppo dinamico dei sistemi di quantum è l'SchrÄodinger-equazione (che determina come il dichiarare jÃ(t0)i di un sistema di quantum ad un tempo iniziale t0 si evolve ad un altro dichiara jÃ(t1)i ad un T1 di tempo di ¯nal). La forma generale dell'equazione è la seguente: jÃ(t0)i 7! jÃ(t1)i = U[t0;t1]jÃ(t0)i; dove U[t0;t1 ] è un operatore unitario, rappresentante una trasformazione rovesciabile. Poiché uno sta occupandosi di un processo rovesciabile, uno può andare avanti e indietro senza alcuna dispersione delle informazioni. Il modello di SchrÄodinger-equazione può essere applicato naturalmente alle informazioni di quantum. Qumixes è niente ma dichiara dei sistemi di quantum, mentre i cancelli logici di quantum sono funzionamenti unitari che procedono le informazioni in un senso rovesciabile. Cioè il quantum dichiara di conoscenza è trasformato nel quantum dichiara di conoscenza, senza alcuna dispersione delle informazioni. Da un punto di vista intuitivo, un tal processo può essere rappresentato naturalmente da un albero epistemic di quantum da un'iniziale dichiara del ½(to) di conoscenza ad un ¯nal dichiara di conoscenza ½(t1): 16 M. L. DALLA CHIARA, ² Del R GIUNTINI E Del E. NEGRI ½(t1) * ²: : : : : : : : : * il ² ½(t0) anche se la forma super¯cial di un albero epistemic di quantum è quella di un processo lineare, la struttura profonda è essenzialmente parallelo. Per, tutto il qubit jÃi provoca generalmente una ramificazione: ³º'¹µ¸¶· del ³º'¹µ¸¶· j1i del ³º'¹µ¸¶· j0i jÃi = aj0i + bj1i Ä Ä Ä Ä Ä Ä Ä Ä Ä Ä Ä Ä? ? ? ? ? ? ? ? ? ? ? ? ? _ Cioè un dichiarare di conoscenza rappresentato dai re°ects di superpo-sition un jÃi di quantum, allo stesso tempo, due percorsi epistemic paralleli: il ¯rst uno conduce alla risposta SÌ, mentre quella seconda conduce al NO. di risposta. Da un punto di vista intuitivo, i calcoli di quantum possono essere considerare gli esempi caratteristici degli alberi epistemic di quantum. 8. Le informazioni impigliate e la semantica holistic una delle funzioni più intriganti della teoria di quantum interessano i intrico-fenomeni. Che cosa è esattamente intrico? Da un punto di vista che intuitivo le caratteristiche di base dell'impigliate dichiarano jÃi può essere abbozzato come segue: il ² jÃi è le informazioni massime (un puro dichiara) che descrivono un sistema fisico com-pound S; il ² le informazioni determinate da jÃi circa le parti della S è non-massimo. Quindi, dichiara del sistema intero è un puro dichiarano, mentre dichiara delle parti (che sono determinate dal dichiarare del tutto) sono miscele adeguate. Impigliato dichiara il gioco un ruolo essenziale in tutte le EPR-situazioni. Per il caso, nel caso della nostra descrizione metaforica del EPR-paradosso, Sarah e Susan sono impigliati tipicamente. Prima della misura del Oswald, il dichiarare del sistema compound (Sarah + Susan) è un puro dichiara che assegna la probabilità 1 2 ai due eventi seguenti: il ² Sarah ha capelli scuri e Susan ha capelli chiari; il ² Sarah ha capelli chiari e Susan ha capelli scuri. A PARTIRE DALLA TEORIA di QUANTUM alle informazioni massime di MUSICA 17 A sul sistema compound (Sarah + Susan) determina due informazione parziali sugli elementi (Sarah, Susan). Tuttavia, tali informazione parziali non possono essere rappresentati da puro dichiara. Di conseguenza, i due diversi dati storici di Sarah e di Susan risultano essere necessariamente ambigui, prima della misura del Oswald. i Intrico-fenomeni possono essere usati naturalmente per modellare alcune situazioni semantiche holistic tipiche nel quadro della nostra semantica di calcolo di quantum. Possiamo considerare impigliato dichiariamo di conoscenza, rappresentato dai quregisters speciali che sono significati delle frasi molecolari. Come esempio, consideri una frase conjunctive che ha la forma C = A e B: La seguente situazione è possibile: il ² il ½C di significato della congiunzione C è un quregister, che rappresenta le informazioni massime (un puro dichiara); il ² i significati di entrambe le parti (A,B) quantum-è impigliato e non può essere rappresentato da due puri dichiara (due quregisters). Possiamo dire che il significato tagliente della congiunzione A e B determina due significati ambigui per le parti (A, B), che sono rappresentate da due mescolati dichiara. Cioè il significato del tutto determina i significati delle parti, ma non l'altro senso intorno. Infatti, uno non può andare indietro dai due significati ambigui delle parti al quregister che rappresenta il significato del tutto. Il mixed dichiarano rappresentare il significato ambiguo di A (di B) può essere considerato un genere di significato contestuale di A (di B), determinato dal contesto globale, che corrisponde al ½(A del quregister e B) (il significato della congiunzione A e B). La semantica di calcolo di quantum è fortemente dipendente di spazio di Hilbert. Di conseguenza, le applicazioni ai ¯elds (lontano dal mondo di quantum) dove gli spazi di Hilbert non svolgono alcun ruolo signi¯cant, sembrano essere in qualche modo artificiali. Tuttavia, sottraendo dal formalismo di spazio di Hilbert, uno può sviluppare una versione astratta della semantica holistic di quantum che è spazio di Hilbert free1. In questa struttura, i quregisters ed i qumixes (rappresentando informazione massimi e non-massimi, rispettivamente) si occupano come di generi speciali di oggetti di intensional con difficoltà crescente, che re°ects la forma logica delle frasi possibili. Di conseguenza, una nozione astratta delle informazioni ridotte consente uno ai significati contestuali del de¯ne in un senso adatto (come nel caso concreto di quantum). Questo estratto quantum-come la semantica sembra rappresentare un attrezzo °exible che potrebbe essere applicato naturalmente ad un certo numero di ¯elds di®erent (analisi convenzionale compresa dei linguaggi naturali e delle lingue di arte). 1See [ 8 ]. 18 M. L. DALLA CHIARA, R GIUNTINI ED E. NEGRI As, noi può provare ed applicare così analisi semantica al poem la L 'In¯nito. Lascili (arti¯cially) decompongono il poem nelle due frasi seguenti: ² B = 'l dolce naufragar del m'µe nel ² della cavalla di questo (annegarsi in questo mare è dolce a me) A = il poem L 'In¯nito senza l'ultimo verse. Quindi, ci verifichiamo: L'In¯nito = A e B. La nostra semantica descrive come il significato contestuale di ultimo verse la B (un significato ambiguo) è determinato dal significato globale del poem intero. Naturalmente, un'analisi semantica simile può anche essere applicata alla cassa delle composizioni musicali, in cui i significati hanno un comportamento holistic, contestuale ed ambiguo intrinseco. 9. A quantum-come la semantica holistic per i segni musicali dei segni di musical è esempi molto complicati delle lingue simboliche. È interessante analizzare come le informazioni sono codificate dai segni musicali nel confronto con i linguaggi formali standard che sono usati per le teorie dello scienti¯c. I di®erences più importanti sembrano essere i seguenti: le lingue convenzionali dello scienti¯c del ² sono basicamente lineari e composizionali: le parole e le espressioni ben formate sono rappresentate come stringhe che sono costituite dai simboli che appartengono ai segni bene determinati del ² di alfabeto, invece, sono gli oggetti sintattici bidimensionali, che hanno allo stesso tempo un \horizontal "e" da un componente \vertical. Tutto il tentativo di linearizzare un segno condurrebbe ai risultati completamente contatore-intuitivi. Da un punto di vista semantico, la due-dimensionalità caratteristica della notazione musicale sembra signi¯cantly essere collegata con le strutture parallele profonde che hanno un ruolo essenziale nella nostra percezione ed elaborazione intellettuale delle esperienze musicali. Potremmo ricordare, a questo proposito, una metafora felice proposta da Antonio Damasio, secondo cui il cervello umano sembra funzionare come un'orchestra! Come è ben noto, la musica ed i colloqui parlati sono percepiti solitamente secondo le modalità di®erent. Mentre un superposition simultaneo dei colloqui determina generalmente un senso psicologico del uneasiness, la musica preferibilmente provoca il piacere \polyphonic mysterious ". Come esempio, lascili pensano a molti duets (o terzettos o quartetti) delle opere lyric. Generalmente, un ascoltatore percepisce il risultato polyphonic globale; allo stesso tempo (lei) può afferrare le linee melodic di®erent così come i \thoughts di®erent "di tutti i caratteri che stanno cantando. Potremmo riferirsi ad un certo numero di esempi celebrati. Un caso signi¯cant è rappresentato da un frammento di un duet famoso dentro DALLA TEORIA di QUANTUM A MUSICA 19 la La Traviata di opera, dove il padre del Alfredo (Germont) prova a convincere Violetta che dovrebbe lasciare Alfredo. Molto all'inizio, Violetta propone un genere di compromesso: comprendo del \Ah, dovrµo per il allontanarmi di Alfredo di da di tempo del alcun "(\I capisce, io smetterà di vedere Alfredo per certo tempo..."). Ciò è che cosa dice, per mezzo di un genere di recitativo. Tuttavia, Violetta ha capito molto bene che che Germont sta chiedendo è molto più serio: la separazione sarà molto per mai. Dal punto di vista musicale, i suoi pensieri ed il suo anguish non sono realizzati dalla linea melodic di lei che canta ma piuttosto dalle frasi drammatiche effettuate dalle stringhe nell'orchestra. Ed il \contradiction "fra che Violetta sta dicendo e che Violetta sta pensando signi¯cantly è espresso da alcune corde dissonant (per esempio, \says di Violetta" un °at e \thinks "un a). È possibile (ed interessante) rappresentare un segno musicale come esempio particolare di un linguaggio formale? In un senso, sono i segni formalizable? Uno può rispondere a positivamente a questo problema, introducendo la nozione della rappresentazione convenzionale di uno score2 musicale. L'idea di base può essere abbozzata come segue. La due-dimensionalità caratteristica della sintassi musicale può essere rappresentata matematicamente via un certo estratto tabella-come le strutture. Tutte le segno-misure possono essere descritte formalmente come con¯gurations bidimensionali che hanno la seguente forma: 0 BB @ Instr1: A11: : :A1n Instr2: A21: : :A2n: : : Strumentazione: Am1: : :Amn 1 ogni fila di CCA corrisponde qui a che cosa sarà effettuato da uno strumento particolare (opinione, il violino del ¯rst); mentre le colonne corrispondono a che cosa sarà giocato allo stesso tempo. Di conseguenza, il segno intero può essere rappresentato come sequenza tabella-come delle strutture, in cui le combinazioni sintattiche orizzontali e verticali ....